Elisa Nesossi: Giustizia e compromesso. Uno sguardo al recente emendamento del Codice di procedura penale cinese
Questo articolo di Elisa Nesossi, Australian Centre on China in the World, è stato pubblicato in “Inchiesta”, 177, luglio-settembre 2012, pp. 74-78
Era il 1998 quando la Cina firmava la Convenzione internazionale sui diritti civili e politici con la promessa di una ratifica imminente. Tale impegno di fronte alla comunità internazionale aveva da subito generato un certo disagio tra i giuristi cinesi, sollevando dilemmi e ambiguità destinati a rimanere irrisolti per più di un decennio. In particolare, ci si chiedeva come avrebbe fatto la Cina a ratificare tale Convenzione così eloquente in ambito di giustizia penale quando il Codice di procedura penale (xingshi susong fa 刑事诉讼法) recentemente emendato (1996) mostrava ancora profonde lacune circa fondamentali garanzie procedurali.
Nell’ottobre 2002, durante il Sedicesimo Congresso del Partito Comunista, i leader cinesi cominciarono a ventilare l’ipotesi di un’eventuale ulteriore revisione del Codice; tale proposta venne poi formalizzata l’anno successivo nell’ambito della Decima Assemblea Nazionale Popolare, che lo mise nel suo piano quinquennale di riforme (2003-2008). L’ultimo decennio ha visto un avvicendarsi di proposte, dibattiti, pubblicazioni ed esperimenti volti a risolvere alcuni dei problemi più scottanti inerenti alla revisione, come il diritto alla difesa da parte dell’indagato e imputato, il principio della presunzione d’innocenza e l’esclusione delle prove ottenute illegalmente.
Dopo un alternarsi di proposte e una serie di negoziazioni tra i vari poteri politico-istituzionali, lo scorso marzo l’Assemblea Nazionale Popolare ha finalmente varato il terzo emendamento al Codice. Sono pochi gli esperti che hanno acclamato tale riforma come un effettivo passo avanti nel processo di riforme legali attuate dalla Repubblica Popolare negli ultimi trent’anni. Mentre il mondo accademico occidentale si è subito mobilitato per individuare le pecche di tale legge, identificandone con estrema facilità gli aspetti più problematici, gli accademici cinesi hanno commentato mettendo in luce sia i sostanziali miglioramenti apportati al Codice, sia quegli aspetti che rimangono irrisolti.
Quest’articolo non vuole essere una valutazione del successo o dell’eventuale fallimento di tale riforma – una valutazione che risulterebbe peraltro estremamente semplicistica in questo contesto – ma intende piuttosto proporre una breve riflessione sui rapporti tra potere politico e giustizia che tale emendamento lascia trasparire.
Il Codice di procedura penale del 2012: quali novità?
È innegabile che il nuovo Codice introduca delle novità rispetto alla sua versione precedente. Lungi dall’affrontare in maniera esaustiva e dettagliata le varie innovazioni in materia tecnica e procedurale di tale testo di legge, per ragioni di spazio nel presente articolo ci si soffermerà solamente su cinque aspetti fondamentali, vale a dire: la menzione esplicita della tutela dei diritti umani; le norme sull’ammissibilità delle prove ottenute per vie illegali; il ruolo degli avvocati di difesa: il principio della presunzione di innocenza e le procedure speciali per alcuni gruppi sociali.
Innanzitutto, l’articolo 2, conformemente all’articolo 33 della Costituzione cinese, menziona tra gli obiettivi principali della Legge la protezione dei diritti umani (renquan 人权). Sebbene sia difficile valutare se questo indichi un sostanziale cambiamento nella pratica, l’introduzione del concetto dimostra per lo meno la volontà dei legislatori cinesi di conformare tale legge alla legislazione nazionale e, potenzialmente, alla Convenzione sui diritti civili e politici che la Cina è chiamata a ratificare.
Una seconda innovazione, che fa seguito all’intenso dibattito sviluppatosi negli ultimi anni sull’onda di una serie di eclatanti errori di giustizia ampiamente discussi sui media cinesi, riguarda il principio di esclusione delle prove ottenute illegalmente durante le indagini. In accordo con le clausole stabilite dalla Convenzione internazionale contro la tortura (ratificata dalla Cina nel 1984), il nuovo Codice non solo ribadisce la proibizione della tortura ma introduce il principio secondo cui prove ottenute attraverso la tortura e altri mezzi illegali sono da escludere in tribunale.
Di fatto, il nuovo articolo 54 del Codice incorpora le clausole dei ‘Due regolamenti’ (liang ge guiding 两个规定) – vale a dire il ‘Regolamento sulle questioni riguardanti la valutazione delle prove in casi di pena di morte’ (Guanyu banli sixing anjian shencha panduan zhengju ruogan wenti de guiding关于办理死刑案件审查判断证据若干问题的规定) e il ‘Regolamento sulle questioni riguardanti l’esclusione di prove ottenute illegalmente in casi penali’ (Guanyu banli xingshi anjian paichu feifa zhengju ruogan wenti de guiding 关于办理刑事案件排除非法证据若干问题的规定) – emanati congiuntamente nel 2010 dai maggiori organi di giustizia cinesi, ma allo stesso tempo lascia irrisolti alcuni dubbi circa l’esclusione del ‘frutto dell’albero avvelenato’, cioè quelle prove ottenute in maniera legale sulla base di altre prove ottenute illegalmente in precedenza.
In terzo luogo, il Codice del 2012 stipula, seppur in maniera piuttosto ambigua, il privilegio contro l’auto-incriminazione e il principio di presunzione d’innocenza, enunciando nell’articolo 50 che nessun individuo dev’essere obbligato a provare la propria colpevolezza. Tuttavia, in apparente contraddizione con tale clausola, l’articolo 118 riconferma ciò che il precedente Codice già stipulava, affermando che l’indagato deve rispondere in maniera veritiera (rushi huida 如实回答) alle domande degli investigatori e che la polizia ha l’obbligo d’informare l’indagato del trattamento indulgente verso coloro che confessano onestamente i propri reati.
In quarto luogo, l’emendamento dà un seguito al dibattito dell’ultimo decennio sul ruolo degli avvocati di difesa. In linea con la Legge sull’avvocatura (lüshi fa律师法) emendata nel 2007, il Codice del 2012 si propone di rafforzare il ruolo svolto dagli avvocati durante la fase pre-processuale, così come di ampliare le garanzie per l’ottenimento di assistenza legale gratuita (falü yuanzhu 法律援助). La revisione prevede anche maggiori garanzie per sostenere l’apparizione dei testimoni durante il processo e amplia il numero di clausole relative alla detenzione domiciliare (jianshi juzhu 监视居住) e alla libertà provvisoria dietro garanzia (qubao houshen 取保候审).
Infine, la parte conclusiva del Codice del 2012 introduce ‘procedure speciali’ (tebie chengxu 特别程序) relative al trattamento dei minorenni e individui infermi di mente, il sistema di mediazione in ambito penale, e procedure relative alla confisca di patrimoni illeciti appartenenti ad indagati che si sono resi irreperibili, sono nascosti o defunti.
Dalla teoria alla pratica
Come dar vita a tali riforme oggi esistenti solo su carta? Il fatto che il Codice attuale, così come le sue versioni precedenti, sia formulato in maniera piuttosto vaga può facilmente dar adito ad interpretazioni differenti e, di conseguenza, a divergenti modalità d’implementazione. Di fatto, tale vaghezza formale lascia notevole discrezione alle autorità locali responsabili per l’attuazione della Legge, le quali si sentono autorizzate a prendere decisioni arbitrarie sfuggendo ai vincoli imposti, seppure in maniera sommaria, dalla Legge stessa. Questo significa che tali autorità si trovano nella posizione di dover fare una valutazione puramente soggettiva delle priorità politiche stabilite ai livelli più elevati della gerarchia del potere e dei bisogni locali, discriminando tra la legislazione nazionale e quella locale, tra principi puramente burocratici e valori personali.
Inevitabilmente, una legislazione così vaga crea incertezze e una mentalità avversa al rischio tra coloro che si trovano ad applicarla. Ecco allora che i funzionari di polizia sempre più spesso si troveranno a chiedersi: ‘Perché correre il rischio di rilasciare qualcuno su cauzione se la sua fuga potrebbe comportare un rischio per il mio avanzamento di carriera?’ O gli avvocati della difesa: ‘Perché difendere un imputato corrotto o coinvolto politicamente se questo potrebbe comportare problemi per me, il mio studio legale e magari anche la mia famiglia?’
Emblematico è il caso del controverso articolo 73, che stabilisce che gli organi della pubblica sicurezza continueranno a detenere esclusivo potere decisionale riguardo la detenzione domiciliare fino a sei mesi in località da loro designate di individui sospettati di crimini contro la sicurezza nazionale, terrorismo o atti di corruzione estremamente gravi. Anche in questo caso, l’applicazione finisce per dipendere esclusivamente da coloro che lavorano sul campo, attribuendo loro la facoltà di scegliere in che modo utilizzare, o eventualmente abusare, i poteri loro attribuiti tramite tale clausola. La polizia si riserva infatti il diritto di informare le famiglie in merito all’atto di detenzione ma non riguardo il luogo di reclusione nel caso in cui tale notifica possa interferire con le indagini. Il fatto che la definizione di ‘crimini contro la sicurezza nazionale’ (weihai guojia anquan fanzui 危害国家安全犯罪), ‘terrorismo’ (kongbu huodong fanzui 恐怖活动犯罪) e ‘atti di corruzione estremamente gravi’ (tebie zhongda huilu fanzui 特别重大贿赂犯罪) sia alquanto vaga ed incerta fa temere che la clausola possa essere utilizzata per detenere in incommunicado individui considerati politicamente scomodi.
Per poter valutare il significato e le implicazioni pratiche del nuovo Codice di procedura penale dobbiamo però aspettare il 2013, quando la Legge entrerà finalmente in vigore, e sopratutto dobbiamo attendere la pubblicazione delle ‘Interpretazioni’ (jieshi 解释) formali da parte della Corte Suprema del Popolo, della Procura Suprema del Popolo e del Ministero della Pubblica Sicurezza.
Una bozza dell’Interpretazione della Corte Suprema del Popolo è già stata pubblicata alla fine di luglio del 2012. Fatta circolare solo internamente per eventuali commenti ma facilmente accessibile su Weibo 微博, tale Interpretazione, costituita da ben 560 articoli, ha già destato non poche preoccupazioni tra i giuristi e gli avvocati cinesi. L’articolo 250, ad esempio, fa sicuramente riflettere sul ruolo che le corti si assumerebbero nel disciplinare gli avvocati, mettendo seriamente in discussione quelle poche garanzie accordate dal codice stesso. Secondo l’Interpretazione, infatti, le corti potrebbero arrogarsi il diritto di punire gli avvocati ‘indisciplinati’ rifiutandogli l’apparizione in tribunale per un periodo da sei a dodici mesi.
La sorte del Codice del 2012 dipenderà non solo dalle sue Interpretazioni ma anche, in maniera indiretta, dalla revisioni di altre leggi e regolamenti correlati, come ad esempio le ‘Norme sui centri di detenzione penali’ (kanshousuo tiaoli看守所条例) del 1990. Tali Norme tuttora in vigore e utilizzate principalmente dagli organi della pubblica sicurezza che dirigono i centri di detenzione penali (kanshousuo 看守所, da distinguere dai centri di detenzione amministrativi), includono un gran numero di clausole che contraddicono esplicitamente il Codice del 2012, non ultima la possibilità di avere accesso ad un avvocato difensore, che secondo il regolamento del 1990 è consentito solo poco prima dell’apparizione in corte, cioè solo dopo che il caso sia stato ufficialmente approvato dalla procura. Ora, il problema in teoria non si porrebbe perchè, secondo la Legge sulla legislazione del 2000 (lifa fa 立法法), il Codice del 2012, emanato dal Congresso Nazionale del Popolo, prevarrebbe in automatico sulle Norme del 1990, emanate dal Consiglio degli Affari di Stato. Nella pratica, tuttavia, i rappresentanti locali della pubblica sicurezza preferiscono andare sul sicuro e utilizzare le norme con cui si sentono più a proprio agio e che hanno utilizzato da anni in maniera quasi consuetudinaria. Se tali azioni non sono esplicitamente illegali, come la tortura ad esempio, nessuno impedisce loro di farlo, neppure una ben formulata ma lontana legge nazionale.
Il grigio compromesso
I vari dibattiti sulla riforma del diritto penale che si sono succeduti negli anni hanno messo in luce uno dei nodi cruciali del sistema legale cinesi: la sua totale dipendenza da e integrazione con il sistema politico. Come asserito da Sue Trevaskes nel suo recente The Death Penalty in Contemporary China (2012), ‘la relazione tra diritto e politica rimane una delle questioni intrinseche ed irrisolte nel contesto del sistema legale cinese’, un fatto che, nella pratica, si dimostra cruciale per determinare il modo in cui le corti a tutti i livelli prendono le proprie decisioni.
Su tutte le disquisizioni teoriche e gli esperimenti locali in ambito di giustizia penale incombe l’ombra del Ministero della Pubblica Sicurezza e della Commissione Politica e Legale del Comitato Centrale del Partito Comunista (noto in cinese come zhengfawei 政法委), due organi che rappresentano il braccio destro del Partito in ambito legale, le cui decisioni e opinioni sono sempre state rivestite da un’aura di sacralità e inviolabilità.
Per rompere con il passato, la revisione del Codice di procedura penale avrebbe dovuto sfidare tali autorità, ponendo un limite sostanziale ai poteri attribuiti alla polizia. Tuttavia basta una lettura veloce del Codice del 2012 per capire che tale emendamento non può certo definirsi rivoluzionario e che la Legge è piuttosto il frutto di un intenso lavoro di compromesso istituzionale e politico. La questione è piuttosto lampante se si paragona la versione finale del marzo 2012 e le bozze fatte circolare per commento durante l’anno precedente, documenti che tendevano a mitigare lo strapotere della polizia rafforzando gli altri organi di giustizia. Riflettendo sulla retorica ossessiva sul concetto di armonia (hexie 和谐) e stabilità (wending 稳定) in ambito di quel ‘nuovo management sociale’ (shehui guanli chuangxin 社会管理创新) descritto da Flora Sapio nel presente Dossier, non sorprende il fatto che il Ministero della Pubblica Sicurezza alla fine abbia ancora una volta avuto la meglio sul Ministero della Giustizia, le Corte Suprema del Popolo e la Procura Suprema del Popolo.
Nonostante le novità introdotte, il significato della riforma dipende ancora dai giochi di forza tra i vari poteri, sia a livello centrale che locale. Nonostante la bontà o il fallimento di tale emendamento siano ancora da testare nella pratica, l’impressione che se ne può trarre, almeno su carta, è quella di un codice piuttosto blando, grigio, privo di grinta, il frutto di un chiaro compromesso tra varie forze in lotta tra loro per la conservazione del potere e della propria legittimità politica.
Conclusioni
L’intero processo che ha portato alla revisione del Codice di procedura penale e la revisione stessa offrono una serie di spunti di riflessione estremamente interessanti che la critica, direi piuttosto avventata, di buona parte dei commentatori occidentali pare aver trascurato.
La revisione del Codice di procedura penale e i suoi vari retroscena dimostrano in modo evidente come anche in Cina la legge sia un terreno di scontro politico e, di riflesso, istituzionale. Mentre nelle democrazie occidentali tale scontro avviene in maniera relativamente trasparente, in Cina l’intero lavoro di contrattazione avviene dietro le quinte. Per questo motivo, la legislazione cinese va letta non solo sulla base delle sue clausole specifiche, ma sopratutto nei termini delle tendenze politico-istituzionali sottintese da tali clausole. Interpretata in questi termini, la revisione attuale non genera particolare stupore, anzi. Anche se ci sarebbe potuti aspettare un prodotto finale un poco più raffinato, essa è chiaramente il frutto dell’atteggiamento prudente e conciliatorio dell’attuale leadership politica e probabilmente diventerà una delle patate bollenti che verranno passate in eredità alla nuova dirigenza.
In quest’ottica, sarà fondamentale osservare le conseguenze dei prossimi cambiamenti politici sul modo in cui il Codice verrà interpretato ed implementato nel prossimo futuro e vedere se la ratifica della Convenzione internazionale dei diritti civili e politici verrà presa in considerazione. Il fatto che l’attuale Legge sia formulata in maniera piuttosto vaga potrebbe dar adito a serie e preoccupanti manipolazioni nel processo d’implementazione, ma, potenzialmente, anche creare nuove opportunità di sperimentazione e cambiamento. Questo indica che anche articoli del Codice che riflettono principi legali prettamente anglo-americani potranno sortire effetti completamente diversi da quelli previsti, sia in positivo che in negativo. Il tutto dipenderà dalla lettura che la nuova leadership vorrà dare al Codice e che farà percolare attraverso i diversi livelli istituzionali fino ai suoi implementatori locali.
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