Bianca Beccalli: Ricordo del sociologo Alessandro Pizzorno
Category: Editoriali, Fare Inchiesta, Lavoro e Sindacato, Storia della scienza e filosofia
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About Vittorio Capecchi: Vittorio Capecchi (1938) è professore emerito dell’Università di Bologna. Laureatosi in Economia nel 1961 all’Università Bocconi di Milano con una tesi sperimentale dedicata a “I processi stocastici markoviani per studiare la mobilità sociale”, fu segnalato e ammesso al seminario coordinato da Lazarsfeld (sociologo ebreo viennese, direttore del Bureau of Applied Social Research all'interno del Dipartimento di Sociologia della Columbia University di New York) tenuto a Gosing dal 3 al 27 luglio 1962. Nel 1975 è diventato professore ordinario di Sociologia nella Facoltà di Scienze della Formazione dell'Università di Bologna. Negli ultimi anni ha diretto il Master “Tecnologie per la qualità della vita” dell’Università di Bologna, facendo ricerche comparate in Cina e Vietnam. Gli anni '60 a New York hanno significato per Capecchi non solo i rapporti con Lazarsfeld e la sociologia matematica, ma anche i rapporti con la radical sociology e la Montly Review, che si concretizzarono, nel 1970, in una presa di posizione radicale sulla metodologia sociologica [si veda a questo proposito Il ruolo del sociologo (a cura di P. Rossi), Il Mulino, 1972], e con la decisione di diventare direttore responsabile dell'Ufficio studi della Federazione Lavoratori Metalmeccanici (FLM), carica che manterrà fino allo scioglimento della FLM. La sua lunga e poliedrica storia intellettuale è comunque segnata da due costanti e fondamentali interessi, quello per le discipline economiche e sociali e quello per la matematica, passioni queste che si sono tradotte nella fondazione e direzione di due riviste tuttora attive: «Quality and Quantity» (rivista di modelli matematici fondata nel 1966) e «Inchiesta» (fondata nel 1971, alla quale si è aggiunta più di recente la sua versione online). Tra i suoi ultimi libri: La responsabilità sociale dell'impresa (Carocci, 2005), Valori e competizione (curato insieme a D. Bellotti, Il Mulino, 2007), Applications of Mathematics in Models, Artificial Neural Networks and Arts (con M. Buscema, P.Contucci, B. D'Amore, Springer, 2010).
Alessandro Pizzorno, nato a Trieste nel 1924 e mancato il 4 aprile di quest’anno a Firenze, è stato un sociologo italiano di fama internazionale. In Italia è stato uno di quelli che con maggior forza ha contribuito all’affermazione della sociologia, inesistente nella cultura e nell’accademia sino agli anni sessanta del secolo scorso. La sociologia non era accettata nella cultura dominante, dove prevaleva il giudizio di Benedetto Croce – «l’inferma scienza» -, formulato dal grande filosofo nell’ambito della sua critica al positivismo tra la fine dell’800 e i primi del 900, e con essa alla allora nascente sociologia italiana che in quel contesto culturale si stava affermando.E neppure era accetta alla cultura marxista, importante in Italia non come disciplina, ma come ideologia di forze politiche e sociali di opposizione. Insomma, lo storicismo era il clima culturale prevalente.
Nell’opera della sua lunga vita si sono intrecciati contributi empirici e teorici. Un capolavoro di ricerca è stato nel 1960 Comunità e razionalizzazione, lo studio delle trasformazioni nel lavoro di fabbrica e nella vita della cittadina in cui essa era situata, La Bassetti a Rescaldina, un caso esemplare della grande trasformazione in corso in Italia.
Più noto lo studio delle lotte operaie, il ciclo iniziato con l’Autunno caldo del 1969, uno studio di sei fabbriche svolto entro uno schema teorico omogeneo, e, noto nel mondo anglosassone per la riedizione, The revival of class struggles in Europe, che ne fecero lo stesso Pizzorno e Colin Crouch.
L’opera teorica di Pizzorno precede, accompagna e segue quella empirica ed è più nota all’estero. La base di riferimento è un confronto con pensatori classici, filosofi e sociologi, a partire da Durkheim, il fondatore della sociologia come disciplina accademica: a quella problematica Pizzorno era tornato e stava programmando un libro su Hobbes.
Per anni Pizzorno ha criticato il paradigma della «rational action theory», dominante in economia e che attraeva e attrae non pochi sociologi contemporanei per il fascino della patente di «scientificità» che sembra conferire, consentendo di applicare anche nelle scienze umane criteri di valutazione apparentemente obiettivi.
Ma vale per la sociologia ciò che vale per la fisica?
Nel messaggio che lascia Pizzorno vi è l’invito ad una sociologia critica, che veda una interazione tra soggetti e oggetti della ricerca nella scia di quell’approccio comunemente denominato conricerca o metodologia dell’Inchiesta.