Massimo Canella: Invito alla lettura 3. Robert B. Reich: “Il sistema”

| 21 Febbraio 2021 | Comments (0)

 

 

Robert B Reich: “Il sistema, Perché non funziona e come possiamo aggiustarlo”, Fazi Editore 2021

“Mentre la classe media americana si restringe, oggi gli Stati Uniti hanno più miliardari che in ogni altro momento della storia. Fondamentalmente ci sono solo quattro modi di accumulare un miliardo di dollari, e nessuno è un prodotto del cosiddetto libero mercato. Dipendono tutti da come il sistema è stato infine organizzato. Un modo di fare un miliardo è sfruttare un monopolio […] Un secondo modo di fare un miliardo è accedere a informazioni industriali confidenziali non disponibili ad altri investitori [… Un terzo modo di fare un miliardo è pagare dei politici […] Un quarto modo di diventare miliardari è ricevere i soldi da genitori o parenti ricchi. Come ho osservato, oggi circa il 60 per cento di tutta la ricchezza familiare viene ereditata […] Gli Stati Uniti stanno creando una nuova aristocrazia di persone che in vita loro non hanno mai lavorato un solo giorno.” Questo passo rende l’idea della vivacità polemica cui è ricorso Robert B. Reich, professore di Politiche pubbliche a Berkeley (California), in un libro che è da un lato una esposizione sintetica molto chiara dei risultati di una interpretazione fortemente critica della società americana, e dall’altra un pamphlet elettorale che ubbidisce anche alle logiche retoriche del genere, pubblicato in Italia da Fazi Editore.

Le sue tesi destano ancor più interesse dopo la conclusione apparentemente stravagante della presidenza di Donald Trump, e vanno lette evitando facili trasposizioni nel nostro contesto politico-culturale. In primo luogo, Reich parla da statunitense ad altri statunitensi. Il resto del mondo e i suoi possibili interessi non vengono quasi mai menzionati, e non si fa cenno delle relazioni del suo Paese in termini geopolitici, di economia internazionale e in ultima analisi di “Impero”: anche della “globalizzazione” vengono viste solo le conseguenze sociali interne, mentre quelle della pressione della concorrenza estera vengono sminuite rispetto alla narrazione corrente. Sappiamo peraltro, per esperienza e anche per deduzione elementare, che una politica di protezione sociale e di mobilitazione civile porta un Paese come gli Stati Uniti a una presenza mondiale più incisiva e non il contrario. In secondo luogo Reich non fa riferimenti espliciti alle vicende del socialismo e della democrazia radicale europei, ai testi datati la cui ermeneutica ha tenuto per più di un secolo impegnati personaggi anche abbastanza dissimili fra loro, da Giuseppe Stalin a Giuseppe Saragat: dove si intuisce una loro conoscenza, questa non viene dichiarata. In ogni caso gli è estranea la fede utopistica nei cieli nuovi e nelle nuove terre dell’Apocalisse, da far maturare assecondando presunte leggi dell’evoluzione storica o da imporre con ogni mezzo mediante titanici atti di volontà. Reich pragmaticamente ha lavorato ad alti livelli per le amministrazioni di Clinton e di Obama, pur non condividendone le impostazioni di fondo, e già dal titolo si chiede, rispetto al sistema, solo “perché non funziona e come possiamo aggiustarlo”. Nella sua narrazione un po’ strumentale c’è un’età quasi dell’oro che sarebbe andata dalla presidenza di Roosevelt a quella di Carter, in cui gli interessi del grande capitale sarebbero stati adeguatamente contemperati con quelli dei lavoratori e dei territori, e una discesa all’Inferno iniziata con Reagan e determinata dal prepotere senza freni dell’oligarchia finanziaria. L’auspicio consiste nella possibilità di “mobilitare e organizzare milioni di cittadini, non solo per una particolare elezione ma per un movimento che resti in piedi a lungo, e non solo per una particolare politica ma per ripristinare la democrazia affinché siano possibili un mucchio di buone politiche” (p. 211).

Molti ricorderanno meno vagamente di me la critica di Marx, ma implicitamente anche dei liberali moderati, al concetto democratico di citoyen visto come astrazione giuridica funzionale al dominio borghese, che occulta la diversità delle posizioni nei rapporti di produzione, nella qualità della vita e nei reali interessi. Reich la conosce e accenna in due parole a un momento di sintesi dialettica adatto alla situazione americana: “… la vera competizione è tra una piccola minoranza che ha acquisito il potere sul sistema e la vasta maggioranza che ne ha poco o niente. La sola coscienza di classe, tuttavia, non farà superare le profonde divisioni di cultura, storia e identità che ci hanno separato. E’difficile immaginare il 90 per cento più in basso mettersi assieme in una coalizione multirazziale e multietnica di americani poveri, della classe operaia e dei ceti medi […] Sarà necessaria una comprensione comune di che cosa significhi essere un cittadino con determinate responsabilità nei riguardi del bene collettivo. Non si tratta di combattere l’oligarchia solo per ottenere una fetta più grande delle vittorie economiche: il punto è far funzionare la democrazia affinché possiamo raggiungere tutti gli obiettivi che abbiamo in comune” (p. 215). La differenza non vien fatta da meccanismi di mercato o di struttura, di cui viene negata l’obiettività, ma da chi detiene il potere, e per farla nel senso desiderato bisogna conquistare il potere con i mezzi offerti dalla democrazia americana e nel rispetto dei suoi valori. Il fatto che fra le persone da cui trarre ispirazione Reich menzioni Theodore Roosevelt, il presidente dell’inizio del XX secolo che “smantellò i grandi trust” in un contesto di importanti riforme a tutela del lavoro, delle organizzazioni sindacali e dei diritti delle donne, ma della cui statua davanti al Museo di storia naturale di New York veniva disposta la rimozione per le sue colpe di colonialismo e razzismo proprio mentre “Il sistema” andava in stampa, spiega meglio di tante analisi la difficoltà di costruire in America una coalizione antimonopolistica con prospettive di duraturo successo. Non è semplice dare l’idea di un testo di 223 pagine che è già di per sé una sintesi stringata, ma alcuni aspetti salienti possono venir ricordati.

La redistribuzione relativa del potere verso l’alto negli ultimi quarant’anni (da Reagan a Trump, compresi fondamentalmente anche Clinton e Obama) sarebbe dovuta a tre grandi cambiamenti sistemici: 1) il passaggio della governance societaria dal capitalismo degli stakeholder al capitalismo degli azionisti; 2) il passaggio del potere contrattuale dai grandi sindacati alle mega corporation; 3) il potere finanziario senza più freni di Wall Street. Per il primo passaggio, che andrebbe meglio definito come rinuncia da parte delle direzioni aziendali alla ponderazione degli interessi degli stakeholder diversi dalla proprietà, viene individuato un ruolo fondamentale di raider come Icahn, Milken e Boesky che “presero di mira quelle società che potevano distribuire utili più alti agli azionisti principalmente abbandonando gli altri stakeholder: aumentando i profitti in rotta con i sindacati, abbassando gli stipendi dei lavoratori o licenziandoli, automatizzando quanti più lavori possibili, chiudendo le fabbriche e trasferendo i posti di lavoro in Stati con cosi della manodopera più bassi o semplicemente spostandoli all’estero. Gli scalatori spinsero gli azionisti a bocciare gli amministratori restii a questo tipo di cambiamenti e, viceversa, eleggerne altri favorevoli (oppure a vendere le loro quote ai raider, che avrebbero fatto il lavoro sporco)” (p. 121).Le acquisizioni ostili da parte dei raider di società valutate più di un miliardo di dollari furono 13 negli anni Settanta e più di 2.000 fra il 1979 e il 1989, generalmente con capitale di prestito ottenuto ad alti tassi d’interesse. Questo non sarebbe potuto avvenire in queste proporzioni se non fossero state introdotte regolamentazioni o loro modifiche che lo incoraggiavano, a fronte di finanziamenti ai politici alti in sé ma non in relazione ai benefici ottenuti. La modifica dell’equilibrio fra imprese e lavoratori (meglio: minoranza di lavoratori organizzati sindacalmente, precisazione che apre un universo di considerazioni da svolgere in separata sede) può esser vista dal lato del rafforzamento del potere monopolistico e dal lato dell’indebolimento delle controparti sociali. Dal 1980 la legislazione antitrust avviata attorno al 1900 con le presidenze di Harrison e Th. Roosevelt, che tuonava contro “i malfattori delle grandi ricchezze […] incuranti allo stesso modo dei lavoratori, che opprimono, e dello Stato, la cui esistenza mettono in pericolo”, non sarebbe stata più applicata. Ciò portò al consolidamento di Wall Street in cinque grandi banche, alla riduzione dei vettori aerei americani da dodici a quattro, al dominio della banda larga da parte di tre società eccetera – per finire coi familiari giganti dell’high-tech, Amazon Apple Facebook Microsoft e Google, il cui potere andrebbe ridimensionato anche mediante un indebolimento della protezione della proprietà intellettuale. Dal lato dei lavoratori, basti dire che la quota di dipendenti del settore privato iscritta a sindacati si è ridotta dal 35 % degli anni Cinquanta al 6,4 % di oggi, a fronte di una fortissima pressione padronale; Reich è convinto che l’elevata quota di sindacalizzati produca sempre benefici anche per i lavoratori non sindacalizzati, anche se credo che bisognerebbe valutare la sua distribuzione nei diversi settori produttivi. Molti episodi vengono raccontati a dimostrare la capacità di pressione dei contraenti più forti sul potere politico. Il terzo grande cambiamento, la deregolamentazione di Wall Street, ha da fare anche coi meccanismi adottati dai lavoratori per reggere l’offensiva della controparte.

Il primo, che ha dominato l’ultimo trentennio del XX secolo, fu l’ingresso massiccio delle donne nel lavoro retribuito. “A cavallo del nuovo millennio tuttavia le famiglie raggiunsero il limite, un punto di rendimenti decrescenti dove i costi del ricorso ad altre persone per farsi aiutare nella conduzione di una casa o nella cura dei figli, o entrambe le cose, superavano i benefici apparenti del reddito supplementare” (p. 144). Si passò quindi attorno al 2000 a un incremento quantitativo delle ore lavorate, a titolo di straordinari o di incremento delle ore fatturate o di pluralità di impieghi, per cui Reich propone un nuovo acronimo: DINS, ossia Double Income, No Sex: strategia che trova il suo limite, anche in presenza di una buona domanda di lavoro, nell’inestendibilità della giornata. Si passò infine allo svuotamento dei risparmi e all’incremento del debito delle famiglie, tradizionalmente alto in America. “Dalla fine della guerra al 1980, il debito si attestava in media intorno al 50 – 55 per cento del reddito annuo al netto delle imposte (compreso ciò che la gente doveva restituire sui mutui) […] Nel 2001 gli americani avevano un debito che ammontava fino all’intero reddito al netto delle imposte […] Nel 2007 la famiglia americana tipo doveva il 138 per cento del suo reddito al netto delle imposte” (p. 146). Nel frattempo sul lato della finanza erano state rimossi, sia con amministrazioni repubblicane sia con amministrazioni democratiche, il divieto di epoca rooseveltiana delle fusioni bancarie e la separazione fra banche commerciali, preposte alla raccolta e all’erogazione di prestiti, e banche d’investimento, votate a fare scommesse. Oltre 6.600 miliardi di dollari furono trasferiti a società finanziarie, e come è noto si sviluppò la lucrosa attività di fare scommesse sulla probabilità che i prestiti concessi da altri sarebbero stati ripagati.

Donald Trump ha raggiunto la presidenza con l’appoggio dei miliardari, cui ha assicurato sgravi fiscali e ulteriori deregulation a loro volontà, ma col voto di masse di elettori impoveriti cui venivano offerti capri espiatori incolpevoli, un po’ secondo il patto proposto alla borghesia tedesca nel Mein Kampf; situazioni che come la storia insegna sfuggono facilmente al controllo. Reich si preoccupa che prevalga la narrazione corrente nel ceto medio-superiore culturalmente evoluto ma socialmente ben inserito, secondo il quale questi elettori sono spinti principalmente dalla loro arretratezza e dal loro razzismo: a suo avviso è politicamente più importante comprendere come questi aspetti, più reali di quanto lui ammetta, vengano coltivati e enfatizzati per distogliere l’attenzione dal trasferimento di reddito a favore dell’oligarchia. Bisogna ammettere che la narrazione liberal che costituisce il nostro senso comune non prevede modifiche rilevanti del funzionamento del sistema economico e soprattutto non dà sbocchi politici all’insoddisfazione dei gruppi che han perso i loro privilegi relativi, fra i quali si annoverano certamente gli operai o ex operai dell’industria. Molti altri passi meriterebbero di esser riportati (ad esempio, l’esemplificazione del tipo di norme che determinano la costituzione di quel luogo del tutto artificiale che è il “mercato”).

Chi volesse leggerseli, anche per dissentirvi energicamente (io non ho l’autorevolezza per validare le tesi che ho riportato), tenga conto che il libro è costruito retoricamente come una sorta di catilinaria contro il signor Jamie Dimon, direttore di JPMorgan Chase, che aveva commesso l’errore di telefonargli nella primavera del 2018 per manifestargli rincrescimento per le sue critiche. Si tratta di uno stile che può essere accattivante per i dilettanti, ma può infastidire gli studiosi. Quanto a Dimon, penso che sia riuscito a superare con facilità il rincrescimento: nel 2018 il suo pacchetto retributivo ammontò a 31 milioni di dollari, e il suo patrimonio netto dichiarato a un miliardo e seicento milioni di dollari. Qualche amarezza ci può anche stare

Category: Economia, Lavoro e Sindacato, Osservatorio internazionale, Politica

About Massimo Canella: Massimo Canella, laureato in Scienze politiche all'Università di Padova, è stato docente a contratto presso l'Università Ca' Foscari di Venezia: "Strumenti giuridici e ruolo delle istituzioni per i beni culturali" al corso di laurea specialistica interateneo fra Padova e Venezia su "Storia e gestione del patrimonio archivistico e bibliografico". Ha coordinato il Servizio Beni librari e archivistici e Musei della Regione del Veneto con particolare riferimento allo sviluppo di reti informatiche e relazionali, e alla Soprintendenza ai beni librari. Ha realizzato progetti pluriennali sulla valorizzazione del patrimonio culturale e sull'arte contemporanea. Ha partecipato ai Comitati nazionali del Servizio Bibliotecario Nazionale e del Sistema Archivistico Nazionale e al comitato di redazione del Notiziario bibliografico del Veneto. E' autore di numerose pubblicazioni su i beni culturali (vedi elenco nella rete Linkedin a suo nome)

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