Franca Bimbi: Per Vittorio Capecchi

| 2 Ottobre 2023 | Comments (0)

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L’8-9 settembre 2023, all’Università di Messina, Dipartimento di Scienze  Politiche e Giuridiche, si è svolto il Convegno di metà mandato della Sezione «Vita Quotidiana» dell’Associazione Italiana di Sociologia, dal titolo «Ri-generazioni di senso comune e interdipendenze globali. Sfide per l’immaginazione sociologica». La Sezione (coordinatrice Angela Perulli, segretario Flavio Ceravolo) ha deciso di dedicare il Convegno a Vittorio Capecchi. Pubblichiamo qui l’intervento di Franca Bimbi, che, assieme a Marco Ingrosso e Enzo Mingione, è stata invitata ad aprire i lavori con un ricordo di Vittorio. Nel 1984 Vittorio Capecchi era stato tra i primi proponenti della Sezione, che in quell’anno, il 15-16 giugno, a Bologna, fu costituita ufficialmente e chiamata « Riproduzione sociale, vita quotidiana, soggetti collettivi ». Per l’occasione fu organizzato il Convegno «Strutture e strategie della vita quotidiana»: nel 1986 ne furono pubblicati gli Atti, a cura di Franca Bimbi e Vittorio Capecchi. Marco Ingrosso e Enzo Mingione, già collaboratori di Inchiesta, furono tra i fondatori della Sezione.


Franca Bimbi

PER VITTORIO CAPECCHI

Almeno per me è troppo presto per chiedermi chi è Vittorio Capecchi per la sociologia italiana, dal punto di vista della sua riflessione teorica, del fare ricerca, dei suoi contributi all’innovazione epistemologica, della sua presenza costante nel richiamarci a un lavoro scientifico naturalmente integrato in una prospettiva di sociologia pubblica. Tuttavia, non è troppo presto – anzi è già un po’ tardi, temiamo – per continuare a interrogarci sociologicamente con più forza, anche attraverso Vittorio, sui rapporti tra tempo vissuto, tempi della vita quotidiana e differenti contesti di vita. Oggi, possiamo verificare, forse più drammaticamente, le fratture tra gli ambiti politici e accademici – ufficiali e istituzionali – e gli ambiti sociali in cui si esprimono i conflitti interconnessi tra classi, età, “razze” e generi.

Viviamo come in un tempo ultimo (Butler 2022), in cui, tra Covid 19 e una guerra più europea di quel che avremmo potuto immaginare, si sono incuneati anche il Ferragosto di Kabul 2021 e il giugno 2022 della sentenza della Corte Suprema sull’aborto (Bimbi 2023). Questi eventi, in qualche modo tutti vicini a noi, costituiscono traumi esperienziali e narrazioni ancora in progress che, quasi in sequenza, hanno interrotto il flusso del nostro tempo, schiacciandolo su un presente che sembra invariante (Antentas 2020). Traballa la nostra capacità di rassicurarsi, e di rassicurarci l’un l’altro, sulle corrispondenze tra i tempi sociali e le personali illusioni biografiche, e inoltre, sociologicamente, ci sentiamo in difficoltà nel mantenere una distanza critica dalla traballante historicité occidentale. Come studiosi e intellettuali, da sempre vaccinati rispetto a certezze definitive, tuttavia viviamo lo stesso disorientamento del “cittadino ben informato”, che, in preda a un’incertezza ansiosa, viene sommerso dal moltiplicarsi di narrazioni emergenziali.

Per questo ogni morte vicina -nella sequenza delle emergenze concrete che costellano il percorso ultimo di noi, vecchi agiati e intelligenti- ci lascia più attonite e sbigottite, come con un sussulto, per la strada che si fa più incerta, nel vivere questo presente assoluto e nel riflettere sulle sue densità. Tuttavia, continuiamo a voler scambiare ostinatamente, con una cerchia affettiva e riflessiva che si fa sempre più ristretta, l’allegrezza della nostra personale vita vissuta, riservando un’ironia caustica (certo non consolatoria) verso chi ogni giorno non manca di farci memoria della nostra sconfitta storica. A me pare che l’assenza fisica di Vittorio ci spinga a considerare -a occhi asciutti e un po’ forzatamente sbarrati- sia gli esiti più regressivi delle narrazioni emergenziali dei conflitti sociali che le forme maggiormente resilienti e prefigurative degli antagonismi, che comunque irrompono nel dominio omologante del tempo presente. Ecco la ragione per essere qui, con l’offerta, a chi ascolta, anche delle letture che mi sono state necessarie per poter avvicinare Vittorio, assente, e con il ringraziamento per questa presa di parola donata: la ricevo e la scambio nell’assonanza che ho trovato tra l’intenzione programmatica di questo Convegno della Sezione Vita Quotidiana e la memoria, intensa ma sicuramente imprecisa, del mio primo incontro con Vittorio Capecchi, tra la nascita della Sezione «Riproduzione sociale, vita quotidiana, soggetti collettivi», durante il primo Convegno (1984) e la pubblicazione del Volume «Strutture e strategie della vita quotidiana» (1986).

Per ripensare all’imprinting dell’incontro e al sound del legame che ne seguì, ho riletto alcuni scritti di Vittorio, nel tentativo di ricollocarmi in quell’esperienza, in quella relazione e in quel tempo. Mi ha colpito – per le dinamiche sociopolitiche del passato – la ripresa di una ricerca su Bologna e Napoli condotta da Vittorio con Enrico Pugliese e pubblicata su Inchiesta nel 1978. Nel 2016, ritornando su quel lavoro, Vittorio si chiede che cosa significhi aggiornare i dati e cosa veda di diverso nel paesaggio. Le due domande richiedono una riflessione autobiografica che lo riporta agli eventi di Bologna del marzo 1977 con l’analisi della scoperta collettiva – quasi improvvisa – della disgiuntura tra la città delle istituzioni e quella dei movimenti, sulla fine della narrazione di un “passato equilibrio”, su una sintesi divenuta impossibile tra intelligenze governanti e intellettuali radicali o intransigenti. Del resto, pochi mesi dopo, nel settembre 1977, proprio a Bologna, dove ero arrivata anch’io, le disgiunture si palesarono tutte, anche dentro i Movimenti (Ginsborg 1989).

Sull’ipotesi delle due società (Asor Rosa 1977), chiave di lettura della crisi italiana forse troppo sintetica, si ragionava allora da punti di vista differenti, ancora con qualche illusione. In quel tempo, con memorie diverse, che rendevano non necessariamente comune il nostro senso comune, il mio primo incontro con Vittorio continuò per un periodo quasi quotidiano, di apprendistato e formazione intensiva da parte mia, dal quale ricevetti il dono abbastanza immeritato del volume curato assieme (la distanza accademica tra gli Ordini era molto alta in quell’ AIS neonata). La rilettura della nostra Introduzione al Volume e del suo saggio («Classi sociali, diversità, ruolo del sociologo») mi ha condotto a cercare anche tracce precedenti della sua biografia intellettuale in testi in inglese e in francese, che mi sembrano sfuggiti al recente dibattitto italiano sulla sociologia italiana.

L’Antologia in inglese di Diana Pinto (1981) sulla sociologia italiana nel periodo 1950-1980, con il dibattitto iniziato sulla Revue française de sociologie (Pinto 1980, Rossetti 1982, e Pinto in risposta a Rossetti 1982), sono interessanti anche per ripensare alla nascita della Sezione Ais-Vita Quotidiana. Pinto respinge l’interpretazione di Rossetti, per il quale «la sociologia italiana resta una disciplina tributaria e dipendente in una situazione semicoloniale» ed offre un’interpretazione «culturale e politica» della sociologia italiana del dopoguerra, sottolineandone la «ricchezza della problematica […] come rivelatrice delle poste in gioco sociologiche internazionali». Capecchi è indicato come ben conosciuto in Francia per la direzione di Quality & Quantity. International Journal of Methodology. Pinto, nel primo articolo in francese, traccia un profilo di sociologo matematico che fonda Inchiesta perché la crisi degli anni ’70 (sempre una crisi!) l’ha “convertito” a un approccio più ampio che si esprime anche nella direzione dell’Ufficio Studi della Fiom. Nell’Antologia gli autori scelti sono ritenuti «membri di questa generazione che saranno al centro della contestazione della fine degli Anni Sessanta e che sosterranno il nuovo consolidamento della disciplina negli Anni Settanta». A parte Franco Ferrarotti e Alessandro Pizzorno sono tutti della stessa generazione. Le citazioni di Balbo, unica donna pubblicata, con L’inferma scienza (1975) e Stato di famiglia (1977) sembrano unire la contestazione accademica a quella politico-sociale. Molti degli autori li avevamo già trovati in Inchiesta e li ritroveremo nel 1984, alla fondazione della Sezione. Pinto presenta una sintesi delle ipotesi sul «caso italiano». Il saggio di Vittorio Capecchi costituisce un’Appendice, focalizzata sui metodi di ricerca, che ha tuttavia l’obiettivo epistemologico e politico di affrontare «il ruolo contraddittorio dell’intellettuale (nel senso di Gramsci) all’interno della lotta di classe». Si tratta della ripresa di un testo del 1972, frutto della relazione al Convegno nazionale di Torino sul ruolo del sociologo (1971). In Theory and Society (1981), ragionando ancora sulla sua ricerca, Pinto aveva disegnato l’effervescenza della società italiana degli Anni ’66-’72, con i «movimenti collettivi che nascevano ovunque, nei piccoli villaggi del Sud come nelle aree più industrializzate». Per quegli anni, da lei considerati come il periodo del consolidamento della nostra sociologia, l’autrice indica Inchiesta e la Critica Sociologica come le due riviste che segnano una delle svolte cruciali nella definizione del profilo professionale dei sociologi italiani. Vittorio Capecchi, secondo Pinto, propone Inchiesta come tramite tra la ricerca sociologica e i movimenti collettivi, sperando che le analisi offerte possano diventare concretamente utili ai problemi affrontati dai differenti attori.6Questa è l’intenzione e la prospettiva di una sociologia pubblica.t

Si trattava di una speranza, non di un’esortazione prescrittiva, e dunque segnalava una postura critica. Tuttavia, già all’inizio degli anni ’80, quell’orientamento è diventato meno ottimista. Infatti dalla ricerca sui Movimenti (Melucci 1986), compreso quello femminista (Bimbi 1986), emerge una consapevolezza delle criticità presenti sia nell’azione collettiva di protesta che negli equilibri degli assetti istituzionali. Non a caso, nel primo capitolo del volume degli Atti del Convegno fondativo della Sezione, Vittorio intende superare d’un balzo la contraddizione dell’intellettuale da lui disegnata negli Anni ‘70, ridefinendo il suo (e in parte nostro) passato nel paragrafo «Quando si partiva dalla lotta di classe». Alberto Melucci sembra rispondere, quasi alla fine del Volume, con «Oltre il dualismo».  Vittorio e Alberto, in questo modo, sembrano aver impresso un radicale movimento all’immagine di copertina: «Elevage de poussière» di Michel Duchamp, scultura da una foto aerea di Man Ray, che segnala tutte le indeterminazioni possibili. Scegliendo il nome della Sezione, con Vita Quotidiana piazzata tra Riproduzione sociale e Soggetti Collettivi pensavamo di tenere assieme le divaricazioni e salvarci dalle eccessive indeterminazioni? L’Introduzione mette in luce l’apertura ai soggetti (quindi accantona l’attore sociale?) mentre sembra temere una deriva microsociologica in Paolo Jedlowski, il quale nel suo saggio «Esperienza quotidiana e riproduzione sociale» pare perplesso sulla possibilità di considerare strutturalmente incardinabili nell’esperienza del quotidiano gli eventi di un tempo non ordinario, che, d’altronde, molti autori dei saggi mostrano di percepire.

Nel volume si confrontano più epistemologie della vita quotidiana e del quotidiano. Tuttavia «vita quotidiana» è il ponte individuato per leggere le tensioni tra le strutture strutturanti la vita sociale come pure i vissuti e le strategie, volendo riconoscere le capacità di utilizzare risorse di agentività da parte delle persone e dei gruppi sociali, che producono pratiche e pensieri per costruzioni sociali alternative, indicando comportamenti conflittuali portatori di nuove historicités. Del resto, il titolo del volume indica un’interpretazione del nome della Sezione: vita quotidiana ha la funzione di un paradigma polisemico che permette di non ricadere nel dualismo del pessimismo strutturale o delle prefigurazioni ideologiche del futuro. Vita quotidiana è un sostantivo di cui strutture e strategie sono aggettivazioni? Più avanti la cancellazione degli aggettivi sembrò una scelta per lavorare in e per un campo più largo, non meno conflittuale?

Forse oggi dell’Introduzione può apparire eccessiva l’attenzione verso il peso dei quadri societali sui processi della vita quotidiana (nel senso di Lalive D’Epinay, 1981). Tuttavia, la Sezione non cercò un’ottica ricompositiva del “punto di vista” neppure per gli aspetti ancora individuabili/pensabili come strutturali. Essa si istituì nel campo dell’accademica sociologica come pratica collettiva già consolidata di sociologia pubblica, con declinazioni differenti di sociologia critica, già presenti negli itinerari dei proponenti e della maggior parte degli aderenti. Di un patto implicito in tal senso, tra le fondatrici e i fondatori, si trovano molti segni nell’Introduzione e nel saggio di Vittorio Capecchi, che sottolinea la fecondità delle diversità e le divergenze che tengono aperta la prospettiva.

La caratteristica di un approccio esplicito di sociologia pubblica differenzia Vita Quotidiana dalle altre Sezioni dell’AIS nate in quel periodo. Nel ridisegnare il possibile rapporto tra sociologia e impegno per il cambiamento sociale, Vittorio indica con forza (è la mia lettura bourdesiana) la necessità di una distinzione fondamentale, tra posizionamento e postura (Bourdieu 2003). Abbandonando la finalità normativa del primo si rafforza una postura, di attitudine intellettuale e di politica culturale, che implica una lotta per un regime di conoscenza scientifica non neutrale, che si fa carico dell’incertezza e della complessità delle dinamiche sociali, restando consapevole delle proprie posizioni e critico nei confronti dei rapporti di potere e delle forme di dominio. Di conseguenza la Sezione – volendosi lasciare alle spalle il partire dall’evidenza dell’esperienza dei soggetti (Scott 1991) – nacque nel segno dell’intersezionalità̀, con un’attenzione verso quella società civile e quelle forme di “politica prima” dove il conflitto pareva meno comprensibile o meno riducibile alle narrazioni consuete o egemoni.

Ricordo di quel periodo una lecture di Vittorio Capecchi che oggi chiameremmo di intersezionalità critica. Si trattò di un caveat di fronte al rischio che studiare la “vita quotidiana” diventasse una moda (come in parte è avvenuto per l’intersezionalità) e che l’attenzione al quotidiano facesse guardare all’agire abituale come abitudine consensuale, immersa in un paesaggio a-storico, sempre identico a sé stesso, “naturale”. La riflessione di Vittorio Capecchi ha, come quasi sempre, una curvatura metodologica. Di fronte al riaffiorare delle persistenti passioni per un soggetto (prevalente nella sua diversità!), appiattite su interpretazioni a priori del cambiamento sociale, che avrebbero riportato nel fare ricerca le priorità normative dei posizionamenti politici, Vittorio criticò ironicamente le propensioni verso una “capitologia metodologica” (che analizzava, confrontava, sommava e poi sintetizzava nelle conclusioni i giovani, le donne, gli operai…). Occorreva, piuttosto, mantenere uno sguardo trasversale, aperto alle contraddizioni e attento alle differenze. Si trattava di sospettare di noi stessi e di disincantare i reincantamenti in agguato (Jenkins 2000). Quelle che nei conflitti apparivano dissonanze urtanti, per le ragioni anche aprioristiche di chi conduce la ricerca, potevano piuttosto considerarsi come domande sociali opache, a causa dei bias scientifici dovuti alle asimmetrie nella conversazione (Derrida 1967). La curiosità che Vittorio ha avuto per tutta la vita per l’ebollizione culturale del quotidiano e per l’emergere di nuove forme della creatività mette in luce una disposizione soggettiva, e assieme metodologica, a farsi sorprendere dalla realtà sociale. Questa attitudine si accordava col suo habitus scientifico originario, congruente nel richiamo «a diffondere la ricerca della verità che si cela dietro l’apparente oggettività delle statistiche»: così si raccontava l’11 febbraio 2021, festeggiando il mezzo secolo delle due riviste. Tuttavia, la sua postura indica anche la continuità con la lezione di Paul F. Lazarsfeld, sulla necessità di uno sguardo largo per proporre nuovi indicatori, capaci di misurare «the latent aspects of social, cultural, and political events» (Q&Q Aims and Scope 2023). Dalla sua personale struttura latente, per così dire, e dalla sua curiosità esplorativa, emergeva anche la disposizione a farsi “toccare” dalle persone: questo lo ha reso un educatore, un Maestro senza aggettivi. Ho solo sfiorato la densità della prospettiva scientifica e della vita professionale come vita attiva che Vittorio Capecchi indicava al momento della fondazione della Sezione. Marita Rampazi, che ne sta ricostruendo la storia, ci restituirà certamente un passato, di Vittorio e nostro, capace di mobilitare il presente: vi rincontreremo  questo amico di lunga data che ha appena lasciato la Città (Capecchi 2013), come già hanno fatto altre e altri a cui stiamo pensando oggi.

Letture

Antentas, J.M. (2020) Notes on corona crisis and temporality. Dialectical Anthropology. 44, pp. 315–318, doi:10.1007/s10624-020-09613-2.

Asor Rosa, A. (1977) Le due società. Ipotesi sulla crisi italiana. Torino, Einaudi.

Balbo, L., Chiaretti, G., Massironi, G.  (1975) L’inferma scienza, Tre saggi sull’istituzionalizzazione della sociologia in Italia. Il Mulino, Bologna.

Balbo, L. (1977) Stato di famiglia. Etas, Milano.

Bimbi, F. (1986) Il movimento femminista e le sue forme di azione collettiva. Metodi di analisi e percorsi di riflessione. In Melucci, A. Movimenti sociali e sistema politico, Quaderni della Fondazione Feltrinelli. 32, Franco Angeli, Milano. pp.205-214.

Bimbi, F. (2023) Corpi di donna e rapporti di genere nella tempesta. La generatività come luogo della cura del mondo sociale. In Cava A., Bruni D., Meo M., Penna A. (a cura di), Pluralismi. Riflessioni su corpi, politiche e rappresentazioni di genere. Mimesis, Milano, pp.11-54.

Bimbi, F., Capecchi V. (1986) Strutture e strategie della vita quotidiana. Franco Angeli, Milano.

Bourdieu, P. (2003) L’objectivation participante. Actes de la recherche en sciences sociales.150. pp. 43-58, doi:10.3406/arss.2003.2770.

Butler, J. (2022) What World Is This? A Pandemic Phenomenology, Columbia University Press, New York

Capecchi, V. (2013) I tre paradigmi della ricerca sociologica. Quaderni di Sociologia, 62, pp. 39-54.

Capecchi, V. (25 Febbraio, 2016) Vittorio Capecchi: Due città a confronto. Bologna e Napoli trentacinque anni dopo, Inchiesta online.

Capecchi, V., Pugliese, E. (1978) Due città a confronto: Bologna e Napoli. Inchiesta, 35-36, pp. 3-55.

Derrida, J. (1967) L’écriture et la différence. Éd. Du Seuil, Paris.

Ginsborg, P. (1989) Storia d ’Italia dal dopoguerra ad oggi. Einaudi, Torino.

Jenkins, R. (2000) Disenchantment, Enchantment and Re-Enchantment: Max Weber at the Millennium. Max Weber Studies, 1(1), 11–32. http://www.jstor.org/stable/24579711.

Lalive D’Epinay, C. (1981) By Way of Introduction: The Flow of Everyday Life, the Reflow of History. Social Compass 20(4) pp. 333-339.

Melucci, A. (1986) Movimenti sociali e sistema politico, Quaderni della Fondazione Feltrinelli. 32. Franco Angeli, Milano.

Pinto, D. (1980) La sociologie dans l’Italie de l’après-guerre, 1950-1980. Revue française de sociologie, 21-2. pp. 233- 250. doi : 10.2307/3321109

Pinto, D. (1981) Contemporary Italian Sociology. A Reader. Cambridge University Press & Éditions de la Maison des Sciences de l’Homme, Cambridge.

Pinto, D. (1981) Sociology, Politics, and Society in Postwar Italy 1950-1980. Theory and society, 10(5), pp.671-705. /www.jstor.org/stable/657129.

Pinto, D. (1982). Diana Pinto à Carlo G. Rossetti. Revue française de sociologie, 23, 2 (Apr. – Jun., 1982), pp. 297-299. www.jstor.org/stable/3320775

Rossetti C. G. (1982) Un débat sur la sociologie italienne. Revue française de sociologie, 23, 2 (Apr. – Jun., 1982), pp. 283-296. www.jstor.org/stable/3320774.

Scott, J. W. (1991) The Evidence of Experience. Critical Inquiry, 17(4), 773–797. http://www.jstor.org/stable/1343743.

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Franca Bimbi

8 settembre 2023/29 settembre 2023

(Franca.bimbi@unipd.it)

Category: Guardare indietro per guardare avanti

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