Nicoletta Teodosi: Discutiamo sul reddito minimo garantito per tutti

| 29 Luglio 2013 | Comments (0)

 

 

 

 

Nicoletta Teodosi è la presidente di Cilap (Collegamento italiano di lotta alla povertà) sezione italiana della Eapn (European Anti Poverty Network) e fa parte del Comitato Promotore di Dichiariamo Illegale la Povertà.

 

Affinché una misura di reddito garantito per tutti abbia una efficacia vincolante per gli Stati membri, una semplice comunicazione o parere non sarà sufficiente, come non lo è stato finora.

Quanto sia importante l’adozione di un atto giuridicamente vincolante o meno e quali ripercussioni può avere sui destinatari finali di tali atti lo vediamo dal dibattito nazionale sul reddito minimo.

L’assenza di una disciplina europea vincolante per gli Stati membri, che consideri una policy a sostegno delle persone a rischio di povertà e di chi è già in povertà assoluta, non impegna un paese quale l’Italia ad istituire una misura di questo tipo, insieme alla Grecia e all’Ungheria.

Il dibattito nazionale si concentra sull’essenza della misura reddito minimo. Se cioè deve essere considerata una misura di sostegno “alla tutela e sicurezza del lavoro” come da articolo 117, c3 della Costituzione e quindi materia concorrente; oppure una misura socio-assistenziale e quindi materia esclusiva dello stato (art. 117, c 2).

Dal 1997, da quando fu emanata la prima legge che istituiva la sperimentazione del reddito minimo di inserimento (RMI) n. 449/97 e 237/98, per ragioni elettoralistiche, sindacali, di interpretazione, di vincoli non obbligatori da parte della UE, nonostante le risoluzioni che si sono succedute dal 1992, ancora oggi chi vive in Italia in una condizione di rischio di povertà per mancanza di lavoro o per condizioni socio-ambientali, che è sotto soglia di reddito1 non ha nessuna copertura finanziaria. Non consideriamo qui le pensioni sociali o quelle integrate al minimo.

Alcune regioni hanno legiferato in maniera specifica in materia (Lazio con un decreto legislativo per l’istituzione del reddito garantito di base n.4/2009 e Campania con LR 2/2004 per l’istituzione del reddito di cittadinanza). Per quanto riguarda il Lazio, essendo un atto provvedimento con il cambio dell’amministrazione nel 2011 la legge non è stata rifinanziata; mentre per la Campania a seguito del dissesto finanziario la legge è stata abrogata con LR n. 16/2010 “misure urgenti per la finanza regionale”, con il definanziamento delle spese e rideterminazione delle risorse (art. 19).

Solo la LR n. 19/2006 della Puglia sul “sistema integrato dei servizi sociali” prevede sostegni al reddito per persone e famiglie che vivono o sono a rischio di povertà. Gli effetti sulle persone sono e restano inefficaci perché questa parte della legge non è finanziata.

Di fatto però il reddito minimo non è stato istituito a livello nazionale, non è un livello essenziale e non è stata individuata l’origine, se cioè è di competenza esclusiva dello stato, e quindi dovrebbe rientrare negli standard minimi, oppure concorrente ed essere di competenza delle Regioni. La sentenza pilota del Tribunale del Lavoro di Napoli del 22/4/009 nella causa di un potenziale beneficiario in condizioni di povertà economica e grave disagio psico-sociale si è pronunciata, contro il Comune di Antimo, in favore del ricorrente ad accedere ai servizi e alle prestazioni di cui alla Legge quadro 328/2000. Quindi da questa sentenza si potrebbe già individuare la fattispecie della misura riferibile alla tematica “previdenza sociale” di cui all’art.117 c. 2 della Costituzione più che al c.3.

Il dibattito è ancora lungo, ma chiarire questa distinzione sarebbe già un passo avanti per il confronto parlamentare che dovrà prima o poi aprirsi.

1 La soglia di povertà relativa (concetto italiano) o rischio di povertà è fissata al 60% del reddito mediano. In Italia una famiglia di due persone che vivono con un reddito inferiore ai 1.100,00 (circa) può essere considerata a rischio di povertà

Category: Dichiariamo illegale la povertà

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