Maurizio Landini: Conta più la Cgil del Pd. Non scendo in politica.
Diffondiamo l’intervista fatta da Pietro Senaldi a Maurizio pubblicata su Libero del 1 agosto 2017
A sentirlo parlare ci si mette tranquilli, per lui non ci sono problemi irrisolvibili, solo meccanismi perversi che alterano l’ armonia a cui il mondo e gli uomini sarebbero naturalmente destinati. «Vengo da una famiglia numerosa, cinque fratelli», spiega, e mia madre diceva sempre che dove mangiano in sette possono mangiare anche in otto o in nove. Per chi passava da casa, c’ era sempre pronto un caffè o una fetta di torta». Ottimismo reggiano: i clandestini non esistono e possiamo accogliere chiunque arrivi, basta organizzarsi, l’ Europa finora è stata una mezza fregatura ma se ci si siede a un tavolo ci si può accordare per cambiare registro, ci sono i soldi sia per andare in pensione prima sia per abbassare le tasse ai lavoratori e soprattutto, il sindacato avrà anche fatto degli errori, ma è tutt’ altro che morto.
Maurizio Landini, per sette anni a capo della Fiom e da poco eletto nella segreteria nazionale della Cgil crede davvero nel Sol dell’ Avvenire. Per questo siamo andati a punzecchiarlo, incuriositi dalle sue diagnosi ma scettici sulle sue terapie. E c’ è da ammettere che l’ uomo ha la capacità, quando parla, di riuscire a far credere tutto possibile. Se non ti cura, almeno ti garantisce un effetto placebo. Sarebbe un perfetto politico. In Parlamento, a sinistra, c’ è chi ci spera. Malgrado tutto, ha un buon rapporto con Renzi, che lo ha citato nel suo libro riconoscendogli il merito di avergli telefonato per salutarlo all’ indomani delle dimissioni del 4 dicembre scorso. C’ è chi scommette che, se Landini si schierasse con Pisapia, il Fiorentino potrebbe cedere sulla riforma elettorale con premio di coalizione, visto che con i 5 milioni di iscritti della Cgil il sindacalista oscurerebbe i vari Speranza, D’ Alema, Bersani. «Per carità, parlo con Libero volentieri ma di lavoro e sindacato. Se volessi fare politica in poltrona, mi sarei candidato, le occasioni non sono mancate».
D. Ma il Parlamento pare il destino finale di ogni sindacalista di successo, è impossibile sfuggirgli…
«È molto semplice invece, basta dire di no. Sono felice se il mondo del lavoro ha rappresentanza in Parlamento ma non è la mia strada e soprattutto questo non può tradursi nella cessione da parte del sindacato della propria rappresentanza ai politici».
D.Concorda che il sindacato è in crisi perché si è occupato troppo di politica e poco dei lavoratori?
«Il sindacato si è indebolito quando si è diviso e quando è stato poco autonomo dai partiti e dal governo. Comunque aspetterei a fargli il funerale: la Cgil vanta 5 milioni di iscritti che pagano ogni mese la tessera, il Pd ne ha 400mila. Sfido qualsiasi forza politica ad avere un numero di iscritti paragonabile a quello della Cgil».
D.Renzi ha fatto della rottamazione dei sindacati un vanto personale, significa che il Pd per voi è diventato un nemico?
«Non è solo una questione di Pd. Nel 1970 lo Statuto dei Lavoratori fu votato dalla Dc, dal Pli, dal Pri, da tutto il Parlamento. Il Pci si astenne perché voleva estenderlo anche alle aziende sotto i 15 dipendenti. Ci dice molto di come in quegli anni sia la destra sia la sinistra condividevano il principio che il lavoro e i diritti dei lavoratori sono il fondamento della società civile e della nazione mentre oggi il lavoro è diventato semplicemente una merce da scambiare in base alle regole del mercato. Mi auguro che tutta la politica italiana torni a mettere le persone al centro dei propri programmi».
In questo auspicio si sente più tutelato da Renzi, da Pisapia, da Fratoianni, da Prodi, da Bersani, da D’ Alema, da Orlando, da Civati? «Beh, da Renzi proprio no. Comunque non partecipo al gioco dei nomi, è ora di finirla con il leaderismo, stufa in fretta e allontana la gente, che infatti non va più a votare».
D.Mantengo la promessa, parliamo di sindacato: il grido di battaglia del Landini dirigente Cgil?
«Combattere la precarietà, riunificare il mondo del lavoro, estendere la democrazia e ridurre le tasse».
D.Come ridurre le tasse? Copia gli slogan di Renzi, anzi volevo dire di Berlusconi?
«Eh no, io non voglio abbassare il cuneo fiscale e tagliare i contributi previdenziali e l’ assistenza a solo beneficio delle aziende. Io voglio tagliare le aliquote fiscali dei dipendenti ed eliminare il fiscal drag: se con gli incrementi salariali legati all’ inflazione sale anche l’ aliquota, il fisco si mangia tutto l’ aumento e il lavoratore ci perde due volte. I lavoratori italiani oggi hanno orari più lunghi e vanno in pensione più tardi rispetto a tedeschi e francesi ma guadagnano di meno. C’ è qualcosa che non quadra».
D. Forse è una questione di produttività?
«La produttività è bassa perché mancano gli investimenti, sia nel settore pubblico sia in quello privato. E senza investimenti, resti al palo. Lo Stato distribuisce agevolazioni a pioggia ma non controlla come vengono reinvestiti i denari. Risultato: i profitti delle imprese sono in linea con i dati pre-crisi, stipendi e occupazione no».
D. Quindi auspica le sforbiciate alle agevolazioni fiscali alle imprese che tutti si aspettano nella prossima manovra finanziaria?
«Auspico una riorganizzazione ragionata: stanziamenti mirati e controlli severi».
Sulle pensioni però non la dice tutta: contro la legge Fornero, che oggi volete smantellare, avete fatto solo quattro ore di sciopero «Abbiamo sbagliato a fare un’ opposizione troppo morbida. Vorrei ricordare però che quella legge però non l’ hanno votata i sindacati ma tutti i partiti. Era il governo Monti, nel Paese spirava un’ aria d’ emergenza nazionale, tutti dicevano che bisognava fare i sacrifici per salvare l’ Italia».
D. E non era vero?
«Come si è visto i problemi non si risolvono tagliando a chi sta peggio. I conti dell’ Inps non sono in rosso a causa delle pensioni dei lavoratori ma perché oltre a quelle, l’ istituto paga gli assegni sociali. Bisogna separare assistenza e previdenza, come negli altri Paesi, e scaricare gli oneri dell’ assistenza su tutti i cittadini, non solo sui contributi di imprese e lavoratori. Allora sì che sarà possibile ridurre l’ età pensionabile introducendo elementi di flessibilità, bloccare i nuovi scatti in avanti previsti, tornare a mandare in pensione prima le donne e chi fa lavori usuranti e introdurre meccanismi minimi di garanzia per i più giovani per evitare che chi oggi guadagna mille euro sia costretto poi a vivere sulla strada in vecchiaia».
D.Il Papa più progressista della storia, Francesco, ha rimproverato i sindacati di pensare troppo a chi ha un lavoro e per nulla a chi non ce l’ ha: come risponde?
«Non lo prendo come un rimprovero ma come una sollecitazione, che ritengo più che giusta. Uno dei problemi della crisi del sindacato è che il mondo dell’ occupazione è in continua e rapida evoluzione e noi non riusciamo a tutelare la precarietà e la frantumazione della domanda di lavoro. Anche il quadro imprenditoriale si è parecchio complicato: scatole cinesi, finte cooperative, società che si subappaltano commesse in continuazione. L’ obiettivo è allargare la nostra rappresentanza alle nuove forme di lavoro e garantire a tutti i medesimi diritti, altrimenti si aprono le porte alla guerra tra poveri. Anche il lavoro autonomo deve avere diritto alle ferie e alle malattie pagate, all’ equo compenso, alla formazione».
D.Non entra in polemica con il Papa perché Bergoglio è pro immigrati e voi volete sostituire gli italiani che abbandonano il sindacato con i profughi?
«Sono per l’ accoglienza per ragioni ideali. Non si possono fare muri. Siamo all’ assurdo che oggi i soldi possono girare senza controllo ma le persone no. Lo spostamento è un diritto dell’ uomo».
D.Ma ci mancano i soldi per l’ accoglienza indiscriminata.
«Non è vero, i soldi ci sono basta decidere di spenderli per l’ accoglienza. Se usi i soldi per mantere due anni un immigrato in un centro a non far nulla sono d’ accordo che sia denaro gettato. Ma se crei strutture dove la gente si applica all’ inserimento di chi arriva e lo prepara a entrare nel mondo del lavoro, allora l’ immigrazione può diventare un’ occupazione per gli italiani e una fonte di ricchezza. Corsi di lingua, formazione, servizi».
D.Mi tolga una curiosità: se è tutto così semplice, perché nessuno vi dà retta?
«Perché è prevalso un pensiero unico, quello del mercato e della finanza. Non a caso la socialdemocrazia è da tempo in crisi in tutto il mondo e la sinistra si è messa a emulare la destra. Sulla globalizzazione i leader progressisti hanno preso una topica, assecondando la trasformazione del modello sociale dalla ripartizione del benessere alla concentrazione dei profitti e della ricchezza. Non mi dica che non lo sa anche lei».
D. E lei cosa vorrebbe fare, la rivoluzione?
«Con le parole non si gioca. Voglio però ricostruire il modello del lavoro, e non solo quello dipendente. Guardi che io so distinguere tra l’ imprenditore che rischia del suo e investe e quello che specula o pompa l’ azienda per venderla al meglio. Sulla globalizzazione il Pd e la sinistra dovrebbero riflettere: hanno perso voti a vantaggio di Lega e Cinquestelle mentre noi non abbiamo perso iscritti».
D. L’ Europa e l’ euro hanno aiutato questo processo di macelleria sociale ma il sindacato nella critica a Ue e moneta unica ci è andato sempre cauto.
«Non è vero. Aver costruito solo l’ euro e non l’ Europa sociale ha aiutato le banche e non gli europei e ha avuto un impatto anti-sociale. Basta pensare che negli Usa il dollaro non ha un costo diverso a seconda dello Stato in cui ti trovi. In Europa invece sì, come sa chiunque chiede un prestito in Germania o in Portogallo e Grecia. Ma direi anche in Italia. In Europa del resto non esiste un sistema fiscale comune. E poi le ricordo che siamo stati noi a chiedere di togliere il pareggio di bilancio dalla Costituzione e siamo sempre noi a chiedere di riscrivere i trattati europei mettendo al centro il lavoro».
Un altro regalo di Monti, il pareggio di bilancio in Costituzione «La politica dell’ austerità è stata una follia per tutti, perché ha messo gli Stati europei l’ uno contro l’ altro».
D. A questo proposito, cosa ne pensa di Macron: si era presentato come europeista ma sembra occuparsi solo degli interessi francesi, anche a danno degli altri Stati e a rischio di dividere la Ue?
«Macron è un liberista e un nazionalista. Se andrà avanti con il suo programma di politiche sociali, prevedo un autunno molto caldo in Francia. Ci saranno conflitti pesanti. Diciamo che lui è europeista nel senso deteriore del termine, quello della globalizzazione e delle lobby».
D. E sulla vicenda Fincantieri: ha nazionalizzato gli stabilimenti di Saint Nazaire pur di non cederli agli italiani?
«La nazionalizzazione e la presenza dello Stato nell’ economia nella storia della Francia non è una novità, pensi alla Renault. Macron fa quello che aveva promesso in campagna elettorale e che gli accordi di vendita preliminari gli consentono. L’ operazione di Fincantieri ha un importante significato industriale che è sotto gli occhi di tutti ma nazionalismo non è una brutta parola. Noi ci riempiamo la bocca con l’ Europa ma la realtà è che le nazioni continuano a esistere e a tutelare i propri interessi, sta nel gioco delle parti. Dovremmo essere capaci di farlo anche noi perché penso che l’ Europa vada costruita non sotto comando di qualcuno ma come scelta comune di tutti gli Stati europei».
D.Già ma l’ Europa allora a che serve, solo a dettarci le leggi? All’ Italia continui rimproveri di alterare la concorrenza, sulle nazionalizzazioni della Francia non una parola.
«Che l’ Europa sia priva di una politica industriale comune mi pare evidente, come è evidente che essa non può essere calata da Bruxelles ma va discussa tra gli Stati. Però la cosa non mi stupisce. D’ altronde alla Ue mancano anche una politica fiscale, di difesa, estera, monetaria, commerciale e agricola comune. Quello che più mi preoccupa però è che mentre gli altri partner Ue, presi singolarmente, hanno ciascuno una propria politica industriale nazionale, l’ Italia ne è del tutto priva, da circa trent’ anni per essere precisi».
D.Mi viene il sospetto che lei non disprezzi del tutto Trump?
«Non mi piace il Trump che se ne frega dei vincoli ambientali ma sono interessato a capire meglio quello che si propone di potenziare l’ industria statunitense».
D. Ma se ama tanto l’ industria, perché ha combattuto così strenuamente Marchionne, che ha risanato i conti della Fiat e continua a produrre in Italia?
«Beh, innanzitutto le comunico che la Fiat non esiste più. Si chiama Fca, produce solo il 20% delle sue auto in Italia e paga la maggior parte delle tasse all’ estero, dove prende le sue decisioni strategiche».
D.Questo non è vero: la linea di comando di Fca è molto italiana.
«Marchionne ha fatto certamente un ottimo lavoro per gli azionisti e sul piano finanziario e generale è un ottimo manager. Io però la vedo dalla parte del lavoratore: in Fca la paga è più bassa di 75 euro al mese rispetto alle altre aziende metalmeccaniche e le condizioni di lavoro sono più dure. Poi la produzione è molto tradizionale, diesel e benzina. A quando le auto elettriche e a idrogeno?».
D. Ultima domanda: cosa ne pensa dei 25 milioni di euro di liquidazione dati all’ amministratore delegato della Telecom Cattaneo?
«È una delle deformazioni della finanza. Ai tempi di Valletta in Fiat il rapporto tra lo stipendio dell’ amministratore e quello dell’ operaio era uno a quaranta, in Olivetti addirittura uno a quindici. Ora è uno a 500. Non sta né in cielo né in terra perché le aziende funzionano per le qualità anche dei lavoratori non solo dei manager. E poi questi accordi sono figli di una logica di pagamento non legata a quello che si realizza sul piano industriale bensì unicamente ai risultati finanziari».
Category: Lavoro e Sindacato