Gianni Rinaldini: Vi racconto la mia Cgil
Gianni Rinaldini è stato segretario nazionale della Fiom dal 2002 al 2010 ed è attualmente coordinatore dell’area La Cgil che Vogliamo
PRIMA PARTE
Roma 26 maggio 2003, un drammatico comitato centrale della Fiom si conclude a tarda notte con una dichiarazione di voto di Claudio Sabattini, allora segretario generale regionale della Fiom siciliana: “Devo dire che la Sicilia è ampiamente rappresentata in questo Comitato Centrale e, date le mie fatiche e le mie esperienze, rassegno le dimissioni dal Comitato Centrale e quindi dalla Direzione”.
Un colpo durissimo per la Fiom. Talmente pesante da essere rapidamente rimosso dalla gran parte di quel gruppo dirigente, come se non fosse successo nulla. Per il sottoscritto un’amarezza profonda, un buco allo stomaco e alla testa mai rimarginato, alleviato soltanto dai rapporti personali di stima e di affetto che non si sono mai interrotti.
E’ possibile che alla scelta di dimettersi dagli organi dirigenti, dalla sua Fiom, Claudio Sabattini sia stato spinto anche dal fatto che durante quella riunione – visti i toni e le accuse intollerabili che andavano ben oltre il merito – in un rapido colloquio gli dissi che avevo deciso di rassegnare seduta stante le dimissioni da segretario generale della Fiom. Mi rispose che capiva ma che non potevo farlo o meglio, non dovevo farlo. Non escludo che li, in quel momento, abbia maturato la decisione delle sue dimissioni.
Voglio partire da quell’episodio – che riprenderò più avanti – perché emblematico delle ragioni che mi inducono a scrivere – come testimone diretto – gli accadimenti, le scelte della Fiom, il confronto, la discussione nella Cgil di questi ultimi due decenni, e perché quell’episodio può rappresentare bene la radicalità delle trasformazioni e le difficoltà delle scelte conseguenti, che non hanno risparmiato nessuno. Lo ritengo perfino doveroso, giunto al termine di decenni di militanza attiva nella Cgil con responsabilità a livello confederale e di categoria, per contribuire a evitare semplificazioni e rappresentazioni di comodo oggi dilaganti in operazioni di revisionismo storico a uso e consumo dei gruppi dirigenti, da cui non sono certamente esenti le pubblicazioni di origine sindacale.
Sono stato eletto segretario generale nazionale della Fiom nel maggio 2002 su proposta di Claudio Sabattini, segretario uscente, condivisa da Sergio Cofferati allora segretario generale nazionale della Cgil. Il contesto politico e sociale è quello del governo Berlusconi, della grande manifestazione della Cgil del 23 marzo con tre milioni di persone, dell’accordo separato Federmeccanica, Fim e Uilm sul rinnovo del biennio economico del 2001, alla vigilia della scadenza del rinnovo del contratto nazionale dei metalmeccanici, alla fine del 2002.
A differenza di ciò che molti pensano non ho una storia fiommina ma arrivo alla Fiom nazionale da un ruolo di responsabilità generale confederale, nella Camera del lavoro territoriale di Reggio Emilia e successivamente nella regione Emilia Romagna. Ma nel dibattito sindacale sono considerato “un amico della Fiom”.
Quel passaggio, dalla confederazione ai vertici della categoria dei metalmeccanici, rappresenta una cesura nella mia esperienza, proiettato in una assunzione di responsabilità sindacale e politica certamente gratificante ma nello stesso tempo da “brividi” perché ci sono arrivato privo di una approfondita e specifica conoscenza contrattuale della categoria e in una situazione congiunturale non semplicissima, con la Fiat praticamente in stato fallimentare e all’avvio della discussione sulla piattaforma per il rinnovo del contratto nazionale. Viceversa, mi erano chiare e condividevo le scelte fondamentali compiute dalla categoria negli ultimi anni e i termini della discussione in Cgil. Un prima e un dopo che in situazioni e fasi diverse hanno caratterizzato il ruolo della Fiom, dei 1metalmeccanici.
1. Ricostruzione della Fiom
Per capire meglio dobbiamo partire da ciò che avviene nel 1994, quando cambiano i vertici della della Fiom e della Cgil. Su proposta di Bruno Trentin, Claudio Sabattini e Sergio Cofferati diventano, rispettivamente, segretario generale dei metalmeccanici e della Confederazione.
In quegli anni lo stato di salute del sindacato volge al peggio. Paradossalmente, il sindacato ottiene il massimo del riconoscimento istituzionale con l’accordo del ’92 – successivamente parzialmente modificato e completato nel 1993 -, assumendo un ruolo di supplenza delle forze politiche travolte da tangentopoli, nel momento in cui è oggetto di una dura contestazione da parte delle lavoratrici e dei lavoratori, perchè quell’accordo prevede la cancellazione della scala mobile. Non c’è nessuna validazione democratica dell’accordo del ’92, e la rabbia esplode nelle piazze contro i dirigenti sindacali senza alcuna distinzione, non solo fischi ma anche ortaggi e bulloni al punto tale che alcuni dirigenti sindacali parlano protetti da scudi di plexiglass.
Una cosa mai successa prima, con queste dimensioni, un dramma collettivo. La Fiom vive pesantemente questa lacerazione, confermata dall’esito della consultazione confederale sull’accordo del ’95 in merito alla Riforma delle pensioni tra Governo Dini e parti sociali. Prevale con una esigua maggioranza il voto favorevole, mentre viene respinto dai metalmeccanici. Nello stesso tempo una vera consultazione democratica, la prima e l’ultima che non ha nulla a che vedere con la parodia della democrazia delle successive consultazioni confederali. Si evitò, in questo modo, il precipitare della lacerazione in rottura definitiva con aree estese di lavoro dipendente ed in particolare dei metalmeccanici. Una categoria che ha espresso un ruolo decisivo nelle lotte e nelle conquiste sociali del periodo ’69 – ’77 che poi sono state demolite pezzo per pezzo a partire dagli anni 80.
La sconfitta nel 1980 alla Fiat, una delle esperienze più avanzate dei Consigli di fabbrica, determina una modifica sostanziale dei rapporti di forza tra Confindustria e sindacato, tra capitale e lavoro perché nel più importante gruppo industriale del paese, si afferma, attraverso un durissimo conflitto sociale, il ripristino del comando assoluto dell’impresa sull’organizzazione del lavoro, sulla prestazione lavorativa, come condizione per attuare processi di ristrutturazione e riorganizzazione anche con l’utilizzo delle nuove tecnologie.
Questo rappresenta un vero e proprio spartiacque che segnerà le ristrutturazioni dell’insieme del sistema della imprese che relega il sindacato alla funzione di confronto su forme e modalità di gestione degli esuberi e della mobilità. La Cgil e la Fiom non hanno mai discusso del significato, della valenza di carattere generale dell’autunno ‘80 alla Fiat, di quella sconfitta e delle sue conseguenze. La versione ufficiale parlava di un accordo sostanzialmente positivo, che riguardava una situazione particolare di crisi non generalizzabile e che i problemi sorti con le lavoratrici e i lavoratori erano il frutto di una gestione sbagliata della trattativa e delle forme di lotta. E quei problemi dovevano essere risolti dentro l’organizzazione, imputandone la responsabilità a Claudio Sabattini componente della segreteria nazionale Fiom e responsabile del settore auto e a Tiziano Rinaldini coordinatore nazionale Fiom del settore auto.
Si è preclusa in questo modo la stessa possibilità di leggere e di capire, al di là dei giudizi sulla vertenza Fiat, ciò che stava succedendo a livello nazionale e globale, il dispiegarsi di una vera e propria controffensiva alle lotte e conquiste degli anni ’70, destinata a trasformare profondamente l’assetto sociale e i rapporti di potere. Nessun reale approfondimento su cosa stava avvenendo nelle imprese, nella scomposizione del ciclo di formazione del prodotto, sulla frammentazione dei lavoratori, sull’uso delle nuove tecnologie informatiche, sul rapporto crescente tra capitale industriale e finanziario.
Una rimozione grave di fronte a una sfida enorme, perché lo scenario era totalmente nuovo, non paragonabile ad altre fasi della storia del movimento operaio, perché riguardava la capacità definire un altro punto di vista rispetto all’avanzare di una ideologia e una pratica su base internazionale, quella del pensiero unico, del neo-liberismo. Questo avviene in presenza di una campagna mediatica e culturale a sostegno dei processi sociali e politici in cui il lavoro, soprattutto quello manifatturiero, viene descritto come un aspetto marginale della società, destinato a sparire con la robotizzazione, fino a fantasticare sulle fabbriche senza operai. Ciò che prevale nel sindacato è l’illusione che sia possibile fare fronte a una tale situazione con il riconoscimento istituzionale pagando qualche prezzo, come male minore. E’ la logica dello scambio politico, degli accordi triangolari Governo-Confindustria-Sindacato, inaugurati nel 1983 con l’accordo quadro del ministro Scotti, con cui si definiscono le compatibilità cui adattare i comportamenti contrattuali a livello aziendale e nazionale. Una deriva, senza fine, di centralizzazione contrattuale e compatibilità definite da governo e Confindustria nella quale, in ogni occasione, bisognava scambiare diritti, tutele e limiti contrattuali.
Si tratta di un percorso capovolto rispetto all’esperienza degli anni ’70 dove tutte le conquiste – il vero e proprio salto di civiltà del nostro paese – sono state raggiunte partendo dalla contrattazione e dal rapporto democratico con i lavoratori nei luoghi di lavoro e nei territori, modificando i rapporti di forza. Il rapporto tra le organizzazioni sindacali perde in questo modo la linfa vitale che ha innestato il processo unitario, il binomio contrattazione-democrazia, esponendosi inevitabilmente alle dinamiche politiche nel rapporto con i governi.
La stagione dello scambio politico aveva come precedente la svolta dell’Eur nel 1978, lo scambio tra moderazione salariale e occupazione, che trovava un corrispettivo nell’evoluzione del quadro politico con la presenza, per un breve periodo, del Pci nell’area di governo. Si apre così la stagione delle divisioni sindacali, dello scioglimento della Federazione unitaria Cgil-Cisl-Uil e successivamente della Flm – Federazione lavoratori metalmeccanici – l’esperienza più avanzata nella costruzione del sindacato unitario. Nella stessa Cgil riappaiono a fasi alterne i fantasmi della scissione, cioè della traduzione sindacale delle correnti di partito, quello che Bruno Trentin definì il “male oscuro” della Cgil dopo l’accordo del 1992.
Infatti nella fase finale di quel negoziato, quando il Presidente del Consiglio, Giuliano Amato, presenta il testo finale dell’accordo con il ricatto della bancarotta del paese e la svalutazione della Lira, dopo l’assenso espresso dai segretari generali Cisl e Uil interviene incredibilmente Ottaviano Del Turco che a nome della componente socialista della Cgil, allora rappresentata in Segreteria insieme a Guglielmo Epifani, Giuliano Cazzola, e Anna Carli, esprime parere positivo.
2. Il nuovo quadro dei rapporti sindacali
Con il superamento della FLM a metà degli anni ’80 si sancisce la fine dei Consigli di fabbrica che sono incompatibili con il nuovo quadro dei rapporti sindacali e si apre una lunga fase di incertezza sulle forme della rappresentanza sindacale nei luoghi di lavoro conclusa all’inizio degli anni ’90 con le Rsu – Rappresentanze Sindacali Unitarie – in cui le forme di elezione assomigliano, in peggio, alle Commissioni Interne degli anni ’50 e non hanno nulla a che vedere con l’esperienza dei Consigli di fabbrica. C’è un rapporto inscindibile tra forme di rappresentanza sindacale e contrattazione sulla prestazionelavorativa, sull’organizzazione del lavoro che viene in questo modo anche formalmente esplicitata.
Il crollo del blocco sovietico nel 1989 in questo contesto ha un duplice effetto: quello politico che investe la sinistra e in particolare il Pci, quello economico e sociale che crea le condizioni politiche di espansione a livello planetario della globalizzazione, che non incontra più ostacoli nel suo diffondersi e si conferma nel prevalere del pensiero unico. Cambia la geografia politica della sinistra, i due partiti di riferimento della Cgil, il Pci e il Psi – poi travolto dalla vicenda Tangentopoli – cambiano natura politica senza più soggetti sociali di riferimento. E’ un quadro sociale, politico e culturale completamente inedito per la Cgil che arriva in queste condizioni all’impatto con gli accordi del ’92 e ’93.
Un travaglio che si riflette sullo stesso assetto dei gruppi dirigenti della Cgil e in particolare della Fiom, dove nello spazio di otto anni si avvicendano tre segretari generali nazionali, Sergio Garavini, Angelo Airoldi, Fausto Vigevani. Nel 1994 viene eletto Claudio Sabattini che apre un percorso di ricostruzione del profilo della Fiom e di una nuova dialettica nella confederazione. L’insieme del gruppo dirigente e dei delegati viene coinvolto in una discussione impietosa sullo stato reale della contrattazione, sui processi di trasformazione in atto a livello sociale, politico e istituzionale come condizione per costruire una svolta, una forte innovazione strategica.
Le tappe di questo percorso sono momenti seminariali come quello tenuto all’Università di Bergamo di approfondimento e socializzazione di una analisi finalizzata a dare strumenti di lettura della fase aperta con gli anni ’80; l’assemblea dei delegati a Maratea nell’autunno del 1995; il Congresso della Fiom e della Cgil del 1996.
Un lavoro enorme, una riflessione a tutto campo per una categoria che si interroga sul presente e sul futuro nella consapevolezza che la crisi del sindacato e della Fiom affonda le proprie radici nel vuoto strategico, nell’assenza di un altro punto di vista a fronte dell’offensiva del padronato che stava segnando un passaggio epocale nella storia del movimento operaio. La strategia della Confindustria è chiara, esplicita quella di un modello di società fondata sulla precarizzazione dei rapporti di lavoro, unilateralità del comando, il taglio dei salari e il superamento dei diritti sociali universali. Rispetto a questo obiettivo lo stesso accordo del ’93 sul sistema contrattuale è in via di esaurimento perché la Federmeccanica, dice Claudio Sabattini, ha già svoltato nella sua interpretazione e, quell’accordo stante la situazione verrà fatto saltare da destra.
Dal versante politico, dallo smottamento delle forze politiche che ha trovato il suo epilogo nel crollo del blocco sovietico e successivamente con Tangentopoli, emerge una realtà in cui non esiste più una forza politica che abbia come riferimento i lavoratori. Il riferimento sono i cittadini, nel senso di rappresentanza di ceti sociali diversi e dunque con interessi eterogenei, che solo la politica può mediare e indirizzare verso un interesse generale i cui termini sono sempre più dettati dalle leggi – considerate oggettive – del mercato che diventa una sorta di indiscutibile “stato di natura”. Per la Cgil è uno scenario nuovo. La politica non è più il sistema all’interno del quale soggetti che rappresentano interessi sociali diversi e contrapposti si scontrano, si confrontano e possono trovare punti di mediazione, ma è immediatamente il luogo in cui si esprimono in modo indiscutibile gli interessi generali, mentre i soggetti sociali sono portatori della rappresentanza di interessi particolari.
Si afferma in questo modo una proposizione moderna del primato dei Partiti sui Sindacati considerati come strumenti subordinati e, in definitiva una moderna versione delle vecchie “cinghie di trasmissione”. Dall’insieme di queste ragioni emerge la necessità di un punto di vista sindacale rispetto alle trasformazioni in atto che abbia una valenza fondativa perché il quadro complessivo di riferimento del passato è concluso.
Per questo, secondo la Fiom, “se si vuole efficacemente modificare il senso dell’attuale processo, bisogna averne in testa un altro possibile. E’ necessario cioè aprire una riflessione che riguarda il modello sociale di riferimento. Quale società vogliamo?” Non si tratta di definire una idea organica di società, ma delle coordinate fondamentali. Da qui deriva la scelta e la proposta dell’indipendenza rispetto a Padroni, Confindustria, Partiti e Governi, perché la Cgil deve essere espressione di una idea generale della società a partire dagli interessi del lavoro dipendente e dei pensionati che si confronta a pari dignità con le forze politiche.
Il termine “INDIPENDENZA” scatena un putiferio con letture strumentali che vengono diffuse a piene mani sul fatto che la Fiom vuole essere indipendente dalla Cgil, una sorta di quarta confederazione, oppure che per la Fiom sono irrilevanti le distinzioni tra i diversi partiti. Un modo per non misurarsi con il problema posto sul futuro della Cgil, sul futuro e il significato della confederalità. In questo ambito l’assemblea di Maratea, preceduta dalle riunioni dei comitati direttivi territoriali pone le basi per l’elaborazione dei documenti per il Congresso della Fiom e della Cgil che vengono riassunti in quattro opuscoli, di cui è sufficiente richiamare i titoli:
1° “La globalizzazione dei mercati e il futuro del sindacato”
2° “ La situazione italiana e la strategia contrattuale della Fiom”
3° “ I principi fondamentali dell’unità”
4° “ La contrattazione nella categoria dei metalmeccanici”.
Vengono definite le condizioni per una svolta del sindacato, considerando conclusa la fase dello scambio politico anche perché dice Claudio Sabattini “non abbiamo più nulla da scambiare” e bisogna ripartire dalla contrattazione nei luoghi di lavoro che richiede una riappropriazione della conoscenza dei cambiamenti in atto nell’organizzazione del lavoro, nella prestazione lavorativa a tutti i livelli per ricomporre contrattualmente ciò che gli altri stanno dividendo.
Questo può essere fatto soltanto attraverso la partecipazione attiva delle lavoratrici e dei lavoratori che conoscono meglio di qualsiasi altro quello che sta succedendo, avvalendosi anche di competenze esterne in campo scientifico ed economico. Questa è la svolta che si è chiamati a compiere per evitare che il sindacato sia destinato a essere travolto in una dimensione corporativa ed aziendalista. Il documento della Fiom afferma “cosi come il fordismo, con le sue grandi imprese meccanizzate per la produzione di serie e le enormi concentrazioni di forza lavoro, finì per favorire la crescita dei sindacati industriali di massa, questi processi di segmentazione della forza lavoro possono determinare, se non sono affrontati adeguatamente, la fine del sindacalismo industriale”.
3. Senza democrazia non c’è futuro
Il sindacato del futuro non può che essere fondato sulla democrazia, sul voto dei lavoratori e delle lavoratrici sulle piattaforme e sugli accordi, attraverso il referendum perché da ciò deriva la nostra unica legittimazione e questo comporta che i gruppi dirigenti si devono mettere a rischio perché se un accordo viene bocciato, non si può e non si deve firmare ma si deve riaprire la trattativa. Senza democrazia non c’è futuro per il sindacato e Claudio Sabattini dice “nulla è più distruttivo per il sindacato di accordi firmati senza la validazione democratica dei lavoratori”. Indipendenza, democrazia e contrattazione sono i tre aspetti fondamentali per la costruzione di un punto di vista alternativo al neo-liberismo.
Il XXI Congresso della Fiom del 17 –20 giugno ’96 a Rimini, è il passaggio decisivo di questo percorso perché la categoria deve deliberare il proprio contributo al Congresso nazionale della Cgil. Cosa resa possibile dalle procedure congressuali della confederazione che oltre ai documenti elaborati dal comitato direttivo confederale prevede che le categorie possano elaborare propri documenti come contributo alle decisioni finali. Successivamente, negli anni 2000, questa procedura congressuale non sarà più resa possibile.
I documenti confederali sono tre, quello di maggioranza primo firmatario il segretario generale e quelli delle aree di minoranza; la Fiom sceglie di distinguere il voto sui documenti confederali che hanno un loro percorso e presentare un proprio documento per il congresso della Cgil. Una scelta con cui si vuole ribadire che la dialettica, l’espressione di posizioni diverse non si esprime soltanto nel rapporto tra aree programmatiche confederali ma nella dialettica tra categorie e confederazione.
Ovviamente non è sfuggito a nessuno che l’elaborazione del documento dei metalmeccanici, con il percorso che ho prima descritto, non era un atto di ordinaria amministrazione. Ero presente a quel congresso in qualità di Segretario Generale della Cgil Emilia Romagna, ed era del tutto evidente l’attesa dell’intervento del Segretario Generale della Cgil Sergio Cofferati, anche perché era risaputo che nella Segreteria della Fiom vi erano posizioni diverse.
Sergio Cofferati interviene illustrando il documento confederale senza alcun riferimento all’analisi e alle proposte della relazione di Claudio Sabattini e questo apre un problema sul riconoscimento o meno della elaborazione della categoria. Nel corso della notte si fanno insistenti e credibili le voci sulle dimissioni di Claudio Sabattini anche rispetto a quello che sta succedendo nella commissione, dove i dissidenti della segreteria nazionale Fiom si sono rivitalizzati. Il Congresso Fiom si conclude con Sabattini che conferma, in una dichiarazione alla stampa, di avere pensato alle dimissioni, ma rinvia la verifica al Congresso della Cgil, mentre viene votato praticamente all’unanimità il documento finale che “approva” il documento programmatico e la relazione di Claudio Sabattini e “assume i contributi del dibattito e l’intervento di Sergio Cofferati”.
Nello stesso tempo il termine Indipendente, diventa norma statutaria della Fiom. Claudio Sabattini viene di nuovo eletto dal Comitato Centrale della Fiom, Segretario Generale con 100 voti favorevoli, 5 contrari e 10 astenuti. Il XIII Congresso della Cgil del 2 – 5 luglio ’96 a Rimini, si conclude unitariamente e Sergio Cofferati rispondendo a Sabattini definisce l’indipendenza un elemento rafforzativo dell’autonomia della confederazione. Si sancisce in questo modo la riapertura di una forte dialettica tra categorie e confederazione che è patrimonio vitale della storia della Cgil fin dal suo atto fondativo. Il pluralismo non è riconducibile soltanto a una logica di aree programmatiche confederali che, sostiene Claudio Sabattini, cristallizzano la discussione e corrono il rischio di servire soltanto a determinare gli equilibri per la distribuzione dei posti. Per questo dichiara che la Fiom non può stare all’opposizione in Cgil perchè vuole affermare una idea di confederalità come costruzione di una sintesi che si rinnova ogni volta tra categorie e territori che non è riconducibile ad una divisione dei compiti tra chi rappresenta l’interesse generale del lavoro dipendente e la parzialità delle categorie.
Questo è il significato che assume il riconoscimento della elaborazione della Fiom per la definizione del documento finale del Congresso della Cgil. Le stesse ventilate dimissioni sono riferite a questo preciso passaggio, quello di opporsi ad una idea di confederalità che considera le categorie come una pura articolazione contrattuale della confederazione. La Fiom assume in questo modo un profilo preciso che trova riscontro negli assetti complessivi del gruppo dirigente e della segreteria, da cui escono, nell’arco di alcuni anni, Gaetano Sateriale, Susanna Camusso, Cesare Damiano, che accettano le proposte di ricoprire responsabilità confederali e istituzionali.
Il riscontro delle analisi congressuali è immediato, a livello nazionale con il rinnovo del biennio economico che scade alla fine del ’96, e due anni dopo il Contratto Nazionale di Lavoro, a livello aziendale nella contrattazione dei grandi gruppi. Nel rinnovo del biennio economico la Federmeccanica propone lo scambio con la flessibilità e sul piano retributivo si oppone al recupero integrale dell’inflazione sui minimi contrattuali. Una trattativa difficile che approda al tavolo del Governo anche con la presenza dei Segretari Generali Confederali e i rapporti tra Fiom e Cgil non sono proprio idilliaci.
La trattativa si conclude nel febbraio 1997, con un lodo presentato dal Presidente del consiglio, Prodi, sindacalmente e politicamente pulito perché delimitato soltanto nell’ambito della parte economica. Nel successivo rinnovo del Contratto Nazionale (1999) – nel frattempo è cambiato il governo e il Presidente del consiglio è Massimo D’Alema – si ripropone lo stesso scenario perché Federmeccanica vuole la unilateralità nella gestione dell’orario di lavoro, dagli straordinari alla distribuzione dell’orario settimanale. In questo consiste la cruda realtà della flessibilità e non nella vulgata culturale assolutamente trasversale, tra destra e sinistra che spiega che con le nuove tecnologie che cambiano il lavoro si determina un incrocio fantastico tra le esigenze delle imprese e i bisogni di libertà delle lavoratrici e dei lavoratori e in particolare dei giovani. Una scelta politica e un bombardamento mediatico che coprivano e facevano proprie le istanze fondamentali del pensiero unico, dove tutto doveva essere reso funzionale alle esigenze di ogni singola impresa nell’arena della competizione globale.
Il peggioramento delle condizioni lavorative, la molteplicità dei nuovi rapporti di lavoro, la precarietà sono il frutto avvelenato di tutto ciò. Lo testimoniano due episodi particolarmente significativi.
Il secondo Congresso del PDS nel febbraio 1997, dove Valter Veltroni (Vice Presidente del Consiglio) accusa la Cgil di non essere “moderna”. Sergio Cofferati nel suo intervento ribadisce le posizioni della Cgil sostenendo di non capire cosa vuole dire modernità rispetto ai diritti e ai Contratti. La risposta di Massimo D’Alema, allora Segretario del PDS è perfino virulenta, afferma rivolto a Sergio Cofferati che “ ….lo aveva trovato più chiuso e più sordo rispetto ad altre occasioni sul cambiamento della società”, e ci spiega il cambiamento in atto nella società, nell’organizzazione del lavoro, affermando che “la flessibilità era diventata un modo di vivere e di sentire delle nuove generazioni” e che a fronte del dilagare del lavoro nero, il Contratto Nazionale di Lavoro, che mostrava di sventolare dal palco per dare più forza al suo ragionamento, è carta straccia.
Il secondo episodio è quello relativo al documento dei due Presidenti del Consiglio, Massimo D’Alema e Tony Blair. Un documento di 40 pagine derubricato come documento dei loro consiglieri, che riassume i contenuti moderni di una nuova sinistra di governo, spiega le ragioni della fine della socialdemocrazia anche nella sua versione laburista e le meraviglie della flessibilità e della mobilità. Del resto Tony Blair aveva modificato lo statuto del proprio partito togliendo l’obiettivo della piena occupazione.
Ma per il momento il Patto di Natale del ’98, tra Governo e parti sociali conferma il sistema contrattuale del 1993 e non accede alle proposte di modifica della Confindustria. Il rinnovo contrattuale dei metalmeccanici si conclude l’8 giugno’99 con la mediazione del Ministro Antonio Bassolino, mentre si dispiega un duro conflitto sociale compreso uno sciopero generale unitario con manifestazione nazionale. L’accordo prevede la possibilità di fare ricorso alla flessibilità nel lavoro, cioè una diversa distribuzione dell’orario su un arco temporale plurisettimanale, fermo restando la media delle 40 ore settimanali per “ stagionalità dei prodotti e per le attività di installamento e montaggi” definendone i limiti di utilizzo. Una mediazione positiva perché l’utilizzo della flessibilità deve avvenire di intesa con le Rappresentanze Sindacali Unitarie.
L’ipotesi di accordo viene sottoposto a referendum e viene approvato dal 69,5% dei metalmeccanici (lo ricordo per sottolineare il fatto che ogni qualvolta i metalmeccanici sono chiamati a pronunciarsi non ci sono mai votazioni bulgare come avviene in altre consultazioni). Dal versante aziendale le scelte congressuali impattano immediatamente con situazioni e vertenze significative come succede alla Electrolux e alla Fiat di Cassino.
Nel gruppo Electrolux viene firmata una ipotesi di accordo che prevede il contratto a chiamata: vuol dire che resti a casa a disposizione della impresa, che ti convoca in fabbrica quando le serve, con qualche ora di preavviso, in una splendida dimostrazione di comando assoluto sulla vita delle persone. La maggioranze dei delegati della Rsu che condivide questa scelta è composta anche da una parte di delegati Fiom. La Fiom esprime, invece, il proprio dissenso e propone il referendum preceduto da assemblee in tutti gli stabilimenti dove illustrare le diverse posizioni, quella della Fiom e quella di Fim Uilm e Rsu. La proposta viene accolta e unitariamente viene promosso il referendum il cui esito è perfino sorprendente, il 75% delle lavoratrici e dei lavoratori votano contro l’ipotesi di intesa. La trattativa viene riaperta unitariamente e si conclude con la cancellazione dall’intesa, del lavoro a chiamata.
Lo scenario cambia completamente poco dopo, alla Fiat di Cassino: l’introduzione del sistema metrico Tmc2 – che comporta sulle linee un aumento dei ritmi di lavoro e della produttività di circa il 20%. – fa esplodere la protesta delle lavoratrici e dei lavoratori delle linee di montaggio, le assemblee sono infuocate. Fim e Uilm firmano l’accordo, la Fiom è contraria e chiede di fare pronunciare i lavoratori come all’Elettrolux: questa volta la risposta da parte delle altre organizzazioni sindacali è negativa. La Fiom ricorre a norma del regolamento Fiom, Fim, Uilm alla raccolta del 20% di firme per esercitare il referendum, ma la cosa è resa impossibile dalla Fiat che, con il sostegno delle altre organizzazioni, non fornisce l’elenco dei dipendenti. Siamo al preludio di quello che avverrà a livello nazionale.
4. Il movimento altermondialista e pacifista
Con l’evoluzione della situazione politica nazionale e internazionale, sulla base delle scelte congressuali, la Fiom incrocia positivamente la crescita del movimento di opposizione a questo tipo di globalizzazione: a differenza della Cgil, si schiera contro l’intervento militare nella ex Iugoslavia e contro la logica della guerra come strumento della politica, ed è parte attiva fin dall’inizio dell’esperienza del primo Social Forum Mondiale che si tiene a Porto Allegre, dove convivono esperienze, culture diverse e nuove istanze di liberazione.
Sul piano sindacale con il pieno dispiegarsi della globalizzazione appare sempre più evidente la disparità crescente tra un capitale industriale e finanziario che non ha confini e un sindacato su base nazionale. In queste condizioni non si va da nessuna parte perché le lavoratrici e i lavoratori saranno messi tutti in concorrenza, gli uni contro gli altri nell’offrire le migliori condizioni per l’impresa.
Per questo la Fiom apre lo scontro politico nella Federazione europea dei metalmeccanici (Fem) e propone, nella successione di tre congressi europei, di deliberare la fondazione del sindacato europeo dei metalmeccanici, del contratto europeo dei metalmeccanici. Andiamo ripetutamente sotto, Claudio Sabattini prima e il sottoscritto poi; perché nessuno nega il problema posto ma la questione viene diluita in tempi e orizzonti indefiniti e a nulla valgono le nostre argomentazioni che i tempi delle trasformazioni sociali non sono compatibili con i tempi burocratici delle discussioni sindacali e soltanto un elemento di rottura, di discontinuità, di determinazione dei gruppi dirigenti avrebbe potuto rendere credibile questa scelta. Claudio Sabattini traduce la posizione della Fiom in una affermazione precisa. Bisogna decidere “sindacato europeo o sindacato di mercato”, ma il blocco deipaesi del nord Europa guidati dalla Ig-Metall rendono impraticabile questa scelta.
Si arriva in questo modo al rinnovo del biennio economico contrattuale che scade alla fine del 2000. Ma prima dell’avvio della preparazione della piattaforma, avviene un fatto grave. Nel maggio 2000 Alessandro Geri, 27 anni, socio di una cooperativa di servizi informatici che collabora con la casa editrice della Fiom, la S.r.l. Meta Edizioni, viene arrestato e accusato di essere il telefonista della rivendicazione delle BR dell’omicidio a Roma il 20 maggio ’99, di Massimo D’Antona, amico di lunga data della Cgil e della Fiom. Un increscioso incidente perché successivamente, dopo 11 giorni Alessandro Geri viene rilasciato e rientra a lavorare nella sua cooperativa in Fiom proprio perchè le accuse non trovano fondamento e dopo alcuni anni la sua vicenda giudiziaria è stata definitivamente archiviata. Restano le immagini televisive della sede della Fiom e della campagna mediatica sul rapporto tra conflitto sociale e terrorismo. Una vera barbarie. La Fiom esprime da subito una posizione netta: la massima collaborazione con le autorità inquirenti e il fatto che “nessun cittadino è colpevole fino a quando una sentenza a suo carico non sia passato in giudicato”.
La costruzione della piattaforma unitaria è complessa perché il confronto non avviene soltanto sulla quantità della richiesta dell’aumento retributivo ma anche sull’articolazione della richiesta. La Fiom chiede, in applicazione dell’accordo del 23 luglio 1993 e stante la situazione economica, che all’aumento retributivo per la difesa del potere di acquisto si aggiunga uno specifico aumento riferito all’andamento economico del settore. E’ una novità nello scenario contrattuale ed è l’opposto di ciò che sostiene la Confindustria, dentro un quadro generale in cui il sindacato, nella pratica contrattuale nazionale, aveva fatta propria l’interpretazione della Confindustria che escludeva la possibilità di aumenti retributivi che non fossero riferiti al potere d’acquisto.
Dopo un lungo confronto e la riunione dei segretari generali della categoria e delle confederazioni su una piattaforma unitaria che prevede un aumento di 120mila lire per il potere d’acquisto e 15mila lire per l’andamento economico del settore. La piattaforma viene approvata dalle lavoratrici e dai lavoratori con il referendum. Nel corso della trattativa a un certo punto emerge una ipotesi di accordo condivisa da Fim e Uilm che prevede un aumento per la difesa del potere di acquisto di 112mila lire con l’anticipo di ulteriori 18mila lire sul contratto successivo. In sostanza, non soltanto non vi è nulla sull’andamento di settore, ma non si recupera nemmeno il potere d’acquisto (120mila lire) come sostenuto dalla Federmeccanica, perché devono essere scalate le ragioni di scambio cioè l’inflazione importata.
La Fiom chiede alle altre organizzazioni sindacali di non firmare e svolgere il referendum di mandato tra gli stessi lavoratori e lavoratrici che avevano approvato la piattaforma. A fronte della risposta negativa la Fiom convoca l’assemblea nazionale dei delegati al Palasport di Bologna e lo sciopero della categoria per il 2 e 3 luglio 2001, con manifestazioni territoriali. Nell’assemblea dei delegati la Cgil esprime pieno sostegno alla scelta della Fiom. Il 2 luglio 2001, Fim e Uilm firmano l’intesa separata mentre sono in corso gli scioperi ed il 3 luglio, Claudio Sabattini conclude in piazza Maggiore la manifestazione regionale e dice, suscitando varie polemiche, che oltre al Contratto “ci dobbiamo riprendere anche Bologna” (il sindaco era Guazzaloca, sostenuto dal Pdl). E’ un comizio importante perché apre una nuova fase sul piano sindacale e nei rapporti con la società e si conclude con l’invito a partecipare alle giornate di Genova per affermare in occasione del G8 un’altra idea di globalizzazione, contro la frammentazione dei lavoratori, il precariato, il taglio dei salari, cui corrisponde il massimo della concentrazione dei poteri industriali e finanziari.
Il contesto politico è quello del Governo Berlusconi, del programma legislativo sul lavoro (Libro Bianco) ispirato da Marco Biagi e strumentalmente utilizzato nella sua traduzione politica dal Governo e dalla Confindustria. La Cgil e la Fiom fanno fronte comune e questo suscita imbarazzo nel corpo dell’organizzazione confederale, in molti non capiscono quel che sta succedendo perché fermi alle tensioni del Congresso del 1996. Confesso che un po’ mi divertivo nell’assistere alle confabulazioni nei corridoi, segnate dall’angosciosa domanda “fanno finta o fanno sul serio, dove sta il trucco”, un vero e proprio tormentone che durerà per alcuni mesi. Ma se sul versante propriamente sindacale i rapporti tra Fiom e Cgil sono decisamente migliorati, non si può dire la stessa cosa sul terreno dell’analisi della fase e dei rapporti con i nuovi movimenti.
Nell’estate 2001 le confederazioni promuovono a Genova una assemblea sulla globalizzazione a cui partecipano e intervengono i rappresentanti del Social Forum ma non aderiscono alle iniziative e manifestazioni previste per il 20 e 21 luglio. La Fiom e molti militanti della Cgil sono invece presenti a quelle due giornate dove si percepisce immediatamente che è stata predisposta una trappola. Lo si intuisce nella mattinata del 20 luglio quando gli incappucciati distruggono tutto quello che incontrano sulla loro strada senza che ci sia un solo poliziotto a contrastarli, in una città militarizzata. Nella riunione a tarda sera per decidere che cosa fare, dopo gli scontri con la polizia e l’assassinio di Carlo Giuliani, Claudio Sabattini è assolutamente determinato nella scelta di confermare la manifestazione del giorno dopo, perché vi erano centinaia di migliaia di persone che non si potevano lasciare in balia di una dinamica militare preannunciata.
Per queste ragioni nel corso della notte ognuno si doveva organizzare, contattare le delegazioni in arrivo per auto-gestire e proteggere il proprio spezzone di corteo, mantenendosi in contatto per eventuali deviazioni del corteo stesso in relazione a ciò che poteva succedere. Non eravamo in possesso di alcuna informazione sul dove fossero i “black”, sapevamo solo che erano arrivati da diversi paesi e che non erano sparuti gruppi. Nel corso della serata il Pds ritira ufficialmente l’adesione alla manifestazione, mentre la Cgil consiglia alla Fiom di valutare l’opportunità di non partecipare alla manifestazione. E’ risaputo cosa è successo nella giornata del 21 luglio concluso con il massacro alla Diaz da parte della polizia. Alla fine la scelta della Fiom di essere presente in piazza a Genova permise alla stessa Cgil di mantenere un rapporto con quel movimento e quando il 7 ottobre inizia l’invasione dell’Afghanistan – in risposta all’attentato terroristico dell’11 settembre alle Torri gemelle di New York, con migliaia di morti – la Cgil si schiera contro la logica devastante della guerra.
5. Le straordinarie mobilitazioni del 2001 – 2002
Il 14 novembre 2001 la Fiom consegna al ministro del Lavoro 351.000 firme di lavoratrici e lavoratori metalmeccanici, contro l’accordo separato siglato da Fim e Uil e per il referendum. Il 16 novembre è il giorno dello sciopero generale dei metalmeccanici con manifestazione nazionale a Roma in Piazza S. Giovanni, contro l’accordo separato, per un nuovo contratto e per la democrazia. E’ un successo. Non soltanto per la partecipazione di oltre 250.000 persone ma per il clima che attraversa i cortei, per la combattività che si esprime e la presenza di tanti giovani metalmeccanici. In quella manifestazione Fiom e Cgil parlano una sola lingua e a Claudio Sabattini che dice alla piazza “siamo qui, sono tornati i metalmeccanici” Sergio Cofferati risponde, concludendo la manifestazione, “scommettiamo insieme, arrivederci a presto”. Claudio Sabattini è particolarmente felice e nel pomeriggio ci spostiamo a Pesaro dove inizia il congresso del Pds. Il segretario Piero Fassino nella sua lunga relazione non spende una sola parola sulla manifestazione dei metalmeccanici. Claudio Sabattini nello spazio di alcune ore cambia totalmente umore, non riesce a capacitarsi di come un partito che si definisce di sinistra possa a tal punto considerare irrilevanti i lavoratori e le lavoratrici e la democrazia nel lavoro. Il dibattito lo conferma, parlano di altro e Claudio decide di non intervenire. Sosteniamo come molti sindacalisti della Cgil, a partire dal Segretario Generale il documento, di cui primo firmatario Giovanni Berlinguer, alternativo a quello del segretario del Pds che ottiene il 35% dei consensi.
E’ in questo clima, e a fronte delle trattative che porteranno al Patto per l’Italia tra Governo e parti sociali – comprese Cisl e Uil – che interviene sull’articolo 18, sulla libertà di licenziamento e sulla precarietà, che la Cgil avvia la mobilitazione, fino ad arrivare alla manifestazione del 23 Marzo del 2002. Un percorso di mobilitazione a difesa dell’articolo 18, contro la precarietà e per la democrazia sindacale, con assemblee, scioperi e manifestazioni territoriali e regionali decisi nazionalmente che travolgono anche le perplessità di una parte del gruppo dirigente della Cgil. Dopo l’accordo separato dei metalmeccanici arrivano altre rotture: l’accordo separato confederale di Milano sulla precarietà e l’accordo separato confederale nazionale sulle causali per poter accedere ai rapporti di lavoro a tempo determinato, con cui vengono eliminate le causali dei picchi produttivi sostituite da “ esigenze tecniche, organizzative e produttive” cioè praticamente su tutto.
Il 23 Marzo 2002 si svolge a Roma la più grande manifestazione del nostro Paese. Ingrao che viene un attimo sul palco non regge all’emozione e ci dice che non aveva mai visto una manifestazione così imponente. A precederla un momento doloroso, che ne mette in discussione lo svolgimento, l’assassinio di Marco Biagi a Bologna il 19 marzo del 2002. Un atto criminale che ripropone i fantasmi del passato e crea il terreno per una campagna contro la Cgil additata come responsabile morale di quell’assassinio. Nulla di particolarmente nuovo, l’uso del terrorismo per mettere in discussione il conflitto sociale, cioè la democrazia.
In quel momento per ragioni organizzative – per tre mesi – sono contemporaneamente nella segreteria nazionale della Fiom e segretario generale della Cgil regionale dell’Emilia Romagna. Proclamiamo lo sciopero e la manifestazione, ma quando arrivo a Bologna, Piazza Maggiore è già strapiena, c’è stata una reazione popolare e spontanea. Mentre si svolgono gli interventi dal palco vengo informato che la manifestazione del 23 marzo è confermata, una scelta non facile ma giusta perché democratica. Come conferma la piazza che accoglie con un grande applauso l’annuncio di mantenimento della manifestazione nazionale: una vera ovazione da parte degli stessi che nella mattinata appresa la notizia dell’omicidio di Marco Biagi, si erano subito riversati nelle strade senza aspettare le indicazioni del sindacato.
SECONDA PARTE
Il 19 aprile 2002 vengo eletto Segretario Generale della Fiom – Cgil. Gli altri componenti della segreteria sono Giorgio Cremaschi, Tino Magni, Francesca ReDavid e Riccardo Nencini. Indipendenza, democrazia, contrattazione e sindacato europeo caratterizzano in quel momento il profilo della Fiom e della dialettica aperta in Cgil. Si tratta di un’analisi, una pratica rivendicativa e una ricerca che guardano alla necessità di una svolta strategica del sindacato, ritenendo che una fase si sia conclusa con l’egemonia su base planetaria di una sola ideologia, di un unico punto di vista, quello del capitale finanziario e industriale, che ridisegna l’intero assetto sociale e istituzionale, ridefinendo funzioni e ruolo della rappresentanza sindacale in chiave funzionale a questo processo.
In questo contesto la manifestazione del 23 marzo 2002 della Cgil per la democrazia, contro il precariato (libro bianco di Maroni) e la cancellazione dell’art. 18 rappresenta un passaggio centrale per la vita della nostra Organizzazione. Si tratta di capire se si apre una nuova fase nella storia della Cgil, che avrà un seguito anche nella manifestazione del Social-Forum Europeo a Firenze, oppure se si tratta di una iniziativa una-tantum, subita da buona parte del gruppo dirigente. E’ in questo clima che divento Segretario Generale della Fiom, elezione che precede di alcuni mesi, nell’autunno 2002, quella del nuovo Segretario Generale della Cgil, Guglielmo Epifani: nei pochi mesi che separano queste due elezioni nel rapporto tra Fiom e Cgil avvengono alcuni fatti significativi sullo stato della Organizzazione.
Claudio Sabattini viene proposto dalla Segreteria Nazionale della Cgil a ricoprire l’incarico di Segretario Generale della Cgil della Sicilia. Corrono voci strane sul reale impegno di tutta la Segreteria Nazionale, mentre si rincorrono notizie relative all’organizzazione di una opposizione in nome della “sicilianità”. Nella consultazione del Comitato Direttivo della Sicilia la proposta non supera il 50%. Così Claudio Sabattini comunica alla Cgil Nazionale che considera la partita chiusa e ritira la propria disponibilità a procedere con il voto segreto. Appresa la notizia, propongo a Claudio di non avanzare nessuna nuova ipotesi di incarico, per rimanere invece in Fiom. Lui non solo è d’accordo ma mi suggerisce che potrebbe andare proprio dove gli era stato impedito di andare come segretario Cgil. Con il consenso di Rosario Rappa, allora Segretario Generale della Fiom Siciliana, che si mette a disposizione dell’Organizzazione, Claudio Sabattini il 20 luglio 2002, viene eletto, all’unanimità, Segretario Generale dal Comitato Direttivo della Fiom della Sicilia.
6. Il referendum sull’estensione dell’art.18
Successivamente si svolgono due incontri importanti tra la Segreteria della Fiom e quella della Cgil, sul referendum per l’estensione dell’art. 18 a tutto il lavoro dipendente e la scadenza del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro dei metalmeccanici.
Sulla raccolta delle firme per il referendum il Comitato Direttivo della Cgil aveva votato un documento sostanzialmente diverso dalle posizioni espresse dalla Fiom e per tale motivo si trattava di capire se la posizione della Confederazione aveva un carattere prescrittivo per tutte le strutture dell’Organizzazione. La risposta della Segreteria della Cgil, o meglio del Segretario Generale Sergio Cofferati – visto che nell’incontro con la Fiom parlò solo lui mentre gli altri si limitavano ad annuire –fu molto netta: “nessun carattere prescrittivo e le diverse posizioni tra Fiom e Cgil sono parte della naturale dialettica interna ed esterna della Cgil”.
Il secondo incontro avviene sul Contratto Nazionale, avendo alle nostre spalle l’accordo separato sul biennio contrattuale con la cancellazione della democrazia. Le due segreterie Fiom e Cgil convengono sul fatto che in assenza della definizione di procedure democratiche che prevedano il voto – attraverso il referendum – delle lavoratrici e dei lavoratori anche a fronte di posizioni diverse, non si può verificare nemmeno la possibilità di fare una piattaforma unitaria. Concordiamo di dare corso alla elaborazione della piattaforma Fiom con la validazione democratica dei lavoratori.
Nel settembre del 2002 l’assemblea nazionale dei delegati Fiom vara un’ipotesi di piattaforma e promuove il referendum a cui partecipano 460.000 metalmeccanici. La piattaforma è costruita essenzialmente sull’aumento retributivo, sull’orario di lavoro, sull’estensione dei diritti e sulla opposizione al recepimento della Legge 30. Guglielmo Epifani viene eletto Segretario Generale della Cgil il 20 settembre 2002. Contemporaneamente emerge in tutta la sua gravità il caso del Gruppo Fiat, che si trova in una situazione pre–fallimentare: all’inizio dell’autunno l’azienda chiede il riconoscimento dello stato di “crisi aziendale” per accedere agli strumenti conseguenti. Grazie a collaborazioni esterne, come quella di Sergio Cusani, veniamo a conoscenza del testo dell’accordo siglato con la General-Motors, alla fine degli anni ’90 (Amministratore Delegato Paolo Fresco), che prevede la vendita differita nel tempo di Fiat auto (entro il 2009) con la possibilità da parte di Fiat di esercitare questo diritto nel 2004 (in termini tecnici, il PUT). Questo aveva deciso la famiglia Agnelli, da anni impegnata a diversificare le attività del gruppo senza investire risorse sull’auto. Sono mesi convulsi con scioperi e manifestazioni che si susseguono, amministratori delegati Fiat che cambiano continuamente: il tutto approda a Palazzo Chigi alla presenza di gran parte del Governo. Il 5 dicembre 2002 nel pomeriggio, dopo una sospensione del confronto, Governo e Fiat si presentano con un loro verbale d’intesa e chiedono la firma delle Organizzazioni Sindacali, all’insegna del “prendere o lasciare”. In mano hanno un piano inesistente dove le uniche cose certe sono quelle relative alla Cassa Integrazione e prepensionamenti per Mirafiori e Cassino, l’incertezza sul futuro di Pomigliano, il disimpegno da Arese e la chiusura di Termini Imerese. Il confronto si senza nessun accordo sindacale e la Fiom propone l’intervento pubblico sulla proprietà del Gruppo Fiat come garanzia per il futuro degli stabilimenti in Italia. Una proposta che rimane totalmente isolata, nell’era delle privatizzazioni.
In assenza di un accordo nazionale e con gli strumenti acquisiti dal Governo, la Fiat procede a livello di singoli stabilimenti con diversi accordi separati su Cassa Integrazione e prepensionamenti. Ma a Termini Imerese – circa 5.000 dipendenti – esplode la rabbia dei lavoratori e delle lavoratrici che unitariamente decidono di presidiare giorno e notte i cancelli con il blocco totale dello stabilimento avviando una molteplicità di iniziative che in alcuni momenti arriva a paralizzare l’intera Sicilia. Una vertenza che durerà 3 mesi, che si concluderà con la riapertura dello stabilimento e nel corso della quale accade un episodio significativo. Nella dinamica che ho prima richiamato, sta nella materialità dei processi reali il rischio della divisione tra le diverse realtà produttive, tra chi vede chiudere la propria fabbrica e chi accetta gli straordinari per non fare la stessa fine. Da qui, a un certo punto della vertenza siciliana, nasce la decisione della lavoratrici e dei lavoratori di Termini Imerese di “andare a Melfi” per bloccare lo stabilimento più produttivo della Fiat che, con condizioni di lavoro inaccettabili, lavora a pieno ritmo. Ma quando 1.500 lavoratori siciliani bloccano per tre giorni la fabbrica di Melfi, nonostante la generosità dei delegati Fiom lucani, non scatta nessuna scintilla e, anzi, si creano tutti i presupposti – e il rischio concreto – di una dura contrapposizione tra lavoratori. Sarebbe bastata una piccola provocazione per farla esplodere. In quella situazione così difficile i delegati dei due stabilimenti – Termini Imerese e Melfi – furono decisivi nel convincere i lavoratori siciliani a desistere dal continuare il blocco “esterno”, per trasferirsi invece in massa nel corso della notte a Roma e proseguire la lotta con altre forme fino alla sua conclusione positiva. La scintilla a Melfi scoccherà un anno dopo, da “dentro” l’impianto lucano e sulle condizioni di lavoro, con improvvisi cortei interni guidati dai delegati della Fiom.
7. Il nuovo accordo separato del 2003
Negli stessi mesi si svolge la trattativa per il rinnovo del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro dei metalmeccanici. In verità il termine trattativa è improprio perché da subito Federmeccanica – Presidente Alberto Bombassei – detta le condizioni di un possibile accordo, considera incompatibile la piattaforma della Fiom e quindi il confronto prosegue soltanto sulla piattaforma Fim e Uilm che è priva di qualsiasi validazione democratica. Alla scadenza della moratoria sugli scioperi – tre mesi – prevista dalle regole contrattuali è già tutto pronto e il 7 maggio 2003 viene siglato un nuovo accordo separato.
L’intesa prevede sulla parte economica lo stesso meccanismo del biennio precedente, con l’anticipo di una parte dell’aumento retributivo di complessivi 90 euro sul futuro contratto, e, sul mercato del lavoro, recepisce la Legge 30 approvata due mesi prima, costituendo diverse commissioni nazionali per la sua applicazione. Nulla di più, niente nemmeno che sia preso dalle stesse piattaforme di Fim e Uilm, il testo è semplicemente la trascrizione delle condizioni poste dalla Federmeccanica. La Fiom propone a Fim e Uilm il referendum con il reciproco impegno a rispettare l’esito del voto, ma la risposta è negativa. Vengono proclamate 16 ore di sciopero articolato di cui 8 da svolgersi nella stessa giornata con manifestazioni territoriali.
Particolare significato assume in quei giorni la decisione di convocare in Piazza della Loggia a Brescia – luogo della strage fascista del 1974 – l’assemblea nazionale dei nostri delegati (contemporaneamente alla convocazione dell’assemblea nazionale dei delegati Fim e Uilm). Una assemblea di circa 10.000 delegati attraversata da grande tensione e commozione per il sentirsi defraudati di un diritto democratico: in questo consiste il rapporto con quel luogo, con quella Piazza, con quelle lotte. E’ unanuova grave violazione delle pratiche democratiche, ma i mezzi di comunicazione tacciono, come se non fosse successo nulla di particolare. Le stesse reazioni della Cgil, pur esprimendo sostegno e solidarietà, sembrano declinare verso un grave problema “di categoria”. Il mondo politico compreso il maggior partito della sinistra, non entra nel merito perché trattasi di una questione sindacale, limitandosi ad auspicare il recupero dell’unità sindacale. Come dire che la democrazia non è un problema della politica. Ma allora di cosa si occupa la politica? Confesso che ho sempre vissuto, da allora, con fastidio le analisi, le angosciose domande sul come votano gli operai, i lavoratori dipendenti, i precari alle scadenze elettorali, senza mai interrogarsi sulle radici profonde di questo distacco, del senso di isolamento che si è radicato nel corso di questi decenni.
Nelle tante riunioni di quei giorni e negli attivi regionali convocati per discutere le iniziative da prendere di fronte all’accordo separato, oltre a una certa tensione, insieme al consenso sulle posizioni della Fiom emerge come comune sentire il senso di frustrazione e di impotenza insieme alla domanda su come sia possibile riconquistare il tavolo di trattativa in questo disinteresse generale. Ne traggo la conclusione che non è sufficiente riproporre le necessarie iniziative di lotta ma bisognacollocarle in un orizzonte più ampio. Ne discuto con Claudio Sabattini e così nasce la proposta del Congresso straordinario della Fiom perché ciò che è successo non è soltanto un problema della categoria, ma di tutta la Cgil. Quando formulo alla Direzione e successivamente in segreteria la proposta del congresso straordinario capisco di essere in minoranza. In particolare, nella riunione della Segreteria, si va oltre l’espressione di posizioni diverse, arrivando a non riconoscere il mio ruolo di Segretario Generale. La Cgil, nel frattempo, mi fa sapere di non condividere, perché non ne comprende le ragioni, la proposta di indire un Congresso straordinario.
In queste condizioni mi presento al Comitato Centrale con una relazione a titolo personale che oltre alle iniziative sul piano legale prevede l’avvio di una campagna rivendicativa nelle aziende, i precontratti, sulla base di una griglia definita a livello nazionale che abbia come riferimento la nostra piattaforma. Condizione per presentare le piattaforme aziendali è l’approvazione in ogni singola realtà da parte della maggioranza assoluta delle lavoratrici e dei lavoratori, mentre le iniziative nazionali per il contratto devono accompagnare questo processo. Senza questo mandato democratico, non si presenta la piattaforma. Infine propongo per l’autunno 2003 il Congresso straordinario della Fiom –Cgil. Succede il finimondo e il dibattito si concentra sulla proposta del Congresso, anche se rileggendo gli atti di quel Comitato Centrale emergono divergenze sulle stesse iniziative indicate, da parte di chi sostiene che con i pre-contratti si indebolisce la lotta per il Contratto Collettivo Nazionale e da parte di chi, preso da pruriti autoritari, valuta non sufficiente la griglia nazionale ma chiede anche la griglia sui possibili esiti delle trattative aziendali, segnalando in questo modo uno strano rapporto con la democrazia.
Le diverse posizioni che non condividono la proposta convergono sul fatto che non si capisce per quale ragione si debba fare il Congresso straordinario, avendo la Fiom una analisi congressuale condivisa che aveva già detto tutto. Obiezione ben strana da parte di chi contemporaneamente prevedeva che il Congresso avrebbe assunto la caratteristica di una sanguinosa resa dei conti interna. Ma ciò che rendeva drammatica la discussione non era il merito e le diverse posizioni che si esprimevano, bensì le asprezze delle accuse come se per alcuni si trattasse di un atto liberatorio in un’esplosione di giudizi su questioni che covavano da tempo. Così il merito praticamente scompariva: il problema veniva negato, non esisteva; di conseguenza la ragione vera del congresso straordinario doveva essere ricercata altrove. Far rientrare la Fiom nei ranghi della Cgil senza dirlo esplicitamente, questa era l’accusa rivolta, da alcuni, al sottoscritto e a Claudio Sabattini. In sintesi, il tradimento nei confronti dei lavoratori e delle lavoratrici.
E’ utile per capire riportare alcuni brani dell’intervento di Claudio Sabattini:
“Ma qual è veramente il centro del nostro problema? Non a caso questo problema coincide con il centro del problema di questa società, così come riguarda la società europea e riguarda anche gli Stati Uniti d’America: questo centro è la legittimità democratica delle Organizzazioni sociali e dei lavoratori come soggetti delle proprie decisioni. Il centro di questo problema è il fatto che, senza una rivoluzione democratica in Italia, arriveremo inevitabilmente a una società autoritaria pienamente sviluppata…..” e riferito ai pre–contratti “…..Credo che un obiettivo certo che noi ci dobbiamo dare è quello che con tutte le nostre forze dobbiamo comunque impedire che quel contratto venga applicato, perché anche questo è un modo per fare un contratto. Dall’altro lato aprire la fase democratica come condizione indispensabile per la Cgil e per noi stessi se vogliamo diventare un sindacato che rappresenta gli interessi dei lavoratori, perché se veniamo deprivati della democrazia, si deve aprire una lotta generale che riguarda l’insieme del Paese. Dovremo assumere una battaglia di questo genere come centrale, perché per noi è la condizione per poter vivere e, questo, lo si può fare solo con un congresso, perché solo un Congresso può dare dignità e forza a un confronto dentro la Cgil come priorità assoluta, dico assoluta perché senza questa si diventerà pura burocrazia”.
Ovviamente nel Comitato Centrale ci sono interventi di importanti strutture che condividono la proposta, cosi come molti interventi che pur sollevando diverse critiche preannunciano il voto favorevole. Questo tuttavia non muta, non cambia il sentire di quel Comitato Centrale. Quando tutto sembra precipitare nel penultimo intervento il Segretario Generale della Fiom di Milano interviene sostenendo che pur non condividendo la proposta ritiene che il problema posto è reale, non eludibile e indica una norma statutaria che prevede il coinvolgimento degli iscritti come via d’uscita percorribile che eviti la crisi della Fiom. Accolgo la proposta, molto diversa da quella che avevo presentato e questo permette, a tarda notte, un voto quasi unanime del Comitato Centrale, ma in realtà il Comitato Centrale si conclude con Claudio Sabattini che rassegna le dimissioni da tutti gli organi dirigenti della “sua” Fiom.
Il 2 agosto 2003, dopo la manifestazione sulla strage alla stazione di Bologna del 1980, ci incontriamo per decidere, sulla base dei rapporti costruiti a Trento da Evaristo Agnelli e da alcuni sindacalisti locali, di dare corso ad una scuola di formazione sindacale della Fiom di cui Claudio Sabattini sarebbe stato il Direttore con lavoro volontario. Ma la settimana successiva, senza alcun segnale premonitore, improvvisamente inizia il calvario finale per Claudio, perché dopo una normale operazione chirurgica viene svelata una situazione irrecuperabile e senza speranza. Il 3 settembre 2003 Claudio Sabattini scompare.
Quella fase coincide, per il sottoscritto e Claudio Sabattini, con il percorso che avevamo attivato insieme con altri compagni – in particolare con Aldo Tortorella – per ragionare sulle forme e sulla esigenza della rappresentanza politica del lavoro, che non poteva essere la riproposizione di esperienze passate. Una esigenza confermata dal fatto che il maggior partito della sinistra, i DS, fa blocco con Berlusconi nell’invitare i cittadini a disertare le urne in occasione del referendum per l’estensione dell’art. 18 del giugno 2003. Un puro atto di sabotaggio politico. Dal canto suo, la Cgil soltanto negli ultimi giorni invita a votare a favore del quesito referendario. E così concludiamo che in quel momento non ci sono le condizioni per una nuova rappresentanza politica del lavoro nella sinistra politica del nostro paese, dove prevalgono gelosie e settarismo “identitari”, e che alla fine si correva soltanto il rischio di fornire strumenti alla campagna contro la Fiom.
Dopo l’estate si apre la fase dei pre-contratti, accompagnata dallo sciopero generale dei metalmeccanici con manifestazione nazionale il 7 novembre a Roma. L’iniziativa a livello aziendale si sviluppa a macchia di leopardo nei diversi territori, con momenti di grande asprezza in alcune realtà territoriali e situazioni di bassa intensità. E’ una situazione di stallo, mentre ci sono accordi unitari in alcune categorie che recepiscono la Legge 30 e i relativi decreti applicativi. Contemporaneamente si moltiplicano gli Enti Bilaterali.
8. Il conflitto sociale a Melfi
Il 29 – 30 gennaio 2004 il Comitato Centrale della Fiom decide, a norma di Statuto, la convocazione del “Congresso ordinario anticipato” dal 1 al 4 giugno 2004, con la presentazione di due mozioni alternative, quella della maggioranza di cui sono primo firmatario e quella di minoranza di cui primo firmatario è Riccardo Nencini, componente della Segreteria Nazionale. La decisione viene assunta con voto di maggioranza: 82 voti a favore, 24 contro e 15 astenuti. Ma primadell’avvio delle assemblee congressuali, irrompe un duro conflitto sociale che cambia tutto il quadro. Nell’area industriale di Melfi sono in corso vertenze per il pre–contratto in alcune aziende dell’indotto dello stabilimento Fiat Sata, in Arvil, Magneti Marelli, Lear. La Fiat risponde con il “senza lavoro”, cioè mandando a casa le lavoratrici e i lavoratori di Fiat Sata, senza retribuzione per interruzione delle forniture. Cosa che avviene ripetutamente dal 17 al 20 aprile, giorno e notte. E’ chiaro il tentativo della Fiat di contrapporre i propri dipendenti diretti ai lavoratori delle fabbriche dell’indotto. Ma il calcolo è sbagliato, perché avviene l’opposto. A differenza del 2003 la scintilla scocca e il 20 aprile partono i cortei interni e i lavoratori dell’intero sito industriale, Fiat Sata e indotto, con le assemblee decidono la loro piattaforma. Su un semplice foglietto scritto a mano vengono indicati tre punti: 1) equiparazione salariale con gli altri stabilimenti della Fiat; 2) superamento della “ribattuta” – le due settimane consecutive di lavoro notturno – con nuovi schemi di turno; 3) revisione dei provvedimenti disciplinari nei confronti dei lavoratori che sono diventati la norma quotidiana di governo di insopportabili condizioni di lavoro.
Su questa base, escono in corteo dal sito industriale e dichiarano lo sciopero e il presidio dell’intera area industriale 10.000 lavoratrici e lavoratori, e attendono che l’azienda apra un tavolo negoziale. Mi trasferisco a Melfi con Lello Raffo, coordinatore nazionale auto: resteremo a Melfi fino alla conclusione della vertenza. I delegati Fiom sono stati subito i protagonisti di questa vertenza, hanno guidato i cortei interni e diventano punto di riferimento per gli altri lavoratori, perchè non compromessi con il sistema Fiat. Si può tranquillamente affermare che hanno gestito tutto, dall’inizio alla fine, in quelle 21 giornate, comprese le tensioni, le difficoltà di fronte all’intervento della polizia. La storia di quella vertenza è nota, ma ritengo doveroso richiamare alcuni aspetti meno noti e relativi al rapporto tra la Fiom e la Cgil. Nel corso della seconda settimana del presidio, il 27 aprile, vengo convocato a Roma per una riunione dei Segretari Generali della categoria e delle Confederazioni. Quando arrivo a Roma e passo dalla sede della Fiom Nazionale, apprendo dall’Ansa che è in corso un incontro tra i Segretari Generali Cgil, Cisl e Uil e l’Amministratore Delegato della Fiat, Giuseppe Morchio, di cui la Fiom è totalmente all’oscuro.
Nell’incontro successivo tra Segretari Generali ci viene spiegato – o meglio mi viene spiegato – che c’è una via di uscita, per non dire pudicamente un accordo, discusso nell’incontro con l’Ad, Giuseppe Morchio: se i lavoratori sciolgono i presidi e rientrano a lavorare la Fiat è disponibile ad aprire il tavolo di trattativa. Per fare un accordo così non c’era bisogno dell’intervento confederale. Intervengo per ultimo, ringrazio le Confederazioni per l’importante contributo e dico che, per quanto riguarda la risposta della Fiom, me ne torno a Melfi, ne discuto con i lavoratori e poi risponderò. E così la riunione si conclude con il Segretario Generale della Cisl che, alzando la voce, dice ad Epifani che lui ha garantito che sarebbero stati tolti i presidi già in serata. Insomma gli dice che non ha raccontato tutta la verità, la qualcosa, a dire il vero, non mi sorprende. Il giorno successivo sono a Melfi perché è la giornata dello sciopero generale nazionale dei metalmeccanici, promosso dalla Fiom e dello sciopero regionale promosso della Cgil Basilicata. Concludo la manifestazione nel sito industriale di fronte a oltre 20.000 persone, esprimendo apprezzamento per le prime aperture che sembra fare la Fiat, chiedo un confronto senza pregiudiziali, sottolineando il fatto che la valutazione sulle forme di lotta e su come continuare la protesta spettano soltanto ai lavoratori e ai delegati. Non dico a nessuno ciò che era successo a Roma – nemmeno ai dirigenti della Fiom – e discutiamo con le delegate e i delegati sul come impostare l’assemblea del giorno successivo. In serata a Roma la Fiat ci formalizza la richiesta, di cui ero già a conoscenza. Rispondo allo stesso modo del giorno prima e riparto per Melfi.
Quando arrivo, i delegati e alcuni dirigenti Fiom presenti mi dicono che c’è un clima pesante. Ribadisco che dobbiamo tenere ferma la posizione discussa con i delegati, dobbiamo dare un segnale alla Fiat che confermi nello stesso tempo il consenso di massa alla nostra posizione. Per permettere questo confronto dobbiamo chiarire subito che la Fiom è comunque vincolata a quello che decide l’assemblea e che saremmo comunque stati in prima fila a fronte del probabile intervento della polizia – nella notte erano arrivati nuovi reparti – che a questo punto sarebbe stato finalizzato alla militarizzazione del sito, visto l’esito negativo del precedente intervento. Non parlo dell’incontro tra Fiat e Confederazioni perché sarebbe stato un “massacro”, la fine della vertenza. Devo gestire anche il mio stato d’animo, perché consapevole della gravità di quello che era successo, dato che era stato proprio l’accordo separato di Fim e Uilm con la Fiat sulla condanna dei presidi che aveva creato le condizioni per l’intervento della polizia. Infatti dopo quell’accordo avevamo discusso con i delegati e nei presidi che l’intervento era imminente e dovevamo rigorosamente rispondere con la resistenza passiva. Come poi avvenne.
A quel punto si erano determinate le condizioni, la necessaria copertura, per un intervento ben più pesante che avrebbe militarizzato l’intera area industriale. Nel corso dell’assemblea, tanto per allentare le tensioni, ci vengono consegnate altre due ingiunzioni di sgombero arrivando così a quota dodici. Insomma la Fiom e il sottoscritto si giocavano tutto! Decidiamo che Giorgio Cremaschi tenga con assoluta determinazione la presidenza dell’assemblea, e che il sottoscritto apra e chiuda. L’assemblea dura più di 5 ore e ci conferma tutte le difficoltà, ma anche la volontà di restare uniti. I delegati Fiom sono decisivi, anche quelli che avevano espresso forti perplessità, nel costruire le condizioni per una conclusione condivisa. La proposta finale consiste nel fatto che a ogni inizio turno si svolga l’assemblea dei lavoratori per decidere sulla nostra proposta di proclamare 8 ore di sciopero, mantenere i presidi e permettere soltanto l’entrata degli autobus nel sito industriale. La proposta viene votata all’unanimità e la tensione emotiva si scioglie tra abbracci e applausi. Quando arrivano gli autobus, sono vuoti e passano tra invettive e urla di centinaia di lavoratori. Diventano, in realtà, un incentivo per la crescita della partecipazione ai diversi presidi; in sostanza nulla cambia. Il mattino di venerdi 30 aprile riprende e si interrompe subito la trattativa, perché Cisl e Fim abbandonano il tavolo, denunciando la presunta aggressione da parte dei lavoratori contro una delegata della Fim. Inutilmente facciamo presente che la polizia smentisce la veridicità della notizia. In realtà capisco che qualcuno presente alla riunione dei Segretari Generali si è sentito preso in giro dalle decisioni dell’assemblea. E’ facile intuire le reazioni nei presidi quando arriva la notizia che porterà a nuove iniziative, come l’organizzazione del 1° maggio e la manifestazione a Roma del 4 maggio che si conclude davanti alla Fiat.
La trattativa riprenderà nel pomeriggio di sabato 8 maggio e si conclude poco prima delle 7 del mattino di domenica 9 maggio. Vengono accolte le istanze fondamentali della piattaforma e firmano tutte le Organizzazioni sindacali , unitariamente decidiamo il referendum e le assemblee. L’accordo viene approvato con il 78% di voti favorevoli. Successivamente scoprirò che negli apparati della Cgil si era diffuso il “racconto” che il Segretario Generale della Cgil aveva salvato la vertenza Melfi, dove peraltro in 21 giorni di vertenza non si è mai fatto vedere, neppure alla manifestazione di Roma del 4 maggio. Diversamente, gli altri Segretari Generali di Cisl e Uil, sono venuti a Melfi a concludere manifestazioni, indette contro i nostri presidi. Così leggo, nel resoconto di Rassegna Sindacale, che l’assemblea aveva approvato la proposta di Fiom e Cgil di togliere i presidi, dopo l’impegno formale assunto dalla Fiat con i Segretari di Cgil Cisl Uil di fare partire una vera trattativa. Una pura e semplice bugia. Contemporaneamente alla lotta di Melfi è in corso una vertenza e un conflitto sociale altrettanto rilevante alla Fincantieri, con espliciti tentativi dell’azienda e delle altre Organizzazioni Sindacali, di fare accordi separati. Ma i tentativi di contrapporre tra loro i diversi cantieri, non funziona, e la tenuta dei lavoratori permette, anche in questo caso, di arrivare a un accordo aziendale unitario con la validazione democratica del referendum.
9. Autunno 2004, il confronto vero con Fim e Uilm
Di colpo, dopo Melfi e Fincantieri, la situazione è completamente cambiata e si riapre pure il dialogo con Fim e Uilm. Il Congresso “ordinario” della Fiom, dall’1 al 4 di giugno a Livorno, ne risente positivamente, serve ad aggiornare e rilanciare la posizione della categoria, anche in vista del rinnovo del biennio economico. Dopo l’indipendenza – Congresso del 1996 – anche il vincolo del referendum su piattaforma e accordi nazionali e aziendali, diventa norma statutaria. Il voto delle assemblee congressuali che assegnano l’82% alla mozione “Valore e dignita del Lavoro” che ha come primo firmatario il sottoscritto, e il 18% a quella di Riccardo Nencini “Le ragioni del sindacato”, non ci impedisce una conclusione unitaria con un documento che definisce le proposte della Fiom per le prossime scadenze contrattuali. Il Congresso si conclude senza la costituzione al proprio interno di aree programmatiche.
Inizia così, nell’autunno del 2004, la discussione con Fim e Uilm per definire le procedure democratiche per il rinnovo del biennio economico, che scade alla fine del 2004. Un confronto vero perché animato dalla volontà di trovare una soluzione positiva. Si superano faticosamente le iniziali e reciproche diffidenze, ci scambiamo più volte testi scritti in una dinamica di confronto tra tre soggetti sindacali senza la riproposizione delle alleanze degli ultimi contratti. Nel mese di dicembre le Segreterie di Fiom, Fim, Uilm definiscono le nuove regole democratiche. Il testo sulle regole democratiche – insieme alla richiesta di aumento retributivo di 105 euro al V° livello – viene sottoposto al voto referendario. Le regole democratiche sono articolate in sei punti così riassumibili:
1. definizione unitaria in tutte le province del bacino elettorale (imprese e numero di addetti);
2. la piattaforma unitaria è sottoposta a referendum in tutte le aziende di cui al punto precedente;
3. l’assemblea nazionale è composta da 500 delegati comprensivi dei 3 esecutivi nazionali delle Organizzazioni Sindacali, non ha potere vincolante ma consultivo per discutere e valutare l’andamento delle trattative;
4. Fiom, Fim Uilm si impegnano a consultare l’assemblea nazionale perché esprima un giudizio prima della fase conclusiva del negoziato;
5. Fiom, Fim, Uilm, indiranno un referendum di mandato sull’ipotesi conclusiva anche se richiesto da una sola Organizzazione Sindacale;
6. Fiom, Fim Uilm, attivano unitariamente un indicatore di rappresentatività sulla base dei risultati elettorali delle Rsu (Rappresentanze Sindacali Unitarie), a partire dal 1 gennaio 2005.
La trattativa inizia molto male, con Federmeccanica che propone un aumento retributivo che oscilla tra i 60 e 70 euro, chiedendo, come contropartita, l’allargamento della flessibilità ma soprattutto la “esigibilità” della stessa, previa informazione alle Rsu. Non ci aiutano le notizie che arrivano da altri tavoli contrattuali dove si inventano formule come la “flessibilità tempestiva”. La vertenza dura 12 mesi. E’ sorprendente la tenuta dei metalmeccanici, in un crescendo di scioperie di iniziative creative che confluiscono nello sciopero generale unitario, con la manifestazione del 2 dicembre 2005, a Roma in Piazza San Giovanni. Alla fine, il 19 gennaio 2006 viene firmato l’ipotesi di accordo. Prevede un aumento retributivo di 100 euro al V° livello con relativa una tantum per i mesi scoperti dalla scadenza dell’accordo, l’istituzione sperimentale di una cifra annuale di 130 euro per i lavoratori delle aziende scoperte dalla contrattazione di 2° livello, e sulla flessibilità, un allargamento dei settori interessati la cui esigibilità è condizionata dall’accordo con le Rsu. Il tutto viene approvato da un referendum, con il 75% di consensi.
In una vertenza durata un anno, sono state decisive le regole democratiche – confermate anche per il rinnovo contrattuale – che hanno permesso di mantenere l’unità tra le Organizzazioni Sindacali. Le diverse posizioni che ci sono sempre in una trattativa anche in relazione alle mosse della controparte, diventano oggetto di confronto tra le Segreterie, la delegazione trattante, l’assemblea dei 500, ma non si traducono in rotture, perché la strada dell’accordo separato è impraticabile per tutti. Insomma, la democrazia è un incentivo, una condizione per la stessa unità sindacale.
10. La Fiat di Marchionne e Montezemolo
E’ probabile che anche le dinamiche del Gruppo Fiat abbiano aiutato a un rinnovo unitario del biennio economico. La famiglia Agnelli è attraversata da eventi tragici con la scomparsa nell’arco di breve tempo di Gianni Agnelli il 24 gennaio 2003 e Umberto Agnelli il 27 maggio 2004. Viene definito un nuovo assetto del gruppo dirigente con le dimissioni di Giuseppe Morchio da Amministratore Delegato, sostituito da Sergio Marchionne e, con Luca Cordero di Montezemolo, che assume la carica di Presidente Fiat.
Come spesso accade in queste situazioni si svolge un incontro informale tra il nuovo Amministratore Delegato e il Segretario Generale della Fiom che va oltre i convenevoli e le solite cose che si dicono in queste occasioni. Sergio Marchionne mi dice che vuole un rapporto trasparente e diretto con la Fiom dopo quello che è successo a Melfi. Mi comunica che la Fiat è in stato fallimentare, la chiusura di Termini Imerese è un falso problema. Il vero problema è la chiusura di tutti gli stabilimenti del gruppo Fiat auto. Per queste ragioni la priorità assoluta è quella di acquisire risorse finanziarie e Marchionne annuncerà nei giorni successivi che offre gratis la Fiat auto – compresi i debiti – alla General-Motors, esercitando il Put previsto per il 2004, ma consensualmente spostato al 2005, dai due gruppi industriali. Il nuovo Ad del Lingotto ritiene che la General Motors,pur di non prendersi la Fiat, sarà disponibile a pagare un prezzo elevato, perché con gli americani non esiste il grigio, che appartiene all’Europa, ma solo il bianco o il nero.
Successivamente dovranno essere fatte altre operazioni finanziarie, come per esempio Italenergia. Capisco due cose: che la famiglia ha rinunciato al settore auto e che, al nuovo Amministratore Delegato, è stata data carta bianca su tutto, mentre Montezemolo è addetto alle relazioni pubbliche. Nei mesi di luglio – agosto 2005, scade anche l’accordo con le banche – quello del 2002 – che prevede il “convertendo” cioè la trasformazione del credito bancario in azioni che modifica l’assetto proprietario delgruppo Fiat. Il gruppo Fiat è assolutamente scalabile e ci sono due/tre gruppi industriali e finanziari interessati ad acquisire la Fiat perché costa molto poco. Ma come è risaputo la Fiat è potente in questo paese, politicamente protetta da tutti, e attraverso una operazione di dubbia legalità riesce a mantenere il 30% della proprietà e le vicende processuali di quelle operazioni non sono ancora concluse. E’ questa la fase, che durerà fino alla fine del 2006, degli interventi pubblici di Sergio Marchionne “innovatore”, quello che apre alle nuove relazioni sindacali, che afferma che il costo del lavoro non è il problema principale, sostenendo il suo argomentare con varie citazioni che spaziano dalla musica alla filosofia. Leggo interventi di numerosi dirigenti della sinistra che si disputano la “collocazione” di Marchionne, collocandolo alcuni nel filone liberal – democratico, altri in quello socialdemocratico. In realtà la cultura delle relazioni sociali di Sergio Marchionne è quella anglosassone, ma in quella fase la priorità era di altra natura. Tutto ciò avviene mentre proseguono le iniziative sindacali nel gruppo Fiat, sul futuro del gruppo, da Mirafiori a Termini Imerese, anche con forme e modalità che coinvolgono le città, come a Torino. Non mi sento di escludere che a quel punto anche la Fiat abbia considerato non utile radicalizzare ulteriormente lo scontro sociale.
11. La Finanziaria “complessivamente negativa” di Prodi
Nell’inverno-primavera 2006 – alla vigilia delle elezioni politiche che porteranno alla elezione del Governo di Romano Prodi – si tengono le assemblee congressuali della Cgil. Il congresso nazionale Cgil di marzo, risente del periodo elettorale, ed è tutto proiettato sul terreno di un nuovo Patto Sociale con il futuro governo, di cui fa parte l’intera sinistra, e la necessità di un accordo tra le parti sociali, per una “manutenzione” del sistema contrattuale del 1993. Nulla cambia, è un classico del rapporto Sindacato – Governo amico. Su ambedue le questioni la posizione della Fiom è diversa: non condividiamo la scelta del patto sociale – dicasi concertazione – proponiamo una linea rivendicativa nei confronti del Governo a partire dallariforma fiscale a dal superamento della Legge 30. Riteniamo sbagliato proporre una manutenzione del sistema contrattuale del ’93, come se fosse un fatto di ingegneria contrattuale, perché significa non capire nulla di quello che sta succedendo a livello nazionale e internazionale.
Il congresso della Cgil si svolge non su mozioni contrapposte ma a tesi, e questo permette, un apparente articolarsi delle posizioni. Sono primo firmatario di due tesi su democrazia e sistema contrattuale. Sottolineo il termine “apparente” perché nel corso delle assemblee congressuali si scopre l’esistenza di un patto sottoscritto dai 12 componenti della Segreteria Cgil Nazionale che, qualunque siano gli esiti congressuali, garantisce, per la formazione dei futuri organi dirigenti le stesse percentuali, tra maggioranza e minoranza, del precedente congresso (si chiamano equilibri politici). Anche per questo il Congresso della Fiom propone al Congresso Cgil un ordine del giorno sulle regole democratiche dei congressi che sono ormai palesemente inesistenti. Concludo la mia relazione al Congresso Fiom con un ricordo:
“Compagne e compagni, avevo pensato di dedicare questo contratto a un compagno, al Segretario Generale della Fiom scomparso qualche anno fa. Poi ho riflettuto sul fatto che ognuno deve prendersi le sue responsabilità, ed è di cattivo gusto, è sbagliato coprirsi con chi non c’è più e non può esprimere il suo parere. Per questo, non per il contratto, ma per il fatto che nei prossimi giorni le lavoratrici e i lavoratori metalmeccanici esprimeranno con il Referendum il loro consenso o il loro dissenso all’ipotesi di accordo. Questo si, lo dedico a chi si è battuto fino alla fine per questa scelta, a chi ha avuto questa intuizione strategica. Lo dedico a Claudio Sabattini”.
Nel corso del Congresso Fiom, interviene Gino Strada, fondatore di Emergency a cui viene consegnata la tessera onoraria della Fiom in un patto solidale “contro la guerra senza se e senza ma”. Questa scelta avrà un seguito nel successivo Congresso Fiom con Pietro Ingrao che interverrà con un collegamento video. Con il nuovo Governo Prodi, e dopo l’entusiastica reazione del Segretario Generale della Cgil, che apre l’assemblea nazionale della Cgil a Milano affermando che “la Finanziaria è stata scritta a quattro mani”, le cose si complicano, perché la fase congiunturale positiva viene piegata dal Governo a una logica rigorista, nei confronti del lavoro dipendente, mentre interviene per alleggerire i costi delle imprese. Nello stesso tempo i precari equilibri politici di una compagine governativa che ha la maggioranza di un solo voto al Senato, tendono sempre più a prevalere rispetto alla dinamica del confronto sindacale. Il giudizio della Cgil sulla finanziaria parla di “luci e ombre”, per la Fiom è “complessivamente negativa”, e in alcune realtà si svolgono scioperi unitari. In particolare, non si interviene sul mercato del lavoro, mentre si espande il lavoro precario ed emergono situazioni aziendali come Atesia, dove migliaia di lavoratrici e lavoratori dei call-center, sono assunti con contratti di collaborazione. Nasce in questo modo l’assemblea che si svolge nel mese di luglio, al cinema Brancaccio di Roma, che promuove la manifestazione “STOP PRECARIETA’” per il 4 novembre. Un arco di forze molto ampio, che fanno parte del Social- Forum aderisce all’iniziativa, compreso alcune categorie della Cgil. La Fiom aderisce con un documento del Comitato Centrale. Sono conosciute le perplessità della Cgil, che pochi giorni prima della manifestazione, utilizza una manchette giornalistica dei Cobas sulla manifestazione, per chiedere alle categorie, con un comunicato pubblico della Segreteria Nazionale, di non partecipare alla manifestazione. Questa decisione mi era stata anticipata telefonicamente nel corso della serata, e la mia immediata risposta non è stata delicata.
Sabato 4 novembre 2006, oltre 100.000 persone partecipano alla manifestazione, e la presenza della Fiom è impressionante. E’ scattato, in tutto il corpo dell’Organizzazione, quello che alcuni chiamano “l’orgoglio Fiom”. In piazza tutto fila via pacificamente, lo stesso Romano Prodi dichiara che quella non è una manifestazione contro, ma di critica nei confronti del Governo. Così l’oggetto dello scandalo viene trovato nella presenza di uno striscione – dicasi uno – contro il Ministro del Lavoro Cesare Damiano. Lunedì mattina 6 novembre, informo la Segreteria Fiom che, su mia richiesta, devo incontrare il Segretario Generale della Cgil per comunicargli le dimissioni da Segretario Generale Fiom, perché, se quel comunicato della Segreteria aveva un significato prescrittivo, conosco le regole dell’OrganizzazioneIl Segretario Generale della Cgil mi chiede di ritirare le dimissioni, informo la Segreteria Fiom e accetto la richiesta. Concordiamo la sua partecipazione al Comitato Centrale della Fiom previsto per il 27 e 28 novembre, dove avrà luogo una discussione politica esplicita sulle diverse posizioni che sono legittime nella Cgil.
TERZA E ULTIMA PARTE
All’inizio del 2007, mentre è avviato il percorso di preparazione della piattaforma unitaria Fiom, Fim Uilm per il rinnovo del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro – che scade a giugno – e, nel pieno dello sviluppo della contrattazione aziendale, si apre una pagina dolorosa. Nella notte tra il 12 e 13 febbraio vengono arrestate 10 persone e vengono consegnati 4 avvisi di garanzia per attività terroristica. Sarebbero il nucleo di una nuova organizzazione armata. Di questi, 10 sono lavoratori iscritti alla Cgil, di cui una parte alla Fiom, in particolare a Padova. La campagna mediatica e denigratoria nei confronti della Cgil e della Fiom è immediata, secondo il solito e noto schema di considerare il conflitto sociale come “brodo di cultura” del terrorismo.
Sulla Fiom scatta una particolare attenzione e, uno dei quotidiani nazionali più importanti, preannuncia che sono in arrivo altri 20 mandati di arresto e avvisi di garanzia per delegati e dirigenti della Fiom, di cui alcuni stanno partecipando a una trattativa nazionale (che non esiste). Si alimentano le voci più strane, che portano una importante azienda metalmeccanica di Milano a smentire che sia stata messa sotto sequestro la sede sindacale della Fiom e il computer. Il PM, Ilda Bocassini, convoca una conferenza stampa per smentire questa campagna mediatica. Appresa la notizia mi reco immediatamente a Padova, dove viene convocato urgentemente l’attivo dei delegati Fiom. La nostra gente è sconvolta, intervengono giovani delegati che sono compagni di lavoro di alcuni arrestati che non si capacitano di quello che è successo, perché è risaputo che chi sceglie l’attività clandestina, non richiama su di sé l’attenzione per posizioni troppo radicali. Ho l’impressione che ci sia in giro troppo nervosismo e, dico alla Cgil, che i diritti costituzionali vanno garantiti per tutti, e noi, dobbiamo applicare rigorosamente le norme dello Statuto, e non altro. Questa campagna contro la Cgil e la Fiom finisce il 17 febbraio, la giornata della manifestazione nazionale a Vicenza contro l’insediamento di una nuova base militare Usa, con centinaia di migliaia di persone. Dal versante contrattuale si determina un incrocio tra la nostra vertenza per il contratto e l’iniziativa Confederale.
Gli esecutivi unitari di Cgil, Cisl, Uil approvano la piattaforma per il confronto con il governo sui temi del Welfare, sviluppo e pubblico impiego. Piattaforma che non viene sottoposta alla validazione dei lavoratori e dei pensionati, ma semplicemente illustrata nelle assemblee. Fiom, Fim Uilm elaborano la piattaforma unitaria per il rinnovo del Contratto Nazionale sulla base della conferma delle regole democratiche e convocano il referendum per il 13 –15 Maggio. Essendo un rinnovo del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro, affronta diversi aspetti della condizione normativa e retributiva che è possibile riassumere in alcuni elementi essenziali:
7. ampliamento ed estensione dei diritti di informazione;
8. rafforzamento del ruolo contrattuale delle Rsu a partire dall’orario di lavoro e delle Rls su ambiente e sicurezza;
9. sperimentare una nuova struttura dell’inquadramento professionale;
10. limiti all’utilizzo nei nuovi rapporti a tempo determinato e trasformazione a tempo indeterminato;
11. estensione dei diritti per i lavoratori stranieri;
12. aumento retributivo per tutti i lavoratori di 117 euro al V° livello, e ulteriori 30 euro per i lavoratori delle aziende non coperte dalla contrattazione aziendale.
Il 23 luglio 2007 è convocato il Comitato Direttivo della Cgil per approvare l’intesa raggiunta con il governo, che tra le altre cose prevede sulle pensioni, la riduzione dello “scalone” di Maroni in “scalini”, ma non muta nè la sostanza, ne la direzione di marcia. Ma c’è una sorpresa finale. Il testo presentato a Palazzo Chigi dal Governo, non prevede alcuna modifica su contratti a termine e staff leasing, mentre prevede la decontribuzione sugli straordinari e la defiscalizzazione dei premi di produttività aziendali. Dopo una discussione che pare persino vera, il Comitato Direttivo decide di approvare il testo dell’intesa accompagnato da una severa lettera del Segretario Generale al Governo, che denuncia le nostre riserve sui punti sopra indicati. Credo che nessuno si sia accorto di questa soluzione innovativa, soluzione che serve soltanto a ricompattare buona parte del Comitato Direttivo. Viceversa il 10 – 11 settembre il Comitato Centrale della Fiom dopo una lunga discussione si conclude con l’approvazione di un documento “ Il Comitato Centrale non approva l’intesa del 23 luglio 2007 su Previdenza, lavoro e competitività pur esprimendo un apprezzamento…..” e conclude “il Comitato Centrale della Fiom valuta positivamente la decisione di Cgil, Cisl, Uil di promuovere una consultazione certificata delle lavoratrici e dei lavoratori e dei pensionati, ed applicherà rigorosamente le modalità che saranno definite dagli esecutivi di Cgil, Cisl Uil convocati per il 12 settembre”.
In questo modo la Fiom esprime il proprio dissenso, e nello stesso tempo, dichiara che si atterrà alle regole della consultazione confederale che prevede, che il dirigente sindacale che svolge l’assemblea, illustri la posizione di Cgil, Cisl Uil. Non mi sottraggo a questo compito e svolgo diverse assemblee, attenendomi a questo dispositivo, con una buona dose di masochismo e di contestazioni come alla Sevel in Abruzzo. Durante lo svolgimento della consultazione, dove tutto viene auto-gestito senza alcun controllo democratico dagli apparati del sindacato, vengo consigliato, da alcuni esponenti delle altre Organizzazioni Sindacali, di fare attenzione perché il voto negativo dei metalmeccanici si fermerà al 49%. In realtà alla sera, in occasione dello scrutinio, succede qualche cosa di strano, in alcune importanti regioni del nord arrivano pacchi di migliaia di schede di aziende metalmeccaniche sconosciute, portati da esponenti di una Organizzazione sindacale, e tutte con un voto univoco. Le commissioni preposte approvano tutto, non sollevano alcuna obiezione, e gradualmente scende il voto contrario dei metalmeccanici da oltre il 60% al 52%. Chiedo conto alla Segreteria Nazionale Cgil di quello che sta succedendo, e gli comunico che se non si fermano. mi ritengo libero da qualsiasi vincolo di Organizzazione. Non saprei cosa sia veramente successo, ma di una cosa sono sicuro, il risultato finale della categoria si è fermato al 52,3% di voti contrari.
12. Guglielmo Epifani alle prese con “l’anomalia” della Fiom
Il 22 – 23 novembre 2007 si svolge il Comitato Direttivo della Cgil che reca al primo punto dell’Ordine del giorno “valutazione dell’esito della consultazione”. La relazione di Guglielmo Epifani è l’ennesima auto-celebrazione, che usa la partecipazione e l’esito del voto referendario di oltre cinque milioni di persone, come la conferma dell’ottimo stato di salute dei Sindacati ed in particolare della Cgil. Un consenso crescente, usando più volte la comparazione con l’esito del referendum sull’accordo delle pensioni del ’95, sottolineando il fatto che i metalmeccanici avevano bocciato l’intesa soltanto con il 52%, a differenza del 55% in occasione dell’accordo sulle pensioni. Sorrido, pensando a cosa avrebbe detto, se il risultato fosse stato del 49%. E’ risaputo che nelle consultazioni confederali e nei congressi la partecipazione al voto è sempre superiore a quelle precedenti, perchè il gruppo dirigente deve sempre dimostrare di essere migliore di quello che lo ha preceduto.
Afferma che c’è soltanto un problema relativo al dissenso espresso dall’area programmatica di “Lavoro e società”, che fa parte della maggioranza, e soprattutto di una struttura sindacale come la Fiom. Il Comitato Direttivo si conclude con un documento approvato a maggioranza che cita “ su questo è necessario, sulla base della relazione di Epifani aprire un confronto approfondito nell’insieme dell’Organizzazione, da concludersi entro il mese di novembre con una nuova riunione del Comitato Direttivo Nazionale. Ciò si rende necessario poiché il dissenso manifestatasi su un accordo confederale di grandissimo significato, nel caso della Fiom, chiama in causa una intera struttura, il suo rapporto con la Confederazione e le altre strutture, e, per il futuro la legittimità di un voto di struttura nel caso di accordi confederali”.
Mentre l’insieme della Cgil è impegnata in questa complessa e approfondita discussione, per il futuro del Paese, cresce la mobilitazione dei metalmeccanici per conquistare il rinnovo del Contratto Nazionale di Lavoro. La Fiom non partecipa a quella discussione perché impegnata a fare altro, ma colpisce che mentre siamo nel vivo del conflitto sociale per riconquistare il Contratto Nazionale Unitario, la Cgil è impegnata a discutere il comportamento della Fiom: è la plastica rappresentazione di come le grandi burocrazie operano per meccanismi propri a prescindere dalla realtà, da quello che sta succedendo. La trattativa è difficile, con una controparte che è attraversata da evidenti divisioni, che trovano una sintesi comune sulla richiesta della “esigibilità”, intesa come straordinari, flessibilità dell’orario, utilizzo dei P.A.R. – Permessi Annui Retribuiti – a disposizione unilaterale di ogni singola impresa. Ad un ceto punto, dopo una lunga sospensione della trattativa, si presenta l’intera delegazione trattante della Federmeccanica che ufficialmente ci vuole consegnare un testo, prendere o lasciare.
Ci facciamo illustrare il documento ma rifiutiamo di ritirarlo, per non sancire la rottura della
trattativa, e replichiamo, illustrando le nostre posizioni per arrivare a un accordo.
La trattativa è formalmente sospesa e dopo un complicato confronto tra le Segreterie decidiamo di chiedere l’intervento del Ministero del Lavoro per verificare le condizioni per la ripresa del negoziato. Non chiediamo il coinvolgimento delle Confederazioni. La notte del 6 dicembre 2007 alla ThyssenKrupp di Torino fiamme alte dieci metri, un inferno di fuoco, una morte terribile per 7 operai trasformati in torce umane, altri feriti. Uno stabilimento quello di Torino di cui era previsto il trasferimento alla ThyssenKrup di Terni e la direzione stava “spremendo” i lavoratori incurante dei relativi sistemi di sicurezza concepiti come un costo inutile per l’impresa. Un omicidio e lo sgomento, la rabbia pervade non solo la città, ma l’intero paese. Questa rabbia si esprime anche nella manifestazione del 10 dicembre, con oltre 25.000 persone, che concludo faticosamente in Piazza Castello a Torino. Emerge, in questo modo così estremo, la realtà delle condizioni di lavoro, di un agire delle imprese che ritengono un costo tutto ciò che non è quantificabile in profitti.
Nel frattempo, sul contratto, a fronte della disponibilità del Ministro del Lavoro, Federmeccanica non si può sottrarre e tenta di porre la pregiudiziale della sospensione degli scioperi. La nostra risposta unitaria è che la controparte non può pretendere di intervenire sulle scelte delle Organizzazioni Sindacali. Il Ministro del Lavoro, Cesare Damiano, svolge un ruolo positivo in questa esplorazione, con incontri separati con Federmeccanica e Organizzazioni Sindacali che richiedono alcune giornate., Nel mentre crescono scioperi e manifestazioni con una forte visibilità esterna e il clima diventa sempre più effervescente. Il Comitato Centrale della Fiom viene convocato più volte, e vota a grande maggioranza in diverse occasioni, prima di arrivare all’ipotesi finale.
Lo spazio è molto stretto, il blocco delle imprese rappresentate dalla Fiat non vuole fare il contratto e il testo che avevano presentato, ne rappresenta la piena espressione. Nella previsione che eravamo giunti alla stretta finale il Comitato Centrale della Fiom, composto da 180 delegati e delegate viene convocato in seduta permanente, presso il salone della Cgil Nazionale per avere un rapporto ed una verifica immediata sull’andamento degli incontri in corso al Ministero. Abbiamo notizie di riunioni vivaci della nostra controparte con vari tentativi di proposte, che ci venivano trasmesse dal Ministro, mirate a produrre una divisione tra Fiom Fim Uilm. Questi tentativi non hanno esito e si arriva alla definizione di una ipotesi di intesa sull’orario di lavoro che conferma le 40 ore settimanali e non accede all’orario annuo, un allargamento delle causali ai picchi produttivi sulla flessibilità la cui esigibilità è condizionata dall’accordo con le Rsu, aumento dello straordinario comandato di 8 ore passando da 32 a 40 ore; dalla quota dei PAR -Permessi Annui Retribuiti – ad uso collettivo una giornata su richiesta dell’azienda può essere spostata nell’anno successivo e parità normativa operai impiegati a partire dal 1 gennaio 2008.
L’aumento retributivo è di 127 euro e la quota annuale di 260 euro per i dipendenti delle aziende dove non si svolge la contrattazione aziendale diventa strutturale come nuovo elemento contrattuale chiamato “elemento perequativo”. Il Comitato Centrale della Fiom approva a larga maggioranza l’ipotesi di intesa che illustro senza alcuna enfasi, definendolo un “compromesso soddisfacente”. Il referendum approva con il 76% di voti favorevoli. Alcuni giorni dopo si apre la crisi del Governo Prodi e il percorso che porterà alle elezioni anticipate e a un nuovo Governo Berlusconi. Credo che sia di un certo interesse sottolineare l’importanza di questo passaggio anche a fronte di una vulgata informativa, culturale e politica di questi anni che vuole rappresentare la Fiom come il Sindacato che non fa accordi. Le lavoratrici e i lavoratori metalmeccanici hanno riconquistato con la democrazia il Contratto nazionale unitario, sarà l’accordo separato Confederale e le scelte sbagliate della Cgil sulla democrazia, ad interrompere il percorso unitario dei metalmeccanici. La Fiat, nell’ultima fase della trattativa è scomparsa: aveva maturato la decisione del superamento del Contratto Nazionale considerato un ostacolo che impone vincoli sociali al libero dispiegarsi delle esigenze di ogni singola impresa e/o gruppo industriale. Per questo, all’indomani dell’accordo, l’Amministratore Delegato Sergio Marchionne dichiara che questo è l’ultimo Contratto Nazionale dei metalmeccanici. E’ una scelta maturata nel passaggio tra l’emergenza finanziaria e l’investimento industriale dopo il fallimento del primo piano industriale, quello del 2007-2010, che aveva dimostrato tutta la sua inconsistenza. La Fiat non ha le risorse adeguate e continua ad accumulare ritardi sui nuovi modelli produttivi, sulla ricerca e sulla innovazione di prodotto. E’ in questo contesto, con i primi segnali della crisi, che la Fiat lavora alla definizione di un nuovo piano industriale fondato sul superamento di tutti i vincoli sociali a partire dal Contratto Nazionale.
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13. Il riconoscimento istituzionali per coprire le proprie debolezze.
Per la Cgil tutto continua come prima, nessuna lettura o analisi di cosa si muove nelle controparti e nelle forze politiche nell’impatto con la crisi. Ciò che prevale è la logica dei rapporti personali,degli affidamenti con questo o quell’altro personaggio, a partire da Montezemolo. Invece di interrogarsi sul come ricostruire ed estendere, in una situazione profondamente cambiata, una rappresentanza sociale ed una pratica rivendicativa in grado di parlare ed organizzare la molteplicità dei rapporti di lavoro precari, che tenga insieme diritti e lavoro, ci si illude di salvarsi, di coprire le proprie debolezze con riconoscimenti istituzionali. In questa logica si arriva perfino a sdoganare l’UGL della Polverini, per ragioni incomprensibili. Nasce in questo modo il documento Cgil Cisl Uil per aprire un confronto con Governo e Confindustria per un nuovo sistema contrattuale universale. Un documento, una proposta che non ha nessuna validazione democratica.
La Conferenza di Organizzazione della Fiom è prevista per il 15 – 16 maggio 2008 a Cervia ma è preceduta da un fatto di estrema gravità. Due ore prima dell’inizio del Comitato Direttivo della Cgil convocato per approvare la proposta Cgil, Cisl e Uil sul sistema contrattuale, vengo a conoscenza della decisione del Comitato di Garanzia della Lombardia di sospendere per sei mesi, con il ritiro della tessera, la Segretaria Generale della Fiom di Milano e per tre-quattro mesi gli altri dirigenti della Segreteria. L’accusa è non avere impedito di entrare in un attivo di delegati Fiom a Sesto San Giovanni, svoltosi un anno prima, un ex delegato Fiom che aveva ricevuto un avviso di garanzia – poi caduto nel nulla – legato alle indagini sul terrorismo. La ritengo una vigliaccata, un puro atto di intimidazione nei confronti della Fiom. Prima dell’inizio dei lavori del Comitato Direttivo chiedo di intervenire e comunico che venuto a conoscenza di questa decisione abbandono i lavori del Comitato Direttivo e dichiaro che i miei destini personali sono legati a quello dei dirigenti della Fiom di Milano. Tralascio, per pudore, le ipocrite dichiarazioni sull’autonomia della magistratura interna, constato semplicemente che il Segretario Generale della Cgil Lombardia è Susanna Camusso.
Partecipo a Milano al Comitato Direttivo della Fiom convocato d’urgenza che vota all’unanimità la fiducia alla segreteria e alla Segretaria Generale, Maria Sciancati, e concorda la impugnazione dei provvedimenti con un ricorso alle istanze superiori che determina la sospensione dei provvedimenti. In questo clima si svolge la conferenza di organizzazione che diventa un vero e proprio congresso. Lo si percepisce immediatamente dalla tensione di quella platea, dalla attenzione e dal silenzio con cui vengono seguiti per due giornate i diversi interventi. Nella relazione ribadisco puntigliosamente le ragioni del nostro dissenso, nel merito e nel metodo, sul documento confederale e, sul piano organizzativo, proponiamo di lavorare per la costruzione delSindacato dell’Industria. Il Segretario Generale della Cgil preso da tanti impegni, arriva, interviene e riparte. Afferma che “….non è questo il tempo della divisione tra noi” e aggiunge “….può rappresentare un problema che una grande struttura esprima un orientamento diverso”, se ciò avvenisse non mancherebbero “le conseguenze”, anche perchè “….senza uno sforzo comune, si tratta di un fatto personale, mi sono battuto in prima persona per l’intesa su questo impianto del documento unitario”.
Nelle conclusioni ricordo a tutti e in particolare alla Cgil che, per quanto mi riguarda, sono in attesa di sapere l’esito del ricorso della vicenda di Milano. Appare subito chiaro per come si sviluppano i tavoli di confronto con Governo e Associazioni Padronali, che le Organizzazioni Sindacali hanno scelto di andare a una diversificazione dei tavoli negoziali, mettendo cosi a rischio l’universalità del sistema contrattuale. Questa scelta viene esplicitata al Comitato Direttivo della Cgil, dove si afferma, che Confindustria è la punta più avanzata tra i diversi soggetti in campo. Per questa ragione, a luglio 2008, nasce l’iniziativa congiunta di Fiom e Funzione Pubblica di convocare, nell’ambito della festa Fiom a Torino, una riunione dei due Comitati Direttivi Territoriali, con la presenza dei rispettivi Segretari Generali. Prende corpo un percorso comune che avrà un seguito nei mesi successivi quando diventa sempre più evidente il possibile esito della trattativa confederale.
All’inizio del mese di dicembre, a Roma, si svolge l’assemblea nazionale di 5.000 delegati Fiom che decide lo sciopero generale di 8 ore della categoria per il 12 dicembre, contro le misure del Governo Berlusconi e per la democrazia. Nel corso della assemblea vengo informato che la Segreteria della Cgil intende proclamare 4 ore di sciopero generale con manifestazioni territoriali per il 12 dicembre. La Segreteria della Fiom sospende la propria iniziativa e confluisce nello sciopero generale della Cgil.
Una decisione di sospensione e non di annullamento, che ci permette alla fine di dicembre, di decidere insieme alla Funzione Pubblica lo sciopero generale di 8 ore delle due categorie per il 13 febbraio 2009 con manifestazione nazionale a Roma. Privati e pubblici insieme mentre si sviluppa l’operazione politica di mettere gli uni contro gli altri. La Cgil a partire dal Segretario Generale non condivide questa decisione anche perchè la scadenza per l’eventuale accordo confederale è fissato per la fine di gennaio. Il 22 gennaio 2009 viene firmato l’accordo separato sul sistema contrattuale tra Confindustria, Cisl e Uil. Una enormità perchè il sistema contrattuale costituisce il cuore del sistema di regole sociali di un paese.
Cisl e Uil rifiutano il referendum, il voto dei lavoratori e delle lavoratrici, affermando in questo modo il loro consenso a una torsione autoritaria del Paese voluta dalla Confindustria e dal Governo.
14. Il tema della democrazia come vero e proprio spartiacque
La democrazia diventa centrale, un vero e proprio spartiacque rispetto ai processi in atto nella crisi a livello nazionale e europeo. La Cgil promuove un piano di mobilitazione con raccolta di firme, referendum tra i lavoratori che boccia l’accordo, iniziative delle categorie e dei pensionati. Il 13 febbraio 2009, il Segretario Generale della Cgil conclude, in Piazza San Giovanni a Roma, la manifestazione nazionale con sciopero dei metalmeccanici e del Pubblico Impiego, sulla democrazia. Il tutto confluisce nella manifestazione nazionale della Cgil di sabato 4 aprile 2009 al Circo Massimo. Nel comizio conclusivo il Segretario Generale della Cgil invece di rilanciare la democrazia come questione centrale dell’intero paese compie l’operazione opposta. La democrazia scompare e la richiesta diventa il tavolo di confronto con il Governo. Non si capisce più, a quel punto, per quale ragione la Cgil non abbia firmato l’accordo del 2009, se non per il fatto che lo sciopero generale proclamato dalla Fiom e Funzione Pubblica per il mese di febbraio, rendeva molto complicato per la Cgil sottoscrivere quell’intesa alla fine del mese di gennaio.
Questa era la vera ragione che aveva portato Guglielmo Epifani, in nome della confederalità, a tentare in tutti i modi di opporsi alla iniziativa proclamata dalle due categorie per il 13 febbraio, fino a minacciare che non avrebbe svolto il comizio conclusivo. Il messaggio alla Confindustria, alla Fiat e al Governo è assolutamente devastante, perchè se è possibile escludere la Cgil da un accordo sul sistema contrattuale senza alcuna validazione democratica e non succede nulla, vuole dire semplicemente che è possibile fare tutto, non c’è più alcun argine di tenuta. Le forze politiche e in particolare il PD possono stare tranquilli, non hanno bisogno di pronunciarsi, di scegliere perchè ci pensa la Cgil a risolvere il loro problema. Avviene l’opposto di quello che abbiamo fatto come metalmeccanici per riconquistare la democrazia e il contratto unitari. Si spiegano, in questo modo, le tante cose successe nel corso di questi anni: la Fiom per la Cgil non è più l’espressione di una forte dialettica interna, ma un problema che in quanto tale bisogna tentare di risolvere.
I rapporti con Cisl e Uil riprendono come se non fosse successo nulla. Si svolgono riunioni dei Segretari Generali di categoria Cgil per definire il nuovo orientamento che si traduce nel rispetto delle scadenze contrattuali definite nell’accordo separato e nelle piattaforme unitarie che siano un po’ migliorative di quell’accordo, mentre sulla democrazia ognuno cerchi di trovare qualche soluzione. Fim e Uilm ci informano che le regole democratiche che avevamo concordato non esistono più perché non sono previste nell’accordo confederale e che nel rispetto delle nuove scadenze contrattuali procedono alla presentazione della piattaforma per il rinnovo del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro. Pare incredibile ma sono Fim e Uilm che mandano alla Federmeccanica la disdetta del Contratto Nazionale unitario che avevamo firmato l’anno precedente. Tento di compiere in questa situazione un operazione azzardata, prima che abbiano inizio le trattative contrattuali per i meccanici. Informalmente verifico con Federmeccanica la possibilità di un rinvio per due anni della scadenza contrattuale a fronte della situazione di crisi con un accordo sulla estensione dei contratti di solidarietà come strumento prioritario, un aumento retributivo una tantum accompagnato da una comune richiesta di detassazione nei confronti del Governo. Registro un certo interesse, ma successivamente mi viene spiegato che non è possibile perché l’accordo separato confederale deve essere immediatamente applicato nella categoria dei meccanici per quello che i metalmeccanici rappresentano sindacalmente e politicamente. Si apre una deriva inarrestabile perchè la strada è tracciata, nell’incrocio tra atti legislativi e accordi separati che portano alla devastazione totale dei diritti, delle tutele e della contrattazione.
15. La scelta della mozione congressuale “La Cgil che vogliamo”
Le altre Organizzazioni Sindacali, in particolare la Cisl, hanno fatto una scelta precisa che perseguono lucidamente nel ridefinire funzione e ruolo del sindacato del futuro. Il Contratto Nazionale leggero, di cornice, sempre più svuotato di significato per le lavoratrici e i lavoratori, una contrattazione aziendale di adattamento alle esigenze di ogni singola impresa e una legislazione finalizzata a questo obiettivo. In questo quadro gli Enti Bilaterali diventano parte decisiva sia finanziariamente sia nella costruzione del rapporto con il lavoro frantumato. Il welfare aziendale costituisce l’altro pilastro di questa costruzione, dalla previdenza alla sanità del sindacato del futuro.
Per questo fanno contemporaneamente accordi unitari e accordi separati a seconda delle convenienze, come avverrà anche nel 2011, dove contemporaneamente appoggiano l’art.8 che distrugge la contrattazione e siglano l’accordo unitario del 28 giugno 2011; la stessa cosa avverrà con l’accordo separato sulla produttività nel 2012 successivamente firmato unitariamente sul Decreto attuativo del Governo che è puramente applicativo dell’art.8. Per fare tutto ciò Governo, Confindustria, Cisl e Uil, con la subalternità della Cgil, hanno avuto bisogno di cancellare la democrazia e non permettere alle lavoratrici e ai lavoratori di votare e decidere su piattaforme e accordi che riguardano la loro condizione. I Sindacati, Governo e Confindustria fanno e disfanno accordi sui contratti e sulle deroghe aziendali, come fossero di loro proprietà, relegando i diretti interessarti -lavoratrici e lavoratori – a spettatori senza diritto di parola.
Per quanto mi riguarda è questa la ragione che mi porta a decidere – con altri Segretari Generali di categoria, Carlo Podda della Funzione Pubblica e Domenico Moccia della Fisac – di sottoscrivere una mozione congressuale “La Cgil che Vogliamo”, alternativa a quella della maggioranza. Lo ribadiamo più volte che non vogliamo costruire una area programmatica che abbia un futuro oltre il congresso ma che vogliamo aprire una discussione sul futuro della Cgil perchè la logica del meno peggio è distruttiva, visto l’aggravarsi della crisi dei paesi di vecchia industrializzazione che rende esplicita la stessa crisi del sindacato e della rappresentanza sociale. La mozione, stante le attuali procedure congressuali, è l’unico strumento a disposizione per aprire questa discussione. Alla prova dei fatti si è rivelata una illusione rispetto al corpo della Cgil, alla sua predisposizione a interrogarsi, a riflettere visto la drammaticità della condizione sociale delle persone che vogliamo rappresentare. Nelle assemblee degli iscritti, non si discute di nulla, tutto viene oscurato da una campagna informativa della Cgil, che nega la stessa esistenza di posizioni diverse di merito, per sostenere che il problema vero è una questione di posti di potere nell’organizzazione.
Una vera indecenza, e la partecipazione degli iscritti e delle iscritte, come avviene tutte le volte è ovviamente superiore a quella del congresso precedente. Faccio una banale riflessione sul fatto che con questo meccanismo si andrà rapidamente ad avere più votanti che iscritti. Soltanto nei congressi nazionali di categoria, quando tutto è già deciso, si riconoscono le differenze. Il Segretario Generale della Cgil interviene al congresso della Fiom e ci spiega che la posizione prevalsa in Fiom, è molto diversa da quella della Cgil, su analisi della situazione, democrazia e contrattazione. Ci spiega che la Cgil prevede un percorso che attraverso gli accordi unitari delle categorie si possano creare le condizioni per arrivare nel 2013, quando è prevista la verifica sull’accordo separato del 2009, alla ricomposizione unitaria. Rimango allibito. Nelle conclusioni lo ringrazio per quello che ha detto e gli dico semplicemente che avrei gradito che quelle cose le avesse dette all’inizio della campagna congressuale per permettere alle lavoratrici e ai lavoratori di sapere per che cosa stavano votando.
Il Congresso Nazionale della Cgil è privo di qualsiasi elemento di vivacità, si poteva tranquillamente svolgerlo in mezza giornata. L’unico momento di interesse è quello relativo alla discussione sullo Statuto. Proponiamo come mozione congressuale alcune modifiche allo Statuto:
· composizione degli organi di magistratura interna che non hanno alcuna garanzia di terzietà;
· procedure congressuali democratiche basate sulla pari dignità delle mozioni;
· rapporto con le categorie nelle trattative di titolarietà negoziale confederale.
Le prime due modifiche che ineriscono le condizioni minime della democrazia in Cgil, vengono respinte, la terza proposta di modifica deve misurarsi con un emendamento sullo stesso argomento presentato dal Segretario Generale della Cgil. E’ chiaro che il riferimento è il comportamento della Fiom nel referendum sul welfare. La nostra proposta consiste nel definire un percorso che permetta alle categorie di essere coinvolte e pronunciarsi prima della decisione finale del Comitato Direttivo della Cgil. La proposta del Segretario Generale, che viene approvata e diventa norma statutaria, afferma che soltanto il Comitato Direttivo della Cgil può esprimersi su piattaforme e accordi di natura confederale. Non è una marginale questione statutaria ma cambia l’idea stessa di confederalità nel rapporto con le categorie, un aspetto decisivo della storia della Cgil. Per questo nella mia dichiarazione di voto contrario, affermo e accuso il Segretario Generale di attuare una mutazione genetica della Cgil senza esplicitarla.
Il Congresso si conclude con la conferma di Guglielmo Epifani e la reintroduzione della figura del vice segretario con la Susanna Camusso che da tempo, con una adeguata campagna di stampa e relativi cambiamenti avvenuti nella composizione della Segreteria, è stata predestinata a svolgere il ruolo di Segretario Generale della Cgil.
16. La copertura data all’operazione avviata da Marchionne
Il congresso si è svolto nella stesso periodo in cui la Fiat annuncia il nuovo piano industriale ”Fabbrica Italia” per il 2010 – 2014 fondato su una analisi sbagliata che prevedeva il crollo delle aziende automobilistiche tedesche simile a quello avvenuto negli Stati Uniti. Il destino degli stabilimenti italiani era di risulta rispetto alle operazioni internazionali. Se l’operazione Opel fosse andata in porto, lo stabilimento di Pomigliano oltre a Termini Imerese era destinato alla chiusura, come ho potuto verificare direttamente dai piani industriali presentati all’Ig Metall.
E’ proprio a partire da Pomigliano che Sergio Marchionne esplicita il significato del superamento del contratto nazionale. Vuole dire che non esiste più la contrattazione ma semplicemente il regolamento della Fiat, rispetto a tutto ciò che riguarda la condizione lavorativa e retributiva, considerata come variabile dipendente rispetto alle esigenze delle imprese. I sindacati che firmano il regolamento hanno il compito di garantirne l’applicazione compresa la negazione del diritto di sciopero in cambio della agibilità sindacale. I sindacati che non firmano devono essere distrutti, fuori dalla storia, perché come ci spiegò Sergio Marchionne in un confronto sindacale, la sfida del futuro è la guerra tra le imprese su base globale dove ogni impresa è una comunità in guerra con le altre comunità. Una idea del lavoro, della società e del mondo.
Tutti fanno finta di non capire e, di fronte al plebiscito organizzato dalla Fiat a Pomigliano, anche le strutture locali e regionali della Cgil, invitano pubblicamente le lavoratrici e i lavoratori a votare per Sergio Marchionne. Il Segretario Generale della Cgil non interviene rispetto a queste posizioni e quindi di fatto le copre. Mi è rimasta la forte sensazione che in molti, in troppi, avevano garantito all’Amministratore Delegato, Marchionne, che avrebbe ottenuto oltre l’80% delle adesioni, e che, a quel punto, ci sarebbe stato un coro assordante per chiedere alla Fiom la fantomatica firma tecnica. Mirafiori, ex Bertone, contratto nazionale Fiat, sono le tappe successive di questo processo, di questa idea di negazione del conflitto e della democrazia. Pochi mesi dopo la conclusione del Congresso della Fiom e ad una settimana dal voto di Pomigliano, si conclude il mio mandato di Segretario Generale e viene eletto dal Comitato Centrale Maurizio Landini Segretario Generale della Fiom. Una scelta importante perchè rappresenta anche un salto generazionale non soltanto per ragioni anagrafiche ma per esperienza sindacale e politica.
Per quanto mi riguarda, non chiedo nulla alla Cgil, che peraltro si guarda bene dal formulare una proposta, ed avendo acquisito il diritto alla pensione, anche se con i soli 39 anni di anzianità, scelgo di svolgere la mia attività nell’Area programmatica “La Cgil che Vogliamo”, come volontario e senza alcun rapporto formale con la Cgil. Alcuni mesi dopo scade il mandato per Guglielmo Epifani, che assume un importante responsabilità in un istituto sindacale prestigioso. La mia personale sensazione è che sia stato parcheggiato con auto, autista e ufficio stampa in attesa di essere candidato alle elezioni politiche, come è puntualmente avvenuto. E’ forte l’impressione che ormai siamo di fronte ad aspetti degenerativi della vita della Organizzazione utilizzata per proprie ambizioni personali. Nel pieno dispiegarsi della crisi e dell’offensiva contro i lavoratori, le lavoratrici e i pensionati compare un testo di intesa tra Confindustria, Cgil, Cisl e Uil del 28 giugno 2011, che definisce le procedure per la validazione dei contratti aziendali e non dice nulla sulla approvazione dei Contratti Nazionali di categoria e confederali. E’ un nuovo modo di fare trattative. Non esiste delegazione trattante, le categorie non sono minimamente coinvolte, in un confronto che interviene sulla contrattazione nei luoghi di lavoro, la cui titolarità è delle categorie e delle RSU.
Il Comitato Direttivo della Cgil decide di svolgere una consultazione degli iscritti senza alcuna regola democratica; consultazione che viene sospesa perchè nel frattempo il Governo ha approvato l’art. 8, che è la pura e semplice trascrizione legislativa delle richieste della Fiat con l’appoggio di Confindustria Cisl e Uil.
Nel mese successivo Confindustria, Cgil Cisl e Uil sottoscrivono un foglietto dove confermano l’accordo del 28 Giugno 2011, ma non chiedono la cancellazione dell’art. 8. Emma Marcegaglia, Presidente di Confindustria invia una lettera a tutte le aziende dove riassume il tutto e afferma che le imprese “hanno a disposizione l’art. 8 e l’accordo del 28 giugno 2011”. La Cgil riprende la consultazione degli iscritti come se non fosse successo nulla e dichiara che l’accordo è stato approvato. E’ una farsa, lo sanno tutti, ma tutti stanno zitti. Chiediamo come Area Programmatica che siano resi pubblici i risultati del voto disaggregati per aziende e territori, ci viene risposto che non è possibile perchè ci sono soltanto i dati aggregati, che per ragioni di tempo, sono stati trasmessi telefonicamente.
17. 28 giugno 2011: la confederalità secondo Susanna Camusso
L’accordo del 28 giugno 2011, rappresenta un passaggio che va raccontato, perchè esprime la fotografia dello stato della Cgil. Mentre partecipiamo a Bergamo, Maurizio Landini e il sottoscritto alla presentazione della pubblicazione “Ritorno di Fiom”, in un dibattito coordinato da Gabriele Polo, riceviamo un messaggio sms, che siamo convocati urgentemente per il mattino successivo per una riunione dei segretari generali, di categoria e confederali, perchè è stato raggiunto l’accordo con la Confindustria sulle regole contrattuali per le vertenze aziendali. Comprendiamo immediatamente che nelle riunioni del Comitato Direttivo, sono state dette delle falsità sul fatto che le posizioni erano distanti e pertanto non esistevano testi su cui poter discutere e pronunciarsi. Viceversa trovano piena conferma le notizie che da settimane ci arrivavano dalle controparti sulla stesura dell’intesa.
Evaristo Agnelli, una forza della natura, si offre per portarci a Roma in auto nel corso della notte. Scommetto con Landini che non avrebbe ricevuto alcuna telefonata per spiegargli che cosa avevano concordato, perchè era evidente che volevano risolvere il problema della Fiom e del suo Segretario Generale. Cosi è stato, e alle 9 del mattino, ci viene consegnato il testo che prevede la validazione degli accordi aziendali con il voto delle R.S.U. – nulla si dice sulla consultazione delle lavoratrici e dei lavoratori interessati – e l’apertura alle deroghe aziendali “modificative” del CCNL (Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro). Temo la reazione di Maurizio Landini, nel mio immaginario ci sono le sue dimissioni e la felicità contenuta per ragioni diplomatiche, di gran parte dei presenti a quella riunione. Per fortuna Maurizio Landini trova in se la forza e l’energia di esprimere la contrarietà all’accordo del 28 giugno 2011, ormai firmato dalle Confederazioni ed in quanto tale impegnativo per tutte le strutture e, rilancia sul Contratto Nazionale e sul voto delle lavoratrici e dei lavoratori, come istanza superiore da cui discende la contrattazione aziendale.
Con quell’accordo, nel merito e nel metodo, la Susanna Camusso esplicita come concepisce la confederalità, in assoluta continuità con Guglielmo Epifani che non solo continua a partecipare alle riunioni del Comitato Direttivo, ma senza alcun pudore interviene più volte a sostegno della nuova segretaria nazionale, rendendo la situazione alquanto imbarazzante. Una struttura piramidale dove le categorie sono una pura e semplice articolazione della confederazione. Probabilmente conta per la Susanna Camusso, l’esperienza svolta nei metalmeccanici negli anni ’90, come responsabile del settore auto, a partire dall’accordo unitario firmato da Fiom, Fim Uilm nello stabilimento Fiat di Termoli, sulla estensione dei turni e successivamente bocciato dalle lavoratrici e dai lavoratori con il referendum, fino ad arrivare, dopo diverse vicende contrattuali molto controverse avvenute in altri stabilimenti, alla sua sostituzione, decisa dal Segretario Nazionale Fiom, dall’incarico di responsabile del settore auto.
Ormai è tutto possibile, compreso il fatto che Federmeccanica nell’inseguimento alla Fiat e con la complicità di Fim e Uilm, escluda la Fiom dal tavolo contrattuale e la Cgil consideri ancora valido l’accordo del 28 giugno 2011. Successivamente si arriverà perfino a un Comitato Direttivo Cgil, dove la Segretaria Generale Susanna Camusso propone un testo che sancisce la sconfitta della Fiom alla Fiat che in quel contesto assume il significato del commissariamento della Fiom. Alla fine il testo viene ritirato perché la discussione del Comitato Direttivo diventa troppo vivace.
Anche questo episodio testimonia della irritazione, della sofferenza con cui la Cgil vive il fatto che la Fiom è diventata uno dei riferimenti principali delle forze di opposizione al Governo Berlusconi, nel mondo intellettuale, nei movimenti e nelle lotte degli studenti. Si arriva alla crisi del Governo Berlusconi che in Europa non è più considerato affidabile per la rigorosa applicazione delle decisioni assunte da Bce, Commissione Europea e Fondo monetario. Un governo, un Presidente del Consiglio screditato e impresentabile. Le forze sociali, o meglio le loro rappresentanze, dalle banche alle Organizzazioni Sindacali, elaborano un documento comune articolato in sei punti – tra cui il “pareggio di bilancio” – per chiedere “la discontinuità” rispetto al Governo Berlusconi. Emma Marcegaglia, presidente della Confindustria a nome di tutte le Organizzazioni, compresa la Cgil, tiene una conferenza stampa per illustrare questa posizione.
Nella crisi politica che si apre, questa posizione contribuisce di fatto alla nascita del Governo Monti, che interviene praticamente su tutti gli aspetti della condizione sociale. Pensione, precarietà, articolo 18, ammortizzatori sociali, contratti nazionali, riduzione della spesa sociale, completano la pura e semplice distruzione di tutte le conquiste del movimento sindacale. Mentre Cisl e Uil sostengono queste scelte la Cgil copre con roboanti affermazioni – sospensione della democrazia”, “40 anni numero magico”, “art. 18 non si tocca” – l’assenza di una propria piattaforma e la conseguente apertura di un vero conflitto sociale. Per questo le stesse iniziative della Cgil che cambiano gli obiettivi ogni settimana, fino ad arrivare alla condivisionedell’abolizione di fatto dell’art. 18, non hanno alcuna credibilità nel rapporto con le persone.
La Cgil ha scelto la testimonianza ritenendo che la vera partita si sarebbe giocata a livello elettorale. E’ questo, oltre alla democrazia, un altro aspetto che emerge nel vuoto strategico della Cgil che viene riempito nella perdita dell’autonomia e della indipendenza. Lo conferma la recente campagna elettorale, dove l’impegno della Cgil è stato tutto rivolto alla elaborazione di un Piano del Lavoro per la prossima legislatura come strumento per un nuovo patto sociale, con la coalizione di centrosinistra data per vincente. Contemporaneamente si sottoscrivono accordi come quello sulla produttività che prevedono la detassazione degli straordinari. Come dire, da una parte la propaganda “il piano per il lavoro” e dall’altra la pratica sindacale “l’incentivazione degli straordinari”.
Il voto ci consegna una realtà completamente diversa, che non parla soltanto alle forze politiche ma direttamente al Sindacato e alla Cgil. Le forze politiche e le rappresentanze sociali sono individuate come responsabili del massacro sociale avvenuto in questi anni. La Cgil nel corso di questi anni è già cambiata nella sua vita democratica, nelle forme di finanziamento del Sindacato, nelle degenerazioni burocratiche e autoritarie, nella costante riduzione della sua rappresentanza sociale. Abbiamo toccato il punto più basso della nostra storia confederale e questo deriva dal fatto che la Cgil non ha mai riconosciuto la radicalità del cambiamento che si è determinato con la globalizzazione, guidata da un solo punto di vista, quello del capitale industriale e finanziario.
Il sindacato può scegliere di diventare parte di questo processo oppure di essere espressione di un altro punto di vista autonomo e democratico che richiede un impianto strategico, una pratica rivendicativa, una nuova struttura organizzativa.
Vi racconto la mia Cgil è stato pubblicato su Alternative per il socialismo (prima parte 25, aprile 2013; seconda parte 26, giugno 2023; terza parte 27, luglio-agosto 2013)
Category: Lavoro e Sindacato