Buon anno del drago, ricordando Vittorio con il Classico dei Mutamenti
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新年快乐! Felice anno nuovo!
Oggi, 10 febbraio, capodanno cinese, la redazione di Inchiesta augura buon anno del drago alle lettrici e ai lettori di Inchiesta.
In questi giorni di transito da un anno all’altro, ho avuto la fortuna di risentire, dopo lungo tempo, da Cremona dove abita, la viva voce di un amico, Renato Rozzi, autore del seminal work Psicologi e operai. Soggettività e lavoro nell’industria italiana (Feltrinelli 1976), che fa parte dell’avventura della nostra rivista fin dalle più lontane origini: un fratello maggiore per Vittorio, incontrato, con Franco Novara, ai tempi della loro straordinaria esperienza al Centro di Psicologia diretto da Cesare Musatti alla Olivetti di Ivrea (Vittorio ne ha parlato diffusamente nell’editoriale dell’ultimo numero cartaceo di Inchiesta, 210/2020, visibile anche online, “Mezzo secolo di due riviste”).
Non è per puro scopo memoriale che in questo passaggio d’anno rievoco tale esperienza: sono più che mai convinta che la tensione a conoscere/trasformare da cui essa era animata e di cui era latrice abbia oggi più che mai molto da dirci. Era un modo di pensare, di agire, di abitare il mondo di cui oggi difettano gli esempi, e di cui oggi più che mai credo abbiamo bisogno.
E c’è un’altra voce squillante che invece se n’è andata, proprio in questi giorni di transito da un anno all’altro, e che si inscrive in un diverso paesaggio – il paesaggio ancestrale della mia Lessinia veronese – anch’esso presente su Inchiesta, nella rubrica curata da Aulo Crisma, mio padre, che vi era giunto da giovanissimo profugo istriano e che vi aveva dedicato un libro, così come aveva dedicato un volume alla sua Parenzo natia, come si è ricordato ieri sul nostro sito (“Online il libro di Aulo Crisma Parenzo gente luoghi memoria”). Si chiamava Odilia Faggioni Aloisi, era nata a Giazza il 20 gennaio 1923, era cugina pressoché coetanea di mia madre; fino all’ultimo aveva mantenuto una straordinaria vitalità, e posdomani raggiungerà lei e gli antenati nel piccolo cimitero di Giazza dove anche mio padre riposa.
Vorremmo oggi poter chiedere a Vittorio, in questo nostro tempo così confuso e violento, di interrogare per noi il suo amato Classico dei Mutamenti, quella mirabile mappa per interpretare le trasformazioni a cui egli ha dedicato un approfondito studio più che decennale concretatosi in un vasto volume rimasto incompiuto, che si spera comunque di poter prima o poi pubblicare (e, va detto en passant, questo andrà senz’altro annoverato fra i principali nostri propositi per l’anno nuovo).
Così tornano alla mente detti, passi, frammenti che Vittorio spesso rammentava e che gli erano particolarmente cari: per vari versi, collettivi e individuali, essi appaiono consonanti con la temperie dello Yijing, e alla sua prospettiva si possono in varia modalità e in varia misura ricondurre.
Come “La notte più lunga/eterna non è”, dalla Canzone della Moldava, di Bertolt Brecht. Dove all’idea di uno scorrere ineluttabile del tempo si associa la percezione di una speranza, di una luce che squarcerà infine le tenebre. La hybris dei prepotenti sarà infine inesorabilmente sconfitta.
Un aspetto, questa dialettica tenebre/luce, che nel suo commento manoscritto allo Yijing Vittorio sottolinea come connesso alla vicenda stessa della gestazione dell’opera: come narra la tradizione cinese, è nel buio di un oscuro carcere dove lo ha gettato per sette anni il feroce Di Xin, ultimo sovrano della dinastia Shang, che il buon re Wen (1099-1050 a.C.), fondatore della dinastia Zhou, compone questo libro destinato a proiettare la sua luce sul mistero delle cose (che appare innanzitutto come mysterium iniquitatis, mistero del male, come la realtà del passato e del presente si incarica implacabilmente di ricordarci).
In fondo alla Moldava vanno le pietre,
sepolti a Praga riposan tre re.
A questo mondo niente rimane uguale
la notte più lunga eterna non è.
Si mutano i tempi, l’inutile lotta
di galli violenti futuro non ha.
I folli progetti di tutti i potenti
si oppongono invano al tempo che va.
In fondo alla Moldava vanno le pietre,
sepolti a Praga riposan tre re.
A questo mondo niente rimane uguale
la notte più lunga eterna non è.
(trad. L. Lunari in Schweyk nella seconda guerra mondiale, Einaudi 1961)
新年快乐! Felice anno nuovo, a tutti i lettori e le lettrici di Inchiesta.
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