Maurizio Scarpari: Il fallimento annunciato del soft power cinese

| 26 Febbraio 2024 | Comments (0)

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Pubblichiamo con il consenso dell’autore questo articolo di Maurizio Scarpari apparso su La Lettura del Corriere della Sera del 25 febbraio.

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In Occidente abbiamo introdotto le definizioni di soft, hard e sharp power. In Cina queste distinzioni sono più sfumate, tant’è che a volte la sfera d’azione dell’uno si interseca, fin quasi a confondersi, con quella dell’altro. Manca inoltre un confine netto tra ambito nazionale e internazionale, essendo il soft power parte integrante di un unico potere discorsivo. “Quando la cultura di un paese comprende valori universali e le sue politiche promuovono valori e interessi che altri condividono – ha scritto il politologo Joseph Nye – aumenta la probabilità di ottenere i risultati sperati, grazie ai rapporti di attrazione e ai vincoli che vengono così a crearsi.” In Cina i valori morali e intellettuali promossi come universali dalle democrazie liberali, così come i diversi modelli di governance democratica, non sono ritenuti validi, ma sono considerati “pericolose infiltrazioni, prevalentemente di natura ideologica e culturale, promosse da forze internazionali ostili, volte a occidentalizzare (xihua) e a dividere (fenhua) la Cina” (Hu Jintao, segretario del partito comunista dal 2002 al 2012) e perciò vanno rifiutati o tutt’al più riformulati, adattandoli al contesto cinese. Ogni tentativo di imporli è pura ingerenza, causa inevitabile di incomprensioni e tensioni, potenziale fonte di aspri conflitti.

Il graduale e inarrestabile declino etico, politico ed economico degli Stati Uniti e delle potenze liberali sue alleate comproverebbe che quei modelli non hanno valore universale. Al contrario nazioni in ascesa come la Cina sarebbero portatrici di ideali più equi e rispettosi delle specificità di culture e tradizioni differenti. La storia di questi ultimi anni ha però rivelato la natura illiberale del «sogno cinese» promosso da Xi Jinping fin dal suo primo mandato come segretario del Partito (2012-2017). Quel sogno, mai definito chiaramente, è andato precisandosi durante il secondo mandato (2012-2022) e ancor più nel successivo, tutt’ora in corso. Si è rivelato un ambizioso progetto di controllo capillare degli apparati di governo, della sicurezza, delle forze armate, dell’economia e dell’intera società cinese, presupposto indispensabile per ristabilire la centralità della Cina nel panorama politico mondiale, rifacendosi a una concezione tradizionale di stampo imperiale che legittimava un primato durato millenni.

La rivalutazione dell’antica civiltà cinese, della sua cultura e del suo glorioso passato, spesso riscritto in base alle esigenze dell’attuale momento storico e delle ambizioni della nuova classe dirigente, mira a costituire un forte sentimento identitario della popolazione, facendo leva sulla vocazione a nazionalismo e patriottismo. Vengono enfatizzati i punti di forza molto apprezzati nei Paesi del Sud globale, che sperano di poter trarne ispirazione e vantaggio per il proprio sviluppo, come il modello economico (oggi in affanno), la competenza governativa (oggi in dubbio), i progressi tecnologici, la crescente potenza militare e le capacità di mobilitazione politica, evidenziate in occasione delle campagne contro la corruzione e la povertà.

Tutto ciò legittima il governo a rivendicare un ruolo di primo piano, proponendosi come guida per i Paesi che, come la Cina, a un certo punto della loro storia hanno dovuto subire il dominio delle potenze imperialiste e colonialiste, ritenute responsabili delle difficili condizioni di vita di quelle nazioni. La diplomazia del soft power è spesso accompagnata da offerte di aiuti materiali sotto forma di prestiti, competenze, sostegno alla formazione e all’istruzione, perlopiù sotto l’ombrello del progetto egemonico della Nuova Via della Seta. La Cina si propone come potenza globale alternativa, con alle spalle una lunga storia di lotta e riscatto contro lo strapotere dell’Occidente, intenzionata a fornire aiuti concreti, prospettando alle nazioni emergenti percorsi che consentano di tracciare liberamente la propria via di sviluppo senza subire imposizioni di sorta. È una proposta credibile solo in parte, come dimostrano le difficoltà incontrate da molti Paesi a causa di progetti faraonici e di ingenti debiti contratti con banche e aziende cinesi, ma che è in grado di esercitare un grande fascino.

Bisogna tener conto del risentimento nei confronti dell’Occidente e della rivalità con Stati Uniti e Unione Europea, i principali mercati per le esportazioni cinesi. Il sostegno all’invasione dell’Ucraina si caratterizza come una delle scelte più gravide di conseguenze, sia dal punto di vista politico sia economico, prese da Xi Jinping durante il suo secondo mandato, il cui danno è equiparabile, se non superiore, a quello derivante dalle modalità di gestione della pandemia da Covid-19. Il suo approccio ambiguo contraddice la tradizionale visione internazionalista e mina la credibilità delle dottrine orientate verso la pace e l’armonia tanto propagandate da partito e governo, che appaiono sempre più come astrazioni retoriche funzionali a sostenere la propaganda di regime. La formazione di uno schieramento a favore di Vladimir Putin, di cui fanno parte, oltre alla Cina, la Bielorussia, l’Iran (e la sua rete di milizie proxy dislocate in Libano, a Gaza, in Yemen, Siria e Iraq), la Corea del Nord e, con modalità e peso diversi, altri ambiziosi attori in cerca di un ruolo di rilievo a livello globale, nonché la crescente aggressività delle forze armate cinesi lungo i confini di terra e di mare, appaiono come serie minacce e violazioni del diritto internazionale che non contribuiscono a promuovere l’immagine positiva della Cina.

Il soft power cinese appare così come un’arma spuntata agli occhi della parte del mondo che ha imparato a distinguere tra propaganda, diplomazia e persuasione che tanto soft non è, ritenendo i valori «con caratteristiche cinesi» adatti, per loro stessa definizione, alla sola realtà cinese. Sembra invece riscuotere un discreto e perlopiù controverso successo tra quei Paesi in via di sviluppo in cui i diritti e le libertà dei cittadini sono ritenuti secondari rispetto alla lotta allo sfruttamento e alla povertà, che vedono nel modello cinese una possibilità di riscatto. Tale consenso non è però sufficiente a legittimare le politiche di una nazione che ambisce a diventare un leader globale, maturo e responsabile.

 

Category: Osservatorio Cina

About Maurizio Scarpari: Maurizio Scarpari, professore ordinario di Lingua e letteratura cinese classica presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia, dove ha insegnato dal 1977 al 2011 e ricoperto numerose cariche acca-demiche, tra le quali quelle di Pro-Rettore Vicario e Direttore del Dipartimento di Studi sull’Asia Orientale. Sinologo esperto di lingua cinese classica, storia, archeologia, pensiero filosofico e la sua influenza sul pensiero attuale è autore e curatore di numerosi articoli e volumi, tra cui si se-gnala La Cina, oltre 4000 pagine in quattro volumi (Einaudi 2009-2013), alla cui realizzazione hanno contribuito esperti di 35 istituzioni universitarie e di ricerca tra le più prestigiose al mondo. Per ulteriori informazioni e la bibliografia completa dei suoi scritti si rinvia a www.maurizioscarpari.com.

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