Aulo Crisma: Pino Bazzara, un esule istriano
Si è spento serenamente nella sua casa di Finale Emilia, il 13 aprile scorso, Pino Bazzara, sulla soglia dei 92 anni disinvoltamente portati. Era un profugo istriano, di Parenzo.
La sua storia è simile a quella di altri trecentomila italiani dei confini orientali che hanno abbandonato la loro terra per non perdere la loro libertà. Era nato nella parte vecchia della città, in Marafor. Con gli altri ragazzini, la mularia, famosa per la vivace spavalderia, andava in giro per le campagne a raccogliere liberamente ciliegie e altra frutta di stagione.
Nel periodo di chiusura nella Peschiera, l’ampia insenatura tra la penisola e la punta a nord, restavano imprigionati quintali e quintali di cefali e branzini. E i muli di Marafor riuscivano a sottrarre qualche grosso pesce da portare a casa. La cena, almeno per una volta, non sarebbe stata grama. In gennaio la bassa marea era più bassa del solito ed era più facile stanare i gransipori dagli anfratti degli scogli più scoperti.
Dopo l’8 settembre 1943, ricordato come il “rebalton”, i Titini escono dai boschi ed occupano le città. A Parenzo hanno tutto il tempo per strappare alle loro famiglie le persone più in vista. Soltanto più tardi si saprà che sono state scaraventate vive nelle foibe, quelle orride e profonde voragini di natura carsica. Al sopraggiungere di una divisione corazzata tedesca i partigiani spariscono. Pino a diciassette anni entra nel gruppo dei vigili del fuoco comandato dal capomastro Salvatore Sabatti. Così evita di essere arruolato dai Tedeschi nella Landschutz come i suoi coetanei. Trasferito a Pola partecipa al recupero dei cadaveri degli infoibati. Nella sua mente resteranno per sempre impresse le immagini di quei miseri resti e lo strazio dei parenti che faticano a riconoscere i loro cari.
Finita la guerra Pino seguì i genitori e la sorella nel campo profughi a Laterina, in provincia di Arezzo. Qui incontrò Anita, una bella ragazza toscana che divenne sua moglie e lo seguì in altri campi sparsi per l’Italia. Anche lei divenne profuga e con lui attraversò con un avventuroso lunghissimo viaggio tutta l’Europa per imbarcarsi infine a Brema su una vecchia portaerei adibita a nave passeggeri, insieme con centinaia di altri esuli provenienti da vari paesi europei.
Destinazione Australia, raggiunta dopo un mese di navigazione non sempre tranquilla. A Melbourne le organizzazioni statali avevano predisposto i luoghi per la sistemazione degli europei e anche il lavoro che avrebbero fatto. In Australia dopo due anni poté costruire la casa. Arrivarono anche i suoi genitori. La comunità degli istriani era numerosa e affiatata. Si riunivano spesso e tra loro risuonava gioiosa la musica del dialetto. Pino parlava sempre in istriano, tanto simile al veneziano, ma più bello, perché non mangiava la lettera elle nelle parole. Pure la moglie e Anna Maria, la figlioletta, si esprimevano nello stesso idioma. Mandarono la bimba all’asilo dalle suore perché imparasse l’italiano. In barca con gli amici a pescare nelle acque dell’Oceano Indiano, Pino, a differenza degli altri che maneggiavano la canna, usava la togna, come a Parenzo, tenendo il filo tra le mani.
Dopo dieci anni la famiglia Bazzara ritornò in Italia. Dopo vari lavori Pino fu assunto come operaio dall’Enel, prestando servizio fino alla pensione. Lascia di sé il ricordo di un uomo buono, generoso, onesto, laborioso, sereno pur nelle avversità che ha incontrato. Si è spento nel sonno, sommessamente, quasi a non voler disturbare.
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