Amina Crisma, Vittorio Capecchi: L’I Ching a Eranos di Matteo Sgorbati
Amina Crisma, Vittorio Capecchi: L’I Ching a Eranos di Matteo Sgorbati
Esce ora in libreria il libro di Matteo Sgorbati L’I Ching a Eranos. Wilhelm, Jung e la ricezione del Classico dei mutamenti (Orientexpress, Napoli 2021), studio importante per comprendere come e perché tale antico e venerato classico cinese sia diventato un libro di “saggezza senza tempo” per l’Occidente moderno. Ne proponiamo la prefazione, di Amina Crisma e Vittorio Capecchi (pp. XI-XVII).
Amina Crisma e Vittorio Capecchi
Prefazione a Matteo Sgorbati, L’I Ching a Eranos. Wilhelm, Jung e la ricezione del Classico dei mutamenti
1. Sullo sfondo del rinnovato interesse per un classico.
Una vasta e variegata letteratura, che ha conosciuto una ulteriore e cospicua espansione negli ultimi decenni, illustra in molteplici prospettive e con dovizia di particolari l’importanza dell’Yijing, il Classico dei Mutamenti, il cui ruolo nella cultura cinese si suole sovente paragonare, con suggestiva similitudine, a quello rivestito dalla Bibbia nella cultura dell’Occidente. Studi accurati e approfondite indagini hanno ripercorso le controverse origini e il processo di formazione di questo celeberrimo manuale divinatorio, dal suo nucleo più antico, ascritto all’XI secolo a.C., alla lunga stratificazione che lo ha costituito come testo verso la fine dell’epoca degli Stati Combattenti (III secolo a.C.), ai successivi sviluppi dei commentari che hanno provveduto a svolgerne e a sistematizzarne le implicazioni filosofiche, e per il cui tramite esso si è venuto a configurare come depositario di un’interpretazione complessiva del divenire e dell’esperienza, divenuta paradigmatica a far tempo dall’inizio dell’età imperiale e condensata in memorabili formulazioni.1
Attraverso tale percorso l’Yijing ha assunto lo statuto di ricettacolo di una globale visione del mondo: “vi sono racchiusi il Dao del Cielo, il Dao della Terra e il Dao dell’Uomo”, dichiara uno dei suoi commentari più famosi, che soggiunge: “Uno Yin, uno Yang, così è il Dao. E’ nel bene che esso perdura, è nella natura umana che esso si compie”.2 Nella sua icastica figuralità – che fra l’altro si connette alle origini divinatorie della scrittura cinese3 – si è così venuta a concretizzare una rappresentazione compatta della realtà come incessante flusso di trasformazioni a cui presiede una dialettica interazione di aspetti costanti, e a cui l’essere umano è chiamato a rispondere consapevolmente; la ricca e multiforme esegesi che intorno ad esso si è sedimentata nel corso del tempo ha contribuito a disegnare, fra dimensione cosmica e dimensione sociale, nella convergenza di nozioni taoiste e confuciane, un ideale di sapienza compatto e ampiamente condiviso. 4
Come una sorta di Grande Codice, esso ha rappresentato un riferimento essenziale e imprescindibile attraverso i secoli per generazioni di letterati nell’età premoderna, e non ci può dunque stupire che oggi tuttora vi si richiamino pensatori di spicco della diaspora cinese nella loro ricerca di un percorso
di riflessione capace di far dialogare creativamente Cina e Occidente, tradizione e modernità: valga per tutti il ragguardevole esempio di Chung-Ying Cheng, che si può ritenere uno dei più significativi esponenti di tale orientamento, e che incentra sul riferimento all’Yijing la sua originale elaborazione onto-ermeneutica. Della sua prospettiva, maturata attraverso l’esperienza di una vita intera, egli ha offerto recentemente un’articolata sistemazione in cui il Classico dei Mutamenti viene additato come fertile risorsa per la costruzione di un orizzonte filosofico interculturale.5
Più sorprendente, data la sistematica e talora anche assai virulenta iconoclastia nei confronti d’ogni elemento tradizionale a cui si è assistito a lungo nella Repubblica Popolare (che era giunta fra l’altro, è il caso di ricordarlo, a proibire severamente ogni pratica divinatoria), appare la fascinazione che l’ Yijing risulta attualmente esercitare sui più svariati strati sociali nella Cina continentale: al giorno d’oggi, come attestano recenti indagini, sembra esservi largo consenso in ambienti disparati nel reputarlo il più autorevole fra i libri trasmessi dall’antichità. Sotto questo profilo anche il Classico dei Mutamenti è ora coinvolto in quel multiforme, complesso e controverso fenomeno di riscoperta/rivalutazione/reinvenzione delle tradizioni caratteristico della temperie post-maoista, che si accompagna alla multiforme crescita del protagonismo cinese negli orizzonti globali, e che ingloba e convoglia nelle sue strategie discorsive una pluralità di aspetti, dal confucianesimo al taoismo alla medicina tradizionale. Ne sono promotori soggetti vari e diversi, e molteplici ne sono le implicazioni, ma fra esse assume uno speciale risalto una cospicua costruzione d’insieme che ne deriva, ossia una suggestiva immagine metastorica della sinità: una sinità che l’Yijing viene segnatamente assunto ad incarnare e ad emblematizzare.6
2. La ricezione dell’Yijing in Occidente.
Il fascino dell’Yijing in Occidente si è avvertito sin dall’epoca della sua prima scoperta da parte della cultura europea nel XVII secolo, allorché sulla sua interpretazione si confrontarono in un celebre carteggio il gesuita padre Joachim Bouvet e Leibniz, che vi ravvisava una mathesis universale, e nel corso del tempo si sono moltiplicati i suoi cultori.7 Va peraltro rammentato come esso abbia suscitato opposte passioni: ad esempio, ha destato la diffidenza di Joseph Needham, che vi ha attribuito un influsso nefasto e lo ha accusato di aver imprigionato il pensiero cinese nella gabbia di una concezione magico-correlativa, che ha impedito, a suo avviso, la maturazione di un autentico pensiero scientifico.8
Tuttavia, nonostante tali rilievi dell’autore dell’imponente Science and Civilization in China, l’interesse per il Classico dei Mutamenti ha continuato ad espandersi in varie direzioni. In disparati ambiti artistici, dalla letteratura al cinema alla musica, da Philip Dick a Federico Fellini, da John Cage ad Allen Ginsberg, è folta la schiera di coloro che ne hanno tratto ispirazione. Dal versante della filosofia a quello della psicologia, vi si è dedicata attenzione in prospettive diverse, come attestano significativi contributi recenti, come ad esempio quelli di François Jullien, che lo interpreta come “figurazione dell’immanenza”, coerentemente con i lineamenti essenziali della sua nota lettura del pensiero cinese,9 o di Rudolf Ritsema e Augusto Shantena Sabbadini, che ne hanno offerto una nuova traduzione riprendendone in chiave introspettiva l’antica e originaria funzione oracolare, in
conformità all’orientamento maturato in un luogo cruciale per la sua ricezione, la Fondazione Eranos di Ascona.10
E precisamente alla straordinaria esperienza di creativa reinterpretazione dell’Yijing che nei colloqui di Eranos ha avuto il suo centro propulsivo, e che è rimasta di fondamentale e duratura importanza per configurarne l’immagine in Occidente, è dedicato questo documentatissimo libro di Matteo Sgorbati, che ne ricostruisce in una nitida e articolata narrazione il contesto, la genesi, le vicende, le interazioni dialogiche fra coloro che ne furono i carismatici protagonisti.
3. Wilhelm, Jung, i colloqui di Eranos: la costruzione di un libro di saggezza senza tempo.
L’idea dell’Yijing che si è in tale dinamica venuta a configurare, come opportunamente sottolinea l’introduzione a questo volume, non è in ogni caso da ritenere una mera invenzione occidentale, benché siano europei gli autori che conferiscono un decisivo impulso alla sua propagazione su scala globale: è la stessa tradizione commentariale cinese a contribuirvi in cospicua misura, facendosi erede di un lunghissimo processo di canonizzazione del Classico dei Mutamenti iniziato già in epoca Han, irradiato sull’Asia orientale e consolidato attraverso i secoli dal neoconfucianesimo.
E’ anche tale scenario di lunga durata che occorre tener presente per comprendere gli esiti del complesso interplay fra Cina e Occidente che si svolge segnatamente fra il 1910 e il 1960. Ne sono protagoniste personalità d’eccezione quali Richard Wilhelm, Carl Gustav Jung, Pauli, Olga Fröbe-Kapteyn, Wolfgang Pauli, Lao Naixuan, Zhang Junmai (Carsun Chang). Le loro interazioni conoscono negli incontri di Eranos – autentico crocevia dell’intellighenzia europea del Novecento – la loro straordinaria fucina, che ci consegna il frame interpretativo per il cui tramite, ne siamo o meno consapevoli, noi tuttora leggiamo il Classico dei Mutamenti.
Ne emerge l’immagine possente di una saggezza senza tempo, che Wilhelm attinge alla visione cinese tradizionale, incurante delle critiche corrosive rivolte all’autorevolezza dell’ Yijing come di altri venerati classici dagli intellettuali cinesi iconoclasti attivi nella Cina del primo Novecento. Egli provvede a riformulare tale nozione su un versante interiore e spirituale, al quale l’incontro con Jung aggiunge il decisivo apporto proveniente dalle categorie della psicologia del profondo. I colloqui di Eranos divengono l’ambito in cui tale elaborazione si articola e si sviluppa attraverso molteplici contributi, e l’Yijing, oltre ad essere oggetto di riflessione e di confronto, segna anche con la sua presenza alcuni momenti di particolare rilievo in cui significativamente si ricorre alla sua consultazione.
Il libro di Sgorbati ripercorre in modo circostanziato tale dialettica, analizzandone presupposti ed esiti con limpida precisione. Dalla sua narrazione, emerge nitidamente lo spessore dei protagonisti e l’intensità delle dinamiche discorsive attivate dal loro incontro; ma soprattutto se ne disegna efficacemente una cruciale motivazione, ossia l’istanza di superamento del “terrore della storia” che così significativamente permea la coscienza europea del Novecento, e che conosce oggi nuove declinazioni. Questo volume che ci aiuta a comprendere genesi, sviluppo e diffusione dell’identità moderna dell’Yijing si raccomanda agli specialisti per il suo rigore metodologico e per la novità dei suoi apporti; ma si raccomanda anche, più in generale, alle lettrici e ai lettori di questo grande
classico, che non ci perviene come un reperto inanimato o un fossile inerte, ma come un’entità vivente e animata, creata e ricreata dalla sensibilità e dall’intelligenza di soggetti concreti, di donne e di uomini che, in un gioco fortuito di circostanze, vi hanno intrecciato i loro sentieri.
NOTE
1 Per una panoramica globale, cfr. Capecchi V., Lo straordinario viaggio dell’ Yijing, Milano, Mimesis, 2021 (in corso di stampa).
2 Xici (Grande Commentario) A 5 (in Cheng A., Storia del pensiero cinese, tr.it. A. Crisma, vol. 1, Torino, Einaudi, p. 290).
3 Vandermeersch L., “Dalla tartaruga all’achillea”, in Id., J.P. Vernant et alii, Divinazione e razionalità, Torino, Einaudi, 1982, pp. 27-52; Billeter J.F., Essai sur l’art chinois de l’écriture et ses fondements, Paris, Allia, 2010.
4 Crisma A., “La figuralità dell’Yijing”, in Ead., “Cina: scrittura come immagine e forme del pensiero”, in S. Furlani (a cura di), Immagini differenti, Milano, Mimesis 2019, pp. 103-130.
5 Cheng C.Y., The Primary Way: Philosophy of Yijing, Albany, SUNY, 2020.
6 Crisma A., “Ritorno a Confucio e Grandi Narrazioni: il controverso ruolo della storia nella Cina d’oggi”, in “Paradoxa”, 14: 4, 2020, pp. 83-98.
7 Nelson E.S., “The Yijing and Philosophy: from Leibniz to Derrida”, in Journal of Chinese Philosophy, 38:3, 2011, pp. 377-396.
8 Needham J., Scienza e civiltà in Cina. Vol. 2, Torino, Einaudi, 1983, pp. 362-389.
9 Jullien F., Figure dell’immanenza. Una lettura filosofica del I Ching, Roma-Bari, Laterza 2005.
10 Ritsema R., Sabbadini A.S., I Ching. Il Libro dei Mutamenti, Milano, Feltrinelli 2017.
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