Renato Voltolin: Movimento a 5 stelle e atteggiamento sado-masochista
DOSSIER DOPO ELEZIONI 39 Inseriamo nel Dossier questo testo del sociologo e psicologo Renato Voltolin pubblicato il 24 marzo 2013 in www.neteditor.it
E’ evidente che la situazione politica nella quale si trova attualmente il Movimento 5 stelle non solo è alquanto delicata, ma anche estremamente anacronistica. Si tratta inoltre di una posizione di responsabilità dalla quale dipende il destino più prossimo del nostro Paese. Per tali motivi un atteggiamento critico oltre che opportuno è anche doveroso. Da qui le argomentazioni che vorrei oggi proporre, dopo il mio articolo “Movimento 5 stelle e rivoluzione permanente” pubblicato in questo Dossier al numero 35.
Una prima osservazione è che mentre i parlamentari degli altri partiti politici non sono vincolati rigidamente al principio di rappresentanza, ma hanno una certa libertà di azione nell’esercitare il loro mandato elettorale, nel caso del Movimento 5 stelle la rappresentanza ha invece natura anomala. Vale a dire che i rappresentanti del Movimento non sembrano essere totalmente autonomi nelle loro decisioni, in quanto, dato il principio che “uno vale uno”, ogni decisione deve essere sempre discussa e avallata dal loro leader e dalla “rete”. Insomma, nel Movimento 5 stelle, sembra vigere una sorta di “rappresentanza con riserva”.
Ho però l’impressione che tale sistema non sia dovuto ad esigenze politiche, ma discenda da un clima di diffidenza a volte pseudo-paranoide che impedisce che il concetto di “rappresentanza” venga applicato in maniera funzionale.
Il risultato è che, il Movimento, persistendo nella sua rigidità, rischia di diventare poco adatto ad avviare quel processo rivoluzionario che, nel mio scritto più sopra citato, indicavo come momento evolutivo successivo al periodo di protesta e di ribellione che caratterizzava il Movimento quando si trovava all’esterno del contesto parlamentare.
E’ un po’ come accade nella Chiesa cattolica nella quale il Papa può esercitare il potere di scomunica nei confronti di chi disobbedisca o tradisca i dogmi della Chiesa, senza possibilità di appello.
Ma ciò che esaspera la situazione è che, anche qualora il comportamento dei “trasgressori” venga giustificato e quindi avallato dal popolo della rete in nome di una riconosciuta esigenza di strategia politica, l’atteggiamento dei vertici del Movimento rimane invariato, al punto che il parere della “rete” anziché indurre a concedere ai parlamentari una maggiore libertà di azione e una interpretazione più elastica (e più opportuna) dei principi del Movimento, ottiene, nel migliore dei casi, che venga concesso una sorta di “perdono”, fatto salvo il ripristino della rigidità dogmatica momentaneamente elusa.
E’ quello che è accaduto, del resto, nel caso della elezione del presidente del senato: la decisione di votare l’on. Grasso non solo ha dato luogo ad una minaccia di espulsione nei confronti di coloro che hanno votato a favore, ma si è continuato a considerarli “dissidenti” anche dopo l’intervento della rete a loro favore; per cui il leader ha solo concesso, appunto, un benevolo “perdono”; ribadendo che la cosa non avrebbe mai più dovuto ripetersi.
Il Papa assolve ma esige un “ritorno all’ovile” della pecorella smarrita.
Ora, nella situazione attuale, quella cioè dell’imminente tentativo di formare un nuovo governo, mentre la cosa più ovvia e ragionevole sarebbe quella di concedere al PD una fiducia “condizionata”, si ripropone una rigida opposizione a tale concessione, in quanto questa sarebbe in contraddizione, secondo Beppe Grillo, col principio della “non alleanza” con i partiti tradizionali; principio che è alla radice del Movimento. E ciò pur essendo, tale opposizione, frutto di una errata interpretazione del concetto di “alleanza”; dato che la fiducia al PD non sarebbe affatto un’alleanza, un così detto “inciucio”, ma si configurerebbe solo come una opportunità che non esclude, anzi aumenta le possibilità di controllo del programma di governo. E questo nonostante che tale fiducia condizionata sia coerente con quanto attuato in Sicilia, laddove il fatto che il governatore della regione appartenga al Partito Democratico non impedisce che la politica regionale sia sottoposta al continuo e opportuno controllo del Movimento 5 stelle, il quale influisce e spesso determina ogni scelta programmatica.
L’atteggiamento di Beppe Grillo è quindi francamente incomprensibile e estremamente pericoloso per il futuro del Movimento. Certo, tale comportamento può essere frutto di una scelta strategica (peraltro non dichiarata e quindi subdola): quella cioè di andare a nuove elezioni; ma questo comporterebbe il rischio di perdere consenso e, di conseguenza, di perdere un’occasione che è unica nella Storia del nostro Paese. L’effettiva possibilità, da parte dell’opposizione, di un controllo sulla funzione legislativa in modo decisivo e costante è, infatti, un’assoluta novità nel panorama politico italiano.
Quello che è paradossale nel comportamento di Beppe Grillo è che la scelta di non dare la fiducia al PD non sembra spiegabile nemmeno sul piano psicologico, a meno che non si voglia ipotizzare una sindrome sado-masochista. Quando Beppe Grillo ha posto come obbiettivo prioritario del Movimento il cambiamento della attuale politica del Paese dovrebbe anche essersi reso conto che il cambiamento, quando non è attuato dal potere in carica, ma è contenuto nel progetto di un movimento rivoluzionario, genera inevitabilmente un clima di ansia e di incertezza a motivo dell’idea che ciascuno ha dei rischi associati ad ogni rivolgimento radicale. D’altra parte una rivoluzione “democratica” è sempre stata considerata una utopia in quanto il potere conservatore, che non vuole il cambiamento, riesce sempre a scoraggiare gli elettori a dare la fiducia ai movimenti estremisti, ventilando sovvertimenti, crisi economiche, oltre che tacciando i rivoluzionari di incompetenza e inesperienza, mancanza di realistica visione politica ecc. Per cui il cittadino finisce col non accettare l’eventualità rivoluzionaria essendosi convinto di dover pagare, in tal caso, un presso troppo alto.
Stando così le cose, credo che sia forse la prima volta nella storia del nostro paese, che un potere decisamente rivoluzionario come quello del Movimento 5 stelle, abbia potuto accedere a una posizione di potere pur rispettando le regole democratiche che ne condizionano l’avvento. Il Movimento 5 stelle è infatti riuscito a vanificare, con argomenti convincenti, tutti i tentativi dei partiti volti a etichettare come utopistico e irresponsabile il programma politico del Movimento, ottenendo così un successo numerico tale da essere ora in grado di costringere il conservatorismo comunque imperante anche nell’ambito della sinistra, a mutare totalmente il proprio programma politico, pena la sua totale disfatta.
Se pensiamo che Bettino Craxi condizionava il paese con meno della metà dei voti sui quali può contare il Movimento, possiamo immaginare quale possa essere il potere condizionante del Movimento 5 stelle per orientare le scelte del nuovo governo verso una precisa direzione programmatica.
Ora, non è pensabile che tale occasione venga perduta per un irragionevole irrigidimento del leader o di parte del Movimento. Si tratta di un atteggiamento che, almeno personalmente, non riesco assolutamente a comprendere, se non ipotizzando, come dicevo più sopra, una sindrome sado-masochista. Soprattutto per il fatto che essendo impensabile una alleanza tra PDL e PD, il Movimento potrà far cadere il governo in ogni momento, qualora questi non prosegua nella direzione ritenuta più in linea con il proprio programma politico.
Sembra che tutto, opportunità psicologiche comprese, dovrebbe indurre Bepe Grillo ad assumere una posizione più realistica e meno dogmatica, pena (anche se mi auguro di sbagliarmi) un probabile suicidio politico.
Prevarranno il buon senso e una adeguata percezione della realtà politica?
Lo spero vivamente.
Category: Elezioni politiche 2013