Cristina Sanchez P.: Tutti i messicani uniti! … però intorno a cosa?
Riceviamo da Luca Crisma che ha anche tradotto l’articolo questo intervento di Cristina Sanchez P. . Le foto sopra riprodotte indicano: (a) Messicani che protestano agli inizi del 2017 contro il “gasolina”; (b) Il Presidente del Messico che in piena campagna presidenziale USA invitò l’allora candidato Donald Trump per discutere su i punti più controversi della sua campagna.
Il 2017 non è stato un buon anno per i Messicani. Appena pochi giorni prima del suo inizio, il governo, comandato da Enrique Peña Nieto, ha annunciato l’incremento fino al 20% dei prezzi della benzina in tutto il paese. Questa decisione risponde all’aggiustamento del prezzo del combustible dopo che il governo, con una decisione storica, ha deciso di aprire al capitale privato l’impresa di petrolio nazionale e pubblica, PEMEX. Il significato storico di questa decisione ha causato un forte impatto sulla popolazione, poiché la compagnia petrolifera era stata nazionalizzata nel 1938, durante il governo di Lázaro Cárdenas, come prova dell’indipendenza e del nazionalismo messicano.
Di fronte a questa situazione le reazioni sociali non si sono fatte attendere, e in tutto il paese i messicani hanno manifestato per rifiutare il rialzo degli elevati prezzi della benzina. In alcune zone del paese c’era una mancanza di combustibile e, in altre, le auto si sono bloccate, cosa che ha anche reso più caro il costo dei prodotti di base per il consumo familiare. Di fronte a questi accadimenti il gradimento per il governo attuale è appena del 12% e, all’insoddisfazione per i costi della benzina, si somma la caduta di credibilità del governo, dato che diversi rappresentanti del partito del presidente, il Partito Rivoluzionario Istituzionale, PRI, sono stati implicati in casi di corruzione.
In questo modo il cambio di governo del vicino del nord ha solo accentuato la crisi istituzionale che da molto accompagna l’amministrazione di Peña Nieto. Appena poche ore prima che Donald Trump prendesse possesso del suo incarico, il governo Messicano ha deciso di estradare negli Stati Uniti Joaquín Guzmán Loera, detto El Chapo, signore del cartello di Sinaloa e uno dei narcotrafficanti più ricercati del mondo. Questo gesto fu letto da alcuni settori della società come un atto di sottomissione di fronte al governo statunitense entrante, lo stesso che durante la campagna per la presidenza si era scatenato contro i migranti messicani chiamandoli “bad people”, delinquenti e nemici della nazione statunitense e anche promettendo la costruzione di un muro sulla frontiera il quale, in aggiunta, dovrebbe essere pagato dal Messico.
Alla luce delle scandalose dichiarazioni del signor Donald Trump molti settori sociali, non solo in Messico ma anche nella comunità internazionale, hanno manifestato un rifiuto. Tuttavia le proteste che sono sorte, tra cui l’invito a non consumare Coca Cola o i prodotti della catena Starbucks, sono solo manifestazioni spontanee del malessere causato dal vicino del nord. Non c’è ancora una posizione ferma di fronte alla politica migratoria statunitense che già comincia ad affliggere i messicani; per la precisione il 7 febbraio scorso hanno raggiunto il paese i primi 135 messicani rimpatriati e chiamati delinquenti per non avere documenti migratori in ordine.
Il governo messicano sta sprecando un’opportunità politica unica per recuperare la credibilità presso la società. Mentre le persone comuni seguono indignate le dichiarazioni, quasi giornaliere, del presidente Trump, il governo rimane silenzioso di fronte all’essenziale e chiede la “unione” di tutti i messicani alludendo ad un discorso nazionalista senza sostanza, come l’invito a porre la bandiera messicana come foto profilo di Whatsapp.
La politica migratoria è già in marcia, il decreto per costruire il muro è già stato firmato e la rinegoziazione del TLCAN (Trattato di Libero Commercio dell’America del Nord) è un fatto. La domanda è se il governo messicano continuerà a mantenere una posizione sottomessa di fronte al gigante del nord o se comincerà “a cercare altre strade”, come ha manifestato il presidente della Bolivia, Evo Morales. Il clima politico messicano continua ad essere rarefatto mentre la società affina la sua gola per gridare all’unisono e in modo simbolico la prima strofa del suo inno nazionale: “Messicani, al grido di guerra”.
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