Gian Paolo Rossini: Riforestazione e afforestazione, due opzioni non banali per la mitigazione dei cambiamenti climatici

| 25 Giugno 2022 | Comments (0)

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Riforestazione e afforestazione: due opzioni non banali per la mitigazione dei cambiamenti climatici

Il patrimonio forestale e, più in generale, le piante di qualsiasi dimensione e tipologia, sono parte essenziale degli ecosistemi, il cui funzionamento ha un ruolo determinante per la vita delle comunità umane e le caratteristiche dell’intero pianeta Terra. La complessità associata a questi sistemi è enorme e questa riflessione su caratteristiche e criticità di riforestazione e afforestazione sarà necessariamente ridotta in termini estremi. Proprio tale essenzialità renderà necessario inserire, quando opportuno, minimi rimandi a questioni collegate a quanto affrontato. L’elaborazione verrà così concentrata sugli elementi maggiori dell’impalcatura concettuale del tema (1).

La differenza esistente fra riforestazione e afforestazione è il primo punto da esaminare, e, a questo scopo, verranno utilizzate le definizioni riportate nel glossario del documento stilato dal Gruppo di Lavoro I (WGI) del Panel Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici delle Nazioni Unite (Intergovernmental Panel on Climate Change, IPCC) nel Sesto Rapporto di Valutazione (2). Nel rapporto AR6-WGI di IPCC, la riforestazione è definita come la conversione a foresta di un territorio che in passato conteneva una foresta ma era stato poi convertito a qualche altro uso. L’afforestazione, invece, è la conversione a foresta di un territorio che storicamente non ha contenuto foreste.

Queste definizioni sono già state impiegate nel Quinto Rapporto di Valutazione IPCC del 2014 e utilizzate nel rapporto redatto dalla Piattaforma Intergovernativa sulla Biodiversità e i Servizi Ecosistemici (Intergovernmental Platform on Biodiversity and Ecosystem Services, IPBES) del 2019 (3).

Il riferimento a entrambi gli organismi è motivato dalla rilevanza che riforestazione e afforestazione hanno nelle correnti elaborazioni, sia sul contrasto ai cambiamenti climatici, sia per il sostegno della biodiversità, con implicazioni di enorme importanza per la tutela del suolo e la sicurezza alimentare globale. I punti di maggior rilievo nelle elaborazioni sul contrasto ai cambiamenti climatici e sulla tutela degli ecosistemi saranno al centro di queste note.

Riforestazione e afforestazione per la tutela della biodiversità e dei servizi ecosistemici

È opportuno cominciare questa analisi dai risvolti ambientali di riforestazione e afforestazione, esaminati estesamente da IPBES, in quanto proprio il funzionamento degli ecosistemi è parte essenziale delle elaborazioni riguardanti l’urgenza del contrasto ai cambiamenti climatici. Questo emerge molto chiaramente nei documenti redatti da IPCC in merito alle conseguenze ambientali attribuibili ai processi in corso, gli scenari prevedibili per il futuro e, quindi, l’esame di quali possano essere le scelte operative per meglio fronteggiare quanto accade, rispettando i limiti di questo pianeta.

I servizi ecosistemici sono anche detti contributi della natura alle persone (4). Fra questi vi sono il rifornimento d’acqua, di cibo, di legname; processi di regolazione, quali la depurazione delle acque o l’impollinazione; fino ai servizi culturali, come le interazioni intellettuali e simboliche con gli ecosistemi, quali la contemplazione e la rappresentazione.

In questo quadro la biodiversità è essenziale per il mantenimento delle migliori condizioni dei servizi ecosistemici, e viene definita come “variabilità fra organismi viventi di qualsiasi origine, inclusi gli ecosistemi terrestri, marini e acquatici di altro tipo, nonché i complessi ecologici di cui questi sono parte. Questa [variabilità] comprende le diversità in attributi genetici, fenotipici, filogenetici e funzionali, come pure cambiamenti dell’abbondanza e distribuzione, nel tempo e nello spazio, del medesimo elemento ovvero di diversi elementi, siano questi specie, comunità biologiche o ecosistemi.” (5). Complessivamente, è proprio l’insieme di tutto ciò che consideriamo vivente e le sue relazioni con le parti abiotiche (non viventi, quindi) dell’ambiente fisico (rocce, sedimenti, minerali, ecc.), che determina la struttura e il funzionamento di ciascun ecosistema.  L’alterazione della biodiversità e delle caratteristiche fisiche di un ecosistema modifica così la sua capacità di dare contributi alle persone, cioè i suoi servizi. Questo è il tema dominante delle elaborazioni condotte da IPBES nel corso degli anni. Qui sembra opportuno limitarsi soltanto a qualche esempio riferibile alle foreste, proprio per mantenere la riflessione su questo tema.

Se si considerano gli elementi caratterizzanti la biodiversità, applicandoli a una foresta, si è di fronte a condizioni in cui una foresta tropicale è diversa da una in zona temperata, con tutte le specificità climatiche che le caratterizzano. A queste vanno aggiunte quelle riferibili all’altitudine in cui si trova la foresta, così come alla tipologia dei terreni (componenti, pendenza, localizzazione, ecc.), dovendo comprendere anche l’insieme della vegetazione esistente, incluse la porzione interrata (ipogea) di ciascuna pianta, nonché tutti gli animali esistenti, sopra e dentro al suolo, compresi i microrganismi presenti nelle diverse/tante parti dell’ecosistema in questione. Questo elenco di elementi è certamente incompleto, ma dà un’idea della complessità ed estensione quantitativa e qualitativa di ciò che caratterizza gli ecosistemi, incluse le foreste, appunto.

L’aver sottolineato queste condizioni generali è strumentale alla segnalazione di come un ecosistema comprendente una foresta verrà alterato massicciamente qualora avvenga la sua deforestazione e, ad esempio, conversione in pascolo o monocoltura di cereali. Simili cambiamenti portano a un diverso assetto ecosistemico, tendenzialmente accompagnato dalla perdita di specie. Questa perdita può essere semplicemente quantitativa, come numero di esemplari della medesima specie (la sua abbondanza), ma può essere anche qualitativa, se diminuisce il numero delle diverse specie dell’ecosistema (la sua ricchezza in specie distinte). In questi casi la scomparsa di una specie può avere ricadute funzionali, quando questo implica la compromissione e/o scomparsa della funzione svolta dalla specie in questione, cioè il ruolo che questa aveva nell’ecosistema di cui era parte (ad es. la distruzione di carcasse animali, l’impollinazione, ecc.). La diminuzione della biodiversità dell’ecosistema si accompagna così a una riduzione/peggioramento dei servizi che l’ecosistema può fornire, come conseguenza del cambiamento (Due possibili esempi riferibili alle foreste sono esaminati negli studi citati nelle note 6 e 7). Se una foresta è distrutta per fare spazio a campi di cereali, il servizio di rifornimento di granaglie migliora, ma il funzionamento complessivo dell’ecosistema si riduce con la sua specializzazione. Questo, in estrema sintesi, vuole rappresentare cosa può accadere con deforestazione, modifica dell’uso del suolo, o estensione di monocolture, rappresentando esempi centrati sull’alterazione di un’ipotetica foresta, fra i tanti esaminati con maggior rigore negli studi esistenti (3). Infatti, i casi e le situazioni valutate nei rapporti IPBES portano alla conclusione generale che la perdita di biodiversità si accompagna a deterioramento degli ecosistemi e dei loro servizi (8).

Proprio il riconoscimento che la deforestazione è causa di perdita di biodiversità e servizi ecosistemici induce IPBES a sottolineare l’importanza di un sempre maggiore impegno per la riforestazione (9).

La posizione di IPBES sull’afforestazione, invece, è più articolata. Notando la rilevanza dell’afforestazione per la fornitura di diversi servizi ecosistemici, in particolare la capacità delle foreste di accumulare carbonio rimuovendo CO2 dall’atmosfera, che sarà esaminata in maggior dettaglio più avanti, l’elaborazione di IPBES sottolinea come in talune condizioni l’afforestazione possa accompagnarsi a danni. Ad esempio, se l’impianto di una nuova foresta avviene con la piantumazione di esemplari di un’unica specie, si va a delineare un quadro “monocolturale”, accompagnato da perdita di biodiversità e peggioramento di servizi ecosistemici (9). L’esistenza di diverse specie sarebbe così una forma di complementarietà, in grado di migliorare la funzionalità complessiva della nuova foresta (10), in linea con quanto già considerato a proposito della biodiversità.

L’indicazione generale di IPBES, conseguentemente, è di procedere su scala globale con una forte riduzione della deforestazione, accompagnata da estesa riforestazione, associate a eventuali interventi di afforestazione, questi ultimi progettati, realizzati e gestiti in modo da portare all’arricchimento della biodiversità (Si veda il rapporto di cui alla nota 9 e anche le osservazioni dell’articolo citato in nota 11).

Prima di spostare l’attenzione specificamente sul rilievo di riforestazione e afforestazione in una prospettiva di contrasto ai cambiamenti climatici, è opportuno toccare un paio di punti legati ai cambiamenti in corso negli ecosistemi, con conseguenze che vanno oltre le indicazioni di tutela della biodiversità, potendo avere impatti anche sulla salute umana.

Il processo di estinzione delle specie è il primo di questi punti, essendo un fenomeno che mostra una grande accelerazione in conseguenza di cause diverse, fra le quali le attività umane e l’aumento delle temperature associato ai cambiamenti climatici in corso. In sintesi, e semplificando, vi è accordo sulla stima che il tasso di estinzione delle specie è in grande crescita, di decine e centinaia di volte maggiore di quanto sia stato negli ultimi 10 milioni di anni (3). Va notato che in questo contesto si sta prendendo in considerazione il numero di diverse specie (ricchezza) e non il numero degli esemplari di ciascuna specie (abbondanza) negli ecosistemi. Siamo quindi di fronte a una diminuzione della diversità fra specie, di biodiversità dunque, piuttosto che di relativa abbondanza di ciascuna delle specie esistenti (un processo che contribuisce comunque al quadro complessivo di modifica della biodiversità). Se, a titolo esemplificativo, prendiamo in considerazione gli animali vertebrati, il fenomeno comprende l’incremento della scomparsa di specie nell’ultimo secolo, con una diversa incidenza a seconda delle classi: dall’1% circa per le specie di pesci a oltre il 2% per quelle degli anfibi. Il processo in corso si ritiene coinvolga comunque tutti i gruppi degli organismi viventi (taxa) e, in generale, si stima che il rischio maggiore di estinzione si sia manifestato negli ultimi 40 anni (3).

Su queste basi, è ben comprensibile che scenari in cui la biodiversità viene tutelata, operando scelte per il suo sostegno, siano più favorevoli al benessere dell’uomo e alla qualità del pianeta, come conseguenza del mantenimento/miglioramento della qualità dei servizi ecosistemici.

Il secondo punto riguarda il riconoscimento che le correnti alterazioni ambientali di origine antropica, particolarmente la deforestazione e la frammentazione degli habitat, hanno un ruolo rilevante nell’insorgenza di epidemie e pandemie che hanno colpito le popolazioni in tempi recenti (12). Vi è un sostanziale accordo, infatti, nel riconoscere che le maggiori epidemie e pandemie negli ultimi cento anni, pur causate da patogeni diversi, abbiano avuto l’avvio con il passaggio del virus patogeno da un individuo di una specie animale portatrice (ospite) all’uomo, un fenomeno indicato dal termine inglese spillover, reso possibile dal contatto diretto fra ospite e persona in contesti non convenzionali (13-15). Tre sono i quadri maggiori in cui si ritiene possa essere avvenuto lo spillover iniziale del patogeno dall’ospite all’individuo della specie umana: 1) la penetrazione umana in un ambiente diventato accessibile e dove vive l’animale selvatico ospite; 2) la cattura e allevamento dell’animale selvatico ospite da parte dell’individuo, a scopo alimentare o commerciale, 3) il commercio dell’animale selvatico ospite (16, 17).

Pur in presenza di diversi contesti di spillover, così come di molteplici patogeni e specie ospiti, siamo di fronte a una specifica tipologia di origine del patogeno che di volta in volta ha causato l’epidemia/pandemia: la possibilità dell’uomo di avere accesso all’ambiente in cui vive la specie selvatica ospite del patogeno.

L’ambiente originario della specie selvatica che di volta in volta, nei diversi episodi epidemici/pandemici, viene identificata come ospite di un patogeno è chiamato “punto caldo” (hotspot in inglese). Gli studi sulla loro distribuzione geografica mostrano che, per i casi più rilevanti degli ultimi cento anni, punti caldi sono individuabili nelle foreste in diverse regioni di Asia, Sud America ed Europa (13, 14, 18), e la deforestazione rende più probabile il contatto fra specie ospite del patogeno e individuo coinvolto nello spillover, successivamente responsabile del contagio di altre persone (15-17).

L’insieme delle argomentazioni qui considerate sostengono così in termini decisi la conclusione che la conservazione delle foreste naturali e la riforestazione, per il loro ruolo nella tutela della biodiversità e degli ecosistemi, sono opzioni di massima importanza per il nostro benessere e quello della Terra nel suo complesso, da perseguirsi estesamente, con decisione e urgenza.

Riforestazione e afforestazione per azioni di contrasto ai cambiamenti climatici

I cambiamenti climatici sono ampiamente caratterizzati, essendo note le cause e gli effetti maggiori del fenomeno in corso (19). Qui verranno innanzitutto richiamati alcuni elementi, che serviranno per meglio affrontare caratteristiche e ruoli di riforestazione e afforestazione nella prospettiva della mitigazione dei cambiamenti climatici.

Gli aumenti di temperatura registrati a livello globale sulla Terra sono conseguenza dell’effetto serra, il cui potenziamento va ricondotto all’aumento delle concentrazioni di gas a effetto serra (GHG) presenti in atmosfera. Molti sono i GHG esistenti in atmosfera, e i maggiori sono: l’anidride carbonica (CO2), il GHG a più alta concentrazione in atmosfera, attualmente sopra le 410 parti per milione (ppm); il metano (CH4), con una concentrazione vicina a 1,87 ppm; e il protossido d’azoto (N2O) con una concentrazione di circa 0,33 ppm (20). I valori indicati mostrano che le concentrazioni in atmosfera di questi GHG sono molto diverse, ed è anche diverso il loro potenziale di riscaldamento globale (Global Warming Potential, GWP). Il GWP è un fattore di moltiplicazione applicato ai valori di GHG misurati in atmosfera, in grado di uniformare il loro contributo all’effetto serra complessivo, in base alla loro efficienza nell’indurre il riscaldamento (21). In questa operazione di normalizzazione dei valori per GHG diversi, il potenziale di riscaldamento globale della CO2 è preso come riferimento e quelli degli altri GHG sono riferiti a questo: circa 30 volte quello del metano e circa 270 volte quello del protossido d’azoto (22). Sono queste caratteristiche che portano in molti casi a esprimere le concentrazioni complessive di GHG in atmosfera in termini di “equivalenti di CO2” (CO2eq). Le considerazioni che seguono saranno così centrate soprattutto sulla CO2, e gli altri due GHG verranno richiamati soltanto se avranno particolare rilievo per quanto sarà esaminato.

Le concentrazioni di anidride carbonica in atmosfera hanno da qualche anno superato le 400 ppm, e le misure dirette di queste concentrazioni, associate alle stime fatte indirettamente (necessarie per descrivere le condizioni della Terra in un passato remoto), portano alla conclusione che i valori correnti non siano mai stati raggiunti negli ultimi due milioni di anni sulla Terra (2). Per gli ultimi 800.000 anni le stime mostrano che le concentrazioni di CO2 in atmosfera hanno avuto un andamento ciclico con valori compresi fra circa 180 e 300 ppm (23). Questo particolare è rilevante perché segnala che vi sono stati andamenti ciclici delle concentrazioni di CO2 in atmosfera nel corso dei millenni (24), ma in questo fenomeno le concentrazioni di CO2 in atmosfera si ritiene non abbiano mai raggiunto e superato le 350 ppm nell’ultimo milione di anni. L’andamento negli ultimi 10000 anni mostra concentrazioni di CO2 in atmosfera oscillanti fra 260 e 280 ppm, che superano le 280 ppm nella seconda metà del XVIII secolo, quando l’aumento che ha marcato questi ultimi tre secoli ha avuto inizio (23). Attorno al 1950 le concentrazioni di CO2 in atmosfera hanno superato le 300 ppm, entrando in una fase detta “grande accelerazione”, che ha avuto luogo durante la seconda metà del secolo scorso, portando a superare le 400 ppm in questi ultimi anni (23). È sulla base di queste stime che si fondano le allocuzioni “livelli pre-industriali” o anche “prima del 1750”, che sono spesso usate per sottolineare tappe degli andamenti storici delle concentrazioni di CO2 in atmosfera.

È infatti riconosciuto che gli incrementi di GHG in atmosfera sono stati causati dallo sviluppo delle attività umane in questi ultimi tre secoli (2). Due sono le cause maggiori. La prima è costituita dall’uso crescente e pervasivo di energia ottenuta dalla combustione di combustibili carboniosi (legna, carbone, derivati del petrolio, gas naturale, ecc.). L’aumento di CO2 in atmosfera registrato a partire dalla seconda metà del XVIII secolo è dovuto proprio all’introduzione e sempre maggiore uso di macchine e strumenti di lavoro il cui funzionamento richiede la combustione di materiali organici.

L’uso della terra e, in particolare, come questo è cambiato negli ultimi due secoli, rappresenta la seconda causa di aumento delle emissioni di GHG. L’uso della terra cui viene primariamente fatto riferimento comprende le attività forestali e quelle agricole, a cui si accompagnano emissioni che non sono confinate alla CO2. Le attività forestali, segnatamente la deforestazione, sono principalmente responsabili di emissioni di CO2, mentre quelle agricole causano l’emissione anche di altri GHG. In particolare, le attività agricole sono causa di emissioni di metano, ad es. nell’allevamento di ruminanti e nella coltivazione del riso, e di protossido d’azoto, come conseguenza dell’impiego di grandi quantità di concimi azotati di sintesi, nonché della dispersione sul terreno di letame e ammoniaca provenienti dagli animali allevati (2, 25, 26).

Mantenendo l’attenzione sulle emissioni di CO2, le stime per gli ultimi 10 anni attribuiscono all’uso di combustibili fossili circa l’85% delle emissioni di CO2, essendo il restante dovuto ai cambiamenti nell’uso della terra (2).

La conseguenza dell’incremento delle concentrazioni di GHG in atmosfera è l’aumento delle temperature sulla Terra, i cui valori effettivi dipendono dalle posizioni geografiche dei diversi Paesi (2). In molti casi, la stima è ricondotta a un singolo valore, costituito dalla media globale della temperatura alla superficie del pianeta, quella cui viene fatto riferimento, ad esempio, nell’accordo di Parigi della COP 21 (27). Anche in questo caso il quadro è noto: a oggi l’aumento registrato rispetto alla media del periodo 1850-1900 supera 1° C (2). Le previsioni dell’AR6 IPCC in riferimento agli scenari di questo secolo, quindi da qui al 2100, confermano quanto già elaborato nelle precedenti valutazioni del Panel prendendo in considerazione diversi possibili assetti, essenzialmente determinati dalla dimensione delle emissioni di GHG globali dipendenti dalle scelte politiche nei diversi Paesi (2). Saranno questi assetti a determinare la temperatura della Terra nel 2100, se sarà “ben al di sotto dei 2°C” (27) o se sarà aumentata di 4°C e oltre (2) rispetto ai livelli pre-industriali.

Essendo tale incremento delle emissioni di GHG conseguenza delle attività umane, una valutazione di dettaglio richiederebbe un’articolata analisi. Qui l’esame verrà ridotto al quadro complessivo per semplicità. Non si esamineranno quindi nel dettaglio le caratteristiche specifiche dei settori economici e degli scenari presi in considerazione da IPCC, nemmeno di alcuni di questi scelti come tipologie di riferimento. Si delineerà invece l’andamento generale del processo, basato sui suoi maggiori elementi, per derivare una visione sintetica e semplificata degli scenari esistenti, che possa essere applicabile nell’esaminare diverse condizioni/scelte. Si tratta di una strada già utilizzata per analizzare opzioni e prospettive (28), che può essere ripresa anche a partire dal quadro esistente adesso e oggetto dell’AR6 IPCC.

Anche qui l’impianto è semplificato, venendo ridotto a un quadro in cui l’aumento di temperatura è causato dall’aumento di emissioni di GHG, e gli scenari futuri sono quindi descrivibili dall’andamento delle emissioni complessive globali di GHG (29). Su queste basi, le previsioni comprendono un tendenziale incremento delle emissioni di GHG, che determinerà un aumento delle temperature, a cui dovrebbe seguire una diminuzione delle emissioni globali di GHG, da cui dipenderà una successiva diminuzione di temperature. I punti critici dei possibili scenari, pur all’interno di questa estrema semplificazione, sono legati a diversi fattori:

  1. quando verrà raggiunto il picco delle emissioni globali di GHG;
  2. quale livello avranno raggiunto le emissioni globali di GHG al loro picco;
  3. quale andamento (rapido oppure lento) avrà il decremento di emissioni globali di GHG dopo aver raggiunto il picco (30).

Vi sono così molti possibili scenari determinati dall’insieme complessivo delle condizioni che li caratterizzano, come rintracciabile nei vari AR di IPCC.

In sostanza, prima si raggiunge il picco di emissioni di GHG, minore è il livello massimo raggiunto (in CO2eq) e più rapida è la diminuzione dei livelli di GHG in atmosfera dopo il picco, minore sarà l’aumento di temperatura globale in uno specifico orizzonte temporale (nella maggior parte dei casi, viene fatto riferimento al 2100).

Questo è il punto centrale: le valutazioni di IPBES indicano chiaramente che maggiori saranno gli aumenti di temperatura, peggiori saranno le condizioni degli ecosistemi e minore sarà la loro capacità di fornire servizi, quindi anche i contributi alle persone. Non solo, qualora venissero superati i limiti (i cosiddetti tipping points) di funzionamento in un ecosistema o sue parti essenziali, questo potrebbe andare incontro al collasso (31, 32). Non si tratta qui di riprendere i punti già esaminati, quanto di rimarcare come il limitare l’incremento di temperatura causato dalle emissioni di GHG abbia un rilievo prospettico essenziale per la sopravvivenza del pianeta Terra, così come lo conosciamo, e il funzionamento delle società umane che contiene (33, 34)

La linea d’intervento inevitabile per contrastare i cambiamenti climatici in corso è quella della mitigazione, cioè tutti gli interventi umani intenzionali per ridurre le emissioni di GHG, o per aumentare i processi che rimuovono i GHG dall’atmosfera (2, 25, 35), essendo l’aumento della loro concentrazione la causa del riscaldamento globale.

Le considerazioni successive sulla mitigazione saranno prevalentemente focalizzate sulla CO2, benché, come si è già notato, altri GHG sono coinvolti nei cambiamenti climatici in corso e andrebbero considerati affrontando la mitigazione.

Essendo l’uso dei combustibili carboniosi la maggior fonte delle correnti emissioni di CO2, da qui partirà l’elaborazione, considerando in primo luogo i materiali organici e la combustione. Si sta quindi facendo riferimento a componenti d’uso corrente e reazioni chimiche ben note, che qui vengono descritte in termini il più possibile discorsivi, per rendere più immediato il senso di affermazioni su fenomeni complessi determinati da fatti comuni. Questa scelta servirà più avanti, quando verranno esaminate azioni di mitigazione in grado di contrastare i cambiamenti climatici in corso, e saranno utili per affrontare il senso e il ruolo di riforestazione e afforestazione.

Partiamo dai materiali organici, un termine che in senso stretto (nel contesto della “chimica organica”), sta a indicare tutti i composti, solidi, liquidi o gassosi, in cui è presente l’elemento chimico “carbonio” (simbolizzato dal carattere C) in diverse composizioni. Per dare un impianto complessivo che, rimanendo il più possibile semplice e di uso comune, sia anche corretto, si può dire che i materiali organici raggruppano composti contenenti carbonio (C), prevalentemente legato ad atomi di idrogeno (simbolizzato dal carattere H) e, talvolta, ossigeno (simbolizzato dal carattere O), in varie proporzioni.

Fatte queste premesse, va affrontata la reazione di combustione dei composti del carbonio, perché sta alla base di molteplici temi collegati ai cambiamenti climatici e il loro contrasto, incluse le azioni di riforestazione e afforestazione. Utilizzando il metano come esempio. Si ha:

Questa reazione di combustione in termini chimici è detta di ossidazione. Il metano reagisce con l’ossigeno, che ossida il carbonio, e gli atomi componenti queste molecole si ricombinano, dando una molecola di anidride carbonica e due molecole d’acqua. In questa reazione viene liberata energia, che è utilizzata per diversi tipi di lavoro (ad es., il movimento dell’automobile, il riscaldamento dell’acqua, ecc.).

Ignorando qualsiasi considerazione di dettaglio, oltre a eventuali particolarità di talune reazioni, e rimanendo su un terreno del tutto generale, si può concludere che le reazioni di ossidazione dei composti carboniosi consumano ossigeno e combustibile, liberando energia e producendo anidride carbonica. Se l’idrogeno è parte dei composti carboniosi soggetti a combustione, come nell’esempio dato, anche l’acqua farà parte dei prodotti di reazione.

A questo punto, le azioni di mitigazione sono prima di tutto quelle che consentono di ottenere energia da processi che non coinvolgono alcun combustibile carbonioso e sua ossidazione/combustione (25), come l’uso della radiazione solare o del vento, pur non essendo confinate a queste (36).

L’ affermazione è sicuramente perentoria, ma il motivo che rende preferibile sottolineare l’importanza dell’eliminazione dell’uso di combustibili carboniosi come fonte d’energia è meglio comprensibile se si sposta l’attenzione sull’altra parte delle azioni di mitigazione, quella riferibile a modalità che consentono la rimozione di GHG, di CO2 in particolare.

Queste azioni vengo solitamente classificate fra le tecnologie di emissione negativa (Negative Emission Technologies, NET), che raggruppano diverse opzioni per rimuovere la CO2 dall’atmosfera, mirando intenzionalmente a una diminuzione delle sue concentrazioni (37). Il punto centrale, infatti, è che, in una prospettiva di mitigazione, le emissioni realmente negative sono quelle in cui la CO2 viene rimossa definitivamente, senza essere nuovamente rilasciata nell’ambiente in qualche modo in tempi successivi, come conseguenza di una inadeguata efficacia del sistema scelto (si veda anche il Rapporto citato in nota 25).

Le NET sono di diversi tipi e, mantenendo l’attenzione su quelle utilizzate per la rimozione di CO2, sono riconducibili sostanzialmente a due modalità. La prima è quella diretta, di raccolta e/o cattura di prodotti di combustione, con la loro collocazione in luoghi o forme che in un qualche modo prevenga il loro ritorno in atmosfera. Un esempio potrebbe essere quello della cattura diretta della CO2 presente in atmosfera e il suo stoccaggio in depositi dai quali non potrà fuoriuscire. È un’opzione recentemente emersa sui media, dove le cavità sotterranee dalle quali è stato a suo tempo estratto petrolio o gas naturale vengono indicate come possibili depositi della CO2 catturata. Un diverso esempio potrebbe essere quello del carbone di legna, il prodotto parziale di talune combustioni, che verrebbe disperso nel terreno. In questo secondo caso non si tratta di rimozione diretta di CO2, ma di sequestro nel terreno di materiale contenente carbonio di origine vegetale, comprendente composti sintetizzati dalle piante usando la CO2 dell’atmosfera.

Va riconosciuto che questa è una strada un po’ contorta, ma porta però al cuore della riforestazione e afforestazione, come azioni di mitigazione. Consideriamole più puntualmente.

Il dato di partenza qui è che la CO2 viene sia prodotta che usata nel mondo biologico.  Le reazioni di ossidazione di composti carboniosi, con rilascio di energia e formazione di anidride carbonica e acqua, infatti, non sono circoscritte alle attività economico-produttive umane, ma sono parte delle reazioni correnti nel mondo biologico, pur nelle specificità che le caratterizzano in diverse condizioni. Sono reazioni fondamentali per il normale funzionamento dei processi biologici, in quello che viene solitamente chiamato il flusso di energia nella biosfera, schematizzato nell’immagine che segue:

Questo flusso comprende la cattura dell’energia associata a una parte della radiazione proveniente dal sole, quella utilizzata nel processo fotosintetico dagli organismi che esprimono tutti i componenti necessari per le molte reazioni della fotosintesi. In breve e semplificando, l’energia catturata in questo processo porta alla scissione dell’acqua con la liberazione di ossigeno, e una parte di questa energia è trasferita ad altri composti, venendo impiegata successivamente in diverse reazioni. Questa seconda parte del processo comprende la cattura e uso della CO2 atmosferica e la sua incorporazione (fissazione) in molecole carboniose più grandi e complesse: gli idrati di carbonio (zuccheri).

In questo modo, i composti ottenuti conservano parte dell’energia solare catturata, che viene poi liberata con le diverse reazioni di distruzione di questi componenti negli organismi che le hanno prodotte, ovvero da altri organismi, che eventualmente hanno ingerito parti di quello fotosintetizzante (es. gli erbivori che si nutrono di vegetali). L’energia liberata in queste diverse reazioni viene poi utilizzata per lo svolgimento di varie attività degli organismi.

L’insieme di queste reazioni di ossidazione è indicato con il termine respirazione cellulare, perché l’ossigeno assunto dagli organismi viene utilizzato quasi completamente in questo modo nei suoi tessuti. Le sostanze carboniose prodotte nella fotosintesi, e in reazioni a questa collegate, sono così trasferite lungo catene alimentari che possono comprendere diversi organismi, fino alle specie carnivore apicali, sostenendo la funzionalità della biosfera, con il flusso di energia e materia nel processo ciclico delineato nell’immagine sopra riportata (38).

Proprio gli organismi fotosintetici, e la loro diffusione negli ecosistemi, stanno alla base delle NET in cui la CO2 ambientale viene rimossa con la sua conversione in composti idrogenati del carbonio (39). Riforestazione e afforestazione, quindi la rimozione della CO2 ambientale mediante la sua incorporazione in molecole idrogenate del carbonio, e il loro accumulo negli alberi che coprono superfici terrestri di diversa dimensione e caratteristiche, sono soltanto due delle possibilità esistenti.

Andando al cuore della questione, vi sono due punti chiave:

  • quanta CO2 può essere rimossa dagli alberi e, in termini estesi, dalle foreste;
  • quanto tempo la CO2 rimane sequestrata nelle foreste e quale capacità di rimozione della CO2 atmosferica hanno le foreste.

Entrambi i punti hanno risposte diverse a seconda delle condizioni in cui si trovano le foreste, in linea con quanto considerato affrontando il tema (diverso è per le foreste tropicali rispetto a quelle delle zone temperate, ovvero, nelle zone temperate, se le foreste comprendono prevalentemente latifoglie, ad es. faggi, o aghifoglie, ad es. abeti). Le stime riferibili a interventi di riforestazione o afforestazione, sviluppati su terreni che precedentemente erano stati modificati da attività antropiche per usi diversi, danno valori che dipendono dall’età delle piante, quindi delle foreste, come espressione della crescita degli esemplari presenti. I valori ottenuti per foreste mature, costituite da piante con un’età superiore ai 20-30 anni, indicano un accumulo di circa 2-3 tonnellate di carbonio per ettaro per anno (40, 41). Va notato però, per precisione, che queste stime sono riferite al carbonio, non all’anidride carbonica. Quest’ultima, contenendo anche due atomi di ossigeno, ha una massa di circa 3,7 volte quella del carbonio. Conseguentemente, correggendo il valore, si ha che una foresta di latifoglie in aree continentali dell’Europa ha una capacità di sottrazione di 6-11 t di CO2 per ettaro per anno.

L’efficienza di rimozione della CO2 nel materiale legnoso degli alberi è funzione della capacità di una foresta di rimuovere questo GHG, in molti casi indicata dal termine inglese “carbon sink” (2). Questa capacità dipende da molti fattori. È nozione comune che le piante germinano, crescono, muoiono e si decompongono ovunque, e questo vale anche per le foreste. Il riferimento è il costante procedere del flusso di energia (e materia) nella biosfera descritto precedentemente. In generale, quindi, si deve tenere presente che la permanenza/conservazione di CO2 associata ad azioni di riforestazione e afforestazione ha una sua dinamica, che comprende la progressione, basata innanzitutto sulla crescita degli esemplari e sull’aumento di estensione della foresta, ma anche la degradazione, dovuta alla morte e decadimento delle piante, con i vari processi distruttivi delle sostanze organiche che l’accompagnano. Non solo, per quanto banale possa apparire, va notato che gli organismi qui considerati fissano CO2 utilizzando energia solare, e, quando manca la radiazione necessaria, ad es. di notte, l’energia utilizzata da questi organismi per il loro funzionamento è ottenuta da reazioni di ossidazione, cioè di respirazione cellulare, liberando nuovamente CO2 nell’ambiente. Complessivamente, vari fattori, biotici (cioè di origine biologica) e non, possono influenzare la capacità di rimozione di CO2 delle foreste, fra i quali, in aggiunta a quanto già descritto, si possono citare, ad esempio, la disponibilità d’azoto e d’acqua, o anche il completamento della copertura dell’area disponibile per la crescita della vegetazione, gli incendi, le azioni di taglio degli esemplari, e altro ancora. Il riconoscimento dell’esistenza di molteplici fattori e fenomeni che influenzano la capacità di rimozione di CO2 delle foreste ha così condotto alla conclusione che questa capacità ha un limite, tecnicamente indicato dal termine “saturazione” (42).

Il fenomeno della saturazione è stato rilevato a partire dall’inizio di questo secolo, esaminando le quantità di carbonio sequestrato nelle foreste negli ultimi decenni. Affinando le misurazioni, l’andamento dei valori ha mostrato caratteristiche distinte in diverse regioni del pianeta. In Africa la capacità di accumulo del carbonio delle foreste tropicali risulta stabile in questi ultimi trent’anni, mentre mostra una netta flessione in quelle dell’Amazzonia (43). In Europa l’incremento della superficie a foreste avuto dopo il 1950 è stato accompagnato da un aumento di accumulo del carbonio, che si è stabilizzato dopo il 1990, dando segni di saturazione (44).

Su queste basi, la capacità di rimozione di CO2 delle foreste deve essere considerata limitata, potendo essere globalmente incrementata solo temporaneamente, con l’aumento dell’area coperta dagli alberi, dovendo prevedere vada incontro a saturazione. Un possibile miglioramento, del tutto parziale, è ottenuto contrastando il processo di decomposizione del materiale legnoso delle foreste, utilizzandolo in infrastrutture, quali costruzioni di vario genere, ovvero trattandolo, posticipandone il più a lungo possibile la decomposizione. Anche in questi casi, comunque, la CO2 non risulterà rimossa dall’atmosfera indefinitamente, ma soltanto temporaneamente, essendo questo un decremento relativo, non assoluto, e a breve termine delle concentrazioni di questo GHG in atmosfera.

Quanto considerato finora è riferibile alle opzioni per la mitigazione di emissioni di CO2 dovute alla combustione di materiali carboniosi. Come si è segnalato, una parte delle emissioni è legato a cambiamenti nell’uso della terra, fra i quali la deforestazione. Scelte di riforestazione, la cui rilevanza è stata già sottolineata per la tutela degli ecosistemi e il loro buon funzionamento, acquistano così un rilievo in scenari di mitigazione, mentre il blocco della deforestazione consente la riduzione delle emissioni di CO2, piuttosto che un incremento della loro cattura.

Tali considerazioni sottolineano come il bilancio fra la quantità complessiva di CO2 emessa e riassorbita/catturata costituisca il dato rilevante per l’andamento del processo in corso, qualificandolo in termini di decremento, ovvero incremento, delle emissioni complessive, al di là delle classificazioni proponibili per le tipologie dei diversi interventi.

Il bilancio fra la quantità di CO2 emessa e quella riassorbita/catturata in dimensione globale costituisce così il dato rilevante dell’andamento del processo in corso, se marcato da decremento, ovvero da incremento delle emissioni complessive.

I contributi che riforestazione e afforestazione possono dare nelle sfide poste dalla tutela degli ecosistemi e dal contrasto ai cambiamenti climatici

L’insieme delle considerazioni fatte fin qui pongono la riforestazione e l’afforestazione su un piano globale che va oltre il grande tema della qualità ambientale e il contrasto ai cambiamenti climatici, andando a far parte di altri processi di rilievo. Il quadro complessivo verrà delineato in questa parte conclusiva, mirando a collegare i diversi temi in una prospettiva unitaria. Alcune delle argomentazioni affrontate hanno implicazioni di notevole complessità, che sottolineano come azioni di sostegno del patrimonio forestale abbiano anche aspetti contraddittori.

Sul piano della tutela degli ecosistemi, il blocco della deforestazione e la spinta alla riforestazione, come si è visto, sono opzioni globalmente sostenute e perseguite, venendo indicate fra le azioni necessarie e urgenti per la difesa degli ecosistemi e la loro migliore funzionalità (3).

A fronte del sostegno incondizionato all’estesa tutela delle foreste esistenti, è già emerso come esistano criticità associate alle nuove, in conseguenza di afforestazione. Una di queste, non ancora affrontata qui, è riferibile alle dimensioni spaziali dei programmi di afforestazione, in quanto una stima del loro futuro incremento indica scenari al 2050 in cui verranno utilizzati da 3 a 7 milioni di km2 (45-47), che corrisponderebbero all’1-2% del suolo privo di copertura di ghiacci esistente sulla Terra, andando ad aggiungersi a un uso del suolo che già ora ha superato il 70% di quello disponibile a livello globale (26). Un incremento attorno al 2% non va però considerato trascurabile per due maggiori motivi. Il primo è legato alle dimensioni del territorio ancora utilizzabile, dato che oltre un terzo di quello attualmente disponibile, circa il 12% della superficie libera da ghiacci, non è comunque convertibile a coltivazioni di vario tipo, siano queste foreste o campi di cereali, perché costituito da rocce nude (26). L’aumento di popolazione previsto al 2050 sta invece alla base del secondo motivo, in quanto proprio l’andamento demografico richiederà un ulteriore incremento nell’uso del suolo di circa l’1-2% della superficie libera da ghiacci, da dedicarsi alle coltivazioni agricole necessarie per l’ottenimento di cibo, a sostentamento di una popolazione in crescita (26, 46). Anche in questo caso, come già notato, la stima non costituisce un incremento trascurabile e l’osservazione va completata da un dato rilevante, che meglio delinea il quadro complessivo.

La tutela degli ecosistemi e la loro biodiversità è il dato di contesto essenziale, in quanto l’incremento significativo dell’area sottoposta a vincoli conservativi sul piano globale è proposto con decisione da IPBES (3, 9), pur non essendo ancora riconosciuto con certezza quale sia la dimensione complessiva dei territori che andranno sottoposti ai relativi provvedimenti, per ottenere risultati appropriati. Una stima molto recente, basata sulla valutazione della distribuzione di popolazioni animali, indica che almeno 64 milioni di km2 (circa il 40% della superficie terrestre) richiede interventi conservativi (48). In questo studio viene mostrato che circa il 70% dell’area da conservare è al momento intatta, ma il restante 30% è da prevedere sarà oggetto di interventi antropici, essendo così esposta al rischio di alterazioni (48). Inoltre, gli autori dello studio sottolineano come la stima fatta, basata sulla distribuzione di popolazioni animali, deve essere considerata per difetto, non prendendo in considerazione la distribuzione di specie vegetali (48).

Complessivamente, quindi, le modalità d’uso della terra hanno implicazioni di tale portata da richiedere che gli interventi siano scrupolosamente esaminati in termini di costi e benefici (sia materiali che immateriali), prima di essere realizzati.

In questo quadro emerge così con chiarezza come le azioni di afforestazione vadano a toccare questioni di sostenibilità, di rapporti fra Paesi, di giustizia distributiva, di uso del suolo e altro ancora. Si tratta di temi di grandissimo rilievo sul piano politico e sociale, con implicazioni anche sul fronte valoriale ed etico. Per la loro estensione, questi temi non verranno approfonditi in queste note. Ci si limita soltanto a sottolineare come la tutela delle foreste esistenti abbia indiscutibili ricadute positive sulla qualità degli ecosistemi e dei servizi ecosistemici. Diversamente, vi sono elementi critici che mantengono tuttora aperte le discussioni sulle ricadute della espansione delle foreste mediante afforestazione in scenari di cambiamenti climatici.

La competizione per l’uso del suolo è sicuramente una delle criticità dell’afforestazione (45, 46), in particolare se questa diventasse scelta rilevante per la compensazione (off-set) della CO2 emessa in conseguenza del perdurante uso di combustibili carboniosi. Non solo, la competizione per l’uso del suolo sarebbe ancora maggiore se programmi di afforestazione fossero accompagnati da incrementi nell’estensione di colture agricole per la produzione di biocombustibili (45, 46). Infatti, queste strategie di compensazione delle emissioni sono estesamente discusse, sia in riferimento alla loro reale efficacia, sia per le loro implicazioni etiche e sociali (49, 50).

Riprendendo in esame le incertezze tuttora esistenti sull’efficacia delle foreste come carbon sink, vanno esaminati ancora alcuni fenomeni di rilievo che limitano o, comunque, possono alterare la loro capacità di mitigazione di cambiamenti climatici, soprattutto se le foreste sono l’esito di programmi di afforestazione (45, 51), quindi di processi basati sull’aumento della copertura arborea di terreno che non la comprendeva. Questa condizione, infatti, modifica le caratteristiche locali non soltanto in termini di biodiversità, come già considerato, ma anche di svariati parametri fisici, chimici e geologici (45, 51).

Fra i fattori di rilievo può essere utile esaminare le conseguenze della comparsa di una copertura arborea su un parametro in grado di influenzare il clima, l’albedo (52).

L’albedo è la “proporzione della radiazione solare riflessa da una superficie o un oggetto…” (2), spesso indicata con un valore compreso fra 0 e 1, ovvero con una percentuale. Le superfici che riflettono gran parte della radiazione solare hanno un’alta albedo, mentre quelle che ne riflettono poca, assorbendone buona parte, hanno una bassa albedo e vengono riscaldate dalla radiazione assorbita (52). Sia le aree coperte da neve e ghiacci, che quelle coperte con vegetazione chiara, come gran parte delle colture agricole, hanno un’alta albedo, che viene abbassata se vanno incontro a copertura arborea (2, 45, 51). Azioni di afforestazione, o la comparsa di foreste naturali su territori in cui l’innalzamento di temperatura associata a cambiamenti climatici ha portato allo scioglimento di neve o ghiacci (53), determinano localmente una diminuzione di albedo. In scenari come questi rimane incerto se il contributo complessivo delle nuove foreste sarà di mitigazione, via sottrazione della CO2 atmosferica, ovvero prevalga il riscaldamento, come conseguenza della diminuzione di albedo (45, 51).

Gli studi su questi fenomeni procedono, ma, al momento, incertezze come questa permangono anche in riferimento ad altri cambiamenti ambientali associati alla comparsa di nuove foreste (51).

Se si esaminano i dati esistenti più da vicino emergono chiaramente alcune delle conseguenze appena considerate sulla reale possibilità di compensare le emissioni di CO2 correnti con interventi di afforestazione. A questo scopo, prendiamo il caso dell’Italia, assumendo scenari ottimisti, quali la non rilevanza a breve termine di fenomeni di saturazione, la prevalenza dell’effetto di mitigazione come risposta all’incremento di superficie coperta da foreste e, anche, la correttezza di un alta capacità di sottrazione della CO2 da parte delle foreste (assumendo 10 t di CO2 per ettaro per anno). Se si utilizzano i dati che l’International Energy Agency fornisce sull’Italia, si ha che le emissioni complessive di CO2 sono scese a circa 280 Mt CO2 all’anno (54). Se queste emissioni venissero compensate da superfici afforestate, utilizzando la capacità scelta, la stima dell’area necessaria sarebbe di 0,28 Mkm2, un valore molto vicino a quello dell’intero Paese (0,30 Mkm2). Anche riducendo questa opzione alla rimozione soltanto del 10% delle correnti emissioni di CO2, sarebbe necessario procedere all’afforestazione di una superficie maggiore di quella della Lombardia. Sempre tenendo presente che le quantità di CO2 rimosse, impiegate in questo rozzo calcolo, sarebbero raggiunte fra 20-30 anni.

Sulla base delle assunzioni fatte, l’afforestazione potrebbe compensare le emissioni di CO2 del nostro Paese soltanto utilizzando territori fuori dall’Italia, andando a consumare il suolo di altri Paesi, aprendo scenari con rilevanti impatti e criticità sul piano economico, politico e sociale. Tutto ciò mostra con chiarezza come la mitigazione ottenuta compensando le emissioni di CO2 mediante afforestazione non sia plausibile nel nostro Paese, ma richieda invece estesi e urgenti programmi di decarbonizzazione.

In complesso, va riconosciuto che le criticità, i limiti e le incertezze associate alle azioni di riforestazione e, ancor più, di afforestazione rendono altrettanto limitati i relativi interventi. In riferimento alla mitigazione dei cambiamenti climatici, in particolare, l’insieme delle conoscenze esistenti indica come azioni di riforestazione e afforestazione consentano soltanto di “acquistare del tempo” nel percorso di contrasto ai cambiamenti climatici. Saranno i modi e contenuti delle iniziative realmente messe in opera che determineranno se questo tempo si tradurrà nell’anticipare il decremento assoluto delle concentrazioni di GHG in atmosfera, ovvero nel posticipare la decarbonizzazione delle fonti energetiche. In queste condizioni, ogni ritardo, o, addirittura, non tenere conto dei limiti di queste azioni, comporta il trasferimento dei costi materiali e immateriali del contrasto ai cambiamenti climatici sulle spalle delle generazioni future (1, 28).

Riconoscere queste criticità non implica necessariamente l’accantonamento totale di azioni di riforestazione e afforestazione per molteplici motivi. Sul piano della tutela degli ecosistemi e sostegno alla biodiversità, queste azioni hanno un ruolo estremamente rilevante e molto positivo, venendo fortemente perseguite a livello globale, in particolare nel caso della riforestazione (così come nel blocco della deforestazione). Sul fronte del contrasto ai cambiamenti climatici, per converso, va riconosciuto che i contributi nazionalmente determinati di diminuzione delle emissioni di GHG, come fissato nell’accordo di Parigi (27), sono poco ambiziosi e comunque attualmente insufficienti a raggiungere l’impegno preso (55). Questa sarebbe già una forte motivazione a favore di interventi di riforestazione e afforestazione, in un quadro complessivo di spinta all’uso di tecnologie di emissione negativa, pur dovendo tener presenti limiti e criticità sottolineate da svariate fonti (45, 46, 49-51), in particolare la relatività e temporaneità dei risultati ottenibili. In questo, come negli altri casi, sembra molto opportuno rimarcare l’assoluta necessità di procedere tenendo conto delle caratteristiche specifiche delle opzioni proposte, del quadro globale esistente, delle sue possibili proiezioni future, e delle dimensioni temporali associate alle diverse azioni.

Considerati gli impatti economici, politici, sociali e generazionali delle azioni di mitigazione, anche in una prospettiva di sostenibilità, la transizione a fonti di energia decarbonizzate, quali il sole e il vento, è strategia ineludibile per contrastare i cambiamenti climatici.

Note

  1. Alcuni dei punti toccati in questo scritto sono stati parte di passate elaborazioni, ad es., Rossini G.P.: Sostenibilità, decarbonizzazione, Recovery Plan: potenziali e criticità in una prospettiva intergenerazionale. Inchiesta, 2021. (https://www.inchiestaonline.it/economia/gian-paolo-rossini-sostenibilita-decarbonizzazione-recovery-plan-potenziali-e-criticita-in-una-prospettiva-intergenerazionale-una-prospettiva-intergene/).
  2. IPCC, 2021: Climate Change 2021: The Physical Science Basis. Contribution of Working Group I to the Sixth Assessment Report of the Intergovernmental Panel on Climate Change[Masson-Delmotte, V., P. Zhai, A. Pirani, S.L. Connors, C. Péan, S. Berger, N. Caud, Y. Chen, L. Goldfarb, M.I. Gomis, M. Huang, K. Leitzell, E. Lonnoy, J.B.R. Matthews, T.K. Maycock, T. Waterfield, O. Yelekçi, R. Yu, and B. Zhou (eds.)]. Cambridge University Press, Cambridge, United Kingdom and New York, NY, USA, In press. Il testo elaborato dal Gruppo di Lavoro I è scaricabile a https://www.ipcc.ch/report/sixth-assessment-report-working-group-i/.
  3. Intergovernmental Platform on Biodiversity and Ecosystem Services (2019), Global Assessment Report on Biodiversity and Ecosystem Services; Rapporto scaricabile a https://ipbes.net/ipbes-global-assessment-report-biodiversity-ecosystem-services. Le definizioni sono riportate nel Glossario al termine del rapporto IPBES, dove è specificata la loro origine nel AR5-WGIII di IPCC.
  4. La letteratura sui servizi ecosistemici è molto estesa. Un contributo generale è: Haines-Young R. & Potskin M.; Common International Classification of Ecosystem Services (CICES): Consultation on version 4, August-December 2012; un documento redatto per la European Environment Agency, scaricabile a https://cices.eu/content/uploads/sites/8/2012/07/CICES-V43_Revised-Final_Report_29012013.pdf. Un articolo breve, semplice, e focalizzato sul bosco, è: Santolini R.; Servizi ecosistemici e sostenibilità; Ecoscienza; 2010 (3), pp. 20-23. L’articolo è scaricabile a https://www.isprambiente.gov.it/files/biodiversita/Santolini_2010_Servizi_ecosistemici.pdf.
  5. Anche in questo caso, il significato del termine è preso da un glossario, quello della Piattaforma Intergovernativa sulla Biodiversità e i Servizi Ecosistemici, rintracciabile a https://ipbes.net/glossary.
  6. Betts M.G., Wolf C., Riplle W.J., et al.; Global forest loss disproportionately erodes biodiversity in intact landscapes; Nature 547: 441-444, 2017.
  7. Hua F., Bruijnzeel L.A., Meli P., et al.; The biodiversity and ecosystem service contributions and trade-offs of forest restoration approaches; Science 376: 839-844, 2022.
  8. Il Rapporto citato in nota 3 non è altro che uno dei molteplici documenti di rilievo prodotti da IPBES, dove possono essere rintracciate valutazioni puntuali ed estese in dimensione globale, riferibili allo stato degli ecosistemi, le modifiche in corso, nonché le loro conseguenze a carico dei servizi ecosistemici. Questi documenti sono accessibili dal sito IPBES: https://ipbes.net/.
  9. IPBES (2018) The IPBES report on land degradation and restoration; Montanarella L., Scholes R. and Brainich A. (Eds.). Secretariat of the Intergovernmental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services, Bonn, Germany. Scaricabile a: https://ipbes.net/assessment-reports/ldr.
  10. Feng Y., Schmid B., Loreau M., et al.; Multispecies forest plantations outyield monocultures across a broad range of conditions; Science 376: 865-868, 2022.
  11. Holl K.D., Brancalion P.H.S.; Tree planting is not a simple solution; Science 368: 580-581, 2020.
  12. Il tema è stato toccato in un breve contributo dedicato all’origine di SARS-CoV-2: Rossini G.P.; COVID-19: Riflettendo sulla relazione uomo-animale-ambiente; post rintracciabile a: https://www.facebook.com/veterinaria.bibliotecaunibo.it/posts/3313943342043945?__tn__=K-.
  13. Institute of Medicine 2014. The Influence of Global Environmental Change on Infectious Disease Dynamics: Workshops Summary. Washington, DC: The National Academies Press.
  14. National Academies of Sciences, Engineering, and Medicine 2019. Exploring Lessons Learned from a Century of Outbreaks: Readiness for 2030: Proceedings of a Workshop. Washington, DC: The National Academies Press.
  15. Intergovernmental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services, IPBES Workshop Report on Biodiversity and Pandemics, 2020. Scaricabile a: https://ipbes.net/sites/default/files/2020-12/IPBES%20Workshop%20on%20Biodiversity%20and%20Pandemics%20Report_0.pdf).
  16. Dobson A.P., Pimm S.L., Hannah L., et al.; Ecology and economics for pandemic prevention; Science 369: 379-381, 2020.
  17. Vora N.M., Hannah L., Lieberman S., et al.; Want to prevent pandemics? Stop spillover; Nature 605: 419-422, 2022.
  18. Jones K.E., Patel N.G. Levy M.A., et al.; Gobal trends in emerging infectious diseases; Nature 451: 990-993, 2008.
  19. L’elaborazione che segue si basa ampiamente sui documenti dell’IPCC, in particolare del 5° e 6° rapporto di valutazione, entrambi rintracciabili, assieme a molti altri materiali del Panel, al suo sito https://www.ipcc.ch/.
  20. I valori sono indicati nel Rapporto di cui alla nota 2 e sono riferiti al 2019. Altri GHG sono noti e hanno un ruolo nell’effetto serra complessivo, ma non verranno qui considerati.
  21. Cosa sia il GWP è definito nel glossario del Rapporto di cui in nota 2.
  22. L’uso del “circa” è motivato dal fatto che il potenziale si modifica con il tempo in cui si proietta l’effetto dei diversi GHG in atmosfera. I valori indicati sono riferibili a 100 anni e sono discussi nel capitolo 7 del rapporto IPCC di cui alla nota 2.
  23. I dati sulle concentrazioni recenti di GHG in atmosfera, e le loro proiezioni future, sono presi soprattutto dal Rapporto del WGI di IPCC, indicato in nota 2. Per la proiezione storica, può essere utile riferirsi anche ai dati rintracciabili nel sito della base di Mauna Loa (Isole Hawaii) dello Scripps Institution of Oceanography, dove nel 1958 cominciò la misurazione regolare delle concentrazioni di anidride carbonica in atmosfera (ottenendo la “curva di Keeling”, dal nome del chimico che iniziò questa misurazione). In questo sito sono riportate svariate stime storiche, rintracciabili a https://keelingcurve.ucsd.edu/.
  24. Questo andamento viene spiegato da piccole modifiche dell’orbita di rotazione della Terra attorno al sole associate a cicli temporali di lungo periodo (cicli di Milankovitch). Ulteriori informazioni a https://uwpcc.ocean.washington.edu/file/Milankovitch_Cycles
  25. IPCC, 2022: Climate Change 2022: Mitigation of Climate Change. Contribution of Working Group III to the Sixth Assessment Report of the Intergovernmental Panel on Climate Change[P.R. Shukla, J. Skea, R. Slade, A. Al Khourdajie, R. van Diemen, D. McCollum, M. Pathak, S. Some, P. Vyas, R. Fradera, M. Belkacemi, A. Hasija, G. Lisboa, S. Luz, J. Malley, (eds.)]. Cambridge University Press, Cambridge, UK and New York, NY, USA. Il testo del Gruppo di Lavoro III è scaricabile a: https://www.ipcc.ch/report/sixth-assessment-report-working-group-3/.
  26. IPCC, 2019: Climate Change and Land: an IPCC special report on climate change, desertification, land degradation, sustainable land management, food security, and greenhouse gas fluxes in terrestrial ecosystems [P.R. Shukla, J. Skea, E. Calvo Buendia, V. Masson-Delmotte, H.- O. Pörtner, D. C. Roberts, P. Zhai, R. Slade, S. Connors, R. van Diemen, M. Ferrat, E. Haughey, S. Luz, S. Neogi, M. Pathak, J. Petzold, J. Portugal Pereira, P. Vyas, E. Huntley, K. Kissick, M. Belkacemi, J. Malley, (eds.)]. Il Rapporto è scaricabile alla pagina https://www.ipcc.ch/srccl/.
  27. Il testo dell’accordo è scaricabile alla pagina https://unfccc.int/process-and-meetings/the-paris-agreement/the-paris-agreement.
  28. Un ottimo contributo, breve e semplice, è il seguente: Tollefson J.; The 2°C dream; Nature 527: 436-438, 2015.
  29. Va sottolineato che non si tratta di una condizione di contemporaneità, e l’estrema semplificazione del processo usata in questo scritto va intesa in un quadro in cui il livello di emissioni GHG determinerà le temperature che si presenteranno in tempi successivi. Questo elemento di complessità non verrà qui ulteriormente analizzato, ma sarà essenzialmente incorporato nelle descrizioni degli andamenti temporali del processo.
  30. Si noti che, in effetti, queste considerazioni hanno un significato, con conseguenze drammaticamente opposte, anche qualora il picco di emissioni non venga raggiunto e le emissioni di GHG continuino ad aumentare.
  31. Lenton T.M., Rockström J, Gaffney O., et al.; Climate tipping points – too risky to bet against; Nature 575: 592-595, 2019.
  32. Duffy K.A., Schwalm C.R., Arcus V.L., et al.; How close are we to the temperature tipping point of the terrestrial biosphere?; Adv. 7: eaay1052, 2021.
  33. Rockström J., Steffen W., Noone K., Persson Å., Chapin, F.S. III, Lambin E.F., Lenton T.M., Scheffer M., Folke C., Schellnhuber H.J., Nykvist B., de Wit C.A., Hughes T., van der Leeuw S., Rodhe H., Sörlin S., Snyder P.K., Costanza R., Svedin U., Falkenmark M., Karlberg L., Corell R.W., Fabry V.J., Hansen J., Walker B., Liverman D., Richardson K., Crutzen P., Foley J.A.; Planetary boundaries: exploring the safe operating space for humanity; Ecology and Society 14: 32 (2009).
  34. Raworth K.; L’economia della ciambella; Edizioni Ambiente, Milano, 2017.
  35. È opportuno notare che le azioni di contrasto ai cambiamenti climatici comprendono anche quelle di adattamento, affrontate dal WGII dell’AR6: IPCC, 2022: Climate Change 2022: Impacts, Adaptation, and Vulnerability. Contribution of Working Group II to the Sixth Assessment Report of the Intergovernmental Panel on Climate Change [H.-O. Pörtner, D.C. Roberts, M. Tignor, E.S. Poloczanska, K. Mintenbeck, A. Alegría, M. Craig, S. Langsdorf, S. Löschke, V. Möller, A. Okem, B. Rama (eds.)]. Cambridge University Press. Il testo del Gruppo di Lavoro II è scaricabile a: https://www.ipcc.ch/report/sixth-assessment-report-working-group-ii/. L’adattamento viene definito da IPCC distinguendo le condizioni nei sistemi umani e naturali (si veda il glossario nel Rapporto citato in nota 2). In particolare, nei sistemi umani l’adattamento è il processo di aggiustamento al clima esistente, o previsto, e ai suoi effetti, allo scopo di moderare il danno e sfruttare le opportunità benefiche. Nei sistemi naturali è il processo di aggiustamento al clima esistente e ai suoi effetti, [riconoscendo] che l’intervento umano può facilitare l’aggiustamento al clima atteso e ai suoi effetti.

La piantumazione di alberi e l’estensione della vegetazione ha un grande rilievo nelle azioni di adattamento, soprattutto in contesti urbani, ma questo aspetto non verrà qui esaminato.

  1. L’abbandono dei combustibili carboniosi e del loro uso come fonti d’energia tramite combustione non portano in generale all’eliminazione delle emissioni di altri GHG, quali il metano e il protossido d’azoto, anche se queste possono in qualche caso venire ridotte. Altre opzioni sono quindi da considerare per azioni di mitigazione riferibili a questi diversi GHG, ad esempio nel contesto del trattamento dei rifiuti o delle attività agricole. Siamo così di fronte a temi di grande complessità e portata, che qui non verranno esaminati.
  2. Per approfondire le tecnologie esistenti e a sviluppo, una fonte recente e aggiornata è: National Academy of Sciences, Engineering and Medicine 2019. Deployment of Deep Decarbonization Technologies: Proceedings of a Workshop. Washington DC: The national Academy Press. Il testo può essere scaricato a: https://nap.nationalacademies.org/catalog/25656/deployment-of-deep-decarbonization-technologies-proceedings-of-a-workshop. Le NET e alcune loro criticità sono state esaminate nel contributo citato in nota 1.
  3. Va notato che i processi qui descritti sono soltanto una parte di quelli esistenti nel mondo biologico, dove diversi composti idrogenati del carbonio vengono ottenuti da molecole intermedie, in cui viene trasferita l’energia di origine solare. Ad esempio, dagli zuccheri possono essere ottenuti grassi, e con processi biosintetici possono essere ottenuti anche idrocarburi. Va sottolineato in questo contesto che non tutti i processi biosintetici racchiusi nell’affermazione precedente avvengono in tutti gli organismi. Alcuni sono essenzialmente condivisi, mentre altri mostrano vari gradi di specializzazione nei diversi organismi. Questo è un aspetto essenziale della biodiversità a livello metabolico e funzionale. Le molecole qui considerate potranno così essere utilizzate in reazioni che libereranno energia impiegata nelle attività associate al normale funzionamento degli organismi. Complessivamente, l’insieme delle reazioni esistenti e che partecipano a questo flusso di energia, nonché di carbonio, idrogeno e ossigeno nella biosfera, è molto esteso e diversificato, e lo schema proposto non è altro che il cuore operativo/funzionale di quanto accade da milioni di anni negli organismi esistenti.
  4. In termini stretti, NET basate sul processo fotosintetico comprendono anche la concimazione marina, basata sull’impiego di sali contenenti il ferro, che portano all’incremento delle popolazioni di organismi fotosintetici, principalmente microalghe; ovvero l’impianto di colture agricole di varia tipologia, utilizzate per l’ottenimento di bioenergia con cattura del carbonio e suo sequestro, indicate dall’acronimo BECCS, riferito a NET solitamente distinte da quelle di semplice cattura diretta già citate. Sono opzioni molto discusse, che non verranno affrontate in questo scritto, in quanto non comprese fra gli interventi di riforestazione e afforestazione.
  5. IPCC 2019, 2019 Refinement to the 2006 IPCC Guidelines for National Greenhouse Gas Inventories, Calvo Buendia, E., Tanabe, K., Kranjc, A., Baasansuren, J., Fukuda, M., Ngarize, S., Osako, A., Pyrozhenko, Y., Shermanau, P. and Federici, S. (eds). Published: IPCC, Switzerland. Il testo può essere scaricato a: https://www.ipcc-nggip.iges.or.jp/public/2019rf/index.html.
  6. Cook-Patton, S.C., Leavitt, S.M., Gibbs, D. et al. Mapping carbon accumulation potential from global natural forest regrowth. Nature 585, 545–550 (2020).
  7. Per una descrizione generale del tema, si veda: Canadell G., Pataki, D.E., Giffor R., Houghton R.A., Luo Y., Raupach M.R., Smith P, Steffen W.; Saturation of the terrestrial carbon sink; in: Canadell J.G., Pataki, D.E., Pitelka L.F. (eds.) Terrestrial Ecosystems in a Changing World. Global Change – The IGBP Series. Springer, Berlin, Heidelberg (2007); pp. 59-78.
  8. Hubau W., Lewis S.L., Phillips O.L., et al.; Asynchronous carbon sink saturation in African and Amazonian tropical forests; Nature 579: 80-86, 2020.
  9. Nabuurs G.-J., Lindner M., Verkerk P.J., et al.; First signs of carbon sink saturation in European forest biomass; Nature Clim. Change 3: 792-796, 2013
  10. Smith P., Davis S.J., Creutzig F., et al.; Biophysical and economic limits to negative CO2 emissions; Nature Clim. Change 6: 42-59, 2016.).
  11. Creutzig F.; Govern land as a global commons; Nature 546: 28-29, 2017.
  12. Le stime recenti del WG III di IPCC indicano un intervallo più ampio, prevedendo un potenziale di mitigazione di 0,5-10 GtCO2 per anno per le azioni complessive di riforestazione e afforestazione (si veda il rapporto della nota 25)
  13. Allan J.R., Possingham H.P., Atkinson S.C., et al.; The minimum land area requiring conservation attention to safeguard bbiodiversity; Science 376: 1094-1101, 2022.
  14. Anderson K., Peters G.; The trouble with negative emissions; Science 354: 182183, 2016.
  15. Lenzi D., Lamb W.F., Hilaire J., et al.; Weigh the ethics of plans to mop up carbon dioxide; Nature 561: 303-305, 2018.
  16. Pearce F.; The forest forecast; Science 376: 789-791, 2022.
  17. Hartmann D.L.; Global Physical Climatology; 2nd, Elsevier, 2016; capitolo 10.
  18. Rumpf S.B., Gravey M., Brönnimann O, et al.; From white to green: Snow cover loss and increased vegetation productivity in the European Alps; Science 376: 1119-1122, 2022.
  19. Rintracciabili a https://www.iea.org/countries e riferiti all’anno 2020.
  20. Si vedano ad es., i rapporti “Emissions Gap Report” che annualmente vengono redatti nel contesto del programma ambientale delle Nazioni Unite (United Nations Environment Programme, UNEP), rintracciabili nel sito: https://www.unep.org/publications-data.

Category: Ambiente

About GianPaolo Rossini: Biologo, professore ordinario di Biochimica, ora è in pensione e opera come studioso indipendente. Ha lavorato in Università e Istituti di ricerca in Italia, USA, Svezia e Francia, svolgendo studi su meccanismi molecolari di funzionamento, regolazione e alterazione di processi biologici. È stato chiamato come esperto dalla FAO, la EC e l’EFSA. Si interessa di approcci sistemici alla caratterizzazione di fenomeni complessi. Attualmente, è membro associato dell’International Panel on Social Progress.

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