Amina Crisma: Poesie come immagini caleidoscopiche del mondo. “Se tu fossi una città” di Roberto Dall’Olio
In questo libro suggestivo l’autore, noto ai lettori di Inchiesta soprattutto per le sue poesie civili, ci affida molteplici visioni di città: paesaggi urbani vissuti, amati, ricordati o sognati che vengono evocati con grande intensità lirica, con uno sguardo attento alla loro struggente e inesauribile bellezza, e anche alle macerie che le catastrofi della storia vi hanno determinato, e dalle quali incessantemente sono riemersi, e riemergono.
Di Roberto Dall’Olio, autore di vari volumi di poesie – fra i quali Tutto brucia tranne i fiori, con cui ha vinto il premio Va’ pensiero nel 2015, Irma, dedicato a Irma Bandiera, del 2017, e Adesso è già domani (2014), insieme al pittore Andrea Louis Ballardini, poema figurativo in memoria della strage di Marzabotto – i lettori di Inchiesta conoscono soprattutto le poesie civili, che spesso sono apparse sulla nostra rivista, come quelle su Tiananmen, sul genocidio dei Sioux, o su Anna Frank pubblicate di recente su www.inchiestaonline.it . Dunque saranno forse un po’ sorpresi nell’aprire il suo ultimo libro, Se tu fossi una città, dedicato “alla donna della mia vita”, che esce ora da L’Arcolaio: un libro singolare di cui appare notevole “la preziosità della strana creazione”, come osserva nella sua breve nota introduttiva Romano Prodi: “In quest’opera si coglie un sentimento ampio, universale, romantico e cosmopolita, ma pur sempre intimo. Roberto Dall’Olio mette in scena una continua migrazione ….in cui luoghi e terre lontane rivelano i loro aspetti più segreti”.
Sulla copertina del volume risalta un suggestivo acquerello di Andrea Louis Ballardini, “Praga vestita di luce”: “una poesia in colori”, come egli la definisce, che si aggiunge alle immagini in parole di Roberto, attraverso le quali si disegnano molteplici visioni di città, da Venezia a Parigi, da Trieste a Lussino, da Volterra a Delft, da Bologna a Sarajevo, da Lubiana a Stoccolma a Timisoara….
C’è un versante onirico in queste visioni, che per certi versi riporta alla mente la cifra e le atmosfere de Le città invisibili di Calvino:
“Se tu fossi una città/saresti/Timbuctù/là ci troveremmo/a scollinare le dune/nella notte fredda del Sahara/come fulmini e nuvole/vento e parole….”
Si ha qui una moltitudine di paesaggi urbani vissuti, amati, ricordati o sognati che vengono evocati dall’io lirico in costante riferimento a un tu, o meglio a una tu:
“se tu fossi una città/saresti/Metz/la ville fleurie/le sarabande/scherziamo/come una giostra/allegra/ di vecchie domande”.
E in questo senso, l’atmosfera ricorda quella degli innamorati volanti di Chagall:
“io non esco dal tuo abbraccio/come la notte bruna/tiene in petto/la tua luna” – “e nuotando/ in un cielo/di mare/tu sei le spalle/delle nuvole/il cucito abbraccio/che mi getti/al collo”.
Un’atmosfera di volo e di ballo che si ritrovava anche in una lirica significativa di una raccolta precedente (“Sbaragliando”, in Sguardi di parole, Magi 2017):
“tutto vola/le ali del cielo/ planano/ in una diaspora/ di stelle/ tutto vola/ vola/ leggero/tutto/ si prende/ la vita/ ballando/ con lei/ un tango….”.
E’ un sogno a due, insomma, che dischiude le città del mondo come una sorta di magico caleidoscopio. Così è una grande intensità lirica a pervadere tutti questi brevi e densi testi, in cui v’è uno sguardo sempre attento alla struggente e inesauribile bellezza di luoghi che sono pregni di risonanze sentimentali e simboliche fin nei loro stessi nomi, come ci ricordava in memorabili pagine Marcel Proust. La mappa che essi disegnano è al tempo stesso una mappa del mondo, e una mappa dell’anima. Se si dovesse dire che cosa significa oggi per noi “Europa” credo che potremmo ricorrere alla geografia del cuore che questo catalogo poetico delle città
ci mette sotto gli occhi: un’Europa che è e sarà sempre fatta della loro irriducibile varietà e pluralità (“pluralità ossia Europa”, come mi disse una volta Anne Cheng) e che insieme serba quell’inconfondibile aria di famiglia che in fondo le apparenta e le accomuna, da Barcellona a Lisbona, da Trieste a Vienna, da Parigi a Berlino (valga per tutti l’esempio di Lubiana, con i suoi “ponti, caffè all’aperto, musica, cattedrali”); ma oltre a questa dimensione qui c’è anche una sorta di percepita fraternità universale di vecchie pietre con i loro “codici misteriosi”, con le loro “dolcezze arcane”, un sentimento del tempo – e della durata – che le attraversa e le collega tutte, snodandosi da nord a sud, da occidente a oriente.
L’io lirico di questo libro non è il turista frettoloso proteso al bulimico consumo di veloci emozioni: è un viaggiatore pieno di meraviglia – e di gratitudine – davanti alla varietà sorprendente dei paesaggi urbani che attraversa, che si pone in intima consonanza con ogni luogo, e che ogni luogo sa riconoscere come proprio intimo interlocutore. Quest’ atteggiamento può in qualche modo ricordarci quello de I fiumi di Giuseppe Ungaretti, e mi pare singolarmente affine a quello di François Cheng, esule dalla Cina in Francia, che nelle più poetiche pagine della sua autobiografia riconosce nell’esile filo d’acqua della sorgente della Loira qualcosa di già avvertito da bambino alle fonti dello Yangzi: una rivelazione del proprio intimo radicamento nel mondo concepito come inesauribile trama di relazioni, come segreta unità della Via.
Un senso taoista dell’unità del tutto si irradia da queste liriche, ed è rivelato non solo dall’affiorare qua e là di puntuali richiami al Laozi, come nella poesia dedicata a Lu –Yi, ma anche da una rappresentazione eminentemente relazionale degli spazi evocati: ogni singolo luogo viene raffigurato come un crocevia di interazioni (valga per tutti l’esempio di Lussino, “la piccola/dentro i fiordi” con il suo “vecchio stile impero” e “il lontano profumo di Vienna/che ti porti/nella tua aiuola”).
E’, insomma, “il grande passeggio/delle cose umane” colto nelle sue rifrazioni con intensa partecipazione sentimentale il caleidscopico tema di questo libro. Lo sguardo vi è sempre rivolto al multiforme splendore di questo spettacolo; ma non vi mancano, sobriamente accennate, da Dresda a Kathmandu, immagini di macerie e di rovine, di catastrofi passate e recenti. Un’ombra drammatica e oscura a tratti compare sullo sfondo di tanta bellezza, quasi a ricordarcene la fragilità tragicamente esposta alla violenza devastatrice; ma ogni pagina ci racconta la forza serena e incrollabile di un’umanità che incessantemente costruisce, e ricostruisce.
Questa forza serena nel libro è posta sotto il segno speciale della potenza dello Yin, il Femminile: alla maniera di John Donne (“O my America, my new-found- land, my kingdom..”), “se tu fossi una città/saresti/tu stessa /la mia città /siamo gli alberi/siamo i giardini/siamo le chiese/i quadri/i silenzi/i rumori/gli anfratti/siamo tutti gli odori/siamo noi due pianeti/distratti”.
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