Chiara Benassi, Niccolò Durazzi: L’attacco di Renzi ai sindacati. Cosa dicono i fatti
Il PD e i sindacati non sono mai stati così distanti come in questi ultimi mesi. La riforma del mercato del lavoro, il Jobs Act, è il principale terreno di scontro. Nell ultime settimane Matteo Renzi non ha mai perso occasione di accusare i sindacati, principali responsabili, secondo lui, del dualismo del mercato del lavoro. Il messaggio di Renzi è semplice: il sindacato protegge solo la sua base storica, i lavoratori “garantiti” a tempo indeterminato, alle spese di una crescente fetta del mercato del lavoro composta da precari, lavoratori atipici e disoccupati, per lo più giovani.
Ma ha ragione Renzi sui sindacati? Sono davvero organizzazioni arretrate interessate unicamente a rappresentare gli interessi della loro base, come sostiene il governo? Facciamo riferimento qui ad un paio di casi, che dimostrano che i sindacati hanno di fatto contrattato a sostegno dei lavoratori atipici quando hanno avuto la possibilità di farlo.
1. Quando i sindacati riescono a contrattare per i lavoratori atipici
Le tre confederazioni sindacali italiane CGIL, CISL e UIL hanno creato alla fine degli anni Novanta tre sindacati per i lavoratori atipici (Nidil, Felsa e CPO) nel tentativo di rappresentare meglio questa categoria di lavoratori. Questi sindacati rappresentano i lavoratori delle agenzie interinali e le diverse tipologie di lavoro autonomo e dei contratti a progetto (co.co.pro), che costituiscono la giungla di forme contrattuali nel mercato del lavoro italiano.
Non è facile contrattare per i lavoratori autonomi e lavoratori a progetto in quanto la loro remunerazione si basa sulla consegna di un progetto (così ampiamente interpretato che anche i camerieri e gli insegnanti possono lavorare su un ‘progetto’) e come tali non sono coperti dal contratto collettivo. Al momento, i sindacati aiutano principalmente questi lavoratori a trasformare i loro contratti atipici in contratti permanenti, sostenendo le loro cause legali in tribunale.
I sindacati talvolta sono anche riusciti a contrattare collettivamente sulla ‘stabilizzazione’ dei lavoratori a progetto. Per esempio, nel 2007 i sindacati hanno contrattato la stabilizzazione di migliaia di lavoratori dei call center a progetto – tuttavia, per fare questo, c’è stato bisogno dell’ intervento dello Stato e di Cesare Damiano, l’allora Ministro del Lavoro del governo di centro-sinistra, che ha emesso una direttiva costringendo i datori di lavoro a contrattare con i sindacati sulle assunzioni a tempo indeterminato.
Ma la prova principale che i sindacati italiani non discriminino nei confronti dei lavoratori atipici sono gli accordi per i lavoratori interinali, che sono coperti per legge dalla contrattazione collettiva. I sindacati dei lavoratori atipici hanno firmato il primo contratto collettivo per i lavoratori interinali nel 1998 (rinnovato due volte da allora). Gli accordi ribadiscono che i salari dei lavoratori interinali non devono essere inferiori al salario dei lavoratori a tempo indeterminato, una condizione tra l’ altro che era giá stata fissata per legge.
Oltre alla parità salariale, il contratto collettivo stabilisce anche la parità tra lavoratori interinali e lavoratori a tempo indeterminato su molti altri aspetti, come le ore di lavoro, gli straordinari e i turni notturni, le ferie e il licenziamento. Inoltre, il contratto collettivo ha dichiarato che dopo 42 mesi di lavoro (anche non consecutivi) in un’impresa utilizzatrice, ai lavoratori temporanei deve essere offerta una posizione permanente. Accordi collettivi settoriali (come quello firmato dai metalmeccanici della FIOM, nemesi di Renzi) prevedono tempi ancora più brevi per offrire ai lavoratori temporanei una posizione permanente.
Inoltre un ente bilaterale gestito congiuntamente da sindacati e datori di lavoro (Formatemp) è stato creato grazie al contributo fondamentale delle parti sociali, con l’obiettivo di fornire formazione continua sul posto di lavoro e formazione professionale per i lavoratori temporanei. Il numero di lavoratori che hanno ricevuto formazione tramite Formatemp è cresciuto da circa 75.000 a più di 225.000 tra il 2001 e il 2007. È interessante notare che la quota di interinali coinvolti in programmi di formazione in Italia è sostanzialmente superiore a quello degli altri paesi europei per i quali sono disponibili i dati (come mostrato nella tabella di seguito), rendendo l’Italia un modello a livello europeo.
Programmi di formazione previsti per i lavoratori temporanei in cinque paesi dell’UE nel 2008:
|
Italia |
Francia |
Belgio |
Olanda |
Spagna |
Numero di lavoratori interinali formati [x 1,000] |
204.2 |
270.0 |
19.6 |
138.7 |
10.9 |
Percentuale di di lavoratori interinali formati |
35.6 |
12.3 |
3.6 |
19.0 |
1.4 |
Numero di ore di formazione [x 1,000] |
1,221 |
10,110 |
303 |
|
760 |
Investimento in formazione da parte di agenize di lavoro interinale |
149 |
331 |
4.7 |
35 |
4.8 |
Investimento in formazione per lavoratore interinale (€) |
729.6 |
1,225.9 |
239.7 |
252.3 |
440.4 |
Fonte: CIETT
I sindacati hanno svolto un ruolo minore riguardo alla protezione del reddito dei lavoratori temporanei. I programmi di sostegno al reddito sono accessibili a un lavoratore solo dopo un certo numero di giorni lavorativi, con una soglia talmente elevata che la maggior parte dei lavoratori interinali non possono usufruirne. Diversi studi confermano l’inefficacia di tale disposizione per i lavoratori interinali, che rappresenta l’anello debole del sistema di welfare.Il limitato successo nel garantire un adeguato sistema di sostegno al reddito può essere in gran parte visto come l’incapacità dei sindacati di comprendere appieno l’emergenza che caratterizza il lavoro atipico. Tuttavia, i sindacati hanno recentemente accolto ‘istanze di cittadinanza più ampie “, tra cui il supporto per il reddito minimo garantito – la cui assenza attuale è davvero una delle principali cause di dualismo tra lavoratori a tempo indeterminato e lavoratori atipici in Italia. Tuttavia, il welfare contrattuale può solo integrare ma non sostituire il ruolo del welfare pubblico, che è ancora limitato o assente per i lavoratori con storie di lavoro discontinue e per i giovani che non riescono a entrare nel mercato del lavoro. Questo sarebbe un buon primo passo da intraprendere e Renzi può stare “sereno” che i sindacati non si opporrebbero.
2. Renzi si sbaglia sul sindacato?
Anche se i sindacati italiani hanno maturato la consapevolezza su aspetti cruciali del lavoro atipico (ad esempio, la protezione del reddito) relativamente tardi nella loro storia, l’accusa che i sindacati italiani sono esclusivamente interessati alla protezione della loro base di iscritti non corrisponde alla realtá. Come ci si sarebbe potuto aspettare da una confederazione generale del lavoro, situata – nelle parole di Richard Hyman – tra classe e società, i sindacati italiani hanno cercato di rappresentare tutti i lavoratori, per contrastare il dualismo del mercato del lavoro, per unificare il lavoro (ad esempio attraverso la stabilizzazione dei co.co.pro e la parità di retribuzione per i lavoratori temporanei) e per contrattare anche per conto dei lavoratori atipici da quando tali forme di lavoro sono state introdotte.
Il problema degli outsider (in particolare giovani) nel mercato del lavoro italiano è cruciale, e i sindacati non sono sempre stati all’altezza del compito. Perciò é un bene che rendere il mercato del lavoro italiano più giusto ed equo sembri essere una priorità per il governo Renzi. Purtroppo però la marginalizzazione dei sindacati sembra suggerire che Renzi voglia superare il dualismo attraverso una riduzione delle tutele di tutti i lavoratori, anziché attraverso l’inclusione dei lavoratori meno tutelati. L’estensione delle tutele, in effetti, è stata in anni recenti al centro delle campagne per i lavorati atipici della CGIL e delle sue federazioni. Quindi Renzi – prima di muovere accuse contro i sindacati – dovrebbe in primo luogo porre rimedio alle politiche dei passati governi, che hanno aumentato la segmentazione del mercato del lavoro moltiplicando le forme contrattuali, e che hanno permesso ai datori di lavoro di comportarsi in modo opportunistico, usando forza lavoro più flessibile e meno costosa dei contratti a tempo indeterminato.
Chiara Benassi è Postdoctoral Fellow presso l’Istituto Max Planck per lo Studio delle Società di Colonia. Niccolò Durazzi è dottorando presso il Dipartimento di Social Policy di LSE e Vice Direttore di LSE Consulting a LSE Enterprise.
Category: Economia, Lavoro e Sindacato