Maurizio Scarpari: La Cina al centro. Verso un ordine mondiale a trazione cinese?

| 11 Marzo 2024 | Comments (0)

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Pubblichiamo con il consenso dell’autore questo articolo apparso su La Polifera (Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti), 41, febbraio 2024.

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Maurizio Scarpari

La Cina al centro: verso un ordine mondiale a trazione cinese?

“Operiamo in un mondo che, di fatto, è già molto diverso da quello in cui abbiamo cominciato a vivere, e quando la nostra capacità di capire si sarà messa alla pari con la nuova realtà, probabilmente il mondo avrà subìto altre drastiche trasformazioni che oggi non riusciremmo neppure a immaginare. […] Inoltre, la nostra capacità di comprendere le più estese ramificazioni del presente (per non parlare del futuro) è ostacolata dal collasso generale, soprattutto nelle zone più sviluppate del globo, di quasi tutti i valori noti. […] Anche il ruolo della religione nella definizione degli standard morali ha subìto un declino, mentre il consumismo si propone abusivamente come sostituto degli standard etici.”[1] Sono parole scritte oltre trent’anni fa da Zbigniew Brzezinski, nel libro Il mondo fuori controllo, pubblicato in “un’epoca considerata da molti come la più tranquilla dell’intero Novecento, e forse di tutta la vicenda umana, quando non addirittura come il punto di arrivo di tutta la storia” annota Manlio Graziano in Disordine mondiale.[2]

“Disordine fuori controllo” non solo di oggi, dunque, ma presente da decenni, reso semmai ora più acuto a causa del risorgere delle dottrine totalitarie, che Brzezinski riteneva ormai definitivamente “screditate”, dell’incapacità, diventata cronica, di governi e organizzazioni sovranazionali di affrontare collegialmente crisi umanitarie di portata globale e della persistenza di atteggiamenti egoistici e ideologici, a quanto pare impossibili da sconfiggere, che accentuano l’intensità di attriti e incomprensioni. Sempre riferendosi alle parole di Brzezinski, Graziano continua: “Se già allora, in quelle condizioni, era possibile per qualcuno affermare che le trasformazioni in corso erano «fuori controllo», oggi lo è a maggior ragione: tra guerre, pandemie, recessioni, crisi climatiche, dirigenti che non dirigono, colpi di Stato ed epidemie di istinti tribali spacciati per nazionalismo, le crisi si moltiplicano in numero e intensità, si aggrovigliano e avviluppano le une con le altre, il tutto a una velocità tale che il nostro modo di valutare le cose e di reagire è molto più spesso in ritardo, e quindi inadeguato, di quanto non lo fosse nel 1993.”[3]

Le conseguenze dei cambiamenti climatici, delle migrazioni su vasta scala, delle crisi sanitarie, nonché gli errori di valutazione e le scelte di leader le cui politiche sono troppo spesso orientate all’esclusivo tornaconto personale e politico, insieme alla proliferazione di conflitti armati e all’aumento del disordine a livello globale, sembrano favorire le ambizioni e gli interessi delle grandi potenze e di quelle che aspirano ad avere un ruolo da protagonista nel futuro assetto internazionale. Questo contesto in via di costante deterioramento causa una regressione in termini di impiego oculato delle risorse e un rallentamento sostanziale dello sviluppo materiale, culturale ed etico complessivo, e determina un aumento progressivo della povertà non solo nelle regioni meno progredite, ma anche in aree del pianeta precedentemente considerate al riparo da tale evenienza.

Ancora una volta vengono deluse le aspettative dei paesi più arretrati, generando nuovo risentimento e mettendo in luce significative responsabilità da parte delle nazioni più avanzate. Questo risentimento si somma al preesistente malcontento, accumulato nel corso del tempo e recentemente sfruttato, principalmente ma non solo, da Russia e Cina per perseguire le proprie mire espansionistiche sollecitando e appoggiando, spesso in modo strumentale, le richieste delle nazioni intermedie e meno influenti dal punto di vista politico, economico e militare. Tali azioni sono orientate alla creazione di un nuovo ordine mondiale basato sulla completa revisione delle regole di convivenza e su un riassetto delle relazioni e delle alleanze tra le principali potenze.

Ne consegue che le condizioni di instabilità e di incertezza vengono deliberatamente considerate prerequisiti per l’attuazione di una strategia volta allo smantellamento dell’attuale ordinamento internazionale, prevalentemente dominato dagli Stati Uniti e dalle democrazie liberali. Emerge una convergenza di vedute tra Vladimir Putin e Xi Jinping, entrambi a capo di paesi in cui tutti i poteri sono appannaggio di un unico partito e del suo leader, concordi nell’auspicare l’istituzione di un nuovo ordine internazionale, che si vorrebbe caratterizzato dalla promozione della “democratizzazione” delle relazioni globali, con l’obiettivo di plasmare un mondo diverso dall’attuale, più prospero, stabile ed equo.[4] Tale ambizione accumuna i due leader ad altri del passato, come se, nota ancora Graziano, “il richiamo a un «nuovo ordine mondiale» si diffonda in modo direttamente proporzionale al dispiegarsi di un nuovo disordine internazionale, quasi un’evocazione apotropaica volta a sedarne, almeno psicologicamente, gli effetti ansiogeni.”[5] Tuttavia, l’apparente coincidenza di tali obiettivi cela differenze profonde, poiché la Cina mira innanzi tutto a ristabilire la propria centralità nel panorama politico mondiale, com’era stato per millenni nella sua concezione tradizionale di stampo imperiale.[6]

Si è assistito alla formazione di un nuovo schieramento attorno alla figura di Vladimir Putin, di cui fanno parte, oltre alla Cina, la Bielorussia, l’Iran (e la sua rete di milizie proxy dislocate in Libano, Gaza, Giordania, Siria e Iraq), la Corea del Nord e, con modalità e peso diversi, altri ambiziosi attori in cerca di un ruolo di rilevo a livello globale. La rivalità tra Cina e Stati Uniti, di cui gli sviluppi bellici recenti sono un’inevitabile conseguenza e una componente rilevante, ha innescato un rinnovato dinamismo nelle nazioni di media potenza e nei paesi in via di sviluppo, allettati dalla possibilità di sfruttare le molteplici opportunità insite nel contesto di un mutamento geopolitico. L’elemento di coesione di queste nazioni risiede principalmente nel risentimento nei confronti dell’Occidente, in particolare verso gli Stati Uniti. Le crescenti sfide interne ed esterne che la Cina deve affrontare, unitamente ai cambiamenti derivanti dalle prossime elezioni nell’Unione Europea e, soprattutto, negli Stati Uniti, prospettano scenari incerti, anche alla luce dell’esito delle elezioni recentemente svoltesi a Taiwan, epicentro del riassetto geoeconomico, geopolitico e geomilitare dell’Indo-Pacifico. L’evoluzione di tali dinamiche richiederà la partecipazione congiunta dei principali leader mondiali al fine di prevenire l’escalation militare su scala globale. È in questo panorama internazionale caratterizzato da complessità e forte instabilità che si inseriscono i conflitti in Europa, Africa e Medio Oriente e le tensioni nell’Indo-Pacifico e lungo la frontiera himalayana.

Il sostegno del governo cinese all’invasione russa dell’Ucraina si caratterizza come una delle scelte più gravide di conseguenze, sia dal punto di vista politico ed economico sia etico, prese da Xi Jinping durante il suo secondo mandato, il cui danno è equiparabile, se non superiore, a quello derivante dalla pessima gestione della pandemia da Covid-19. Tale decisione, in netta contraddizione con i Cinque principi di coesistenza pacifica, considerati ancor oggi fondamentali nella politica estera cinese – in particolare il rispetto della sovranità nazionale e l’autodeterminazione dei popoli – è motivata prevalentemente da considerazioni di natura ideologica e solo in secondo luogo economica. Questo approccio contradditorio rispetto alla propria tradizionale visione internazionalista mina la credibilità delle dottrine orientate verso la pace e l’armonia tanto propagandate da partito e governo, che appaiono sempre più come mere astrazioni dialettiche funzionali a sostenere la retorica e la propaganda di regime.[7]

Di fatto il governo cinese non ha mai disapprovato le violazioni del diritto internazionale e preso le dovute distanze dalle violenze e dai crimini perpetrati dall’esercito russo, dalla milizia Wagner e dalle truppe cecene contro la popolazione civile ucraina, in contraddizione col tanto celebrato umanesimo di stampo confuciano, ritornato centrale, evidentemente più a parole che nei fatti, nei discorsi ufficiali dei leader. Le poche e inconsistenti dichiarazioni ufficiali presentate come espressioni di “neutralità” da parte di Pechino, volte a manipolare l’informazione nel tentativo di promuovere un’immagine positiva della Cina e, ove possibile, anche della Russia, hanno fatto perdere a livello internazionale autorevolezza al governo cinese e allo stesso Xi Jinping.

L’appoggio a Putin, in nome di una “amicizia senza limiti […] solida come una roccia” annunciata a Pechino congiuntamente dai due leader il 4 febbraio 2022, pochi giorni prima dell’avvio dell’invasione, e da allora ribadita a più riprese come perno di un’alleanza anti-Occidente, anti-Nato, anti-liberaldemocrazie, è frutto di una scelta ponderata che ha concorso a precipitare il mondo in un disordine che non ha precedenti dalla fine della Seconda guerra mondiale. La posizione cinese, emersa ufficialmente un anno dopo l’inizio della guerra, è stata presentata nel documento noto come Position paper, il solo contributo concreto del governo cinese alla soluzione della crisi sollecitato a più riprese dalla comunità internazionale.[8] Rivelatosi fin da subito del tutto inutilizzabile sul piano negoziale, a causa delle sue molteplici contraddizioni e al suo netto sbilanciamento a favore della Russia, il Position paper è stato reso ufficiale e consegnato personalmente da Xi Jinping a Vladimir Putin in occasione delle celebrazioni, avvenute a Mosca, del primo anniversario della “operazione militare speciale”, un atto plateale voluto per ostentare il sostegno ideologico, politico e personale del leader cinese all’amico russo e alla sua aggressiva politica militare.[9] Schierarsi personalmente e apertamente a favore di Putin ha precluso a Xi Jinping la possibilità di assumere il ruolo di potenziale Grande Mediatore e di dimostrare che la Cina ha finalmente acquisito quella mentalità da grande potenza e da nazione responsabile in grado di intervenire con autorevolezza nell’interesse comune, mettendo all’occorrenza in secondo piano il proprio tornaconto ideologico ed economico per sostenere, nei fatti e non a parole, la stabilità e la pace globale. Purtroppo, l’ideologia e l’egoismo di stampo nazionalistico hanno ancora una volta prevalso.

Alla lunga, però, le notevoli difficoltà che il paese sta incontrando sul piano economico, finanziario e sociale e sul versante estero hanno indotto il governo ad assumere una postura meno assertiva, ma pur sempre conflittuale, nelle relazioni internazionali. La ripresa dei colloqui con gli Stati Uniti, la cautela nel trattare la delicata questione di Taiwan dopo le elezioni di metà gennaio 2024, la nutrita delegazione di ministri recatasi a Davos per promuovere la Cina come paese sicuro e affidabile dove investire i propri capitali ne sono la dimostrazione lampante. È in quest’ottica che si inserisce l’articolo, pubblicato dall’ambasciatore cinese in Italia Jia Guide a inizio anno su alcuni quotidiani, rivolto agli imprenditori italiani – e sottotraccia ai nostri politici – per indurli a considerare con nuovo interesse il mercato cinese, dopo il mancato rinnovo del Memorandum d’intesa sulla Via della Seta, invitandoli a non perdere l’opportunità di favorire un futuro di sviluppo condiviso, nello spirito del progetto geopolitico della Nuova Via della Seta, in evidente affanno.[10]

Le sue sarebbero parole suadenti, se non fosse per un passaggio sul quale vale la pena soffermarsi: “La Cina – assicura l’ambasciatore – non cerca di cambiare l’ordine internazionale, né intende crearne uno nuovo.” È una dichiarazione sorprendente nell’era di Xi Jinping, in netta contraddizione con quanto affermato e operato fino ad ora, avanzata per sostenere l’idea di un sistema di governance globale “equo e ordinato” nel quale tutti i paesi sovrani siano “uguali, indipendentemente dalle loro dimensioni” e dove le loro “sovranità e integrità territoriale” siano sempre rispettate, sostenuti da un “sistema internazionale con l’ONU al centro e l’ordine basato sul diritto internazionale” per usufruire pienamente dei vantaggi che derivano “dal multilateralismo e da un’economia mondiale aperta.”

Si tratterebbe di un cambio di paradigma di non poco conto se alle parole dell’ambasciatore facessero seguito fatti concreti. C’è da chiedersi se siamo di fronte a un cambiamento di strategia funzionale al superamento delle attuali difficoltà e dei rischi di un ulteriore allargamento dei conflitti, che al momento vengono considerati “regionali” ma che invece sembrano avere, sempre più, dimensione globale, o se, piuttosto, stiamo assistendo all’ennesimo espediente retorico per prendere tempo in attesa di vedere come andranno le elezioni di fine anno negli Stati Uniti prima di decidere come orientarsi nella sfida per la supremazia mondiale.

I segnali di preoccupazione per una eventuale escalation militare non mancano e si fanno ogni giorno più evidenti.[11] Dopo il XX Congresso del Partito comunista dell’ottobre 2022 Xi Jinping ha rafforzato ulteriormente il suo potere, accentrando nelle sue mani, teoricamente sine die, il controllo assoluto del partito e dell’efficiente macchina di propaganda, nonché degli apparati di governo e di sicurezza (i cui vertici sono ora occupati da suoi fedeli collaboratori) e delle forze armate (al centro da mesi di epurazioni e sostituzioni ai massimi livelli). La situazione è potenzialmente esplosiva ed espone il paese ai rischi tipici delle dittature governate da “un solo uomo al comando”, le cui classi dirigenti tendono a compiacere acriticamente il leader pur di evitare di deluderlo o contrastarlo, nel timore di doverne pagare le inevitabili conseguenze, a detrimento della qualità della dialettica politica, dell’efficienza della catena di responsabilità e dell’efficacia del processo decisionale.

Si sono prodotte conseguenze drammatiche già nell’era maoista e anche più di recente; il rischio che gli errori possano ripetersi nuovamente e condurre a catastrofi e guerre “fuori controllo” si fa sempre più concreto. L’annuncio dato dal comandante della Marina militare iraniana, contrammiraglio Shahram Irani, di una grande esercitazione navale congiunta Iran, Russia e Cina da tenersi entro la fine di marzo 2024 nell’area settentrionale dell’Oceano Indiano, in un momento tanto delicato per il conflitto israelo-palestinese e per gli equilibri mediorientali, indica chiaramente la volontà del governo cinese di sostenere apertamente e, in prospettiva, anche militarmente le nazioni più coinvolte nelle guerre in corso: Russia e Iran.[12] L’esercitazione, che si ripete per la quarta volta, è aperta anche alle flotte militari di altri paesi e avverrà in un’area ad altissima tensione, vista la simultanea presenza di navi da guerra statunitensi e britanniche, e non solo. Si tratta di una situazione inquietante, soprattutto alla luce degli scenari apocalittici che potrebbero delinearsi nell’Indo-Pacifico, secondo alcuni già entro il 2025 o il 2027.[13] Non è privo di rilevanza, in quest’ottica, che nello scambio augurale per il nuovo anno lunare tra Xi Jinping e Putin, il leader russo abbia voluto rassicurare l’amico cinese, per l’ennesima volta, sul fatto che “la Russia si attiene fermamente al principio della Cina unica, si oppone a qualsiasi azione pericolosa che provochi la Cina sulla questione di Taiwan e crede che qualsiasi complotto che impedisca la riunificazione pacifica della Cina non avrà successo.”[14]

[1] Zbigniew Brzezinski, Il mondo fuori controllo. Gli sconvolgimenti planetari all’alba del XXI secolo, Milano, Longanesi, 1993, pp. 7-8.

[2] Manlio Graziano, Disordine mondiale. Perché viviamo in un’epoca di crescente caos, Milano, Mondadori, 2024, p. 177.

[3] Ibidem.

[4] Russia-China Joint Statement on International Relations, University of Southern California, February 4, 2022. Xi Jinping aveva annunciato al mondo che la Cina era pronta a “guidare la comunità internazionale a costruire insieme un nuovo ordine mondiale, più giusto e ragionevole” già nel febbraio 2017, mentre Vladimir Putin lo andava dichiarando fin dal 2009. Queste affermazioni non possono non riportare alla mente le parole di George H.W. Bush pronunciate nel lontano 11 settembre 1990 a sostegno della guerra contro l’Iraq di fronte ai membri del Congresso degli Stati Uniti, rientrando tra gli obiettivi di quella sciagurata impresa militare la “creazione di un nuovo ordine mondiale” volto a costruire una nuova “era in cui le nazioni del mondo, a est e a ovest, a nord e a sud, possano prosperare e vivere in armonia”.

[5] Manlio Graziano, op. cit., p. 4.

[6] Maurizio Scarpari, La Cina al centro. Ideologia imperiale e disordine mondiale, Bologna, Il Mulino, 2023.

[7] Ibidem.

[8] Chinese Ministry of Foreign Affairs, China’s Position on the Political Settlement of the Ukraine Crisis, February 24, 2023.

[9] Per un commento del Position Paper si rinvia a Maurizio Scarpari, op. cit., pp. 275-281.

[10] Jia Guide, “Il mercato cinese, un’opportunità per il Made in Italy”, Il Messaggero, 8 gennaio 2024, Id., “Cina e Italia insieme per un futuro di sviluppo”, Il Mattino, 8 gennaio 2024.

[11] Michael Beckley e Hal Brands, The Danger Zone: The Coming Conflict with China, New York, W.W. Norton & Co., 2022, Id., “How Primed for War is China?”, Foreign Policy, February 4, 2024, Hal Brands, “The Next Global War”, Foreign Affairs, January 26, 2024.

[12] “Iran to Hold Joint Naval Drill with Russia, China in Weeks”, Tasmin, Februry 5, 2024.

[13] Courtney Kube e Mosheh Gains, “Air Force General Predicts War with China in 2025, Tells Officers to Prep by Firing «a Clip» at a Target, and «Aim for the Head»”, CNN News, January 28, 2023, e Olivia Gazis, “CIA Director William Burns: ‘I Wouldn’t understimate’ Xi’s Ambitions for Taiwan”, CBS News, February 3, 2024.

[14] “Xi says China-Russia Relations Embrace New Development Opportunities”, Xinhua, February 8, 2024, “Telephone Conversation with President of China Xi Jinping”, Tass, February 8, 2024.

Category: Osservatorio Cina

About Maurizio Scarpari: Maurizio Scarpari, professore ordinario di Lingua e letteratura cinese classica presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia, dove ha insegnato dal 1977 al 2011 e ricoperto numerose cariche acca-demiche, tra le quali quelle di Pro-Rettore Vicario e Direttore del Dipartimento di Studi sull’Asia Orientale. Sinologo esperto di lingua cinese classica, storia, archeologia, pensiero filosofico e la sua influenza sul pensiero attuale è autore e curatore di numerosi articoli e volumi, tra cui si se-gnala La Cina, oltre 4000 pagine in quattro volumi (Einaudi 2009-2013), alla cui realizzazione hanno contribuito esperti di 35 istituzioni universitarie e di ricerca tra le più prestigiose al mondo. Per ulteriori informazioni e la bibliografia completa dei suoi scritti si rinvia a www.maurizioscarpari.com.

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