Paolo Coceancig: Gorizia

| 4 Dicembre 2017 | Comments (0)

“Per i triestini Gorizia è Venezia Giulia, per i friulani è Friuli, per gli sloveni semplicemente roba loro. Gorizia, di chi sia nessuno lo sa”. (Paolo Rumiz)

Se n’è andato per sempre Ronald Bacic, detto Ron, oste e gentiluomo (in alto nella foto); per un lungo periodo, prima di trasferirsi dalle parti di corte Sant’Ilario, appassionato gestore del Wine Cafè di Piazza Vittoria a Gorizia. Per tutti quegli anni, quei pochi metri quadri sono stati uno dei miei approdi più appaganti quando da Bologna risalivo lassù, nelle terre natie: la certezza di trovare sempre un amico addossato al bancone e una bottiglia di vino buono o di lasko pivo da bere assieme sotto lo sguardo gentile e complice di Ron e della sua dolce compagna Ornella.  Quando mancherà alla città quel suo stile quasi antico da garbato banconiere. Ron era un maestro nell’arte più degna per chi di mestiere fa il taverniere: l’accoglienza. 

E quanto ci manca ora l’accoglienza, dappertutto.

A pochi metri dal Wine Cafè c’è Galleria Bombi: un tunnel, oggi pedonale, che dal cuore della città porta a ridosso della frontiera, un di qua e un di là che neppure la chiusura del confine ha ancora unito del tutto. Là sotto, da mesi, la vergogna di una moltitudine di disperati abbandonati a se stessi, vittime più che del razzismo, dell’indifferenza della città. Non c’è più posto nelle strutture che la chiesa, non la giunta comunale inetta e destrorsa appena eletta tra il disinteresse della città (al ballottaggio ha votato meno di un goriziano su due), ha messo a disposizione per i richiedenti asilo che, respinti dai paesi del Nord Europa, arrivano a Gorizia in quanto unica sede regionale della commissione prefettizia per l’esame delle richieste.  Fantasmi: ci sono, ma nessuno li vede. Ombre che durante il giorno vagano spettrali per le strade di questa città sempre più imperturbabile e triste, piena di vecchie botteghe chiuse dalla crisi e di bar che chiudono le serrande al calar della sera. Nessuna curiosità verso tutti quei ragazzi, la maggior parte asiatici, provenienti da mondi lontanissimi, portatori di storie e significati che almeno un pochino dovrebbero intrigarci se solo non pensassimo che il mondo finisca in questo nostro piccolo crocevia tra l’Europa latina, quella germanica e quella slava. Da là sotto, qualche giorno fa, quei fantasmi sono stati sgomberati, ora il tunnel è stato chiuso: a ogni entrata una rete metallica alta quattro metri ne proibisce l’ingresso fino a data da destinarsi. Giusto in tempo, dice qualcuno: il Natale è alle porte e non sarebbe stato bello festeggiarlo, proprio nel cuore della città, davanti a quella grande capanna stracolma di gesù cristi ammucchiati al freddo e al gelo, senza neanche l’alito di un bue o di un asinello a scaldarli. A pensarci bene, che incredibile paradosso: per onorare il bambinello di Betlemme, lo si toglie dalla propria vista. 

Non si tratta neanche di avere questa o quella posizione sulle politiche migratorie, qui è venuto a mancare proprio il livello basic del minimo di umanità possibile: non lasciare che le persone muoiano. Se la parola “dignità” è continuata a sopravvivere al suo interno nonostante tutto, questa città lo deve solo a tutti quei volontari, di ogni censo età e professione, partigiani dell’ultimo straccio di umanità residua, che per tutto questo tempo hanno alleviato le pene dei ragazzi del tunnel.  

Eppure la storia di Gorizia è ben altra cosa: storia di sangue misto e sofferenze inenarrabili che si sperava l’avessero posta per sempre al riparo da sentimenti persecutori e rigurgiti localisti. Checché ne dicano i nostalgici del ventennio, Gorizia non è mai stata pienamente italiana nell’accezione etnica e linguistica del termine. Fin dalle sue origini qui si è sempre parlato il friulano, il tedesco e lo sloveno, cui si è aggiunto, in epoca più recente, il veneto. Il suo nome è di derivazione slava (gorica significa collina), il suo cuore è attraversato da un confine, le sue strade sono use al passaggio di genti e culture diverse. Questa è la città dove Basaglia, con un manipolo di altri, pochi coraggiosi uomini, per la prima volta in Italia aprì le porte di un manicomio, dando avvio a una delle ultime, vere rivoluzioni del novecento. Questa è la città di Graziadio Isaia Ascoli e Carlo Michelstaedter, esponenti illustri di una delle più floride e antiche comunità ebraiche, spazzata via in meno di un decennio dalle leggi razziali fasciste prima, dalle deportazioni in Germania poi. Questa è la città dove cent’anni fa “per conquistare questa terra morirono quattrocentomila soldati (…e…) Gorizia ha quarantamila abitanti, per ciascuno di noi ci sono dieci morti”, come scrive nei suoi bellissimi versi, il poeta goriziano Francesco Tomada.

E come sembrano ora scritti per i ragazzi disperati della Galleria Bombi altri meravigliosi versi, quelli dell’anonimo soldato che, dopo tutti quei morti tra il Podgora e il Sabotino, scrisse uno dei canti antimilitaristi più dolenti e più belli di sempre: O Gorizia tu sei maledetta / per ogni cuore che sente coscienza / dolorosa ci fu la partenza / e il ritorno per molti non fu.

Category: Cibi e tradizioni, Osservatorio sulle città

About Paolo Coceancig: Paolo Coceancig nasce a Gorizia nel 1964. Da più di trent’anni vive e lavora come educatore a Bologna. Segnalato nella sezione “Poesia” della Biennale Giovani Artisti del Mediterraneo (Bologna, 1988), comincia a fare letture pubbliche in locali e manifestazioni della città. Pubblica su varie riviste: “I Quaderni del Battello Ebbro”, “Opposizioni”, “Private”, “Mongolfiera” ecc. Appare nelle antologie “Bologna e i suoi poeti” curata da Carla Castelli e Gilberto Centi (EM Parole in libertà, 1991) e “Rzzzzz!” a cura di Sergio Rotino (Transeuropa, 1993). E’ del 1991 il suo esordio letterario, la raccolta “Graffiti graffiati”. Laureatosi al DAMS con una tesi sul teatro dialettale friulano e in particolare sull’opera del giovane Pasolini, in quegli stessi anni comincia a scrivere anche nella parlata delle sue origini, pubblicando testi in friulano su Usmis e La Patrie dal Friul. Dopo parecchi anni di volontario esilio dalla parola scritta, si è di recente riavvicinato alla poesia. I nuovi versi compaiono nelle pubblicazioni collettive “Parole Sante-Parlava a pietre una sull’altra” e “Parole Sante-Versi per una metamorfosi” (Kurumuni 2015 e 2016). Scrive di tematiche sociali e attualità politica su piattaforme multimediali indipendenti come Globalproject e Leila. Da alcuni anni cura e conduce insieme al collettivo Educatori Uniti Contro i Tagli una trasmissione sui temi del welfare a Radio Kairos Bologna. Con la raccolta inedita “Taccuini dell’inconsistenza” è stato selezionato tra i finalisti della prima edizione del premio letterario Orlando (2013).

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