Bruno Giorgini: Migrazioni e fratture d’Europa

| 22 Settembre 2015 | Comments (0)


Le ultime immagini con cui chiudo la sera vengono dalla frontiera tra l’Ungheria e la Serbia irta di ferro e d’armati violenti in divisa, con un padre sanguinante che porta sulle spalle una bambina in lacrime. Nel mentre, ascolto Dragan Petrovic cronista di Radio Popolare che racconta la/e brutalità delle forze di polizia ungheresi contro i migranti, parlando di momenti da guerra civile, e accusando gli armati di Orban di avere violato l’integrità territoriale serba. Quando la Croazia organizza un treno carico di migranti che deve traversare l’Ungheria fino alla frontiera con l’Austria (la Slovenia ha chiuso le sue), scortato a bordo da venti agenti, i soldati ungheresi lo bloccano, salgono a bordo disarmando i poliziotti croati.

La marcia dei migranti spezza l’Europa, e l’ Unione Europea (non sono la stessa cosa). Più precisamente fa emergere e deflagrare faglie di frattura pre-esistenti, le quali a loro volta ne causano di nuove sia in avanti che all’indietro – con un tipico meccanismo di retroazione (feedback) – installando nel corpo sociale, politico, istituzionale, territoriale e geografico europeo una vera e propria dinamica di propagazione delle fratture.

La teoria dice: una dinamica altamente non lineare, quando piccole cause possono provocare grandi effetti. O anche quando una frattura minuscola, prima quasi invisibile, diventa in un tempo molto breve: una voragine. Possiamo vederla così: se si considera un mucchio di sabbia a forma conica, e si aggiungono sulla vetta granelli di sabbia uno a uno, per un certo periodo il monticello semplicemente cresce. Ma c’è un limite di soglia critico oltre il quale anche l’aggiunta di un solo granello causa una frana che sconvolge l’assetto dell’intero mucchio di sabbia: cioè il cumulo di sabbia conico non esiste più.

Tutti noi cittadini europei, tutti gli stati che compongono la UE, tutte le istituzioni sovranazionali, siamo di fronte a una biforcazione, un bivio se preferite. Una biforcazione da affrontare, scegliendo la strada da prendere, non in una quieta situazione di equilibrio ma mentre la dinamica di frattura si sviluppa con possibili soluzioni caotiche più o meno turbolente e generalizzate, oppure può risolversi in una catastrofe globale della UE o ancora in catastrofi locali variamente diffuse. In altri termini, più retorici: la biforcazione va affrontata e la scelta va fatta, coscienti che la situazione può evolvere verso sbocchi ancor più drammatici di quelli che ogni giorno vediamo e ascoltiamo. Nel punto di biforcazione della traiettoria europea da una parte si dispiega il percorso volto alla costruzione di una cittadinanza europea aperta, multietnica e multiculturale scolpita dalla libera mobilità degli umani, con un ampio diritto d’asilo e una forte ethica dell’accoglienza.

Dall’altra corrono l’abolizione di Schengen, sia pure sotto le mentite spoglie dell’emergenza, la rinascita delle frontiere fortificate a selezionare gli stranieri, in specie extraeuropei: per ora, con un’ideologia nazionalista e xenofoba di sottofondo che cresce, sconfinando nel vero e proprio razzismo con pratiche fasciste addirittura di stato. Scrive Lucio Caracciolo. Sulla questione migratoria sta riaffiorando un antico spartiacque geoculturale che la retorica europeista aveva sepolto. Al Centro – Est del continente, tra Balcani e Baltico, persiste una radicata concezione etnica dello Stato: l’Ungheria è degli ungheresi (..), la Slovacchia degli slovacchi, la Romania dei rumeni (..) eccetera. All’Ovest resiste a stento l’idea di cittadinanza, che fonda la nazione su valori e regole condivise al di là del sangue. Modello inaugurato dalla Francia rivoluzionaria, che oggi trova nella Germania multietnica l’esempio migliore. Geograficamente siamo tutti europei. Culturalmente e politicamente apparteniamo a continenti diversi. (..) questa Unione Europea può scadere nel suo perfetto opposto: un caotico subbuglio di nazionalismi etnici. Arcipelago di reciproci apartheid. Ciascuno arroccato dietro le sue fortificazioni.

Nella deriva dei continenti descritta da Caracciolo è implicita la possibilità di guerra civile europea, e il pensiero corre alle recenti ferocissime guerre balcaniche.

Racconta Luca Canali nel bel libro Roma Infinita, che “il diritto di cittadinanza” fu una delle decisive materie del contendere nella crudelissima guerra civile durata quasi cent’anni (dal 129 – morte di  Scipione Emiliano – al  31 a. C. – vittoria di Ottaviano contro Antonio; date simboliche) tra il partito democratico popolare e quello aristocratico. Chi aveva diritto di essere romano, e quindi di partecipare alla vita pubblica e all’elezione delle magistrature – dai tribuni della plebe fino ai consoli? I Romani e i loro figli; al massimo i latini, i meno reazionari arrivando fino agli italici; così volevano gli aristocratici sulla base dello ius sanguinis. Oppure chi pagava le tasse, lavorava, faceva il servizio militare, viveva nei territori sotto il dominio di Roma affermavano i democratici. Era questione nodale perchè definiva lo Stato, nella sua forma e dinamica politica, economica, e nella sua composizione sociale, quindi i rapporti di forza tra le classi – in particolare un apporto fondamentale al partito democratico fu dato dal cosidetto “proletariato militare”. Dopo una lunga serie di allargamenti progressivi  dei popoli che potevano appartenere alla civitas romana, man mano: i galli, i greci, gli iberici, i libici …ognuno praticando la sua religione con usi e costumi al seguito, arrivò infine nel 212 d.C.  l’editto di Caracalla che estendeva il diritto di cittadinanza a tutte le popolazioni libere (gli schiavi non contavano) dell’impero, Roma diventando caput mundi, metropoli multietnica e multiculturale per eccellenza, mentre le guerre interetniche diminuiscono e la pace si estende.

 

L’Europa è stata fin qui due cose.

L’instaurazione di un libero mercato e di una moneta unica, un’area euro dove domina la troika cosidetta (commissione esecutiva europea CEE, FMI, BCE) che fa il bello e cattivo tempo – la Grecia docet – imponendo il suo comando ovunque, con contorno di debito pubblico e austerità. La libera circolazione degli esseri umani (trattato di Schengen), ovvero il dissolvimento delle frontiere, per la prima volta nella storia dentro un processo pacifico (fin qui i confini venivano tracciati e/o cancellati tramite la guerra). Con l’allegato di programmi come L’Erasmus per gli studenti, e la mobilità interna soprattutto dei giovani, che nascendo a Forlimpopoli, possono in concreto andare a Londra, in cerca di fortuna. Una libera mobilità europea è un elemento fondamentale costituente una cittadinanza europea. Ma la cittadinanza europea è ancora al di là da venire Se la libera circolazione degli umani viene interdetta – se questo pilastro crolla o viene abbattuto – quasi non c’è più Europa. Giova saperlo perché l’ipotesi è tutt’altro che peregrina.

Se non c’è più Europa si apre il vaso di Pandora dei nazionalismi xenofobi e i venti di guerra spireranno ben più prossimi e robusti di quanto già non siano Inoltre paiono talmente inutili i cosidetti organi comunitari dell’UE di fronte a quel che sta accadendo, da essere disperanti. Fascisticamente l’ungherese Orban parla delle radici cristiane d’Europa che verrebbero recise dall’ ”invasione” dei migranti, parole già ascoltate nel secolo scorso per gli ebrei, poi venne la soluzione finale, la Shoah.

In questo quadro mi aspettavo in prima fila a scandire il diritto d’asilo la Francia,  che peregrina e un po’ vile dimentica le sue tradizioni e, pur senza gli eccessi magiari, però è tentata dalla sospensione di Schengen e da altre misure di chiusura nell’ Esagono piccolo piccolo, nonchè da un rigurgito nazional nazionalista – quelli del PS lo chiamano “spirito patriottico” – e colonial guerriero. Per non dire dei migranti accampati a Calais che si protendono verso l’Inghilterra, bloccando a  volte la più inutile delle grandi opere, il tunnel sotto la Manica. Per fortuna in questa situazione emerge Merkel, la cancelliera tedesca che apre le porte dell’accoglienza, importantissima presa di posizione che scompone il quadro, aprendo spazi  di libertà dove s’incuneano i migranti in marcia. Poi ci sono state rettifiche, precisazioni eccetera ma ormai l’affermazione di principio era stata fatta, legittimando la marcia dei migranti che traversa le frontiere.

I migranti in marcia sommuovono non solo se stessi, ma per un verso i governi e le istituzioni europee, per l’altro i popoli e/o se si vuole le opinioni pubbliche.

C’è chi vuole cacciarli, respingerli, rinchiuderli, chi li considera invasori in un impasto di paura che fa presto a trasformarsi in protervia xenofoba, e razzismo subliminale, fino a quello aperto e fascistoide, se non nazista. C’è chi porta la sua solidarietà e aiuto umanitario in mille diversi modi, dagli abiti all’ospitalità, dall’aiuto legale a quello sanitario. C’è il Papa che apre le chiese e i monasteri, con una parte dei suoi vescovi riottosa assai, una parte che vorrebbe selezionarli, dividerli in buoni e cattivi questi migranti. C’è anche chi pensa che i migranti siano linfa vitale per L’Europa, e per il suo futuro, che questa marcia scolpisca una nuova Europa, così come le migrazioni delle cellule scolpiscono il nostro corpo a cominciare dall’embrione. E le migrazioni dei viventi sono uno dei meccanismi fondamentali con cui una specie  animale o vegetale, cerca di contrastare il rischio di estinzione.

Tutto ebbe inizio a Ventimiglia, quando un gruppo di giovani migranti, a fronte del blocco della frontiera da parte francese, decise di occupare gli scogli costituendo un presidio di resistenza e di affermazione di un diritto, il presidio No Border, che ancor oggi dura, nonostante i fogli di via e altre angherie.

Oggi i migranti in marcia sono sostenuti da una durissima determinazione, da una capacità organizzativa egregia, da una coscienza del loro buon diritto. Scrivono cartelli, danno interviste, raccontano le loro storie, fanno lo sciopero della fame, occupano le autostrade, formano cordoni, sfondano sbarramenti polizieschi, se ci vuole tirano sassi. Piangono e seppelliscono i loro morti, qualcuno tornando là dove era partito, a Kobane per esempio, la città kurda simbolo della resistenza contro daesh, o isis che dir si voglia – lo stato totalitario impiantato dall’esercito dei tagliagole – tanti continuano la marcia, per terra, per mare, per ferrovia, a piedi, in autobus per raggiungere l’Europa e viverci in pace, ottenere il diritto di viverci in pace.

Ogni cittadino europeo dovrebbe essere fiero che l’Europa rappresenti la speranza di una nuova vita, libera e in pace per le genti devastate dalla guerra, da dittature feroci, da miserie spaventose. Altro che alzare muri, ponti bisognerebbe, bisognerà, edificare. Tutti abbiamo visto la foto di quella bimbetta che gattona davanti ai poliziotti in schiera con caschi, scudi, manganelli; quella bimbetta è l’Europa possibile, l’Europa che speriamo crescerà. Altra Europa unita in libertà e democrazia possibile non c’è.

Category: Migrazioni, Osservatorio Europa

About Bruno Giorgini: Bruno Giorgini è attualmente ricercatore senior associato all'INFN (Iatitutp Nazionale di Fisica Nucleare) e direttore resposnsabile di Radio Popolare di Milano in precedenza ha studiato i buchi neri,le onde gravitazionali e il cosmo, scendendo poi dal cielo sulla terra con la teoria delle fratture, i sistemi complessi e la fisica della città. Da giovane ha praticato molti stravizi rivoluzionari, ha scritto per Lotta Continua quotidiano e parlato dai microfoni di Radio Alice e Radio Città. I due arcobaleni - viaggio di un fisico teorico nella costellazione del cancro - Aracne è il suo ultimo libro.

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