UDI, il XV Congresso
Intervista a Eloisa Betti, giovane ricercatrice di storia, che nell’ambito dell’incontro «Libere di lavorare» ha elaborato una relazione sul tema «Udi e lavoro, un racconto storico».
D.: Su quali documenti hai lavorato per raccogliere le informazioni cui ti sei basata?
Betti: «Per preparare la relazione sul tema “UDI e lavoro, un racconto storico”, oltre ad aver consultato le varie pubblicazioni sulla storia dell’UDI promosse negli ultimi decenni dall’associazione stessa, ho effettuato uno spoglio pressoché completo delle raccolte di “Noi Donne”, ho preso in esame documentazione inedita quali le fonti d’archivio conservate negli archivi dell’UDI, nonché fonti a stampa come gli atti di Congressi e Conferenze promossi dall’associazione sul lavoro femminile. Anche le fonti iconografiche, manifesti e volantini e ovviamente fotografie, hanno avuto uno spazio importante nella mia ricerca. Queste fonti hanno costituito anche la base documentaria del montaggio di immagini realizzato da Elisa Giovannetti abbinato alla mia relazione.
Tuttavia, questa relazione storica sull’azione politica dell’UDI sul lavoro non sarebbe stata possibile se non avessi condotto negli ultimi anni, sotto la supervisione del prof. Ignazio Masulli ordinario di Storia del Lavoro dell’Università di Bologna, una tesi di dottorato dal titolo “Donne e precarietà del lavoro nell’industria bolognese dagli anni ’50 alla crisi degli anni ’70”, tesa ad indagare il lavoro femminile nel secondo Novecento. È nell’ambito di questa ricerca ancora inedita che ho avuto modo di approfondire il ruolo dell’UDI nel promuovere denunce, rivendicazioni e lotte per il miglioramento della condizione lavorativa e sociale della donna. Proprio analizzando l’azione dell’associazione contestualmente a quella di altri attori politico-sociali impegnati sul fronte del lavoro femminile, come le organizzazioni sindacali e i partiti di massa (in primis PCI e CGIL), che mi è stato possibile comprenderne la specificità e la radicalità di azione».
D.: Quali sono i passaggi più significativi dello studio che hai fatto e che evidenzierai nella tua relazione?
Betti: «L’azione dell’UDI sul lavoro femminile è un argomento talmente vasto e complesso che meriterebbe di essere analizzato in modo esaustivo in una pubblicazione ad hoc. Nella relazione mi limito a fornire alcune chiavi di lettura sull’azione politica dell’associazione ed alcuni spunti sui temi principali da essa affrontati in relazione al lavoro femminile, con un’attenzione particolare all’attualità di alcune delle battaglie condotte tra la fondazione e la fine degli anni Settanta. Al riguardo, mi limito a citare la lunga battaglia per gli asili nido e quella più generale per il riconoscimento del valore sociale della maternità, nonché l’importante campagna per il diritto delle donne al lavoro stabile e qualificato e contro la precarietà che risale alla metà degli anni Sessanta.
L’intento della relazione è quello di sottolineare come il tema del lavoro abbia avuto un’importanza centrale e costante nell’azione politica dell’UDI, poiché il “diritto al lavoro” assurge ad “asse portante della visione emancipatoria dell’associazione”, come sottolineato anche in Donne Manifeste. Noi Donne, come organo di stampa dell’associazione e rivista femminile con una diffusione di massa, fornisce un apporto determinante, fin dalle prime edizioni del 1944, a due problematiche di primaria importanza. Mi riferisco, in primo luogo, alla denuncia delle drammatiche condizioni delle lavoratrici attraverso una varietà ed una molteplicità di inchieste che oggi costituiscono una fonte preziosa per la ricerca storica, e, in secondo luogo, allo sviluppo di campagne specifiche (parità salariale, lotta contro i licenziamenti per matrimonio e i contratti a termine, legge sul lavoro a domicilio, pensione alle casalinghe, servizi sociali e asili nido) e di carattere più generale (per il diritto al lavoro delle donne). Queste problematiche costituiscono altrettanti obiettivi di lotta, spesso coronati da importanti risultati. L’UDI, soprattutto negli anni Cinquanta e Sessanta, mira a promuovere, oltre ad un miglioramento generale della condizione lavorativa delle donne, un cambiamento della mentalità arretrata nei confronti del lavoro femminile e, più in generale, del ruolo della donna nella società. Negli anni Cinquanta, come è stato messo in luce da numerose inchieste coeve pubblicate su Noi Donne, “la donna che lavora” è infatti vittima di numerosi pregiudizi che si sviluppano tanto nella società quanto in seno alla stessa famiglia ad opera molto spesso di padri e mariti. L’azione politica dell’associazione sul fronte del lavoro si sviluppa concretamente attraverso campagne e manifestazioni pubbliche sui singoli temi già citati, ma anche grazie ad un’elaborazione costante portata avanti in occasione dei Congressi provinciali e nazionali e in convegni e conferenze dedicati al tema del lavoro femminile o a singoli aspetti di esso. A tutto ciò si aggiunge la partecipazione, il sostegno e la solidarietà delle donne dell’associazione alle lotte sindacali ed alle vertenze nei luoghi di lavoro».
D.: Leggendo e documentandoti, quali sono state le impressioni che hai ricavato dal confronto tra il mondo del lavoro delle donne di ieri e di oggi?
Betti: «Ciò che appare immediatamente chiaro dal confronto tra le lavoratrici di ieri e quelle di oggi è come le donne attualmente sperimentino nel lavoro problemi molto simili, e addirittura per certi i versi identici, a quelli che affliggevano la condizione lavorativa femminile tra anni Cinquanta e Sessanta. Molte delle forme più eclatanti di discriminazione e precarietà cui erano sottoposte le donne in quegli anni, come le dimissioni in bianco, i contratti a termine, l’assenza di servizi sociali ed in particolare di asili nido adeguati, la mancata parità salariale fra uomo e donna, le minori possibilità occupazionali, sono oggi nuovamente di grande attualità. L’impressione è che il miglioramento sostanziale della condizione sociale e lavorativa della donna avvenuto tra anni Settanta e Ottanta, nel corso degli ultimi due decenni non solo si sia interrotto, ma abbia lasciato il posto al riemergere di vecchie forme discriminatorie che rimettono in discussione persino il diritto della donna a lavorare al pari dell’uomo. In tempo di crisi economica, infatti, si assiste al riemergere di vecchi pregiudizi, false priorità e discriminazioni verso il lavoro della donna, esemplificati più volte da fatti di cronaca: dalle proposte di licenziamenti al femminile all’espulsione di donne in gravidanza attraverso il mancato rinnovo dei contratti a termine. Una differente cultura del lavoro femminile e del suo valore, una maggiore consapevolezza dell’essere donna e la presenza di generazioni di donne altamente scolarizzate, tuttavia, costituiscono importanti elementi di mutamento rispetto agli anni Cinquanta e Sessanta, che potrebbero portare a inedite forme di lotta contro vecchi problemi».
D.: Come hai conosciuto l’Udi e, dal punto di vista della tua generazione, cosa ti aspetti da questa associazione?
Betti: «Ho conosciuto l’UDI nella sua forma attuale attraverso i suoi archivi nel corso delle ricerche per la mia tesi di dottorato. La ricchezza della sua storia e la sua vitalità mi hanno subito conquistato. Nel momento in cui Katia Graziosi mi ha coinvolto nelle attività dell’associazione, mi sono lasciata trasportare dall’entusiasmo e dal clima di rabbia mista a volontà di cambiamento che nell’ultimo anno si respira nel nostro paese fra le donne. Dopo essere entrata a far parte dell’UDI di Bologna ho scoperto nelle memorie familiari che non ero stata la prima. Mia nonna paterna, proveniente da un piccolo borgo dell’Appennino bolognese nei pressi di Marzabotto, era entrata a far parte dell’UDI subito dopo la guerra ed era stata molto impegnata nelle attività tradizionali dell’associazione come l’assistenza ai bambini e alle numerosissime famiglie bisognose nella zona della linea gotica.
Credo che oggi l’associazione abbia una grande potenzialità e possa darsi un obiettivo importante. Continua infatti a essere un’associazione nazionale fortemente radicata sul territorio. Durante i suoi 65 anni di storia ha portato avanti battaglie di cruciale importanza sul fronte dei diritti delle donne, molti dei quali oggi sono nuovamente messi in discussione soprattutto nel lavoro. Da questo punto di vista, l’associazione ha una tradizione di azione politica unica sul territorio nazionale, una storia che può fornirle esempi concreti per la sua azione attuale. L’obiettivo che credo potrebbe e dovrebbe darsi oggi, nel clima di più generale mobilitazione delle donne, concretizzatosi nel “Se non ora Quando”, è quello di portare avanti una politica a 360 gradi sulla condizione femminile e, in particolare, sulla condizione sociale e lavorativa. Credo che l’UDI oggi si trovi di fronte a una grande sfida: riproporsi, in sinergia con altre associazioni e soggetti impegnati sul fronte femminile, come interlocutore privilegiato e attore nel dibattito pubblico e politico».
D.: Sei una giovane ricercatrice e avrai certo un tuo progetto di vita. Quali sono le priorità che ti sei data?
Betti: «Indubbiamente il mio progetto di vita è legato al percorso che ho intrapreso negli ultimi anni nell’ambito della ricerca e dell’università. Come è noto, questo è un mondo in contrazione del quale attualmente è messa in discussione la stessa sopravvivenza, per l’effetto congiunto del taglio pesantissimo dei finanziamenti statali su cui si regge l’università in Italia e di riforme che minano la stessa autonomia del sistema universitario da altri poteri, precarizzando i ricercatori più giovani, i quali vedono sempre più allontanarsi nel tempo la possibilità di ottenere un minimo di stabilità lavorativa che consenta loro di sopravvivere decorosamente e portare avanti il proprio lavoro di ricerca. Molti colleghi, non solo nelle discipline scientifiche ma anche in quelle umanistiche, hanno abbandonato l’Italia dopo la laurea o dopo il dottorato, alla ricerca di una posizione migliore all’estero. Ciò che forse è meno noto è che molti, come me, non hanno ancora deciso di farlo semplicemente perché amano il proprio paese e pensano che la propria formazione alla ricerca, i risultati ottenuti in termini di pubblicazioni, partecipazioni a progetti nazionali ed europei, a convegni scientifici costituiscano un valore aggiunto non solo per noi, ma anche per il paese che ha investito su di noi, indipendentemente dalla consapevolezza che quest’ultimo ha di ciò. Nel momento in cui ad un’intera generazione, come la mia, viene preclusa la possibilità di far parte a pieno titolo della società in cui è cresciuta, privandola nei fatti del diritto costituzionale ad un lavoro che consenta al tempo stesso di provvedere ai propri bisogni materiali e di esprimere la propria personalità e le proprie potenzialità, ognuno di noi ha indubbiamento il diritto di cercare soluzioni individuali attraverso l’emigrazione. Tuttavia, credo che la ricerca di una soluzione collettiva che metta in discussione il modello di sviluppo economico-sociale e culturale che ereditiamo, nostro malgrado, dalle generazioni che ci hanno preceduto sia un passaggio imprescindibile per riappropriarci non solo del nostro futuro, ma anche del diritto ad avere un posto nella società che rispecchi le nostre capacità e che ci consenta di contribuire con esse al suo sviluppo. La mia specificità di genere, il mio essere donna mi porta a far parte di un’associazione femminile come l’UDI, perché le donne nel nostro paese, ancor più che in altri, sono oggetto di discriminazioni e umiliazioni che tendono ad aggravarsi giorno dopo giorno soprattutto nella sfera lavorativa. Come donna nell’Italia di oggi sono conscia che ho perso molti dei diritti conquistati da chi mi ha preceduto, ma sono anche consapevole delle lotte che le donne hanno portato avanti nei decenni passati e sono pronta a lottare perché a donne come me non sia più imposto, più o meno esplicitamente, di scegliere se essere madre o avere una carriera lavorativa soddisfacente».
L’intervista è stata pubblicata il 17 ottobre 2011 sul sito noidonne.org
Category: Donne, lavoro, femminismi