Paola Boffo: Povertà, Diritti Umani, Diseguaglianze

| 1 Marzo 2013 | Comments (0)

 

 

 

Diffondiamo questo testo di Paola Boffo che fa parte del CILAP (Comitato italiano lotta alla povertà), EAPN (European Anty Poverty Network)

 

Le previsioni d’inverno per il 2013 – 2014 della Commissione Europea, pubblicate lo scorso 22 febbraio, indicano per il 2013 su base annua un livello di crescita del PIL nell’UE, pari allo 0,1%, e una contrazione pari a -0,3% nella zona euro. Secondo la Commissione la causa risiede nel processo di aggiustamento di bilancio, che continua a pesare sulla crescita a breve termine, ma con l’avanzare di tale processo, si consoliderà la base della crescita nel 2014, che, secondo le proiezioni, sarà dell’1,6% nell’UE e dell’1,4% nella zona euro. Inizialmente la ripresa della crescita sarà trainata dalla domanda esterna, poiché “i consumi e gli investimenti interni sono frenati dalla combinazione di debolezza del ciclo, incertezza e protrarsi dell’aggiustamento dei bilanci e della ridistribuzione delle risorse all’interno dell’economia.” Le parole e le espressioni utilizzate sono perifrasi intese ad attenuare una situazione troppo cruda, sintetizzabile nella previsione che l’attuale debolezza dell’attività economica comporterà quest’anno un incremento della disoccupazione all’11,1% nell’UE e al 12,2% nella zona euro.

In questo contesto quanto senso ha discutere di politiche per il contrasto alla povertà e la riduzione delle ineguaglianze, come si è fatto nei giorni scorsi a Strasburgo, in una Conferenza internazionale organizzata dal Consiglio d’Europa in cooperazione con la Commissione Europea ? “Povertà e Diseguaglianza nelle Società dei Diritti Umani: il paradosso delle democrazie – Proposte per una società inclusiva” si è tenuta fra il 21 e il 23 febbraio e ha raccolto i contributi degli esperti e delle organizzazioni più impegnate sul terreno dello studio e dell’iniziativa concreta nella lotta alla povertà e contro le ineguaglianze, per un’applicazione inclusiva dei diritti umani.

La Conferenza è stata una occasione unica ed importante per discutere soluzioni all’impoverimento e alla marginalizzazione crescente che affliggono la nostra società; ha messo insieme attori istituzionali, ricercatori, attivisti, associazioni e reti, e anche persone in povertà. Dagli attivisti del movimento degli Indignados, a coloro che scavano nei cassonetti denunciando lo spreco delle risorse materiali. Dagli esperti di banche del tempo agli attivisti che gestiscono reti di risorse pubbliche/comuni come i giardini o le abitazioni non occupate.

La Conferenza è stata anche l’occasione per il lancio della Guida “Vivere dignitosamente nel XXI secolo: Povertà e Ineguaglianze, paradossi nelle società dei Diritti e della Democrazia ?”, presentata con un intervento efficace e a tratti emozionante di Alessandra Sciurba. La Guida nasce dallo stesso approccio partecipativo che ispira la Conferenza e riassume una discussione durata due anni sulla necessità di una nuova prospettiva nella trattazione delle ineguaglianze e dei diritti in Europa.

Nell’intervento di apertura Gilda Farrell, Capo Unità della Divisione Coesione Sociale del Consiglio d’Europa chiarisce che al giorno d’oggi piuttosto che soltanto di povertà si tratta di impoverimento e di precarizzazione di un numero crescente di persone e famiglie, mentre la concentrazione del patrimonio e della ricchezza ha raggiunto un livello tale che lo stesso concetto di coesione sociale rischia di perdere senso. Nella crisi attuale si afferma la tendenza a sostituire il principio dell’universalità dei diritti con la categorizzazione sempre più spinta dei soggetti cui deve essere indirizzato un aiuto pubblico, attraverso una selezione che si trasforma nella stigmatizzazione delle persone.

I diritti umani sono effettivamente universali ? La povertà è in realtà una diversione dai diritti fondamentali: l’origine sociale è un motivo di discriminazione e la discriminazione può portare alla povertà e questo porta ad una violazione permanente dei diritti fondamentali. Ma le stesse politiche sociali possono portare a una violazione, quando hanno barriere all’entrata troppo alte, perché creano una categorizzazione, perché si trasformano spesso in polizia sociale. La protezione contro la povertà è un diritto di ciascuno in Europa (art. 30 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea), è un acquis europeo ed un’obbligo giuridico.

Le azioni di riduzione della povertà e della ineguaglianza dovrebbero contribuire a progredire verso la giustizia sociale riducendo le differenze nell’accesso a un contenuto uguale di diritti e di benessere, nel rispetto del principio dell’universalità. Bisognerebbe inoltre evitare ogni forma di spreco, recuperando e valorizzando le risorse abbandonate o non utilizzate. Bisognerebbe assicurarsi che la dignità umana, come diritto di tutti, si rafforzi nella coscienza pubblica: de-stigmatizzare implica il ricercare percorsi di condivisione e di cooperazione fondati su solidarietà reali e costruite con lo sforzo di tutti, e riscoprire il valore delle risorse, compreso quelle che apparentemente non sembrano poter contribuire a nulla.

La principale obiezione che viene posta all’adozione di misure per l’allargamento del diritto ai servizi e alle prestazioni sociali, così come all’introduzione di un reddito minimo (o di base, garantito, di cittadinanza) è che non ci sono risorse economiche sufficienti, in un periodo in cui bisogna perseguire l’equilibrio di bilancio, diventato principio costituzionale, e bisogna quindi tagliare la spesa pubblica e dunque ridurre i servizi.

Ma abbiamo ormai ampiamente sperimentato che le politiche di austerità provocano processi di impoverimento e non favoriscono la crescita, innestando al contrario una spirale verso il declino. La recessione che ne è conseguita ha prodotto un ulteriore aumento della disoccupazione e dell’occupazione precaria, insieme con un peggioramento delle condizioni di lavoro di coloro che hanno ancora un lavoro.

Lo ha spiegato molto bene Luciano Gallino, in un’analisi lucida delle cause e delle conseguenze della crisi, che ha avuto inizio quando i principali clienti del sistema finanziario intorno al 2000 non sono più state le banche, ma le famiglie, che hanno incominciato ad indebitarsi a causa di un impoverimento progressivo causato dalla redistribuzione di reddito e ricchezza dal basso vero l’alto iniziato già dalla metà degli anni 70. Ed accanto alle classi tradizionalmente escluse ad accrescere il tasso di povertà contribuisce pure il numero dei lavoratori poveri, coloro che hanno un lavoro più o meno regolare ma pagato abbastanza poco da far ricadere loro ed i conviventi al disotto della soglia di povertà, e si verifica che a causa della chiusura delle fabbriche, della disoccupazione e della precarietà che ne è seguita, della caduta dei consumi, della scomparsa di artigiani e commercianti, intere comunità sono state disastrate.

In questa prospettiva, sostiene Gallino, una efficace azione di contrasto alla povertà comprende necessariamente due interventi complementari: in primo luogo bisogna fermare la redistribuzione dal basso in alto, operando soprattutto sulla distribuzione primaria (ribaltando il rapporto fra redditi da lavoro, profitti, rendite e interessi) piuttosto che su quella secondaria (ripartizione del reddito prodotto tra gli individui o le famiglie appartenenti ad una società); in secondo luogo occorre rivedere le connessioni tra finanza ed economia reale, riportando questa e i suoi problemi in primissimo piano nell’agenda dei governi europei, in luogo del predominio finora attribuito da questi ultimi ai problemi finanziari. I governi europei, come quello americano, hanno iniettato ingenti risorse pubbliche nel sistema economico, ma le hanno rivolte soprattutto al salvataggio delle istituzioni finanziarie. “Il problema è che chi semina soltanto finanza raccoglie soltanto recessione” e lascia intatti i difetti strutturali alla base della crisi, aggravandoli, aggiungiamo noi. Bisognerebbe invece impegnarsi a seminare per creare piena occupazione, poiché solo da questa può discendere una riduzione apprezzabile della povertà.

Accanto alla mobilitazione di risorse pubbliche non va trascurato il ruolo delle risorse economiche private, attraverso il recupero dell’equità nell’imposizione fiscale. Il Tax Justice Network, che è intervenuto dagli USA in videoconferenza con il suo rappresentante James S. Henry, promuove la trasparenza nella finanza internazionale e si oppone al segreto bancario, sostiene la parità di condizioni fiscali si oppone alle distorsioni in materia fiscale e normativa, e agli abusi che ne derivano, evasione, elusione, paradisi fiscali, e tutti i meccanismi che consentono a chi controlla la ricchezza di sfuggire alle proprie responsabilità verso le stesse società su cui dipendono le loro ricchezze. L’applicazione effettiva di una tassazione progressiva ed equa dipende anche da una cooperazione più forte tra gli Stati in materia fiscale e di regolamentazione, riducendo la crescente tensione tra l’integrazione globale e una carenza di governance internazionale credibile. Henry ha esposto dati ed informazioni che rendono evidente la divaricazione fra il 99% della popolazione mondiale e l’élite dei pochi super ricchi che governano la finanza internazionale.

Si è discusso delle misure di reddito di base con l’intervento, tra gli altri, di Roberto Musacchio, di Altramente, già parlamentare europeo, che ha fatto riferimento alla necessità di adozione del reddito di base come elemento di cittadinanza prestato a tutti coloro che ne hanno bisogno, siano cittadini o migranti, accompagnato da pacchetti di servizi relativi all’abitazione, la salute, i trasporti, la scuola, sotto la responsabilità degli Stati Membri. E questi obiettivi richiedono una diversa politica dell’Unione Europea, che sostituisca l’austerità con politiche di intervento sulle cause strutturali della crisi, con misure contro la speculazione finanziaria, che riducano la disoccupazione mirando alla piena occupazione, con un bilancio europeo adeguato al raggiungimento degli obiettivi di armonizzazione sociale, con risorse proprie, come una Tassa sulle Transazioni Finanziarie finalizzata alle politiche per il reddito di base, e un’imposizione sull’emissione di CO2 ed i consumi energetici.

Ma accanto alla redistribuzione dei redditi e delle ricchezze, ad un intervento degli Stati e delle Istituzioni pubbliche nell’economia, ad un sistema fiscale più giusto, la conferenza ha portato nella discussione altre strategie che adeguatamente promosse e sostenute anche dalle politiche pubbliche possono contribuire a ridurre la povertà e le disuguaglianze e che si riferiscono all’uso delle risorse disponibili.

La lotta contro la povertà richiede un cambiamento sistematico nel modo di gestione, produzione e distribuzione delle risorse. La comune condivisione delle risorse è parte della soluzione in quanto in grado di fornire l’accesso a risorse che sono indispensabili per vivere in modo dignitoso, sia per garantire il benessere fisico (come la fornitura di alloggio, assistenza sanitaria o acqua) sia attraverso la partecipazione politica e sociale delle persone (attraverso la condivisione della conoscenza, della cultura e non-discriminazione). In questo contesto, una particolare attenzione deve essere data ai Comuni – beni materiali e immateriali che sono essenziali per la concessione della dignità umana. Alla base di questo concetto, vi è la capacità di messa in comune delle risorse in prospettiva di una responsabilità sociale condivisa.

E’ stato trattato il tema dei beni comuni, tra gli altri, da Ugo Mattei, che ha sottolineato come il movimento dei “commons” vuole il trasferimento progressivo dal privato al comune, ovvero l’esatto opposto di quanto si è realizzato nella modernità, e cioè la progressiva privatizzazione dei beni pubblici. Entrambi i processi sono costituzionalmente trasformativi, e sono in gioco a livello locale, nazionale e globale, diversificandosi molto nelle forme ma poco nella sostanza.

Sempre più spesso ci ripetono il refrain che mancano le risorse e sacrifici sono necessari. Ma è soprattutto necessario affrontare la cattiva gestione delle risorse e della loro accessibilità. Circa il 30% del cibo prodotto in Europa viene sprecato e circa 930.000 case restano vuote, solo nel Regno Unito. Il problema dei rifiuti è pervasivo e trasversale a tutti i settori ed è necessario che sia riconosciuto come una delle cause delle disuguaglianze economiche e non soltanto un problema ambientale.

L’approccio emergente dalla conferenza è di non considerare la lotta contro la povertà come un insieme di interventi indirizzati ai poveri, ma come l’applicazione non selettiva dei diritti umani a tutti, in un ottica di inclusione. Nell’intervento finale Fintan Farrell, direttore dell’European Antipoverty Network, ha rimarcato il bisogno di sviluppare politiche sociali che siano basate su una Conoscenza sociale, che invece si sta perdendo, soppiantata dalla presunta necessità di soddisfare logiche economiche che portano all’aggravamento della povertà e dell’esclusione producendo forme insostenibili di capitalismo. Bisogna invece riflettere ed indagare, soprattutto al livello locale, a partire dall’ascolto delle persone in povertà, dal lavoro delle ONG e dei movimenti, da quello dei ricercatori sociali e degli attivisti e degli operatori nel campo sociale.

 

Category: Dichiariamo illegale la povertà, Osservatorio Europa

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