Massimo Canella: Invito alla lettura 13. Sergio Romano, “Giuseppe Volpi. Industria e finanza fra Giolitti e Mussolini”

| 11 Luglio 2023 | Comments (0)

 

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Massimo Canella. Invito alla lettura 13:

“Ieri sera Volpi si compiaceva di aver parlato chiaro col Duce contro l’Iri e la sua politica […] Ora Mussolini irride […]’Questa gente, la gente dell’industria e dei traffici, è sempre la stessa. Invoca l’intervento dello Stato, quando gli affari vanno male; e, una volta che si sono riassestati, invoca il contrario, il disinteresse dello Stato, e non manca di sostenere i suoi interessi con ragioni di principio. Vorrebbe impedire a noi, a uno Stato autoritario, quel che lasciò fare perfino a un Giolitti.’” (durante il Consiglio dei Ministri del 5 luglio 1941, secondo l’attendibile testimonianza contenuta nel “Diario di Giuseppe Bottai 1935 – 1944”, a cura di Giordano Bruno Guerri, Milano 1989, p. 245)

Col suo dono per la sintesi giornalistica, Mussolini esprimeva bene l’esperienza dell’equilibrio di potere di lungo periodo che è anche il filo conduttore della biografia di Giuseppe Volpi scritta dall’ambasciatore Sergio Romano, che dopo aver rappresentato l’Italia presso la Nato e presso l’URSS all’epoca era già dedito a una fecondissima e apprezzata attività pubblicistica, e pubblicata nel 1997. Romano, figlio di un industriale, adorno di studi prestigiosi e autore delle “Memorie di un conservatore”, non sembra avere l’atteggiamento ironico di Mussolini nei confronti della flessibilità variabile delle dottrine economiche liberali e del comportamento dei capitani d’industria, ma non è nemmeno un dottrinario: osserva che obiettivamente la dipendenza della grande impresa dal rapporto con lo Stato, in realtà constatabile ovunque dalla seconda metà dell’Ottocento, in Italia tende a slittare nell’affidamento allo Stato della responsabilità delle attività produttive “più che altrove”. “Se l’Italia è, fra i paesi occidentali, quello in cui la ‘mano pubblica’ ha maggiormente esteso la sua zona d’influenza, ciò si deve alla gracilità del sistema e al rapporto ‘organico’ che uomini come Volpi stabilirono con lo Stato sin dai primi del secolo: un rapporto in cui l’industriale e il finanziere sono al tempo stesso funzionari e imprenditori, ispiratori ed esecutori di programmi dove il potere politico (ora temuto, ora sollecitato) è sempre presente. […] in Italia più che altrove l’alleanza assomiglia subito a un’avventura in cui le acrobazie dell’azione diplomatica debbono supplire alle carenze finanziarie e tecnologiche.”(in “Giuseppe Volpi. Industria e finanza da Giolitti a Mussolini”, Venezia 1997, p. 246).

Romano scriveva in anni ormai lontani, in cui si assisteva a un pesante e anche un po’ disinvolto ridimensionamento dell’industria pubblica, impostata dal fascismo dopo la crisi del 1929 e molto incrementata dalla Democrazia Cristiana dei Fanfani e dei Mattei, e probabilmente, come sempre accade, nelle sue valutazioni storiche si avverte anche un’eco delle polemiche e dei valori prevalenti del tempo.. E’ vero che dichiara di non essere uno storico professionista, e nello smilzo apparato critico non vi è quasi traccia dell’infinita pubblicistica sulle diverse interpretazioni del fascismo e sui vari aspetti della storia nazionale italiana, che comunque conosce; lo stile, brillante e rapido nel concludere, ricorda piuttosto quelli del diplomatico e del giornalista. D’altra parte, ha potuto mettere in campo le conoscenze tecniche e la pratica di mondo acquisite nell’esercizio dei suoi alti incarichi, preziose per afferrare la complessità dei retroterra economici degli eventi, e ha potuto attingere grazie alle sue conoscenze, pur selettivamente, a fonti mediamente meno frequentate della sovrabbondante memorialistica dell’epoca: l’archivio di famiglia, custodito a Venezia nel Palazzo D’Anna Viaro Martinengo Volpi di Misurata; quello di persona del suo vecchio amico Bernardino Nogara, che concluse la carriera come consulente finanziario del Vaticano; quello di Thomas W: Lamont della banca Morgan, custodito ad Harvard; quello di Carlo Galli, ambasciatore a Belgrado e ad Ankara; quello del Ministero degli Affari Esteri. Poi ha il dono dello scrittore, che fa sì che della sua versione del “doge” della Venezia fascista resti nel lettore un ricordo definito e incisivo. Naturalmente anche la vita degli studi novecenteschi ha continuato a scorrere dopo il 1997, e sono usciti nuovi contributi: noi qui, da aspiranti polistori dilettanti consci dei propri limiti, ci si deve limitare al volume che si propone all’attenzione.

La carriera di Volpi (1877 – 1947) inizia nel 1896 con l’assunzione della rappresentanza per Venezia di una compagnia di assicurazione per la vita, e si sviluppa nel cinquantennio seguente facendogli assumere ruoli centrali in molte vicende decisive della vita nazionale e regionale: il cosiddetto “imperialismo italiano” nei Balcani e nel Vicino Oriente, ai tempi di Giolitti e poi nella seconda guerra mondiale; il governo e il consolidamento della colonia libica negli anni Venti, anche nella prima fase della presenza di Graziani; la battaglia della lira e Quota 90, vissute come Ministro delle Finanze; la presidenza della Confindustria negli anni Trenta e Quaranta – e, parallelamente, l’ingresso nell’industria elettrica e il raggiungimento nel suo ambito di una posizione preminente; un ruolo decisivo nella realizzazione di Porto Marghera; la costruzione di un ampio conglomerato di società con diverse vocazioni che a lui e ai suoi sodali Cini e Gaggia in vario modo facevano capo; la compiaciuta assunzione di un ruolo che, scherzosamente ma non troppo, il patriarca La Fontaine definì “dogale” in una Venezia segnata da interventi incisivi come il Ponte Littorio, poi della Libertà, o la Mostra del Cinema. Una vita di grandi successi, conclusa da anni difficili: congedato da qualche mese dalla Confindustria, simpatizzava coi gerarchi fascisti che si appellarono al Re il 25 luglio 1943 restando spiazzati dagli eventi nel giro di qualche ora;subì, anche fisicamente (in viaTasso), la vendetta delle SS di Kappler, e poi la carcerazione e gli attacchi della stampa tedesca, che dalla sua carica di presidente delle Assicurazioni Generali, non immuni da venature ebraiche, evinse in un articolo del Voelkischer Beobachter che aveva permesso alla “Sinagoga di venire in aiuto al re traditore”; scarcerato ed espatriato poi in Svizzera, grazie alla compiacenza di Graziani divenuto nel frattempo ministro della Difesa nel governo di Salò, nel luglio 1945 si trovò col patrimonio sequestrato e l’avvio di un processo alla Corte d’Assise di Roma per aver contribuito ad annullare le libertà popolari e a tenere in vita il regime fascista “con atti rilevanti”. Nel frattempo aveva sviluppato una grave forma di arteriosclerosi, e, dopo non essere stato rinviato a giudizio un po’per non aver commesso i fatti e un po’ per l’amnistia di Togliatti, morì a Roma il 16 novembre 1947 dopo neppure un mese dal rientro in Italia.

Una densità di avvenimenti, a volte riferita anche nei loro complessi risvolti tecnici, di cu soltanto la lettura delle 246 pagine dell’opera può permettere di seguire il filo. Si possono comunque esprimere alcune considerazioni a latere, tutt’altro che esaurienti.

  • Le iniziali avventure in Montenegro , Serbia, Turchia e Bulgaria permettono di farsi un’idea più concreta della realtà dell’imperialismo dell’Italietta, che altrimenti può restare nelle menti solo come declinazione di una categoria astratta o per converso come frutto di linee politiche e ideologiche, con cui gli interessi economici privati avevano in realtà un rapporto sinergico, nella distinzione delle funzioni. Rese pensabili dalla grande capacità del giovane Volpi di introdursi nelle stanze del potere balcanico, che presuppone acume, giovialità e una grande spregiudicatezza, esse furono portate avanti da un gruppo di intraprendenti tecnici e finanziatori veneziani, fra cui anche titolati di origine veneziana come il conte Foscari, alfiere del nazionalismo politico, o napoleonica come il senatore Nicolò Papadopoli: decisivo per il loro decollo il rapporto con la milanese Banca Commerciale di Toeplitz e Joel. Le iniziative del gruppo intralciavano i progetti infrastrutturali dell’Austria Ungheria, ma erano rese possibili dal capitale tedesco che controllava la Commerciale, a sua volta assai vicina politicamente a Giolitti. Nell’interpretazione di Romano “l’obiettivo dell’imperialismo economico italiano è sin dai primi secoli quello di occupare gli spazi lasciati dalle grandi potenze egemoniche vendendo con capitali stranieri una tecnologia in buona parte mutuata . Di questo ‘imperialismo’ mediatore e ‘interstiziale’ Volpi fu, se non l’inventore, l’esponente più brillante” (p. 246). Convertitosi nel 1914 all’interventismo, pur senza i fanatismi territoriali degli amici nazionalisti, dopo la Grande Guerra, per l’indubbia competenza e con la copertura formale di essere console onorario della Serbia, Volpi fu chiamato nelle delegazioni che negoziarono i vari trattati di pace, non senza accuse francesi relative ai suoi rapporti con la Commerciale e il capitalismo tedesco sconfitto (“S’è mai vista una cosa del genere”, si chiedeva nel 1920 il giornale Rome di Parigi).
  • Parallelamente nel 1905 venne fondata la Società Adriatica di Elettricità, SADE, che con accorte politiche di acquisizione, l’utilizzo di fortissime capacità tecniche e il sostegno costante della Commerciale, anche fruendo della disponibilità sul mercato dei capitali degli indennizzi ottenuti dalle società private per la nazionalizzazione giolittiana delle ferrovie, ottenne presto l’egemonia nel settore nel Veneto e in Emilia, e finì col diventare uno dei perni dell’alleanza oligopolistica delle società elettriche che indubbiamente concorse allo sviluppo del Paese, e insieme tanto pesò come gruppo di pressione sulla sua vita economica e politica.
  • Quando nel 1921 Giovanni Amendola, ministro delle Colonie nell’ultimo ministero Giolitti, gli chiede di assumere il governatorato della Tripolitania, Volpi già “cumula funzioni e onori che fanno di lui con Ettore Conti e Alberto Pirelli il maggiore esempio dei rapporti di collaborazione e fungibilità che intercorrono fra politica ed economia fin dall’età giolittiana” (p. 98). Pur perplesso davanti alla Marcia su Roma, in quanto giolittianamente pensa che il fascismo può essere utile per aiutare a governare ma non per farsi governare da lui, Volpi riesce a trovare col nuovo ministro, il nazionalista Federzoni, l’intesa che dopo qualche screzio aveva saputo trovare con il liberale Amendola. Energico nelle opere pubbliche e agrarie e nel riprendere l’assoggettamento delle popolazioni, anche in collaborazione col generale Graziani che si macchierà soprattutto in seguito dei noti gravi crimini col consenso del proprio governo, e insieme abbastanza elastico per comprendere la complessa realtà sociale del posto e addivenire a mediazioni, ne esce col titolo di conte di Misurata, la prima città della Tripolitania di cui aveva ripreso il controllo, secondo lo spirito vanitoso dell’epoca. Ne rimane confermata la continuità fra la politica coloniale fascista e quella prefascista, vissuta comunque un po’ da tutti in termini piuttosto anacronistici che avrebbero inciso in modo sproporzionato sugli sviluppi successivi (Etiopia, eccetera).
  • Parallelamente si svolge la vicenda della creazione del porto industriale di Venezia a Porto Marghera, concepito all’epoca, più di cent’anni fa, come complementare al porto commerciale che rimaneva a Venezia nell’area della Marittima, da cui si è trasferito da pochi anni. Infinita la letteratura sui pro e sui contro dell’impresa, obiettivamente poderosa, con cui Volpi e i suoi soci riuscirono a creare una piattaforma di servizi cui si associò poi tutto il gotha dell’industria italiana dell’epoca, a cominciare dai siderurgici. Osserva Romano: “Scoprire i collegamenti fra mondo politico e mondo economico significa scoprire che in una società capitalista – ma non soltanto in essa – la classe dirigente circola con una certa mobilità al vertice e che la stessa persona può spostarsi da una parte all’altra dello ‘sportello’ […] Significa in altre parole constatare l’evidenza. […] Nel 1917,al culmine di un dibattito che proclamava la necessità di conservare l’integrità veneziana ma attribuiva all’industrializzazione della città un parte determinante per il suo sviluppo, Porto Marghera rappresenta il punto d’incontro fra interessi settoriali, generali e municipali che fino ad allora si erano combattuti” (p. 97). Interessante la notizia che il ministro Bonomi nell’occasione valutò come elemento positivo il fatto che il progetto evitasse di alterare la morfologia lagunare con interramenti e scavi di compenso, “argomenti che verranno trascurati allorché, morto Volpi, si decideranno le alterazioni lagunari necessarie per la seconda zona industriale” (p. 98) – e non solo. Prevedibile la notizia che i socialisti veneziani, in genere oppositori di Volpi visto come caso estremo di affarismo di Stato, non si opposero a Porto Marghera, antivedendo che lì sarebbe finalmente nato in Veneto un proletariato di fabbrica adatto a recepire i loro messaggi.
  • Impossibile seguire le vicende molto tecniche e diplomaticamente complesse dell’operato di Volpi come Ministro delle Finanze, carica in cui era succeduto ad Alberto De Stefani, liberista coerente che aveva consolidato la fama di Mussolini fra gli industriali eseguendo con efficacia tutte le loro richieste, ma poi li aveva scontentati con ricette a loro sgradite. Il mandato fu caratterizzato: 1) dalla negoziazione del debito di guerra con gli Stati Uniti, che si accompagnò all’instaurazione di un rapporto di fiducia volto alla ricerca di investimenti statunitensi in Italia, anche nelle sue imprese, che diede frutti anche dopo la sua uscita dal governo; 2) dalla rivalutazione della lira (Quota 90), voluta da Mussolini in elementare contrasto con gli interessi immediati degli industriali; 3) dall’incentivazione delle concentrazioni e dell’aumento dimensionale delle imprese. L’interpretazione che Romano dà di quota Novanta parte da quella offerta da Piero Sraffa ad Angelo Tasca in una lettera del 1927. “Sraffa aveva ragione. “Quota 90” premiava la base “elettorale” del regime consolidando i risultati – buoni del Tesoro, potere d’acquisto dei reddito, depositi bancari – che i ceti medi avevano conquistato negli anni precedenti. […] Dando prova di grande coerenza sostanziale (il lessico, come sappiamo, era ecletticamente conservatore e rivoluzionario) il fascismo restava fedele ai ceti di cui aveva espresso, nel ’22, le inquietudini, le ambizioni e le velleità. Non altrettanto può dirsi delle classi più umili per le quali la rivalutazione significava semplicemente mercedi più basse e un saldo negativo fra potere  di acquisto dei salari e costo della vita. Per esse Mussolini aveva in serbo un grande disegno prerooseveltiano, economico e sociale perché destinato ad assicurare la loro sopravvivenza e a ‘fissare’ il loro ruolo nella vita nazionale: lavori pubblici, riorganizzazione delle Ferrovie dello Stato, battaglia del grano, bonifica integrale.” (p. 157-58). Quanto a Volpi, “prestare la sua voce alla politica di Mussolini non dovette quindi costargli fatica anche perché ‘quota 90’ restringeva il campo di azione dell’industria italiana e la obbligava a ricercare sul mercato interno quegli sbocchi che […] essa aveva ormai perso sul mercato internazionale” (p. 159). Con l’energica politica di concentrazioni e cartelli, infine, cominciava “un’era di economia illiberale in cui il mercato era oggetto di atti e spartizioni fra i maggiori gruppi industriali e finanziari del Paese” (p. 162): per Mussolini ciò era funzionale al suo sogno di società corporativa, gerarchica, autarchica e guerriera; per Volpi e i suoi sodali, agli “interessi …] degli uomini e dei gruppi che rappresentavano in quel momento la struttura portante dell’economia nazionale” (ibidem). A seguito di questo consolidamento, negli anni successivi tutte le iniziative con forte contenuto innovativo sarebbero state prese secondo Romano direttamente dal settore pubblico, e gli stessi conflitti fra gruppi (ad esempio fra SADE e Montecatini per lo sfruttamento delle risorse idriche del bacino Piave – Ansiei nel Veneto) finivano con l’essere arbitrati dallo Stato (Si può obiettare nel caso specifico che si trattava di concessioni o autorizzazioni pubbliche: considerazione che può aprire un altro filone di ragionamenti sui rapporti necessari e enigmatici fra il potere pubblico e l’iniziativa privata regolati dal diritto amministrativo). In un tale contesto anche l’eventuale capacità di opporsi alle derive di Mussolini, di cui non è che si trovino molti riscontri, risultava fortemente inibita.
  • Rinviando senz’altro al testo per quanto riguarda i successivi sviluppi delle imprese industriali, comprese le rilevanti iniziative multinazionali, e il ruolo di “doge” di una ritrovata Serenissima, occupato da Volpi con lo stile tronfio dell’epoca, ma anche con pur opinabile concretezza e originalità di contenuti e di azioni, credo chiarificatore fare il punto almeno su due snodi. Il primo è il momento – inizio del 1935 – in cui l’Italia, col nuovo ministro Paolo Thaon di Revel della stirpe dell’ammiraglio omonimo, sottopose a licenza ministeriale le importazioni provenienti da paesi con cui l’Italia non aveva accordi di ‘clearing’, cioè di compensazione, rompendo bruscamente con una ininterrotta tradizione di multilateralismo; inoltre venne istituita, e affidata a Felice Guarnieri, una Sovrintendenza allo scambio di valute con poteri dittatoriali, in cui venivano coinvolti, attraverso il sistema corporativo, gi industriali stessi, resi responsabili della ripartizione delle merci da importare. La dichiarazione di guerra all’Etiopia è del 3 ottobre, le sanzioni del 9, le contro-sanzioni del 15. Se a qualcuno questa filosofia tendenziale dei rapporti internazionali suona un po’ familiare ed attuale ci pensi su.
  • L’altro punto di assoluto rilievo concerne la documentazione dell’antagonismo perdente con l’alleato tedesco, di cui nei Diari di Ciano si vedono tanti riflessi sui piani diplomatico, militare e anche protocollare. Già nel 1940 i Tedeschi avevano imposto nel Belgio occupato un proprio diritto di opzione sulle partecipazioni straniere nelle società lì quotate, anche con lo scopo di trasferire alla tedesca Mitropa il controllo della Wagon Lits, nelle mani di Volpi: non fu poca fatica, né foriera di pochi risentimenti, sventare l’operazione. Notevole fu poi il contrasto nella Croazia occupata, che gli accordi fra gentiluomini lasciavano al controllo italiano, ma in cui i Tedeschi ugualmente spadroneggiavano, mentre il dittatore locale Ante Pavelic si bilanciava fra i contendenti per ricavarsi uno spazio autonomo: le cose alle imprese italiane andarono meglio in campo elettrico che in campo assicurativo, tanto per parlare d settori cui il presidente di Confindustria era direttamente interessato, per i due anni abbondanti in cui la fragile e sanguinosa situazione riuscì ad andare avanti.

“Non c’è peggior metodo storico di quello di appiattire la successione degli avvenimenti considerando il passato con il senno del presente o, peggio, attribuendo a un particolare periodo reazioni e stati d’animo che si fecero strada successivamente” (p. 210). A questo consiglio aureo, impossibile da contraddire e difficile da rispettare fino in fondo, Sergio Romano riesce molto bene ad attenersi quando deve capire i moventi dei borghesi italiani del Novecento e i moventi di chi svolge ruoli diplomatici e di governo, categorie cui è appartenuto e con cui non può che empatizzare. Non mostra di non capire perché gli industriali degli anni Venti potessero gradire la rimozione della concorrenza delle cooperative e dell’ostacolo permanente del sindacato. Sapendo come vanno le relazioni internazionali, non si scandalizza delle politiche coloniali. E sapendo che anche gli industriali sono uomini non onniscienti, non onnipotenti e non privi di emozioni, giustifica molte loro debolezze proprio con il fatto che siano stati, come gli altri, illusi e in errore. In occasione dell’Etiopia, ad esempio, Volpi “ebbe le reazioni della propria generazione. Per quanto fosse moderno e per certi aspetti anticipatore, egli restava vincolato agi schemi ideologici e sentimentali degli anni in cui si era formato […] Era convinto che l’ascesa politica ed economica dì una nazione passasse attraverso una fortunata esperienza coloniale ]…] Che le si volesse improvvisamente impedire di fare con qualche anno di ritardo ciò che gli altri avevano fatto da tempo gli pareva segno evidente di un complotto antitaliano; e l’autarchia, quindi, una risposta necessaria. Come uomo d’affari, egli conosceva il costo di una economia autarchica. Come cittadino di un paese ‘assediato’, egli cercò di conciliare esperienza e sentimenti” (p, 210). Del resto l’uomo è “un vero signore”, come si diceva una volta definendo felicemente un insieme di caratteristiche, ed è consapevole delle distorsioni che l’affettività e i ricordi possono creare. Lucidissimo ancora a novantatre anni, diceva qualche tempo fa in televisione, a proposito della guerra in Ucraina, che bisognava prendere con le pinze quanto aveva sempre detto sulla opportunità di comprendere le necessità geopolitiche di cintura difensiva esterna e di accesso ai mari della Russia, perché, e su questo non gli do torto, lui amava immensamente il popolo russo. Nella stessa trasmissione fece un riferimento anche a Vittorio Emanuele III, definendolo con monarchico affetto un sovrano su cui l’Italia non poteva aver certo niente da ridire. Chissà: documentato come è, può darsi che dal punto di vista di qualcuno anche su questo potrebbe avere ragione.

Category: Libri e librerie

About Massimo Canella: Massimo Canella, laureato in Scienze politiche all'Università di Padova, è stato docente a contratto presso l'Università Ca' Foscari di Venezia: "Strumenti giuridici e ruolo delle istituzioni per i beni culturali" al corso di laurea specialistica interateneo fra Padova e Venezia su "Storia e gestione del patrimonio archivistico e bibliografico". Ha coordinato il Servizio Beni librari e archivistici e Musei della Regione del Veneto con particolare riferimento allo sviluppo di reti informatiche e relazionali, e alla Soprintendenza ai beni librari. Ha realizzato progetti pluriennali sulla valorizzazione del patrimonio culturale e sull'arte contemporanea. Ha partecipato ai Comitati nazionali del Servizio Bibliotecario Nazionale e del Sistema Archivistico Nazionale e al comitato di redazione del Notiziario bibliografico del Veneto. E' autore di numerose pubblicazioni su i beni culturali (vedi elenco nella rete Linkedin a suo nome)

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