Don Renzo Rossi: Cercate di non imbischerirvi troppo

| 26 Marzo 2013 | Comments (0)

 

 

 

 

Don Renzo Rossi è morto la mattina del 25 marzo 2013 a Firenze, dove era  nato nel 1925. Consigliava a tutti di non imbischerirsi troppo e questo consiglio è sempre valido. Pubblichiamo in data 25 marzo 2013 la cronaca fiorentina di Repubblica  e la testimonianza di Luigia Paoli Randelli.


1. la Repubblica, cronaca di Firenze 25 marzo 2013

E’ morto questa mattina a Firenze, dove era nato nel 1925, don Renzo Rossi, uno dei sacerdoti più conosciuti della diocesi, il ‘prete dei poveri’. In seminario conobbe don Lorenzo Milani di cui divenne amico. Dopo una lunga esperienza a fianco degli operai nelle fabbriche della città, tra gli anni ’60 e ’70, chiese e ottenne di aprire la missione fiorentina a Salvador de Bahia, in Brasile, di cui è cittadino onorario. Per quasi 20 anni fece servizio nel paese sudamericano dedicandosi in particolare al servizio nelle carceri, primo sacerdote ad entrare nelle celle brasiliane, soprattutto a fianco dei detenuti politici.

Tornato in Italia visse per brevi periodi anche in Africa, in Asia, in India, “tra i poveri, accanto a loro”, diceva sempre quando raccontava la sua vita ai giovani. Da qualche anno non aveva una parrocchia ma era a servizio della diocesi e del vescovo. L’arcivescovo Giuseppe Betori, nell’ottobre 2009 quando venne allontanato don Alessandro Santoro lo mandò per 5 mesi alle Piagge. “Gli avevo detto di non fare il bischero”, disse parlando di don Santoro che poi accolse “con gioia” al suo rientro nella comunità.

“Abbiamo ricevuto stamani con grande tristezza la notizia della scomparsa di don Renzo Rossi. Don Renzo è stato ed è per tutti noi il sacerdote della gioia; anche nell’ultima esperienza a Pontassieve si definiva così”, ha detto il sindaco di Firenze Matteo Renzi.  “E’ una delle persone piu straordinarie che abbia avuto la possibilità di conoscere” ha aggiunto. “L’ultima volta che l’ho visto, venerdì, mi ha dato di bischero – ha concluso il primo cittadino – e mi ha detto, come faceva sempre con tutti, ‘cerca di non imbischerirti troppo’. Continueremo a lavorare cercando di seguire questo affettuoso suggerimento”.

La notizia della morte di Don Renzo Rossi è arrivata subito anche a Salvador Bahia.  e alle persone che don Rossi ha seguito e aiutato durante la loro prigionia politica in Brasile. “Ho fatto più di quarant’anni di vita insieme a lui, – scrive via Theodomiro Romeiro dos Santos –  buona parte di questi, in situazione anche molto difficile, come quando ero detenuto nel Carcere Politico di Salvador e, più tardi, durante il mio esilio a Parigi. Non mi è mai mancata la sua presenza e il suo prezioso aiuto, sempre in modo generoso e allo stesso tempo, allegro”. “Noi, ex-prigionieri politici – continua la lettera – ci sentiamo orfani di padre, profondamente tristi in questo momento”. A scrivere anche l’avvocato Rui Patterson, anche lui un ex-detenuto politico negli anni ’70 in Brasile: “E’ una enorme perdita per tutti noi, ex-detenuti politici del Brasile, ma anche per la Chiesa, senza paura di esagerare, una perdita per un numero significativo di esseri umani, ai quali don Renzo ha donato compassione, speranza, fede nei valori più elevati della persona umana”.

 

2.  Il ricordo della parrocchiana e amica Luigia Paoli Randelli pubblicato su gonews.it di Montelupo Fiorentino  il 25 marzo 2013

Luigia Paoli Randelli è stata parrocchiana di Don Renzo Rossi quando nel 1948 divenne sacerdote a Montelupo Fiorentino. Fu lei a raggiungerlo in Brasile alla missione di Salvador de Bahia e fu lei proporre la sua cittadinanza onoraria a Montelupo Fiorentino che gli venne conferita nel 2000.

 

Molte altre cose belle ci sarebbero da dire su Don Renzo Rossi volato in Cielo all’alba di oggi. Intanto che della grande scuola dei grandi preti fiorentini era rimasto l’ultimo, scomparso don Bensi, don Facibeni ed altri. Una cosa notevole del suo essere prete è la sua grande umanità, un carisma, quasi un segno divino che lo caratterizzava, una specie di DNA insito nella sua natura.

Quando decise di andare missionario in Brasile ce lo scrisse a noi prima che a tutti. Poi  lo ribadì quando venne a cena  a casa mia e noi tutti gli si chiese di nuovo il perché  di quella sua scelta e la sua risposta fu : “Sto troppo bene qui. Il Signore mi chiama da qualche altra parte, vuole di più da me”. La  stessa cosa ci aveva scritto in una famosissima lettera che ci lasciò pieni di stupore. Aveva 40 anni e solo da poco era parroco al Porto di Mezzo, ci stava veramente bene, aveva con sé la sua mamma, finalmente per usare un parola oggi di moda “era arrivato”! Aveva finalmente smesso di andare a fare il cappellano aiutante nelle varie parrocchie della Diocesi. Finalmente era titolare tutto da solo di una parrocchia di un paese, seppure piccolo.

Invece arrivò il Brasile dove vi è rimasto per circa 30 anni e lì sì che non ha avuto vita facile. Aveva parrocchia nella periferia di Salvador de Bahia, praticamente nelle favelas più miserevoli ed affollate, su in collina dove più che case ci sono casupole di paglia e fango. Quando va bene sono mattoni buttati lì con le mani, in realtà è fango tenuto insieme a canne e pezzi di filo di ferro incrociati. In uno dei miei viaggi da lui l’ho aiutato a costruirne una per una vecchietta rimasta sola al mondo che davvero come Gesù non aveva dove posare il capo. Ho fatto per lui il manovale tagliando su misura i pezzi necessari di ferro.

E’ ovvio che avendo scelto di lavorare con i più poveri e deboli ebbe a scontrarsi con le autorità in primo luogo, poi con una miseria incredibile, sfruttamento di ogni tipo – lavorare 12 ore al giorno solo per poter comprare un litro di latte, un pizzico di fagioli ed un altro di riso – piatto nazionale, riso e fagioli conditi con farina di mandioca.

Alle volte ci rientrava solo di comprare il latte. Il suo lavoro e poi quello di tutta la comunità fiorentina, compresi i non fiorentini come Delia di Merano e lo stesso don Paolo di Fano che lavorava con lui era di coscientizzare la popolazione, renderla umana con diritti e doveri, soprattutto diritti. La promozione umana era prevalente. Infatti la famosa “Teologia della liberazione”  detta anche  “promozione umana” nacque lì. Di fronte alle ingiustizie i preti non potevano stare zitti, non potevano solo far pregare il popolo ed accontentarsi soltanto delle belle liturgie o dei bei canti per Natale. Occorreva che qualcuno rendesse quella gente autodeterminata, gli facesse capire che erano persone, non bestie da soma da sfruttare pagandole poche lire!

Nel  1966, quasi in contemporanea con la nostra alluvione di Firenze, dopo  che era piovuto un po’ più del solito, franò una collina intera portandosi dietro uomini e cose. E’ rimasta famosa la fotografia dei morti per terra coperti solo da misero telo di plastica che lasciava scoperto i piedi e si notava che erano ragazzini. I morti furono 11. Il sindaco ed ogni altra autorità comunale non si fecero MAI vedere finché don Rossi ancora tutto inzaccherato e sporco non andò a brontolarli e scuoterli un poco e “come urlava” disse poi  chi lo aveva sentito. Mancava l’acqua, mancavano locali asciutti, c’erano bambini malati rifugiati nella scuola.

Un’altra volta invece egli ed il suo collega don Paolo di Fano rischiarono la morte – avevano viaggiato insieme dall’Italia ed insieme avevano fatto un corso  di non so più che cosa a Verona – Insieme prima che fosse loro assegnata la parrocchia avevano dormito in città in un buco che chi lo ha visto dopo lo ha definito un pollaio, talmente era piccolo e brutto! Tutta la faccenda si chiamò poi “la battaglia del Marotinho”. C’era un terreno ancora vuoto che  il sindaco aveva promesso alla popolazione di Renzo e Paolo. Erano i primi due missionari  che rischiavano la vita tout court per avere il terreno promesso dal sindaco per costruire le loro casupole. La gente una bella mattina va sul luogo stabilito con tutte  le masserizie, un trasloco vero e proprio e chi ci trova? La polizia mandata dal sindaco stesso che aveva cambiato idea. Forse aveva contattato altra gente per avere un maggior guadagno. La polizia, ovviamente stava dalla parte delle autorità, minacciando di sparare addosso ai preti se non avessero riportato indietro la loro gente. “Bene dissero i due amici, sparateci pure, questa gente ha diritto a costruirsi la casa perché così gli aveva promesso il sindaco. Ora chissà per quale motivo, vuole sistemare la sua gente rimangiandosi ogni promessa. Lottarono a parole un bel po’, autorità e preti finché la vinsero questi ultimi. Quella incredibile mattinata di lotta venne chiamata appunto la “lotta del Marotihho” dal nome di quel terreno.

Diverse furono le battaglie per evitare sfruttamenti di ogni genere. Ricordo io la battaglia  delle lavandaie – in Brasile non si usano le lavatrici – ci sono le donne apposta, che vanno su e giù dalla collina alla città di lusso  portandosi dietro cestoni enormi di panni da lavare. Ebbene per i prezzi c’era anarchia la più totale, ognuno aveva un prezzo cercando sempre di andare al ribasso per vincere la concorrenza. Ebbene dopo riunioni e riunioni con i preti la sera dopo cena si arrivò ad un prezzo equo per tutte le lavandaie in maniera che nessuna donna rimanesse senza lavoro. Ora so che hanno fatto addirittura un consorzio! Questa è promozione umana.

Oltre ad avere cura della parrocchia, don Rossi fu insegnante al seminario di Salvador di teologia biblica, materia nella quale si era laureato.

Una volta tornato in Italia per sempre trovò la maniera di fare ancora il missionario, sia pure pendolare come amava definirsi lui. In Mozambico occorreva un insegnante  di lingua portoghese al locale seminario. Fu chiamato don Rosssi. Stava via tutto l’anno scolastico. Egli definì questa esperienza “Missionario Pendolare” ed è singolare come avesse Renzo anche dopo tanti anni di sacerdozio la sua passione per stare dietro alla gente con i suoi bisogni e desideri. Succedeva quindi che  a fine settimana quando il seminario chiudeva, egli saltasse su una jeep insieme ai suoi confratelli più giovani per andare nel cuore della foresta almeno a dire messa. Ma si vede che quel pretino striminzito aveva raccolto simpatie perché la gente ora sembrava volesse  solo lui. Aspettava lui a gloria per fargli battezzare i bambini. Diventò un rito. “Noi aspettiamo “pais Laurenço”, padre Lorenzo, dicevano. Cominciava ad avere diversi anni,  se non vado errando intorno ai 70 considerando il fatto che rimpatriò dal Brasile a 63 anni ma sia fuori che dentro aveva lo spirito, l’entusiasmo di un trentenne, come se si fosse fatto prete il giorno avanti. E questo la gente lo sentiva, ne rimaneva incantata. Questa sua   fede  la conquistava. Sentiva che egli non scherzava, non ti portava in giro con belle parole e basta. Aveva una verità assoluta da far capire ed amare anche agli altri e questo egli faceva, lo ha sempre fatto in tutto il corso della sua vita. Quando rivelò ad una mia nipote d’avere un tumore al pancreas che prima o poi lo avrebbe portato alla morte, di fronte allo stupore della figliola non ebbe altro da esclamare, “ che te la prendi, io non vedo l’ora, vado dal mio Signore”.

Stamani ci è andato, lasciando noi nello sconforto più acuto.

Poi mi viene un pensiero più sereno: ci amerà e ci consolerà e ci guiderà dal Cielo. Non lo abbiamo perso, è soltanto andato  dal Padre. Anzi in Paradiso come egli ci prometteva sempre alla sua maniera scanzonata ed ilare che gli era propria. “Quando sarete al cospetto del Padre e ci sarà da decidere dove mettervi voi dite che siete miei amici ed andrete diretti in Paradiso”. Questa sua convinzione – è bene parlarne ora, gli rende onore – l’aveva sviluppata con i prigionieri politici, anche non credenti quando parlava loro di Dio e del Paradiso  ed i prigionieri rispondevano chiedendo come avrebbero fatto ad andarci se erano non credenti, addirittura atei. “Dite loro che siete miei amici”.

Questo era “don Renzo Rossi prete” come amava firmarsi in ogni lettera.


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Category: Culture e Religioni

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