Carla Caprioli: Il tavolino di Celati
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A Bologna, nell’autunno del 1976, il DAMS aveva cinque anni, io ventitré.
Non dovevo più frequentare né dare esami, mi stavo già per laureare, ma quelle lezioni erano diventate necessarie, una specie di dottorato autogestito dopo quattro anni di filosofia.
E nello stesso tempo erano un pugno allo stomaco. Quanti prof mi avevano parlato di multidisciplinarietà, fin dal liceo. Lì finalmente ce n’era.
Quei gruppi di studenti, quegli insegnanti e quelle lezioni erano speciali. Grazie alla piccola dimensione, si sarebbe tentati di dire. Ma non ne sono convinta. ‘La dimensione è poco importante’, avrebbe scritto pochi anni dopo un’antropologa cui sono molto affezionata. Sì, credo di sì: per usare le sue parole, anche le entità sociali di dimensioni ridotte non sono date per scontate, sono continuamente costruite grazie a un processo di negoziazione e contrattazione.
Il DAMS era nato proprio per questo: cattedre di nuove discipline, corsi basati su seminari e laboratori in cui il lavoro collettivo diventava necessario, poi visibile, comunicabile internamente e esternamente, anche alla città.
Una sede del DAMS era in Strada Maggiore. C’era un giardino interno con un trompe l’oeil e grandi banani veri. Su dallo scalone, in un’aula scura, Roberto Leydi faceva ascoltare delle registrazioni e raccontava. La melodia di Fischia il vento derivava da una canzone popolare russa. Conosceva tutti i suoi studenti e li presentava: uno era degli ‘Stormy Six’, che l’anno prima avevano scritto e composto Stalingrado.
L’altra sede del DAMS era in via Guerrazzi. Si saliva al primo piano, in un corridoio con vecchie aule e i muri pieni di scritte. In un’aula minuscola e molto stipata, dove era difficile trovare una sedia, Umberto Eco faceva battute mescolate a un inglese casalingo e parlava di retroazione paragonandola al meccanismo dello sciacquone. In un’altra auletta di fianco a un pianerottolo Gianni Celati, a cavalcioni di un tavolino, leggeva brani di Alice di Carroll e i limerick dal Book of Nonsense di Lear. Invitava gli studenti a lavorare a un testo collettivo che sarebbe stato pubblicato nel 1978, dopo due anni lunghissimi, due anni micidiali per Bologna. E spiegava cos’erano i cautionary tales, i ‘racconti ammonitori’. Ne avrebbe scritti parecchi anche lui, negli anni a venire.
«Sorpreso a scrivere e quasi arrestato da due carabinieri. […] Quando nella carta d’identità hanno letto che sono un insegnante: “Perché non è a scuola?” […] Quando mi hanno chiesto se scrivo per un giornale e ho detto subito di sì, mentendo moltissimo, sono ridiventato normale ai loro occhi. In quanto giornalista, mi hanno offerto un passaggio sulla loro camionetta.”
Il brano di Gianni Celati è tratto da Verso la foce, Feltrinelli, 1989.
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La sede del DAMS in via Guerrazzi nel 1977. Foto Enrico Scuro. https://enricoscuro.it/
Si ringraziano il regista Davide Ferrario e la casa di produzione MOVIE MOVIE srl per aver concesso di riprodurre un fotogramma del documentario ‘Mondonuovo’ girato nel 2003; la Fondazione Carlo Gajani, Angela Zanotti Gajani e la casa editrice L’Orma per aver autorizzato la riproduzione del ritratto di Celati ad opera di Gajani; e il fotografo Enrico Scuro per la riproduzione della foto dei corridoi del DAMS.
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