Gianni Rinaldini: La Cgil abbandoni la logica del “meno peggio”
Trascriviamo dall’audio ufficiale l’intervento integrale di Gianni Rinaldini al XVII Congresso della Cgil a Rimini tenuto il 7 maggio 2014
Dico subito che non condivido la relazione della Susanna Camusso. Non la condivido al di là di singole proposte condivisibili. Non la condivido proprio dal punto di vista dell’analisi di quello che sta succedendo e della situazione, io la definisco così, la crisi del sindacato e di tutte le rappresentanze sociali, tutte, comprese le controparti, compresa la confindustria; sono tutte in crisi.
Lo dico perché credo che le auto celebrazioni non servono a niente, tanto più in una situazione così drammatica e pericolosa. Dobbiamo interrogarci seriamente finché facciamo in tempo. Non possiamo dire, almeno questo è il mio parere, che in questo congresso c’è stata partecipazione, c’è stato dibattito. Li ho fatti anch’io i congressi; anzi quelli che ho fatto potrei dire che sono andati benissimo visto l’esito di quelle assemblee a cui ho partecipato. Ma sarebbe una bugia. Forse è un problema solo mio. Forse è un problema solo mio. Ma una modalità di congresso dove tutto viene deciso dal Comitato direttivo della Cgil arrivi ai lavoratori e in cinquanta minuti gli presenti documenti e emendamenti che poi devono votare in cinquanta minuti pensando che in questo modo tu fornisca ai lavoratori gli elementi e gli strumenti per la discussione non è semplicemente possibile. Modalità del congresso di questo genere riducono i lavoratori e le lavoratrici a spettatori della nostra discussione. E non serve a recuperare un rapporto. Serve ad accentuare tutti gli elementi di distacco e di credibilità della nostra organizzazione.
Possiamo far finta di non dirci che l’ultimo sciopero generale Cgil Cisl Uil è stato un totale fallimento? Non ne parliamo? Parliamo d’altro? Facciamoci i conti con serietà. Possiamo non dirci che tutte le conquiste degli anni ’60 e ’70 sono state cancellate? E che gli atti della legge del 2002, su cui costruimmo la mobilitazione della Cgil, sono passati tutti e gli ultimi atti sono quelli votati nella giornata di ieri. Non ne discutiamo?
Io non penso che il problema è tornare al passato. Illuderci di riproporre le cose del passato. E’ che siamo dentro una situazione totalmente nuova nel contesto politico e nel contesto sociale che il sindacato o ha il coraggio di mettersi in discussione e di ragionare su cosa oggi tu ricostruisci il sindacato e ricostruisci la confederalità che non è un dato naturale, è un processo. E come tu oggi adegui anche le tue forme interne di organizzazione rispetto a questa nuova idea di sindacato oggi e per il futuro.
Le forme di organizzazione del passato non funzionano più. E’ finita quella storia. E se non ci si rende conto che dobbiamo fare i conti con questa realtà, io la dico così, noi siamo destinati ad essere travolti continuando su questa strada.
E allora mi dite che cosa è stato fatto in questi quattro anni tra questi due congressi? Io la dico così. Così ci chiariamo. Penso che una logica che si è mossa in una ottica di emendabilità delle scelte dei diversi governi, è stata una logica sbagliata. E l’aver seguito questa logica sbagliata spiega anche l’assenza di un contratto reale, unico paese tra quelli sud europei, rispetto al massacro sociale che si è determinato.
E allora tre ore di sciopero sulle pensioni. Ma perché? In quella fase c’era una situazione di crisi del governo Berlusconi da cui è scaturito il governo Monti. L’oggetto era un governo che fosse affidabile rispetto alla lettera della Bce. Lo sapevamo tutti. Il 4 agosto del 2011, nel pieno di quella crisi, non so se molti lo conoscono, c’è stato un documento comune firmato da banche, confindustria e organizzazioni sindacali in nome delle discontinuità . Al primo punto di quei sei punti c’era la richiesta del pareggio di bilancio in costituzione firmato anche dalla Cgil. Andate a vedere. Tutti possono consultare e vedere quel documento. Fu Bussari che presentò i sei punti a nome di tutti e a nome della Cgil.
Dopo di che possiamo dire che non avevamo capito che sarebbe arrivato il massacro sociale? Che da li a due mesi sarebbe arrivata l’applicazione della lettera della Bce? Poi quando è arrivata la lettera allora tre ore di sciopero perché il conflitto non lo si inventa lo si prepara. Siamo arrivati a quell’appuntamento, chiaro che si sarebbe determinato, senza una piattaforma, senza una proposta, senza aver coinvolto i lavoratori e le lavoratrici sulle nostre proposte su cui aprire il conflitto sociale.
Abbiamo scelto una logica emendativa, su questo e quel capitolo, la logica del meno peggio, che badate ci ha portato alla storia che conosciamo, era il 2002. Tra gli oggetti di quello scontro era cambiata la causale su i contratti a termine, non c’erano i picchi produttivi, c’erano le esigenze tecniche e produttive. E ci fu l’accordo separato. Era la legge Biagi che si cominciava ad applicare, poi si è passati a togliere le causali, poi si è passato a discutere i dodici mesi. Adesso siamo ai 36 mesi e la discussione è tra le otto o cinque proroghe.. Ma c’è oggi una nostra idea complessiva per arrivare a una vertenza sindacale sul mercato del lavoro oppure continuiamo a ragionare con una logica di questa natura? Perché una logica di questa natura respinge tutto ciò che non sta in questo quadro e allora la Fiat diventa un caso eccezionale. Non può diventare un caso generale perché altrimenti fa saltare tutto l’altro percorso.
A questo punto io vi confesso, ed è un punto molto delicato, che quando in un paese la democrazia nei luoghi di lavoro la difende solo la Corte Costituzionale c’è un problema. C’è un problema. Ho sentito Smuraglia, si parla di resistenza, figuriamoci. Ma quando si sigillano le sedi sindacali in tutti gli stabilimenti Fiat con centomila lavoratori non è un problema della Fiat. Sigillare le sedi sindacali porta semplicemente al ricordo del fascismo. Punto. Nella mia infanzia quando a sei anni vivevo in una città del sud in una sede del PCI e ci fu l’assalto alla sede per i fatti di Ungheria e mio padre mi ha nascosto in una stanza mentre loro si armavano per fronteggiare l’assalto alle sede. Non si chiudono le sedi.
Quando la Cgil a quel punto non assume come terreno di battaglia generale la democrazia e deve essere la Corte costituzionale che dice non solo alla Fiat ma alla Cisl e alla Uil. Voi state facendo un atto incostituzionale di discriminazione sindacale. E noi non facciamo un chiarimento? Andiamo avanti come prima? Facciamo finta di niente? E poi si dice che c’è la crisi della democrazia.
Io la dico così. Quei lavoratori che hanno resistito da soli in questa situazione pagando sulla loro pelle hanno difeso la dignità della Cgil e di tutti noi. Di tutti noi. E sono operai fuori dalle fabbriche con problemi familiari drammatici. Li conosco. Molti di questi li conosco. Forse è un malessere solo mio. Forse è un malessere solo mio, ma probabilmente comincia a diventare un problema che riguarda il sentire comune tra di noi, un sentire comune rispetto ai lavoratori e lavoratrici.
Confederalità. Che cosa vuol dire confederalità oggi? Cosa vuol dire tenere insieme la lavoratrice delle pulizie con l’insegnante, con quelli della conoscenza e con i metalmeccanici? E’ finita la storia del passato non so se qualcuno se ne è accorto. Una volta il senso di appartenenza e di collante stava anche nel fatto che eravamo parte di uno schieramento politico. Eravamo parte di uno schieramento politico nazionale europeo e internazionale. Questo eravamo. Oggi quel mondo li si è dissolto. E allora la Cgil deve essere portatrice di un proprio progetto autonomo di trasformazione della società. Quello che Trentin tentò all’inizio con il programma fondamentale della Cgil che se non altro individuava il problema. Dopo non si è più fatto niente. Ma se non è cosi cosa tiene in piedi la confederalità ? Dopo rimangono solo le regole.
Io sono un burocrate da una vita, e uso questo termine in senso non dispregiativo, e ho avuto responsabilità confederali e di categoria. So come funzionano queste cose e so quali sono i meccanismi perversi che si determinano se non c’è l’oggetto e il progetto che li tiene insieme.
Questo congresso ci mette di fronte a questa situazione. Se rimangono solo le forme che sono modificate rispetto a quelle del passato e non c’è il progetto di confederalità noi andiamo in una strada che diventa anche degenerativa. Le grandi burocrazie di cui faccio parte non si sono mai autoriformate. O il gruppo dirigente apre un processo e ha il coraggio di aprire un processo nuovo di discussione oppure quando ce ne accorgiamo forse è troppo tardi.
Ultimissima cosa. Ieri ho sostenuto l’emendamento sul direttivo, il mandato ecc.. Ma non raccontiamoci storie. Quell’emendamento nello statuto c’è già scritto. Organismo esecutivo vuol dire che esegue e organismo dirigente vuol dire che decide. Ed è talmente vero ed era così chiaro che io ricordo che il segretario generale che era Trentin disse che, dato che aveva firmato senza un mandato, contemporaneamente dava le dimissioni per permettere all’organizzazione di discutere liberamente.
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