Buno Giorgini: Je so’pazzo per il potere al Popolo

| 15 Febbraio 2018 | Comments (0)

 

Diffondiamo da www.rafiopopolare.it del 15 febbraio 2018

Una premessa:  L’oro di Napoli (famoso film a episodi di Vittorio De Sica. 1954)

Napoli, 7-11 febbraio  2018 – Premessa. Come è ben noto la questione – come scriveva Gramsci – meridionale è uno dei principali problemi che attanaglia il nostro paese sul piano economico, politico, sociale, civile, culturale se non antropologico, almeno dall’unità fino a oggi. Ascoltando notizie e racconti che mi giungevano da fonti diverse, mi è parso che Napoli fosse e sia in pieno fermento, una realtà assai più ricca e ben diversa dalla rappresentazione che se ne dà in termini di pura e semplice camorra e/o violenza criminale fino alle cosiddette baby gang. Inoltre nel panorama melmoso e stantio della politica nazionale, quale emerge in questa campagna elettorale, il fatto che Je so’ pazzo, centro sociale napoletano cosiddetto, lanciasse una lista nazionale titolata Potere al Popolo ha risvegliato la mia curiosità e voglia di andare a vedere in loco. Nel mentre leggevo i libri di Maurizio De Giovanni, restandone incantato, per le storie e per la città. Così, accompagnato da una guida locale, Amalia Tiano de Vivo, cui si devono tra l’altro le foto, sono sbarcato a Napoli per cercare di capire qualcosa attraverso due finestre: una culturale colloquiando con De Giovanni, l’altra quella dell’impegno politico sociale passando un qualche tempo a Je so’ pazzo, alle sue iniziative, coi suoi militanti e con le persone che lo frequentano. Da questo viaggio nascono i due reportage che seguono: il primo Je so’ pazzo per il potere al popolo, il secondo Non si ferma uno tsunami chiudendo le finestre.

 

 

1. Je so’ pazzo per il Potere al Popolo

Sono maoisti i giovani di Je so’ pazzo? Oppure cristiani magari senza Dio? Magari che praticano la Caritas camuffati da comunisti/e? O ancora persone alla ricerca di un seggio in Parlamento, visto che gli altri lavori sono grami a Napoli? E altro ancora si potrebbe ipotizzare per gli abitanti di questo strano animale che è Je so’ pazzo.

Noi siamo una casa del popolo. Je so’ pazzo è una casa del popolo. Così m’accolgono al presidio di protesta davanti alla RAI napoletana. Un giornalista del TG locale scende in mezzo a loro travestiti da fantasmi spiegando che mai e poi mai si sognò di oscurare la loro lista, solo che ecc… insomma incomprensioni e mancate comunicazioni. Un po’ si ride un po’ si contesta, ma senza alcuna cattiveria.

La dizione casa del popolo viene in seguito alla mia domanda: cosa vi distingue dagli altri centri sociali, per esempio il Leoncavallo. Ridono, sono piuttosto allegri questi/e militanti, le donne dalle ragazze alle mamme sono parecchie. Mentre la protesta alla RAI prosegue, parlo con alcuni studenti universitari che declinano il potere al popolo in potere studentesco, incerti se lo hanno già sentito da qualche parte.

(Nel ’68 , a Trento, poi ovunque ci fosse un’università, Potere Studentesco diventò una parola d’ordine che un po’ scimmiottava il Potere Nero, e un po’ nasceva da esigenze reali, ma il ’68 per loro appartiene a un’altra era geologica). Quindi snocciolano alcuni obiettivi tra cui il sempiterno diritto allo studio e accesso all’università per tutti, ammettendo che per ora le masse degli studenti non si mobilitano, “oggi è difficile anche solo parlare di politica, rischi che non t’ascolti nessuno”. Comunque hanno fondato il CAU (Collettivo Autorganizzato Universitario) e hanno alle spalle Je so’ pazzo, la loro casa del popolo di cui vanno molto orgogliosi. Ma cos’è una casa del popolo a Napoli nel 2018? Che fa? E perché hanno costituito una lista elettorale? Intanto scopro il poderoso, eroico pulmino di Je so’ pazzo, per i passeggeri attrezzato con un paio di sedie instabili oppure si sta accovacciati sul cassone, tuttavia avendo un occhio di riguardo per la mia età un compagno – il modo con cui si chiamano l’un l’altro – mi offre un passaggio a bordo della sua macchina. Lavora in banca, ha una figlia, è in attesa di un bimbo e si è candidato. Arriviamo all’ex OPG, ospedale psichiatrico giudiziario, occupato, la famosa casa del popolo come sta scritto all’entrata.
E’ un grande spazio senza riscaldamento secondo la migliore tradizione dell’estrema sinistra d’antan però ben tenuto, fino ai cessi di inusitato candore, con indicazioni in tripla lingua, italiano, francese, inglese del tipo: secondo chiostro, terzo chiostro, sportello medico popolare, parete di arrampicata, scuola italiano per migranti, raccolta di indumenti, aula studio, biblioteca popolare, bagno/toilette. Le attività che si svolgono sono una quarantina, dalla palestra all’ambulatorio, dalla scuola di ballo allo sportello migranti, dalla cucina popolare alla camera del lavoro, dal teatro al doposcuola, il tutto con un agguerrito sportello legale particolarmente attivo sul fronte del lavoro tanto quanto dei migranti. Si tratta di iniziative permanenti tenute in piedi dalle 15 alle 22 da oltre centocinquanta (150) volontari, alquanto partecipate, aperte e frequentate da persone di ogni età, colore, nazionalità. Una parola viene invocata per definirle: mutualistiche, attività mutualistiche. Una parola che sta nella storia del Movimento Operaio e Cooperativo dalla fine dell’ottocento. Quindi apparentemente niente di nuovo sotto il sole. Oppure anche: cosa distingue la raccolta di indumenti della casa del popolo da quella fatta dalla Caritas? E infine: queste attività hanno un buon successo nel contesto di Napoli dove i servizi sociali sono molto carenti o assenti tout court, una città col PIL più basso d’Italia. E’ bene farle ma non paiono certamente un viatico per il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente, come Marx definì il comunismo, e voi vi chiamate comunisti finisco rivolto a Gianpiero. La risposta arriva in due assiomi. Il primo dice: “abbiamo molto lavorato sul linguaggio e sul modo d’approccio cercando di staccarci dal mito degli anni ’70, di cambiare proprio lingua, di operare su e dentro questo mondo, senza rimandare tutto a una utopia, a un mondo ideale per giunta del passato, sviluppando una capacità di migliorare la vita del popolo qui e ora”. La parola d’ordine sembra essere: dobbiamo sistemare il mondo che c’è e non idealizzare un mondo che non esiste. Il secondo recita: “in ognuno di questi ambiti mutualistici lavoriamo a costruire momenti di autorganizzazione. Non c’è chi assiste e chi è assistito ma insieme lavoriamo perché tutte le persone siano in grado di riappropriarsi della propria vita, a cominciare dalla salute, dalla scuola, dalla cittadinanza, in modo collettivo.”

A questo punto devo dire che mi sto appassionando alle vicende di questa casa del popolo, come da tempo non mi accadeva parlando e ascoltando di politica. Questo esperimento di un popolo (una parte di un popolo) che si autorganizza per soddisfare alcuni dei suoi bisogni fondamentali mi pare degno di nota, e oggi in Italia parecchio nuovo. Non so quanto sia ripetibile in altri luoghi diversi da Napoli, ma qui sta come il cacio sui maccheroni.

Il mio interlocutore colloca la loro pratica chiamando in causa il maoismo, “andiamo a scuola dalle masse – quello che è importante per noi non è detto lo sia per i proletari – organizziamo la resistenza del popolo, facciamo l’inchiesta, ecc…”.

E’ chiaro che questo significa un approccio molto diverso da quello che si avrebbe a Milano, non sento mai parole come produzione, produttività, nemmeno sfruttamento in fabbrica, e difficilmente potrei definire un “popolo milanese” da liberare con una lunga marcia attraverso i quartieri. Col che gli operai ci sono, e in contemporanea a me Giorgio Cremaschi, già dirigente nazionale FIOM, oggi aderente a Potere al Popolo, sta discutendo a Pomigliano con un gruppo di operai. Ma continuiamo dentro l’OPG perché dal maoismo si passa alle unità di misura: “come si misura l’impatto della nostra azione politica. Fin dall’inizio quando siamo entrati qua dentro, senza un progetto che non fosse quello di ascoltare le persone del popolo, ci siamo proposti di compiere azioni che fossero vincenti o almeno che avessero un reale effetto, misurabile”. E snocciola alcune iniziative. Qui ne scegliamo due. La prima proprio in senso cronologico a suo modo esemplare. “Eravamo appena entrati in occupazione, la via che sta là, via Salvator Rosa, era percorsa da automobili a velocità molto alta, provocando numerosi incidenti sui pedoni. Da tempo gli abitanti chiedevano un semaforo, ma l’amministrazione non ne voleva sapere. Poi la catechista della chiesa signora Annamaria, molto conosciuta e stimata, viene uccisa da una macchina e l’indignazione cresce. Il parroco chiama a una fiaccolata di ricordo e protesta cui decidiamo di partecipare, impegnandoci di fronte al quartiere per ottenere l’installazione del semaforo a chiamata. Ci sono voluti tre mesi di lotta dura senza paura – e sorride – però ce l’abbiamo fatta. Il 26 gennaio 2016 entra in opera il semaforo, il nostro monumento, e io ogni mattina quando vengo all’OPG mi fermo, lo aziono attraverso la strada e comincio la mia buona giornata.” Si potrebbe chiamare scaramanzia napoletana e mette allegria.

La seconda è l’esperienza del controllo popolare ai seggi contro il voto di scambio e la compravendita dei voti agita dalla camorra. “Abbiamo costituito delle squadre di vigilanza e siamo andati a Scampia, al rione Sanità, ai quartieri spagnoli, a Pianura cioè laddove i fasciocamorristi erano più attivi. Abbiamo ricevuto minacce, aggressioni, promesse di ritorsioni ma a un certo punto è successo un fatto inimmaginabile: le persone si sono unite a noi, in molti modi, dal portarci da mangiare o offrirci il caffè, allo scendere fisicamente al nostro fianco. E’ scattata una solidarietà popolare. Anche così il candidato della destra Lettieri ha perso e De Magistris ha vinto”. Il sindaco di Napoli che attraverso una sentenza della magistratura ha avuto in affidamento la gestione giudiziaria dell’ ex-OPG, in qualche modo mettendo Je so’ pazzo al riparo per ora da uno sgombero, che all’inizio quando fu occupato il 2 marzo 2015 sembrava possibile, se non prossimo.

Uscendo dall’OPG si può arrivare in Sant’Antonio a Tarsia, chiesa in disuso di proprietà dei Redentoristi, recentemente occupata (3 febbraio) dalla Rete di Solidarietà Popolare – emanazione con altri della casa del popolo – per dare alloggio ai senzatetto. Oltre ai nostri amici dell’ex-OPG, troviamo tra i protagonisti padre Alex Zanotelli, Giuseppe Aragno già docente di Storia all’università, don Francesco Esposito cappellano a Poggioreale. La chiesa era abbandonata da anni, e ripetutamente saccheggiata senza che nessuno battesse ciglio, ma adesso che sono arrivati “i centri sociali” apriti cielo. Ci si mettono un po’ tutti, da Liberi e Uguali che nella persona del consigliere comunale Mario Coppeto dice: “Sono atti pericolosi in campagna elettorale”, alla deputata e consigliera PD Valeria Valente che parla di “potenziale inquinamento della campagna elettorale da parte dei militanti di Potere al Popolo”, mentre a destra si tuona. Poi arriva la storia di Macerata, e il PD in un angolo ha adesso altre gatte da pelare. A questo punto la nostra cronaca sta volgendo al termine, se non fosse per la scelta di Je so’ pazzo di farsi promotore di una lista nazionale in condominio con Rifondazione Comunista, mettendo in moto Potere al Popolo, che tra l’altro sta scritto nell’articolo uno della nostra Costituzione: (..) La sovranità appartiene al popolo (..). Ne discutiamo con Chiara, uno dei portavoce: non accadrà che Rifondazione forte di una organizzazione nazionale prenda il sopravvento e i meccanismi della politica politicante contaminino Je so’ pazzo? In realtà questa domanda l’ho sparsa in giro dal mattino, ma tutti se ne sono tenuti alla larga. Così è finita in coda e con Chiara, una degli artefici. La chiave di volta che presenta sono le assemblee territoriali dove sono stati scelti i candidati e i delegati. Insomma i nodi di una nuova formazione politica? In realtà non si capisce ancora, che anche tra i centri sociali non c’è unanimità sul percorso elettorale, mentre neppure tutta Rifondazione sembra schierata a favore dell’abbraccio cogli stessi. Probabilmente molto dipenderà se Potere al Popolo riuscirà a superare la soglia del 3%, eleggendo qualche deputato, oppure no. Comunque sia soprattutto a Napoli, dove il popolo esiste come entità antropologica ben connotata e dove l’attività politica a sinistra sembra avere nuovi tratti interessanti e ricchi di senso, questa campagna elettorale costituisce uno spazio aperto di sperimentazione verso chissà una nuova forma partito e una nuova capacità di essere sinistra nella società.

 

Lo scrittore Maurizio De Giovanni

 

2. Non si ferma uno tsunami chiudendo la finestra

Cosa è Napoli. Meglio: chi è Napoli. La città violenta quando non feroce dei criminali, dalla camorra alle baby gang. La città col golfo splendente e il Vesuvio che richiama le origini del mondo. Il luogo dei maestri dello scippo o quello dei mastri cantori. E potremmo continuare con le antinomie, giocando al dott. Jekyll e mr. Hyde. Ma forse qualcosa di nuovo sta insorgendo sul piano politico sociale – e ne abbiamo parlato raccontando le imprese di Je so’pazzo – e sul piano culturale, che poi vuol dire invenzione di nuove configurazioni e forme dell’essere fino a ieri inesistenti e/o impensate.

Se dovessi dirlo con il mio linguaggio di fisico che studia la città, definirei Napoli un sistema sul bordo del caos. Questo tipo di sistemi ha grosso modo due possibili soluzioni. La prima precipitando nel caos, con il verificarsi di fenomeni più o meno catastrofici, che per quanto riguarda i cittadini possono assumere la forma del panico, di violenza sociale diffusa – homo homini lupus – degrado accelerato delle relazioni e dell’habitat, altro ancora fino a situazioni più estreme come quella del Bronx a NYC, che fu dichiarato negli anni ’70 e ’80 addirittura zona di guerra. La seconda soluzione consiste nell’introduzione di pensieri, linguaggi, pratiche, azioni, produzione di oggetti e di socialità in grado di trasformare il sistema da quasi caotico a complesso, più precisamente un sistema critico autorganizzato, il che significa: adattivo, resiliente, e per qualche verso intelligente. Dove il cuore, la mente e il volano del movimento verso un sistema complesso siffatto è l’emergere di processi di autorganizzazione/autodeterminazione.

I miei amici di Je so’ pazzo mi hanno spiegato che un varco si è aperto, o uno spartiacque a dividere le acque nere dalle acque limpide è nato, durante la crisi dei rifiuti (2007), quando venne alla luce un grumo maleodorante di potere che copriva tutto l’arco delle forze in campo da quelle politico istituzionali fino a quelle di ispirazione criminale e camorrista, dal bassolinismo per arrivare via l’onorevole Cosentino ai clan della camorra, come i misso, i casalesi, ecc.. Così il re rimase nudo, cioè il sistema di potere fu del tutto delegittimato, e le persone cominciarono a raccogliere e smistare la monnezza in proprio, autorganizzandosi con soluzioni di buon senso efficaci, fino all’attuale raccolta differenziata estesa a tutta la regione (51,6% la più virtuosa dell’intero Mezzogiorno, mentre però Napoli città rimane al 31,31%, in provincia al 47%, dati di Lega Ambiente per il 2016). Quindi nel 2011 De Magistris fu eletto sindaco, sostenuto da una propria lista civica Dema: Democrazia Autonomia, col concorso di varie altre liste tutte civiche, facendo a gara quale fosse la più autonoma. Maurizio De Giovanni ha scritto molti libri belli tra cui una saga, I Bastardi di Pizzofalcone, diventata anche una serie televisiva, che in qualche modo è una metafora della dinamica di cui dicevo, da un sistema caotico che precipita nel disatro fino al rischio di essere annichilito a un sistema critico autorganizzato, dove critico significa che il caos è sempre lì sul bordo a vista, ovvero il sistema critico è sempre costituente mai costituito: la consuetudine con la visione della fine del mondo come stabile condizione perché il mondo continui, come scrive Calvino in introduzione a Le rovine di Parigi di Giovanni Macchia. Così con Amalia Tiano De Vivo, la mia guida nel vulcano di Napoli, andiamo a cercare De Giovanni alla prima del Don Chisciotte della Pignasecca, una sua rilettura del romanzo di Cervantes. Dopo alcune cordiali chiacchiere De Giovanni ci dà appuntamento per il giorno dopo al Circolo Ufficiali della Marina Militare, dove presenterà un libro di racconti e ricordi amorosi, autrici alcune signore tra cui soltanto una di professione scrittrice. Fa strano incontrarlo in questa cornice ovattata, fuori dal clamore di Napoli, al caffè del circolo con qualche ufficiale in divisa elegante e il berretto marinaro sotto il braccio.

Esordisce. Napoli è una metropoli con tre milioni e mezzo di abitanti, con una densità al chilometro quadro altissima. L’area napoletana dove posso andare fino a Salerno e Caserta senza uscire dalla città, è la più popolosa d’Europa. Unica area metropolitana europea del Meridione, ha un PIL inferiore a quello greco. Quando diciamo Napoli dobbiamo pensare ad Atene, Istanbul, San Paolo in Brasile, ovvero siamo in un’area economicamente disastrata con, per esempio, il record europeo di dispersione scolastica. Un’area con enormi diseguaglianze, un grande disagio e una completa assenza dello Stato. Se invece parliamo di diversità, che è cosa differente dalla diseguaglianza, la diversità è positiva allora il discorso cambia. Intanto Napoli è terra di grandi confronti culturali. Ci sono aree in cui non c’è un presidio ospedaliero non c’è un commissariato di polizia non c’è un ufficio della posta ma ci sono cinque teatri attivi. Quindi il presidio culturale è fortissimo. Napoli ha il maggior numero di scrittori italiani tradotti all’estero, senza avere una casa editrice con distribuzione nazionale. Se parliamo dell’offerta che Napoli dà di se stessa fuori, come tutte le offerte è legata alla domanda. La domanda che viene da fuori è : la camorra. Film, gran parte delle opere teatrali, non parlo solo di Gomorra, ma La Gatta Cenerentola, Amore e Malavita, I Falchi, ecc.. sono film e opere di camorra, cioè la camorra è un prodotto narrativo che risponde a una domanda esterna. Una cosa è la narrativa che risponde a una domanda esterna, la merce, una cosa è la narrazione che la città fa di se stessa. Non che la camorra non esista ma è certamente assolutamente parziale come narrazione della città, che è molto più polimorfa, poliedrica, sfaccettata. Questa è una città in cui in questo momento c’è il miglior aeroporto d’Europa sotto i dieci milioni di viaggiatori – Capodichino ha appena ricevuto il premio ACI Europe –la stazione centrale è in una condizione migliore di quella di Milano e della stazione Termini. Il Museo Archeologico Nazionale è all’avanguardia assoluta a livello mondiale per l’offerta multimediale, la città ha segnato quest’anno un incremento del 49% di visitatori a fronte di una media nazionale del 6%. Ora non volendo considerarli tutti suicidi aspiranti, si ritiene che la città offra qualcosa di ben diverso dalla camorra. Epperò c’è la tendenza naturale a servirsi della camorra come alibi, quando viene presentata come qualcosa di indistinto, di latente e di invincibile. Non è vero, tanto che il clan dei casalesi, la realtà criminale più pericolosa di questi ultimi vent’anni, è stato sgominato, segno che non è impossibile fronteggiare questi fenomeni. Quindi bisogna distinguere: se parliamo di una realtà gravata dall’assenza dello stato e da profonde disuguaglianze, su questo non c’è dubbio, se poi invece intendiamo una città che ha un fermento, una voglia, una potenza di rinnovamento culturale enorme, io devo dire che questa è una città che ha bisogno di tantissimo, che ha mille necessità, ma io ho sessantanni e non ricordo mai la città messa meglio di così. L’aeroporto di Napoli interagisce col MANN (Museo Archeologico Nazionale) ed espone alcune statue del museo, cioè l’offerta artistica della città comincia dall’aeroporto, uno arriva a Napoli ed entra in un museo. Questo a prescindere dagli amministratori, cioè Napoli decide da sola quando migliorare, si autodetermina. A un certo punto è come attraversata da una corrente di grande vitalità. Umberto Eco diceva che l’Italia senza Napoli non sarebbe la stessa, ma Napoli senza l’Italia sarebbe la stessa. Eppure Napoli non è autoreferenziale, piuttosto profondamente critica nei confronti di se stessa: l’unica batteria di cannoni che sta a Castel dell’Ovo è rivolta verso la città, cioè non fronteggia gli invasori ma i cittadini napoletani: Napoli teme se stessa, Napoli ha sempre accolto gli invasori come fossero dei liberatori, venendo sempre smentita. Napoli si autodetermina ma oggi sindaco è De Magistris… De Magistris è una persona sicuramente valida, molto onesta, molto intelligente e profondamente innamorata della città ma questi tre pregi portati all’estremo diventano tre difetti: l’onestà si trasforma in diffidenza, l’intelligenza in arroganza e l’amore per la città in sciovinismo. Lui purtroppo tende a diventare così. Ma in che senso la città si autodetermina. Alcune forze entrano a sistema. Per esempio la produzione artistica innanzitutto, l’impegno sociale, l’associazionismo fortissimo, e le opportunità economiche. Il turismo è diventato un’industria. Faccio un esempio: se tu apri un negozio di telefonini te ne fotti di come è il marciapiede davanti la tua bottega. Se apri un bar invece no, il marciapiede lo vuoi pulito e ben messo. Questo implica un miglioramento della città: bar, caffè, pub, B&B, pensioni, alberghi ecc.. implicano un controllo capillare sullo stato della città. Questa è una città stretta e molto popolosa dove o tu sei tollerante o vivi male. Quindi la tolleranza è una necessità. Non a caso non si verificano episodi di intolleranza di nessun tipo né razziale né economica. Qui c’è rabbia sociale che alimenta per esempio il fenomeno delle baby gang col contributo dei social che rendono evidente il fenomeno delle diseguaglianze, per cui questi ragazzi partono per vendicarsi del futuro che non hanno. Aprendo con Pietro Grasso la campagna di Liberi e Uguali l’ho detto: l’urlo di dolore di questa città è determinato dalla necessità di risolvere le diseguaglianze. Noi stiamo seduti su una bomba innescata, ma il problema non è solo di Napoli. A Napoli è accentuato dalla compresenza delle aree disagiate con quelle agiate. Cioè a Milano se io parto da Quarto Oggiaro ci metto un’ora in motorino per arrivare al centro, a Napoli io faccio un metro e dai quartieri spagnoli sono già a Chiaia. Io credo che Napoli per moltissimi versi sia, possa essere, un laboratorio sociale per l’intero paese. Davanti alla scuola di Arturo, il ragazzo accoltellato uno striscione diceva: o si salvano tutti o non si salva nessuno. Nessuno di noi può pensare in questo paese di salvare il proprio orticello mentre attorno c’è la guerra nucleare. Non si ferma uno tsunami chiudendo una finestra.

Quindi il nostro si avvia a presentare il libro delle signore, di fronte a una platea quasi tutta femminile assai critica verso i maschi, genere di cui De Giovanni fa parte, con molta ironia.

In fine di questo nostro breve viaggio nel groviglio di Napoli, splendida città e terribile, arriva il post di De Magistris infuriato per la montagna di debiti cumulati dagli amministratori precedenti. Scrive il sindaco:

Da 7 anni governiamo la città di Napoli senza soldi, sommersi da pesantissimi debiti ereditati, in affanno finanziario ed economico costante, eppure Napoli si è riscattata con il suo stupendo capitale umano, con la passione, con i talenti culturali, con le sue infinite bellezze. Siamo primi in Italia per crescita culturale e turistica. Da gennaio, però, abbiamo nuovamente le casse del Comune bloccate per un pignoramento di un debito risalente al 1981 – terremoto Irpinia – e siamo sotto la clava di debiti mostruosi del commissariamento rifiuti dell’epoca berlusconiana-bassoliniana.
Allora viene in mente Italo Calvino, laddove scrive: “L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce ne è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere che e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.”

Category: Economia solidale, cooperativa, terzo settore, Fare Inchiesta, Osservatorio Sud Italia, Politica, Welfare e Salute

About Bruno Giorgini: Bruno Giorgini è attualmente ricercatore senior associato all'INFN (Iatitutp Nazionale di Fisica Nucleare) e direttore resposnsabile di Radio Popolare di Milano in precedenza ha studiato i buchi neri,le onde gravitazionali e il cosmo, scendendo poi dal cielo sulla terra con la teoria delle fratture, i sistemi complessi e la fisica della città. Da giovane ha praticato molti stravizi rivoluzionari, ha scritto per Lotta Continua quotidiano e parlato dai microfoni di Radio Alice e Radio Città. I due arcobaleni - viaggio di un fisico teorico nella costellazione del cancro - Aracne è il suo ultimo libro.

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