Paolo Bartleby: Il labirinto dei No. Bartleby di H. Melville
22. Mercoledì 13 marzo, presso l’aula Pascoli del Dipartimento di Italianistica di via Zamboni 32, si è tenuto un convegno che ha riunito docenti e scrittori provenienti da tutta Italia. Sebbene l’evento sia durato quasi cinque ore, l’aula è sempre stata colma di persone, alcune delle quali sono state costrette, vista la mancanza di posti, a rimanere in piedi o a seguire gli interventi dall’esterno dell’aula, in attesa che si liberasse un posto.
Un interesse insolito per un convegno letterario, giustificato in parte dai relatori che erano stati invitati (tra gli scrittori Ermanno Cavazzoni, Wu Ming 4, Christian Raimo, mentre tra i docenti Daniele Giglioli, Maurizio Matteuzzi e l’ex ricercatore Bruno Giorgini ), ma anche dall’argomento che veniva trattato: il racconto di Herman Melville, Bartleby, lo scrivano.
Come ha ricordato il professor Gian Mario Anselmi durante il convegno, parlare di Bartleby, in questo preciso momento storico significa riferirsi soprattutto ad un collettivo di Bologna ha tratto il suo nome proprio dal racconto.
Fin dal 23 gennaio, data dello sgombero, l’atteggiamento di Università e Comune nei confronti di Bartleby è stato di assoluta chiusura. Un atteggiamento che, è bene chiarirlo per dovere di completezza, ormai viene rivolto a qualsiasi espressione del dissenso: ne hanno fatto le spese il collettivo Hobo (anch’esso sgomberato dai locali dell’università per ordine del rettore Ivano Dionigi), il Comitato Articolo 33 (alla cui iniziativa il Sindaco Virginio Merola dedica volentieri parole denigratorie) e, ultimo in ordine cronologico, lo sciopero degli autisti Tper.
Questo atteggiamento trova sempre più un’eco formidabile nelle pagine dei giornali locali di Bologna, in cui oltre agli articoli di cronaca si sprecano articoli satirici e di commento che seguono la linea dettata da chi comanda. Ma nel caso di Bartleby, evidentemente questo non bastava: a fare le spese doveva essere anche Herman Melville, deceduto più di 120 anni fa.
Diversi articoli degli ultimi mesi hanno infatti avuto come bersaglio anche con lo scrivano di Wall Street, reo di lasciarsi morire in prigione, piuttosto che spiegare le proprie motivazioni. Pochi sapevano che proprio quest’anno il personaggio di Melville compiva 160 anni: durante questa sua lunga esistenza (letteraria), prima di diventare un bersaglio denigratorio della stampa bolognese, il personaggio di Bartleby ha appassionato artisti del calibro di Borges, Beckett, Calvino, Deleuze e Perec, fino ad arrivare a Gianni Celati che nel 1991 ha raccolto 88 possibili interpretazioni del racconto.
E’ per restituire dignità a questo personaggio un gruppo di docenti dell’Università di Bologna, i Docenti Preoccupati, già da tempo noti per aver costruito, dentro l’accademia bolognese, l’unico tentativo di resistenza all’applicazione dello Statuto imposto dalla Riforma Gelmini.
Pur di gettare discredito ad un collettivo si è messo in discussione un racconto che come ha detto il professor Federico Bertoni, in apertura del convegno, contiene una delle figure “più interessanti, più enigmatiche e più sovversive della moderna narrativa occidentale“. Evidentemente per tornare a dare un senso ai un luoghi preposti alla condivisione dei saperi (l’università, la Scuola di Lettere e Beni Culturali dell’Ateneo di Bologna) era necessario ripartire dalle basi, parlare dei mille volti del personaggio di Melville.
Come è emerso nel corso del convegno, l’enigma di Bartleby risiede proprio nella sua irrudicibilità, nell’impossibilità di imporre una parola definitiva sul racconto. Ad attrarre l’attenzione del lettore è certamente il suo rifiuto ostinato basato su una formula leggermente artificiale e intraducibile: “Preferirei di no”, “Ho preferenza di no”, “Avrei preferenza di no”.
Non esiste un’interpretazione univoca a queste parole: Ermanno Cavazzoni ha suggerito fin dal primo intervento che è questo rifiuto che ha motivato la scelta del collettivo Bartleby a battezzarsi con questo nome. Eppure, ha sottolineato Cavazzoni, “il suo rifiuto ha qualcosa di sacro”, come se il personaggio arrivasse da un eremo lontano e non riuscisse a trovare a Wall Street (“la via del muro”, traduce Cavazzoni) quella sacralità che lo contraddistingue.
Un rifiuto solitario, rinunciatario, che poco ha a che fare con un soggetto che cerca di influire sulla scena politica: “Bartleby che prende parola in assemblea? Che manifesta? Che desidera?”, sono le domande che Daniele Giglioli ha posto ai ragazzi del collettivo appena intervenuti, mettendo in contrasto i diversi usi che negli ultimi decenni hanno caratterizzato le letture di Bartleby.
Giglioli ha sostenuto che l’interpretazione del racconto è sempre stata legata ad un particolare contesto storico e che, per esempio, negli anni ’80, alla chiusura di un’epoca di grandi movimenti, Bartleby era visto come una figura che si connotava per la sua volontà di distaccarsi dalla società. “Evidentemente i bisogni sono cambiati”, ha proseguito Giglioli: nella stessa letteratura degli ultimi anni la direzione è quella opposta ad un distacco dalla società e l’uso del racconto di Melville risente di questo cambiamento.
Non è un caso che Christian Raimo abbia messo in evidenza l’assurdità della presa di posizione di Bartleby, legandola ad un utilizzo che può essere politico. Parlando della scena politica contemporanea “che è amministrazione del quotidiano” e quindi di per sé insensata, Raimo ha messo in evidenza come il rifiuto della logica può essere uno dei tratti distintivi del rifiuto all’intero ordine delle cose: “mi rivolto dunque siamo”, ha detto, in chiusura del suo intervento.
Tuttavia una lettura di Bartleby lo scrivano non può prescindere da un focus sull’avvocato, che narra il racconto in prima persona: parlare di chi narra le vicende di Bartleby vuol dire parlare di quel personaggio che, da una posizione di potere, ne ha sancito la morte. E vuol dire avere a che fare direttamente con le menzogne e con le omissioni del narratore, piccole o grandi che siano.
E’ attorno a questo nodo che il riferimento alle cronache recenti si è fatto più evidente: a prescindere dalla volontà del relatore in molti degli interventi era possibile trovare l’eco di una dichiarazione o di un evento recente legato alla figura del Rettore dell’Università di Bologna, Ivano Dionigi
In uno dei (numerosi) interventi fatti dai presenti si faceva riferimento alla critica postcoloniale, spiegando come l’avvocato che narra le vicende di Bartleby fallisce nell’intento di capire quanto avviene proprio perché incapace di ragionare secondo degli schemi che non sono suoi e di conseguenza tutta la vicenda è narrata secondo una prospettiva che è falsata.
Wu Ming 4 ha approfondito questa analisi rendendo ancora più marcati i suoi riferimenti alle ultime vicende di cronaca locale: per sua stessa ammissione l’avvocato è abituato a far coincidere ciò che è giusto con la via più facile, a decidere, abituato a manovrare il denaro. Il suo approccio è quello di un padre comprensivo, che tuttavia non è capace di prendere una decisione su Bartleby e si sottrae alla scelta consapevole, lasciando che il caso sia risolto con l’intervento della forza pubblica.
Un riferimento nemmeno troppo sottile a quanto è avvenuto negli ultimi mesi con Rettorato e Comune sempre pronti a smarcarsi da qualunque decisione, a lasciare che siano altri ad affrontare il caso-Bartleby, fino all’intervento, appunto, della forza pubblica.
E’ curioso che ad essere più esplicito è Ermanno Cavazzoni: lo scrittore che dei personaggi lunatici, degli stralunati, dopo aver parlato del distacco dal mondo da parte degli anacoreti nel deserto, non ha esitato a tacciare il rettore Ivano Dionigi di “coglioneria” per non aver saputo approfittare delle potenzialità del progetto Bartleby.
In questo contesto il professor Gian Mario Anselmi, Direttore del Dipartimento di Filologia Classica e Italianistica, è intervenuto in veste istituzionale per porgere i saluti del Dipartimento. Nel suo intervento ha rispolverato l’idea di istituire (non università, luogo che Anselmi ha definito “neutro e asfittico”, ma altrove) una Casa della Letteratura, un progetto che era stata presentato dal compianto Stefano Tassinari durante la Giunta Cofferati.
Come hanno sottolineato gli ospiti presenti al convegno a cui Anselmi si è rivolto, nel corso degli anni questa proposta è sempre naufragata a causa dell’incapacità di dialogo di chi di volta in volta ha ricoperto il ruolo dell’interlocutore istituzionale.
E’ comunque un dato anomalo che, dopo i recenti avvenimenti, le istituzioni si preoccupino di dare alla città uno spazio di incontro: uno spazio in cui, come ha detto Wu Ming 4, “si può parlare di politica, letteratura, musica. Ho frequentato un posto del genere per qualche tempo, ma un giorno davanti ci ho trovato un muro davanti“.
Non ci sono ancora dati per stabilire se è la fase dei muri e della polizia dentro gli stabili dell’università è terminata, i segnali fanno supporre il contrario. Ma questa chiusura da parte delle istituzioni sta generando alcune risposte.
Mercoledì scorso si è messa in campo una di queste resistenze, una piccola battaglia sui saperi, sul senso di un racconto di cinquanta pagine.
Il risultato della giornata è stato incredibile: incredibile che nell’epoca dell’accorpamento dei corsi imposto dalla Gelmini, nell’epoca dell’aumento dell’entropia nell’accademia italiana, nell’epoca in cui il sapere viene monetizzato e trattato come merce di scambio, tanta gente (non solo universitari, dato che l’accademia dovrebbe registrare positivamente) abbia trovato il tempo per assistere ad un incontro di quasi cinque ore.
Il Convegno si è chiuso dopo quasi cinque ore con un intervento della professoressa Donata Meneghelli che, ripercorrendo gli interventi del pomeriggio, ha posto l’accento su quanti elementi fossero rimasti fuori dal dibattito, segno che di eventi simili l’università e la città hanno estremamente bisogno.
“Il labirinto dei no” ha creato un’occasione di confronto in una città in cui il dialogo viene spesso a mancare e ha reso possibile che un dibattito apprezzato sia da chi era interessato ad un incontro di tema letterario, che da chi ha voleva manifestare il suo “preferire di no” rispetto alla situazione politica attuale.
Una connessione, quella tra letteratura e politica, tra cultura e politica, che bisognerebbe coltivare con cura e che deve trovare spazio, per evitare sempre più che esistano luoghi asfittici e neutri.
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