Mario Agostinelli: “La svolta ecologica” di Enzo Scandurra
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Da La Casa della Cultura di Milano, 23 novembre 2022
Con il suo La svolta ecologica. Ultima chance per il pianeta e noi (DeriveApprodi 2022), Enzo Scandurra ci regala un piccolo libro puntigliosamente allarmato ma sufficientemente sereno nella constatazione della deleteria realtà che ci accomuna e che si profila irreversibilmente perniciosa se non affrontata con una autentica conversione di stili di vita, cultura e una sobrietà di comportamenti individuali e collettivi. Pur con una nota di pessimismo per i guasti provocati dall’umanità, l’autore si rivolge con solidi argomenti all’impegno sociale e civile, nelle piazze e nelle scuole, in questo tempo che viene a mancare. Fa da prologo alle acute riflessioni stese in sette densi capitoli la descrizione di una scenetta che riporta un colloquio tra un uomo e una donna nel pieno di una nevicata in estate. Un evento che ai nostri giorni verrebbe catalogato come paradossale, ma che potrebbe non essere più tale già nell’esperienza di vita dei nostri nipoti.
In effetti, le notizie sul cambiamento climatico vengono trattate dai media come “perturbazioni anomale, danni collaterali” di una crescita che ha improntato il cammino della civiltà industriale e che va di conseguenza incrementata, a dispetto dei limiti e degli inconvenienti entro i quali prende corpo. La via ingannevole del PIL relega ad estemporaneità il profondo cambio di abitudini cui siamo costretti dall’innalzamento delle temperature e, quindi, dall’aumento dell’energia interna della Terra. Un processo in atto sempre più ingombrante, contemplato forse dalla geopolitica (la nuova National Defense Strategy USA dedica molti passaggi agli effetti del cambio climatico sull’assetto degli eserciti e dei sistemi d’arma sparsi nel mondo), ma insostenibile per la conservazione della biosfera. Siamo stati convinti che quanto accade in natura abbia genesi separate e non sia, invece, in verificabile correlazione con l’attività umana nel tempo e nello spazio, nonché con la “stretta” finestra energetica in cui la vita si può riprodurre.
L’assuefazione al rischio climatico ed alla distruzione degli ecosistemi assomiglia all’indifferenza verso le immani sofferenze umane provocate dalle migrazioni e dalle tante guerre che attraversano il Pianeta. Eppure, di fronte all’umanità si sta aprendo l’abisso. L’emergenza climatica, che modifica lo spazio percepito dai nostri sensi, accorcia il tempo della sopravvivenza delle specie e contribuisce alla crescita esplosiva della disuguaglianza sociale, metterà sempre più in gioco la distruzione della biodiversità, l’avvelenamento dei mari, dell’aria e della terra, le pandemie da zoonosi, il ricorso a quantità di energia fuori dall’equilibrio termodinamico naturale nel tentativo di moderare le ondate anomale di calore o le improvvise gelate.
Ora che la guerra in Europa mette in minor rilievo gli episodi di siccità o il franare delle calotte dei ghiacciai, la nostra attenzione viene sviata dal brusco cambio del clima, oltretutto accelerato dalle operazioni belliche. Pensavamo, forse, che ci fossero una serie di crisi distinte: la guerra laddove si combatte, le disuguaglianze sociali laddove si manifestano più acute, il deterioramento dell’ambiente laddove si presenta più grave. Abbiamo cercato di isolare ciascuna di esse per provare a risolverle una ad una. Ora però dobbiamo constatare che non si possono più distinguere crisi tra loro separate. Il sistema stesso è la crisi. Il corrompimento del mondo è ormai già qui, è solo distribuito in modo non uniforme. L’immagine dell’apocalisse – bombe e incursioni, fuoriuscite di petrolio e incendi, scioglimento dell’Artico e aridità delle pianure, malattie e contagio – è una realtà per le persone in tutto il pianeta. Perciò occorre contrapporsi alla “globalizzazione dell’indifferenza” e dar vita ad un’ecologia integrale con intento cosmopolita e con un legame tra i diritti umani e gli spazi naturali. Enzo Scandurra coglie bene come il consumismo delle merci, l’individualismo imperante, la massimizzazione dei profitti siano all’opera nel neoliberalismo, che indica nell’indipendenza dall’altro e dal Pianeta la misura di una falsa liberazione. E suggerisce di trasformare la dipendenza in fraternità e il rapporto con la natura in relazione virtuosa.
Molto suggestivo l’approccio alla descrizione di Gaia come “prodotto del Sole” e l’appartenenza dell’essere umano all’intero universo, derivata dalla Critica della ragion pratica di Kant e dal pensiero di Edgar Morin e, aggiungerei io, dalla interpretazione quantistica del big bang e delle continue scomposizioni e riaggregazioni di materia ed energia che hanno portato all’espansione dell’Universo e alla nascita della vita sulla Terra quando l’umanità ancora non esisteva come osservatore cosciente. La scienza ci ha convinto che tutto – energia, materia, spazio, tempo – proviene da un processo datato miliardi di anni fa e che l’individuo e la società risultano interconnessi con la natura attraverso infinite cosmogenesi che hanno caratterizzato l’evoluzione dell’Universo, il quale non ha un centro e di cui l’homo sapiens occupa solo una parte infinitesima. La novità, ancora non pienamente assimilata, ha le proporzioni – come dice l’autore – di una rivoluzione copernicana. L’autoconsiderazione, sfociata talora in aggressività, che ha giustificato a lungo nei secoli il pensiero economico e scientifico, suffragato da modelli interpretativi influenti e da imponenti opere e manufatti innalzati dalla nostra specie – apparsa sulla terra solo da meno di mezzo milione di anni – non ha più quella forza esplicativa che avevamo ereditato dalla narrazione del Rinascimento e dell’Illuminismo o dal determinismo newtoniano. L’Universo ha un’origine di miliardi di anni antecedente alla comparsa della vita, ma la biosfera di cui l’essere umano si è reso padrone e da cui ha potuto osservare e prendere coscienza del mondo che lo ospita avrà una fine, un degrado irreversibile, un termine dipendente dalla velocità e dallo spreco con cui verranno consumate e sprecate terra, energia, acqua, aria. Questa è la straordinaria constatazione che la nostra specie è costretta a fare, seppure i governi non l’abbiamo assolutamente adottata.
D’altra parte, i meccanismi che presiedono al mondo naturale sono preservati solo quando le società sono imperniate sulla giustizia. Giustizia sociale e giustizia climatica sono indistinguibili ed oggi le società sono in evidente debito in quanto ad eguaglianza. L’Enciclica Laudato Si’ si è proposta come punto di convergenza ed unità teorico-pratica, ambendo a rendere maggioritario un approccio – definito di ecologia integrale – a temi ancora sottovalutati e non imposti all’agenda politica, nonostante l’avvicinarsi di appuntamenti che avrebbero dovuto rivestire un ruolo decisivo, come le varie Cop tra cui quest’ultima in Egitto che è nientemeno che la ventisettesima! In particolare, occorre guardare con documentata preoccupazione alla velocità relativa tra i processi biologici e quelli artificiali dominati da un impiego non neutrale della tecnologia (e perciò intesa come tecnocrazia). Di fatto, ci si preoccupa che la nostra relazione con il tempo sia definita esclusivamente dalle tecnologie di cui ci serviamo per misurarlo e non si è abbastanza consapevoli che la digitalizzazione e la velocità della luce presentano sfide particolari con cui ci confrontiamo per la prima volta da quando la specie umana si è organizzata in società. Contro “l’antropocentrismo della responsabilità”, che arriva a vedere nell’intelligenza artificiale la rigenerazione dell’umanità e il superamento dei limiti fisici naturali, Bergoglio ripete che siamo fatti di natura, degli stessi atomi di cui sono costituite le stelle e che anche per il cristianesimo, accogliendo la lezione scientifica, il primo compito non è la salvezza del singolo, ma la salvezza dell’umanità attraverso il mantenimento della finestra energetica entro cui la vita si riproduce e di cui la giustizia sociale è il corollario indispensabile affinché nessuno venga scartato.
Qui aggiungo una riflessione personale, legata alla mia stessa esperienza. In un contesto come quello auspicato dall’autore, entra in campo la riscoperta del “senso e della finalità dell’azione umana sulla realtà” per recuperare tutto il valore del tempo e del lavoro. Ma cosa occorre ancora per convincerci che sulla riappropriazione del tempo, la riduzione dell’orario e dei ritmi di lavoro, il disorientamento temporale della vita nella biosfera rispetto al gorgo delle informazioni, della produzione e del consumo governati alla velocità della luce, si gioca la prospettiva politica e democratica di un riequilibrio a favore di natura e lavoro nella contesa con il capitale? Il tempo ha a che fare con la nostra identità e lo si può coniugare in diversi modi. Ne siamo coscienti a tal punto da poter dire di “essere fatti di tempo”. Ma non ne siamo completamente proprietari, se non in relazione alla società cui apparteniamo e al ruolo che vi svolgiamo. Sta di fatto che, progressivamente – ed in particolare negli ultimi quarant’anni – abbiamo assistito all’accentuarsi della divaricazione tra l’espropriazione del tempo per alcuni e il suo possesso per altri. La solidarietà si è sempre più affievolita e il diritto al tempo e ad una vita e lavoro dignitosi sono andati vieppiù scolorando.
L’autore rappresenta l’Enciclica papale come “la sintesi più alta di una visione ecologica che abbraccia l’intero Creato”. Proprio su una base come quella definita da Bergoglio occorrerebbe reimpostare l’equilibrio tra attività antropiche ed ecosistemi. In particolare, dobbiamo scoprire come l’irreversibilità dei processi misuri la qualità dell’energia che consumiamo in termini di aumento dell’entropia (e qui la citazione di Georgescu Roegen è davvero appropriata). Mentre la biosfera emette energia a bassa entropia, continuiamo a far ricorso a fonti fossili, perfino recuperando con sprechi micidiali il gas estratto e liquefatto a migliaia di miglia di distanza, quando il ricorso alle fonti rinnovabili potrebbe altresì fornirci bilanci favorevoli e compatibili con l’ambiente naturale. Il testo in un capitolo centrale mi suggerisce di introdurre un’osservazione sulla potenza (ovvero la velocità di erogazione dell’energia messa a disposizione). La relazione tra la densità energetica di una fonte (ovvero la sua potenza in un volume predeterminato) e il tempo entro cui la natura e il vivente possono disperdere gli effetti deleteri di una trasformazione prodotta artificialmente dall’uomo, porta ad escludere l’impiego del nucleare in qualsiasi forma e configurazione. Basta considerare che la fissione o la fusione di pochi grammi di nuclei atomici (densità energetica e potenza erogata elevatissime) corrispondono alla combustione istantanea di decine di migliaia di tonnellate di carbone o alla caduta da grandi altezze di enormi masse d’acqua: effetti che la biosfera riesce a smaltire solo in tempi storici, come stanno a significare le scorie radioattive che perdurano in attività letale per gli organismi viventi per centinaia o migliaia di anni.
C’è poi un passaggio che mi ha molto incuriosito. Perché – si chiede Scandurra – gli umani nei processi naturali segnati dal tempo muoiono secondo la legge dell’aumento dell’entropia? La spiegazione nel testo viene dedotta da puntuali osservazioni di Piperno, molto affascinanti. Piperno viene da una formazione scientifica e proprio per questo voglio citare qui un approccio umanistico-letterario altrettanto rigoroso: quello contenuto ne Le cosmicomiche di Calvino dove la morte appare come il desiderio di continuare la vita attraverso il desiderio della procreazione. Un drammatico monito per il nostro tempo in cui si potrebbe morire senza eredi.
Nelle ultime pagine si coglie come il clima sia un bene comune, appartenente a tutti e pensato per tutti. Sulla catastrofe non si può più irresponsabilmente ironizzare. Proprio la non prevedibilità dei processi naturali portati ad esasperazione da una divorante attività umana consiglia oggi la precauzione e la “cura”, più ancora che la semplice e distaccata tutela, dell’ambiente eco-sociale, soggetto alla pratica del green washing. Forse la questione del clima, ormai uscita fuori controllo, con il suo portato di ingiustizia sociale e di critica ai monopoli capitalistici (solo 90 aziende hanno causato due terzi delle emissioni responsabili del riscaldamento globale prodotto dall’uomo!) farà valere le priorità del mondo fisico sulle velleità del mondo economico e, forse, la politica potrebbe tornare a pensare in grande. Secondo l’autore
“Dalla pandemia si poteva uscire migliori, con il PNRR ci sarebbe stata la possibilità di rimetterci in sintonia con la natura, dalla disastrosa esperienza della didattica a distanza avremmo dovuto avere la conferma che la scuola non è solo un insieme di azioni impartite dall’alto, ma un sistema di relazioni complesso in cui si impara anche dagli altri e dove il contatto fisico, il guardarsi negli occhi è inseparabile dall’atto di apprendere. Invece manganellate a chi protesta e a chi quel sistema, fatto ad immagine di una grande azienda privata, vuole cambiarlo”.
La scuola e la ricerca, la bellezza ritirata da questo mondo, il lavoro disprezzato, la guerra e l’aumento della spesa militare richiedono risposte politiche. Se si associano ad una prospettiva di ecologia integrale, le risposte che cerchiamo dentro di noi
“giacciono – come dice Bateson – nell’intelligenza collettiva formata da tutte le manifestazioni viventi”.
Un ammonimento per i politici e i governanti indaffarati, che forniscono soluzioni banali e semplicistiche per un’era nuova di cui l’intero testo ha colto la specificità al punto di suggerire la costruzione di un programma, “ultima chance per il pianeta e per noi”.
A margine della recensione provo a trasmettere una riflessione personale. Il mondo del lavoro nel complesso si è mostrato incerto o poco attivo rispetto alle questioni sollevate in questo bel libro. Addirittura, nel disagio sociale la democrazia ha fatto passi indietro, lasciando il campo ad una politica ostile all’austerità, insensibile ai limiti della natura e orientata all’economia dello scarto. Così, la nuova leva di leader autoritari e le corporation globali non hanno affatto desistito nel loro percorso involutivo: anzi, hanno concordemente intuito che, con la fine dell’era fossile e la limitazione dell’estrazione delle risorse naturali, la sconfitta inferta negli ultimi decenni a danno del bene comune e delle classi meno abbienti si sarebbe potuta arrestare se non addirittura ribaltare. Per il capitalismo globalizzato è parso giungere il momento per rendere ancora più aspro il conflitto con la crescente massa dei salariati e più pressante l’alienazione degli ultimi sia nei confronti del lavoro sia verso la natura. Nelle strette di un cambio di passo con la pretesa di una resa dei conti, si è fatta strada – non solo ai piani alti, ma in molte fasce di popolazione temporaneamente protette – un’interpretazione del futuro prossimo del tutto incompatibile con il pensiero di papa Bergoglio: non ci sarebbe stato più spazio per tutti gli scartati sul pianeta; il simulacro del PIL e il ruolo della finanza avrebbero assicurato la competizione più ostile e avida nei mercati; perfino l’idea di sviluppo si sarebbe potuta mettere in dubbio, ma poteva resistere purché la si colorasse “un poco di verde”. Qui soprattutto è venuta a mancare la politica. Questa è, purtroppo, la condizione da cui ripartire – e lo capiamo bene nel nostro Paese dopo l’esito delle recenti elezioni – per lottare sull’analisi e le proposte dell’eccellente La svolta ecologica. Ultima chance per il pianeta e noi, che ho letto con grande interesse.
Su un pianeta unico nell’Universo dopo 15 miliardi di anni trascorsi, la libertà umana è l’unica risorsa in grado, se necessario come appare ai nostri giorni, di limitare la tecnica e di orientarla verso obiettivi utili a tutta la società nella direzione dell’uguaglianza e del mantenimento della vita. “L’altrove” quindi starà nella capacità politica di dar vita ad un diverso immaginario, a cui ispirare iniziative, lotte e conquiste e nel cui quadro le migrazioni, le esplosioni di disuguaglianze, la crescente inabitabilità dei territori risalgono ad un’unica minaccia: la modernizzazione univoca, il neoliberismo avido e strutturato attorno al ritorno delle destre e al dilagare delle guerre che amplificano e avvicinano nel tempo un rischioso regime climatico con effetti ormai difficilmente riparabili.
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