Emerson Duarte Monte: Lotta dei popoli dell’Amazzonia

| 7 Maggio 2013 | Comments (0)

 

 


Emerson Duarte Monte è Docente all’Università dello Stato di Pará- Brasile. emersonmonte21@yahoo.com.br

 

Si dice che la produzione energetica di un paese è la molla propulsiva  dello sviluppo d’una nazione, ma ci si domanda: che tipo di sviluppo e con che fine? In Brasile, questo processo si è avuto con la costruzione di dighe idroelettriche. In maniera congiunta, due grandi dighe sono state pensate e costruite nel periodo della Dittatura militare brasiliana.  Dalla meta degli anni 70’ si iniziò la costruzione degli impianti idroelettrici di Tucuruì ( situata nello Stato di Pará, nel Nord del Brasile) e Itaipu. La costruzione dei due impianti si concluse agli inizi degli anni 80’. Oggi, la capacità degli impianti è di 8.370 MW (Tucurui) e di 14.000 MW (Itaipu). Quest’ultimo ha carattere internazionale, coinvolgendo  nella suo processo produttivo anche il Paraguay. In realtà la produzione di Tucuruì è nell’ordine del 49% della sua capacità. Mentre nel caso dell’Itaipu arriva al 61%.

Parallelamente alla costruzione di questi due enormi opere, nello stesso periodo, si progettò anche la realizzazione della centrale idroelettrica di Belo Monte. Sotto la responsabilità della statale Eletronorte, gli studi sulla fattibilità tecnica dell’impianto sono iniziati nel 1975.

La diga di Belo Monte è stata programmata per essere costruita intorno al grande fiume Xingu, vicino alla città di Altamira, nello Stato di Pará. Le variazioni, necessarie per il serbatoio dell’impianto, del corso del fiume Xingu, avrebbero riguardato diverse popolazioni indigene e autoctone che vivono  di pesca e agricoltura. Attività che vengono scandite dai periodi di inondazioni e siccità del fiume.

Il Piano 2010, predisposto dal governo federale nel 1986, stabiliva la realizzazione di 165 impianti idroelettrici, tra i quali quello di Belo Monte, nel periodo tra il 1987 e il 2010. Così, durante l’88, vari gruppi indigeni che sarebbero stati colpiti dalla costruzione della centrale,  cominciarono ad auto-organizzarsi e a divulgare gli impatti che sarebbero stati causati dalla costruzione di questa centrale.

Nel 1989, in occasione del 1° Incontro dei Popoli Indigeni del Xingu, nella città di Altamira, si discusse, come punto centrale, della costruzione di quest’opera e della necessità di consultare le comunità indigene prima di realizzare questo progetto,  come previsto dalla Costituzione del Brasile dell’88.

Il 1° Incontro dei popoli Indigeni del Xingu è stata una pietra miliare per lotta contro la realizzazione della centrale di Belo Monte. Infatti durante l’intervento del direttore  di Eletronorte, Antonio Muniz Lopes, l’india Tuira, di etnia Kayapó, tirò fuori un machete, esibendolo davanti alla faccia  del direttore, esprimendo così il secco rifiuto, da parte delle popolazioni indigene del fiumi dell’Amazzonia. Infine si levò in aria il grido di guerra Kayapó: “Kararaô!”

Nel 1994, fu presentato un nuovo disegno dell’impianto della diga che riduceva il serbatoio da 1.225 a 400 km². Dal 2000 il progetto è stato ripreso, con grande forza, dal  governo Fernando Henrique Cardoso. Poi nel 2003 c’è stata l’approvazione del piano pluriennale del primo governo Lula, che a dispetto delle  sue promesse elettorali, ha portato avanti il progetto. Il testo prevedeva, per la costruzione  della centrale idroelettrica,  un costo totale di $ 12,5 miliardi[1].

Il nuovo progetto di costruzione della diga, riproponeva le diverse contraddizioni già esistenti, e ne introduceva delle altre. La più assurda riguardava l’efficienza energetica che avrebbe potuto garantire l’impianto. Nonostante una capacità stimata di 11.000 MW, che lo avrebbe reso il secondo più grande del Brasile, l’impatto sulla comunità indigena della regione sarebbe enorme e la diga non sarebbe funzionata, per più di sette mesi, fattore  che riduceva la sua produzione effettiva al 40% della sua capacità installata.

Questo problema era tecnico. Gli altri, ambientali e sociali. E questi sì, che risultavano e risultano ancora gravi! Nel 2001 ebbe inizio una battaglia legale. Felicio Pontes Junior dal pubblico ministero di Pará attraverso del Ministero Pubblico Federale (MPF) presentò un’azione civile per sospendere gli studi e lo sviluppo del progetto Belo Monte. Da allora, sono state pari a 54 le cause intentate contro la costruzione di Belo Monte (15 del MPF, 21 della “Difensoria Pubblica” e 18 della società civile)[2].

Anche nell’ambito legale, il governo Lula (2003-2010) e il governo di Dilma (2011-2013), hanno ignorato la disposizione costituzionale, di cui all’articolo 231 è prevista la competenza dell’Unione (Amministrazione Pubblica)  in materia di tutela ambientale, e il rispetto di tutti i beni delle popolazioni indigene del Brasile. Nel secondo comma si afferma infatti: “Le terre tradizionalmente occupate dagli indigeni sono destinate al loro possesso permanente e questi hanno il godimento esclusivo delle ricchezze dei fiumi, del suolo e dei laghi esistenti in esso“. Inoltre, ogni incursione nella terra e nei fiumi appartenenti ai popoli indigeni dovrebbe essere preceduta da una consultazione preliminare con le comunità interessate[3]. Basandosi su questo precetto costituzionale, il presidente del Supremo Tribunale Federale (STF), il Ministro Marco Aurélio de Mello, nel 2002, mantenne la sospensione degli studi di impatto ambientale per lo sviluppo di Belo Monte, in virtù della non consultazione delle popolazioni indigene che abitano il fiume Xingu[4].

Ma il governo Lula ha calpestato la decisione del Superiore Tribunale Federale  e ha “strappato”  la Carta costituzionale, per le esigenze del suo governo di stampo  neoliberista. Così, nel 2005 passarono alla Camera dei deputati e al Senato, le leggi che autorizzavano la costruzione di Belo Monte, in un chiaro abbandono degli interessi della classe lavoratrice, dei movimenti sociali che hanno sostenuto il governo Lula e le popolazioni indigene dell’Amazzonia.

Nel 2008, ci fu l’incontro Xingu vivo per sempre, che riunì dei rappresentanti di indigeni, di movimenti sociali, organizzazioni della società civile, ricercatori ed esperti per discutere l’impatto dei progetti idroelettrici sul bacino del fiume Xingu, con la centralità il dibattito di Belo Monte.

Durante l’incontro, i popoli indigeni si scontrarono fisicamente con il responsabile per gli studi ambientali della diga di Belo Monte e, nella colluttazione, il coordinatore ufficiale di  Eletrobras e dello studio dell’impianto, Paulo Fernando Rezende, rimase ferito, con un taglio sul braccio. Anche in questo caso, le popolazioni indigene espressero la loro posizione in merito alla costruzione della diga. Posizione questa, che dovrebbe costituzionalmente essere considerata nel processo di sviluppo dell’impianto, ma che è stato ignorata dal governo federale.

Dopo l’evento, il venne pubblicato un comunicato firmato Xingu Vivo per sempre[5].  Documento finale che valutava le minacce al fiume Xingu alla società brasiliana. Fu presentato un progetto di sviluppo per la regione e chiese la sua attuazione da parte delle autorità pubbliche. In questo modo, i popoli indigeni si univano intorno a queste rivendicazioni e consegnarono  un loro manifesto da loro firmato[6].

Nel 2009, si tennero delle audizioni pubbliche per discutere la costruzione di Belo Monte. Inizialmente, ci furono quattro udienze nelle città brasiliane di Brasile Nuovo, Vitória do Xingu, Altamira e Belém (capitale del Pará). Furono esplicitate, nelle varie audizioni, diverse inconsistenze del progetto e lo scredito  della società civile presente: movimenti sociali, indigeni, pescatori, ricercatori, ambientalisti e partiti di sinistra.

Il Rapport di Studio di Impatto Ambientale (EIA), presentato per la discussione in sede di audizione, ebbe a dimostrare l’inconsistenza del progetto. Gli studi hanno indicato che sarebbero colpiti 66 comuni  e 11 comunità indigene[7]. Il rapport enumera 38 fattori della costruzione della diga, dannosi per le popolazioni indigene. È importante sottolineare che un gruppo di esperti ha esaminato il rapport e ha condannato la costruzione dell’impianto[8].

Alla fine del 2009, l’Istituto Brasiliano dell’Ambiente e delle Risorse Naturali Rinnovabili (IBAMA), pubblicò una consulenza tecnica per la richiesta di autorizzazione ambientale per lo proseguo dei lavori. Qui si denunciò la pressione politica messa in atto dalla presidenza della Repubblica (del Governo Lula), per il rilascio della licenza ambientale e si furono evidenziate le carenze riguardo cambiamenti ambientali, culturali e sociali che l’opera può causare[9].

Anche con tutte queste contraddizioni, con numerose proteste contro il progetto di Belo Monte, il governo Lula indisse un appalto, nel mese di aprile 2010, che fu vinto dal consorzio Norte Energia (composto da imprese statali, da fondi a capitale misto, pensioni e imprese private del settore energetico, minerario ed edilizio)[10].

L’opera è stata iniziata nel 2011 con il rilascio di fondi da parte della Banca statale di sviluppo brasiliana (BNDES), per  1,1 miliardi di Reais (moneta brasiliana), e nel febbraio 2012, di  1,8 miliardi al consorzio Norte Energia. Nel mese di novembre 2012, il BNDES ha approvato il rilascio di 22,5 miliardi a Belo Monte, più che raddoppiato rispetto a quanto era stato annunciato nel 2003. Vale la pena notare che il termine per il pagamento del finanziamento concesso da BNDES è di 30 anni, con tasso di interesse annuo del 0,5% circa all’anno[11].

Le denunce  per quanto riguarda lo sviluppo dei lavori di Belo Monte sono tantissime. I vari settori della società civile che non sono rappresentati dal governo in discussione, si chiedono  le ragioni per le quali il lavoro è in pieno svolgimento e con il sostegno del Governo Dilma e gli aiuti finanziari della banca BNDES.

In questa prospettiva, Jeferson Choma attivista politico del partito socialista dei lavoratori unificati-PSTU, ha denunciato il grado di devastazione che la costruzione della diga genererà. Circa 50 ettari di foresta pluviale amazzonica spariranno, oltre ai villaggi indigeni[12]. La costruzione di Belo Monte provocherà la morte di molti esemplari acquatici, che costituiscono la base alimentare delle comunità autoctone ed indigene. Un impatto sociale è già osservabile sull’esplosione demografica nella città di Altamira, che ospita i lavoratori di altri Stati del paese. La città non ha un sistema di depurazione e solo il 20% della popolazione ha accesso all’acqua potabile. Si è notato un aumento dei livelli di violenza urbana, oltre che nella domanda di strutture sanitarie e alloggi, che però  ancora scarseggiano nella città.

La costruzione della diga è un pessimo esempio per quanto riguarda la remunerazione salariale dei lavoratori. Come riportato da Francinildo Teixeira (dipendente licenziato dalla costruzione) la retribuzione mensile fissata in busta paga è di  1,020.00 (equivalente a $ 510,00 o € 380,00). La giornata di lavoro è estenuante e non sono pagati buon uscita, buono pasto ed ore di lavoro straordinario ai dipendenti[13]. Il 25 novembre 2012 i lavoratori sono scesi in sciopero a causa di cattive condizioni di lavoro e di retribuzione.

La costruzione del Belo Monte è un chiaro progetto  che si basa sulla  decadenza del capitale, di anteporre i profitti agli esseri umani e alla natura. Quest’opera si riferisce ad un’altra invenzione nel cuore dell’Amazzonia prevista dal vecchio  progetto di Sviluppo. Ma ci sono vari movimenti che si oppongono alla costruzione di Belo Monte, e che hanno tenuto numerose manifestazioni pubbliche in Brasile, per mostrare il danno incalcolabile che questo impianto  porterà al Brasile e al mondo. La Resistenza prosegue ancora, e la lotta avrà successo solo con l’arresto dei lavori e, di conseguenza, con investimenti in altre forme di energia, che sono già ben sviluppate.

 

Questo testo è stato pubblicato in “Inchiesta” gennaio-aprile 2013 e fa parte del Dossier curato da Aurea Costa e Rogèrio Freitas.

 

Siti d’approfondimento sul tema:

Sito del Movimento Xingu Vivo: http://www.xinguvivo.org.br/

Blog: xingu-vivo.blogspot.com

Documentario:

Belo Monte Announcement of a War

(http://www.youtube.com/watch?v=ZoRhavupkfw)

 


[1] Piano Pluriannuale 2004-2007. Brasília: MP, 2003.

[2] Disponibile nel sito del movimento Xingu Vivo: <http://www.xinguvivo.org.br/wp-content/uploads/2012/11/ quadro-jur%C3%ADdico-BM.pdf>.

[3] Disponibile in: <http://www.planalto.gov.br/ccivil_03/constituicao/constituicao.htm>.

[4]D’accordo conl’articolo del sito del STF: <http://www.stf.jus.br/portal/cms/

verNoticiaDetalhe.asp?idConteudo=59580&caixaBusca=N>.

[5] Per consultare il contenuto della lettera consultare il sito : <http://www.socioambiental.org/nsa/detalhe?id=2687>.

[6] Per citare alcune delle 55 etnie indigeni: Kayapós, Xikrins, Parakanã da aldeia Apyterewa e Xingu, Akrãtikatejê, Parkatejê, Munduruku, Araweté, Kuruwaia, Xipaia, Asurini, Arara da aldeia Laranjal e Cachoeira Seca, Arara do Maia da terra Alta, Panará, Juruna do Kilômetro 17, Tembé, Kayabi, Yudja, Kuikuro, Nafukua, Kamaiurá, Kalapalo, Waurá, Trumai, Xavante, Ikpeng. Consultar carta no sítio: <http://reporterbrasil.org.br/ 2008/05/documento-dos-povos-indigenas-da-bacia-do-xingu/>.

 

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Category: Osservatorio America Latina

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