Aldo Garzia: La Cuba che aspetta Obama

| 24 Febbraio 2016 | Comments (0)

 

 

 

Diffondiamo da Ytali.com del 24 febbraio 2016 l’intervista fatta ad Aldo Garzia da Claudio Madricardo

Il lungo e delicato equilibrio degli intellettuali tra adesione ai valori della rivoluzione e critica della situazione economica, politica e sociale del paese. Il successo rotundo tributato a “Fresa y chocolate” del mai dimenticato Tomás Gutiérrez Alea, e la successiva ammissione autocritica di Fidel sulle discriminazioni antiomosessuali. La Cuba anni sessanta di “Cordura Mister Kissinger*” e quella di “Hasta siempre Comandante”, il son cubano che ha dato fama imperitura a Carlos Puebla e riempie con le sue note le stradine dell’Avana Vieja a beneficio dei turisti. La passione per il baseball e le affinità culturali che legano yanquis e cubani, e che forse rendevano innaturale una separazione durata decenni, ora archiviata dalla visita il 21 marzo di Barack Obama all’Avana. Il primo a visitare il paese come presidente dai tempi di Calvin Coolidge nel 1928, che vi giunse a bordo della corazzata Uss Texas. Questi alcuni dei temi toccati nel corso di una conversazione con Aldo Garzia, giornalista e profondo conoscitore della realtà dell’Isola dove ha vissuto tre anni come collaboratore dell’agenzia spagnola EFE, scrivendo per il manifesto e Rinascita.

D. Partiamo da una suggestione cinematografica ricorrendo a tre film che generalmente il pubblico europeo conosce. Tra “Fresa y chocolate” di Gutiérrez Alea, “Lista de espera” di Juan Carlos Tabío, e “Guantanamera” firmato da entrambi, quale secondo te rappresenta meglio le “questioni profonde” del popolo cubano?

“Fresa y chocolate” è stato un successo enorme, presentato al Festival del Cinema dell’Avana nel 1994. Il film affrontava il tema dell’omosessualità a Cuba, ed è stato una vera e propria bomba. Ebbe un successo incredibile nell’isola, tanto che furono organizzati incontri ufficiali tra regista, attori e le autorità. Lo stesso Fidel pronunciò un discorso autocritico contro le politiche repressive del governo cubano. Ebbe il merito di rompere un tabù ed ha quindi un grande valore. Quanto a “Guantanamera” è un impatto con il tema della burocrazia e con i problemi che da essa derivano a livello sociale. Sono film girati durante il “período especial”,il lungo periodo che seguì alla fine dell’Unione Sovietica nel 1991, e al rafforzamento dell’embargo nordamericano del 1992. Quando sembrava che Cuba stesse per arrendersi.

 

D. “Lista de espera” non ti sembra invece rappresentare lo svanire del sogno collettivo cubano? Quando la collaborazione armoniosa nell’aggiustare la stazione di servizio dei pullman da parte dei passeggeri bloccati per il guasto alla “guagua” si rivela essere solo chimera. E anziché continuare a vivere nella “nuova casa comune”, ciascuno riprende la sua strada, seguendo i propri interessi e soggettività.

Sì, è così. Credo che tu abbia ragione. Ma anche questo film, come gli altri due, dimostra la grande libertà di cui gode la cultura. Sono tutti dei film critici e autocritici. Come critica e autocritica spesso le trovi nella pittura.

 

D. Forse un po’ meno in letteratura. Non sempre il rapporto tra regime e scrittori è stato idilliaco. C’è stato per esempio il caso di Heberto Padilla.
Il caso di Heberto Padilla è un episodio degli anni ’60 epoca durante la quale Cuba ha subito un’aggressione. E, tutto sommato, gli atti repressivi cui il regime è ricorso sono circoscritti nel tempo. In genere quello che il governo non ha tollerato sono state le frazioni filoamericane. Non dimentichiamo che la rivoluzione è stata in primo luogo una rivoluzione nazionale. Alcuni scrittori, come per esempio José Lezama Lima, guardavano alla grande cultura europea. La rivoluzione del ’59 rompe gli schemi culturali, e Lezama si trova a disagio. Alejo Carpentier, per quanto fosse nato e morto fuori Cuba, ha invece avuto un ruolo più importante nella rivoluzione. Quel che si può dire ed è molto importante, è che a Cuba non abbiamo un caso Solženicyn. Chi non era d’accordo, in genere se ne andava.

 

D. Già. Erano comunque anni di duro confronto. Come dure erano le parole di Carlos Puebla che attaccava gli USA con “Cordura Mister Kissinger” o scagliandosi contro l’OEA (Organización de los Estados Americanos) colpevole di aver espulso il suo paese nel 1962.

Quelle di Carlos Puebla sono canzoni magnifiche. Nel ritmo e nella parola. Sono cronaca di quegli anni. Fino al suo capolavoro, rappresentato dalla canzone dedicata al Che. Vedi, Cuba non rinnega nulla del suo passato e della sua storia. Cuba tiene il punto. Sono gli Usa ad aver cambiato. Continua il “bloqueo” che è ignobile e deve essere tolto. Perché non ha alcun senso. In questo momento l’isola vive una sorta di “cubano mania”. Gli hotel sono pieni, c’è un’invasione di turisti americani, il denaro circola, i “paladares”, ovvero i ristoranti privati, sono strapieni. Questo mondo è totalmente legalizzato. Rinasce il “vaporetto Miami” che collega l’Avana con la Florida. Ci può essere contraddizione tra chi in Cuba ha accesso al CUC, il peso cubano convertibile, e chi non ne ha. Ma quella a cui assistiamo è una fase di economia mista, con seicentomila lavoratori “por cuenta propia”, che ruota attorno al turismo e che consente di mantenere l’istruzione e la sanità pubbliche al livello cui sono arrivate. Cuba non ha alternativa, e il suo modello già si avvicina a quelli del Vietnam e della Cina.

 

D. Il primo presidente che arriva a Cuba  è africano americano: che situazione trova nell’isola nei confronti dei suoi “fratelli” di colore?
È a fine ‘800 che si supera la schiavitù, ma fino al 1959, per farti un esempio, il quartiere habanero del Vedado era appunto vietato ai neri. La rivoluzione non può essere accusata di non aver fatto nulla sul tema razziale. I neri sono circa il trenta per cento della popolazione, ma le classi privilegiate dalla rivoluzione sono state appunto i neri e i contadini. Se si deve parlare di razzismo, si potrebbe ammettere l’esistenza di una forma di razzismo reciproco. Per esempio, la santería è preclusa ai bianchi, e i bianchi giudicano i neri degli ubriaconi. Nella struttura del potere i neri sono ancora pochi, mentre sono molto presenti nella musica, nella pittura e nelle arti in genere.

 

D. Contano le affinità culturali e perfino sportive, penso al baseball, con l’ex nemico vicino.
Sì, entrambi sono aspetti che avvicinano Cuba agli Usa. Ma non dimentichiamo che fin dal 1898, data dell’indipendenza cubana dalla Spagna, i rapporti con gli Usa sono stati sempre tesi, perché gli yanquis mai hanno rinunciato a far di Cuba una nuova Portorico. Poi ci sarebbe da ricordare l’Emendamento Platt che prevede che gli Usa possano intervenire anche manu militari.

 

D. E la base militare di Guantanamo, ancora in mani americane.
E la base americana di Guantanamo, appunto, dove i cubani non mollano. Sono proprio curioso di sentire che dirà Obama nel corso della sua prossima visita. Stante il fatto che Guantanamo è un lager e che per gli Usa costituisce un vero e proprio problema d’immagine. E tenuto anche conto che il trattato è stato violato dagli Usa che non hanno restituito la base al governo cubano alla sua scadenza.

 

D. Ma sarà anche interessante vedere cosa daranno i cubani a Obama. Non ti pare?

Certamente. Barack Obama incontrerà alcuni gruppi di oppositori. Ed è pure del tutto evidente che Cuba si deve aprire. Deve diventare plurale. In queste settimane con l’annunciata visita di Obama, Yoani Sánchez, la blogger cubana, è fuori registro. Ha parlato male di Cuba in tutto il mondo e quando è tornata in patria non le è successo nulla. Quanto a Guillermo Fariñas nel 2010 ha ricevuto il Premio Sakarov e ha potuto ritirarlo. Il comportamento del governo cubano nei confronti degli oppositori è cambiato. Non è più quello di vent’anni addietro. I rapporti con il vicino nordamericano dovranno essere improntati al buon vicinato e al dialogo, pur nella conservazione delle proprie specificità. Sono in molti ad affermare che la strategia americana è solo più raffinata, ora. Ma bisogna capire che non ci sono alternative. O Cuba diventava un bunker, o si apriva al dialogo. Saranno le nuove generazioni che decideranno cosa fare. La grandezza del gruppo storico della rivoluzione consegna una prospettiva aperta, con più vie d’uscita possibili.

 

 

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Category: Osservatorio America Latina

About Aldo Garzia: Aldo Garzia (1954), giornalista e scrittore, ha lavorato tra l’altro nelle redazioni di Pace e guerra e il manifesto. Ha diretto i mensili Aprile e Palomar. Dopo aver vissuto lunghi periodi a L’Avana, ha pubblicato numerosi volumi su Cuba, fino a C come Cuba (Elleu Multimedia, 2001) e Cuba, dove vai? (Edizioni Alegre, 2005). I suoi ultimi libri sono: Zapatero. Il socialismo dei cittadini (Feltrinelli, 2006) e Olof Palme. Vita e assassinio di un socialista europeo (Editori Riuniti, 2007).

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