Dichiariamo illegale la povertà
Dichiariamo illegale la povertà: un testo scritto insieme da Adista, Combonifem, In dialogo, L’Altra pagina, Missione Oggi, Nigrizia, Solidarietà internazionale, Inchiesta, Associazione Il Manifesto in Rete
Le 300 persone più ricche del mondo hanno guadagnato nel 2013 524 miliardi di dollari, cioè poco meno di un terzo della ricchezza prodotta in Italia da 60 milioni di cittadini. La lista, in testa alla quale figura Bill Gates, l’ha pubblicata il 4 gennaio scorso l’agenzia finanziaria Bloomberg. E conferma una tendenza che già conosciamo, cioè che la ricchezza si sta concentrando sempre di più nella mani di pochi a scapito della stragrande maggioranza della popolazione mondiale.
Appaiono un po’ patetici allora i tentativi della Banca mondiale e delle varie agenzie Onu di farci credere che la povertà sta diminuendo. E questo semplicemente perché la povertà assoluta, che con criteri del tutto arbitrari è stata fissata a meno di 1,25 dollari al giorno, sarebbe in diminuzione, mentre cresce quella relativa (coloro che guadagnano meno di 2,5 dollari al giorno). «Come si fa – dice Riccardo Petrella – a ridurre a un unico indicatore monetario la “povertà” che è un insieme di numerosi fenomeni strutturali di lungo periodo e a dimensioni multiple e decretare la fine della povertà (tout court) perché il potere d’acquisto pro capite nel mondo avrebbe superato la soglia dell’1,25 dollaro?».
E poi aggiunge: «In effetti, “L’agenda post-2015” parla di eliminazione della povertà assoluta nel 2030 ma non fissa alcun obiettivo rispetto alla povertà relativa (meno di 2,50 dollari). Come si fa, inoltre, a voler far credere che, se nel 2030 non avessimo più poveri assoluti ma ci fossero ancora, secondo le stime della stessa Banca mondiale, più di 3 miliardi di persone in stato di povertà relativa (meno di 2,50 dollari), il mondo avrà sradicato la povertà?». Lo sradicamento dei fattori strutturali dell’impoverimento nel mondo passa dalla promozione di una nuova economia dei beni comuni, che operi a livello locale e globale, fondata sulla sicurezza comune, la cooperazione e la partecipazione dei cittadini. E che garantisca per tutti protezione sociale e rispetto dei diritti umani.
Da questa consapevolezza ha preso il via l’iniziativa “Dichiariamo illegale la povertà” che coinvolge soggetti molti diversi, non solo in Italia ma in diverse parti del mondo, con l’obiettivo di mettere fuorilegge quei processi che sono alla base dell’impoverimento di miliardi di persone in tutto il pianeta. L’appuntamento è per il 2018. In occasione del 70° anniversario della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo verrà chiesto di approvare una risoluzione nella quale si proclami «l’illegalità di quelle leggi, istituzioni e pratiche sociali collettive che sono all’origine e alimentano la povertà nel mondo».
Nessuno nasce povero o sceglie di essere povero, ma questa condizione di difficoltà ha della cause precise che, molto sinteticamente, possono essere ricondotte a una distribuzione della ricchezza sempre più ineguale a causa soprattutto della mercificazione dei beni comuni. Dagli anni ’70 in avanti le teorie neoliberiste hanno lentamente cancellato dall’immaginario dei popoli «la cultura della ricchezza collettiva» e hanno ridotto tutto a risorsa, comprese le persone. Questa cultura è penetrata così in profondità da far credere, anche in molti settori della sinistra, che la povertà sia inevitabile e che può essere solo mitigata magari con un po’ di carità.
Così è nata quella che nel linguaggio comune è stata definita “globalizzazione”. E per anni ci è stato predicato in tutte le salse che essa era parte integrante dell’evoluzione umana. Ora, visti i risultati nefasti che questa impostazione ha prodotto, si cerca di modificare, ma solo superficialmente, il tiro, con maquillage che cambiano soprattutto il lessico ma non la sostanza. Si parla così di “globalizzazione selvaggia” da sostituire con una “buona”. E si cerca di dare una spruzzatina di verde alla solita economia di rapina che ha prodotto miliardi di poveri nel mondo. La green economy non scioglie infatti «il nodo gordiano della concentrazione del potere economico e politico nelle mani dei poteri finanziari, industriali e “culturali”», dicono Petrella e Amoroso nel volume Dichiariamo illegale le povertà.
Banning poverty 2018, che rappresenta in qualche modo il manifesto dell’iniziativa. I due grandi strumenti di potere dell’economia verde, il controllo delle tecnologie e la finanziarizzazione dell’economia capitalistica, restano infatti saldamente in mano ai soliti noti e producono le disuguaglianze di sempre.
La battaglia avviata da Riccardo Petrella, e alla quale anche noi intendiamo portare il nostro modesto contributo, non è facile né scontata. Importanti segnali, come l’adesione alla campagna di diversi comuni sparsi qua e là per l’Italia, lasciano spazio a un po’ di ottimismo. È necessario però non delegare l’iniziativa a pochi volonterosi, ma fare in modo che tutti quei cittadini che, in Italia e in varie parti del mondo, hanno preso coscienza del problema si mobilitino per mettere fuori legge le cause strutturali che riducono in miseria miliardi di esseri umani.
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