Nello Rubattu: Ma di che etnia è Lollobrigida?

| 11 Maggio 2023 | Comments (0)

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Il signor Lollobrigida ci riprova e questa volta per sparare le sue verità utilizza la parola etnia: “Etnia”vuol dire “popolo” e lui dal momento che si ritiene intelligente aggiunge “italiana” e pensa con questo di avere chiuso il problema.

Insomma, signor Lollobrigida Lei vuole parlare di “popolo italiano”. E per quale accidenti utilizza un termine come “etnico”? Forse perché lo ritiene più figo?

Ma sia chiaro!

Lei vuole dire che esiste un mondo esistenziale di riferimento che è patrimonio di un popolo che storicamente abita la penisola (anche la Sardegna? Su questo, proprio da un punto di vista scientifico avrei i miei dubbi).

Ma continuiamo.

Parlare di etnia in questo caso non e’ proprio corretto. Soprattutto se gli si dà uno sguardo da una prospettiva più complessa. Per esempio, se dovessimo continuare a seguire questa traccia logica dovrei affermare che esiste una serie di “principi identificativi” attraverso i quali individuare chi appartiene alla “etnia italiana” e chi no.  Cioè, per rispettarne il principio fondativo dovrei analizzare l’aderenza di un gruppo di individui a “determinati modelli sociali”. Insomma, dovrei essere in  grado di creare un prontuario di norme la cui sola creazione comporterebbe uno di quei casini che, come affermano dalle mie parti “, non ci sarebbe compare”.

Qual è il nostro modello sociale, qualcuno me lo sa dire?

Io sono sicuro che se ognuno si fa questa domanda alla fine ne viene un pasticcio che non finisce mai.

Infine, bisogna sempre ricordare che quando si parla di modello sociale, bisogna identificarlo con elementi concreti capaci di creare un “modello” che idealmente e praticamente sia in grado di “unire” diversi individui fra di loro.

Da dove partiamo? Partiamo dai fatti del quotidiano.

Forse appartiene al “modello sociale italiano” il fatto di bere il caffè ristretto la mattina al bar? Ma a me, per esempio, non piace: ho abitato per molti anni in altri paesi europei e il mio gusto forse per questo è variato. Non lo so.

Forse è italiano chi ama la pasta? Io però la mangio una volta ogni morte di papa e mi piace solo la carbonara e l’ amatriciana.

Oppure forse è italiano chi ama il calcio? Io non solo non lo pratico ma non ne conosco le regole e in tutta la mia vita non ho mai fatto parte di una squadra, neanche alle medie.

Forse lo è per il fatto di parlare italiano? Certo. Ma io conosco un ragazzo tedesco che ha compiuto i suoi studi universitari a Napoli e parla come Pino Daniele. Non scherzo.

Mentre ritengo di appartenere a questo spicchio di territorio perché ho da dovermi sobbarcare, con tanti altri esseri umani, molte “comuni disgrazie”: non funzionano gli ospedali; i trasporti (specialmente quelli sardi) sono un disastro; le variazioni apportate all’età pensionabile la rendono più oscura del quarto mistero di Fatima.

Purtroppo, sono un cittadino di questo Stato, e so che Lei e i suoi vicini di partito vogliono mettere in forse molte delle libertà civili per le quali io stesso ho lottato; e ricordiamo fra l’altro che in questo stato (dati alla mano) le donne che lavorano ricevono dal 15 al 20 per cento di stipendio in meno rispetto agli uomini.

Ma alcuni ritengono che essere italiani vuol dire che sono gli unici al mondo che si sanno vestire: io però non ho mai acquistato un capo di abbigliamento grandi firme. Negli anni mi sono poi accorto che in questo “Stato etnico” di cui Lei parla sono molti quelli che la pensano come me e che ai grandi sarti non sono interessati; come ho anche scoperto che sono molti quelli che pensano che uno che espone un rolex al polso sia un tzerrago (un cafone, nella mia lingua) della peggior specie.

Mi chiedo allora: sono di etnia italiana?

Inoltre, tanto per gradire, nei paesi del centro e del nord Europa, il fatto che un ragazzo porti calze lunghe invece che corte sotto i pantaloni è considerato un fattore di vecchiume, antipatico e di cattivo gusto (vai tu a mettere d’accordo la gente!). Insomma, per loro non siamo proprio per nulla eleganti, anzi il contrario: per loro non sappiamo vivere.

Caro Lollobrigida, quello che Lei e troppi come Lei non vogliono capire è che ormai certe categorie culturali interessano davvero poca gente: quelle a cui lei si riferisce sono state spazzate con i disastri del Novecento. Noi usiamo i jeans o le camicie a quadri come gli americani e come noi li usano in tutto il mondo. Bisogna farsene una ragione.

Forse Lei ritiene “etnico” il fatto che i nostri jeans, quelli italiani, sono lavorati meglio? Ma questo, mi scusi ricordarglielo, lo crede solo Lei: i nostri jeans sono confezionati in fabbriche di fame in Cina, Vietnam, sud est asiatico, Filippine e Turchia, e la loro “qualità” è controllata da operai e impiegati che non vengono dall’Italia ma sono del posto. Perciò: mi dica perché io devo comprare a prezzi da sballo dei pantaloni che sono stati lavorati in posti dove un operaio, quando gli va bene, prende 150 euro al mese? Da parte sua propormi un acquisto del genere sarebbe quantomeno una offesa alla mia intelligenza.

Invece le voglio ricordare un’altra verità: io “sono” e mi “ritengo” sardo. A questo, le posso assicurare, ci tengo: amo il nostro mare, il vento di maestrale che dalle mie parti soffia che è una bellezza, come amo il colore delle pareti di tufo, i profumi della macchia o i vicoli della mia città; amo i suoi circolini dove spesso vado a sentire inciafugli (vuol dire strologare nella mia parlata cittadina) sulla disgrazia per cui la nostra squadra di calcio cittadina non è mai riuscita a sfondare il muro della C.

Ma quella, signor Lollobrigida, si chiama “appartenenza” e non ha niente a che fare con l’etnia. A Sassari, alla mia città, si può sentire legato come me un esquimese, un irlandese o un senegalese. Tutti insieme ci identifichiamo nella stessa città che abbiamo eletto a nostra tana esistenziale.

Le dico questo perché le voglio ricordare che la “cultura di un popolo” è un continuo variare di modelli di riferimento; un variare ogni giorno a seconda degli stimoli che si ricevono. Non c’è una base etnica in tutto questo, ma una base di convenienze comunicative e di corrispondenza con modelli esistenziali che si ritengono in quel dato periodo storico più corrispondenti al fatto di identificare la mia persona in un contesto dove convive il mio “Io” insieme a quello di altri individui che popolano un determinato territorio. Qualcuno chiama tutto questo “antropizzazione”. Ma è meglio chiuderla qui. Non voglio tediarla, gentile signor ministro.

La regola, egregio signor Lollobrigida, quella a cui lei dovrebbe attenersi, è davvero semplice e non ha bisogno di molte parole: “gli uomini costruiscono e si attengono a quello che in un dato periodo storico ritengono debba loro convenire”. Per favore rifletta su quanto le sto dicendo.

Ora però per chiarire il mio punto di vista, ritengo giusto svelarle un piccolo mistero storico: sa perché gli scozzesi portano il kilt? lo portano perché per la prima volta lo hanno visto indossato dai romani che andavano a conquistare le loro terre. Da allora lo hanno portato come i romani: in pratica non utilizzando mutande sotto. Questo a loro andava bene, perché nelle battaglie, sia i romani che gli scozzesi, prima di cominciare a scannarsi, si giravano di spalle e mostravano le chiappe. Gli scozzesi hanno adottato quel gonnellino per una ragione pratica: siccome come tutti i celti portavano le brache (i pantaloni, insomma) trovavano difficoltoso sfilarseli per rispondere all’insulto dei romani, mentre con quel gonnellino l’operazione di girarsi e mostrare le chiappe era veloce e facile. Ma anche i romani dai celti hanno imparato a confezionare le brache, i pantaloni; che inizialmente ritenevano “indecenti”, e che per un certo periodo hanno proibite per legge.

Insomma, caro signor Lollobrigida, io capisco molte cose ma in un mondo sempre più – e per fortuna – globalizzato, Lei sta ricorrendo ad argomenti che erano già vecchi negli anni Venti del secolo scorso.

Se permette ora chiudo utilizzando la variante regionale dell’italiano parlato dalle mie parti. Se analizza il testo troverà in queste poche righe un intenso sentore di Latino, di Spagna, di Catalogna, di Francia, di Genova e di Corsica: “Ajò Minì, Buon Dio! Mi faccia il piacere di accabarla con queste bastasciate, non ci casca più nessuno. Si sieda sul cadreghino e faccia il mestiere suo: risolva il problema sardo delle cavallette. Meglio è per tutto il mondo.”

La saluto.

 

Category: Dibattiti

About Nello Rubattu: Nello Rubattu è nato a Sassari. Dopo gli studi a Bologna ha lavorato come addetto stampa per importanti organizzazioni e aziende italiane. Ha vissuto buona parte della sua vita all'estero ed è presidente di Su Disterru-Onlus che sta dando vita ad Asuni, un piccolo centro della Sardegna, ad un centro di documentazione sulle culture migranti. Ha scritto alcuni romanzi e un libro sul mondo delle cooperative agricole europee. Attualmente vive a Bologna

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