Piergiorgio Rauzi: Un ricercatore di sinistra appassionato di cinema e narrazioni

| 17 Aprile 2016 | Comments (0)

 

E’ morto nella notte tra venerdì e salato a 79 anni l’amico Piergiorgio Rauzi che ho conosciuto nel biennio 1968/69-1969/70 quando ero direttore del Laboratorio delle ricerche all’Università di Trento dove insegnavo metodologia della ricerca sociale. Aveva allora,  ed ha continuato ad avere, la passione per il cinema e le narrazioni oltre ovviamente a continuare a fare inchieste di sinistra. Tra i suoi libri si trovano così inchieste sociologiche di sinistra “classiche” (sulla bioetica, sulla diagnosi prenatale, sulla disabilità, sulla morte medicalizzata), moltissime pubblicazioni sul cinema (La morte allo specchio. La morte secolarizzata nel cinema contemporaneo, i tanti articoli su Cineforum), molti racconti e storie (Anno dominiFiabe e racconti per le feste di Natale a Il secolo lungo di una nonna centenaria). I ricordi che ho di lui sono il suo sorriso, la sua capacità di trattare i diversi argomenti sempre con intelligenza e pacata ironia. Il suo tragitto personale da parroco di Mattarello a marito di Teresa e padre di quattro figli si è intrecciato con il suo percorso intellettuale di sinistra. Quando dopo molti anni mi arrivò nel 2013 la notizia del suo libro Il secolo lungo di una nonna centenaria decisi che era giunto il momento di rivederlo e di conoscere la sua bella famiglia. Ho pensato: lo  incontrerò di persona questa primavera e sarà come non fossero passati tutti questi anni.

Per ricordarlo pubblico la notizia della sua morte data da La Voce del trentino e la recensione al suo libro Il secolo lungo di una nonna centenaria

 

 

1. Il mondo Universitario piange Piergiorgio Rauzi

La Voce del trentino del 17 aprile 2016

 

 

Si è spento nella notte fra venerdì e sabato all’età di 79 anni Pier Giorgio Rauzi, ex seminarista e “sessantottino“, sacerdote, sociologo e giornalista nato a Malè.

Era ricoverato a San Camillo da circa 10 giorni e le sue condizioni si sono via via aggravate fino alla morte. Rauzi era stato anche consigliere comunale del Pci, poi trasformato in DS, nella giunta Dellai del 1990 che segnò poi la storia della politica trentina degli ultimi 20 anni. Aveva preso i voti ed era diventato prima cappellano, poi parroco di Mattarello, strada che però aveva  abbandonato nel 1972 con non poche polemiche.

Impegnato nella Gioventù studentesca, partecipò alla stagione sessantottina in maniera attiva dentro la facoltà di sociologia di Trento ed è stato punto di riferimento poi per moltissimi giovani. Ma nella Trento della ricostruzione è stato anche attivo dentro il sociale trentino, si ricordano infatti la contestazioni ecclesiali, la nascita del Manifesto a Trento, le iniziative culturali presso il Cineforum Trento e con la rivista l’Invito.

Rauzi, sposato con Teresa e padre di quattro figli, divenne poi docente universitario in quella stessa facoltà, ricca di fermenti, che gli aveva cambiato la vita. Rauzi da sempre aveva due grandi passioni, il cinema a la scrittura.

«Il secolo breve dentro il secolo lungo di una nonna centenaria» è stato il suo libro di maggior successo, dove l’autore rivolgendosi a sua figlia,  racconta con passione la storia della madre, morta a 100 anni nel 2010. Una avventura personale e famigliare che si innesta però, pienamente, dentro vicende storiche ed ecclesiali particolarmente complesse come quelle del ‘900, il cosiddetto “secolo breve”.

«A nome dell’assemblea legislativa e mio personale esprimo profonda tristezza e sentita partecipazione al dolore della famiglia e dell’intera comunità trentina, per la morte di Piergiorgio Rauzi, al quale ero legato da grande stima ed affetto. Uomo che seppe interpretare la nostra epoca con intelligenza, con equilibrio e pacatezza, senza tuttavia sottrarsi alle sfide dell’innovazione e del cambiamento, vicino ai temi del lavoro e sensibile a tutte le forme di povertà, rispettoso delle differenze e delle libertà individuali, Rauzi fu un uomo di grandi valori che seppe testimoniare con coraggio e determinazione anche nelle scelte personali. Confronto, dialogo e partecipazione hanno sempre caratterizzato il suo agire, nella consapevolezza che solo insieme è possibile superare le sfide che ci attendono: una lezione attuale e una testimonianza preziosa per chi governa le scelte del futuro» – così il Presidente del consiglio della provincia autonoma di Trento Bruno Dorigatti sulla morte del sociologo Rauzi.

 

 

 

2.  Sandra Mattei : Rauzi, il racconto del Novecento nel nome della madre.

Trentino, 21 dicembre 2013

 

Non tutti hanno la fortuna di poter disporre di un libro che racconti la storia della propria famiglia e della propria nonna, in particolare, ripercorrendo così la storia di un secolo. E’ l’operazione che ha realizzato Pier Giorgio Rauzi, sociologo all’università di Trento fino a pochi anni fa, che ha voluto raccontare a sua figlia più piccola, Anna, la storia di sua mamma Gemma (e di conseguenza nonna di Anna). Lo spunto è quello di inserire la vita individuale di Gemma, nata Marinelli ad Arnago, in Val di Sole, e di contrapporre il “secolo breve” di Hobsbawn a quello lungo di Gemma Rauzi, che attraversò tutto il 900, essendo nata nel 1910, per morire poco prima di compiere 100 anni, nel maggio del 2010.

Il libro consegnato da pochi giorni alle stampe, s’intitola infatti “Il secolo lungo di una nonna centenaria 1910 – 2010” e nella volontà dell’autore vuole “fare memoria”, prima di tutto perché la vita della madre, per quanto si sia svolta in un microcosmo che ha spaziato dalla Val di Sole a Bolzano, ha come tutte le storie individuali un insegnamento da dare e può fornire delle tracce utili a chi è venuto dopo di lei, per sapere dove affondano le proprie radici e poter così capire più chiaramente dove dirigersi. In secondo luogo, il microcosmo di Gemma deve comunque fare i conti e rapportarsi al macrocosmo della Storia con la “s” maiuscola che si svolge e sovrasta le vite individuali. Il secolo raccontato da Rauzi è quello che prende il via dalla prima guerra mondiale e dalla miseria delle condizioni di vita delle popolazioni dei primi del Novecento, costrette a migrare, per cercare un futuro migliore di quello angusto che offriva una valle di montagna, con un’economia di sostentamento basata sul possesso di poche bestie e sul lavoro della campagna. Anche il padre di Gemma è un emigrante, che lei non conoscerà perché muore dopo una seconda partenza per gli Stati Uniti, quando lei aveva due anni.

Emblematico, a questo proposito, un episodio raccontato nelle prime pagine del libro, quando Gemma ha solo 8 anni (è perciò in corso ancora la Grande Guerra) ed ha appena ricevuto la prima comunione.

Una cerimonia alla quale partecipa da sola, perché allora il sacramento si dava in un giorno feriale e il resto della famiglia era nei campi a lavorare. Mentre stava salendo le scale di casa, Gemma incrocia un soldato austriaco che si è reso conto della situazione e, mosso a compassione, le regala una confezione di marmellata in dotazione all’esercito austriaco. Per lei, dirà in seguito ogni volta che racconterà l’episodio, si è trattato del “dolz” migliore che abbia ami assaggiato sia prima, che dopo in vita sua.

Una storia di sofferenze e di più rare gioie, quelle che racconta Rauzi, ma che ha una sua dignità in quanto è comunque insegnamento di cosa c’è stato e come si è vissuto prima di noi, ma anche perché Gemma Rauzi è stata tutt’altro che una protagonista passiva della storia lungo un secolo (per quanto la cultura e le condizioni di genere glielo abbiano potuto permettere).

Fortunata, dicevamo, la figlia Anna, a trovarsi così raccontata in più di 200 pagine, una storia delle sue radici, ma anche, per quanto sintetica, la Storia del Novecento. Scrive Rauzi «vorrei collocarmi, per questa impresa, dal punto di vista di quella che potremmo chiamare una “memoria sofferta”, prima che quest’ultima diventi semplicemente storia, perdendo così il senso profondo della sofferenza. O, meglio ancora, prima che questa “memoria” venga voracemente fagocitata dall’oblio fino a scomparire – com’è destino di ogni storia di vita delle persone umili, delle loro sofferenze, tante, e delle loro gioie, non altrettante. E cercherò di farlo senza mai perdere di vista che “ricordare non è un atto nostalgico, ma creativo ed efficace”». Ma a ben vedere, il libro di Rauzi è anche un’autobiografia (altro non potrebbe essere), dove l’autore dialoga con la figlia quindicenne all’epoca della morte della nonna, parlando di lei ma anche di se stesso. Ed in particolare si sofferma su molte riflessioni sulle ingerenze della gerarchia ecclesiastica, investita del diritto di stabilire il bene e il male anche (o meglio, soprattutto) nei rapporti privati e tra i coniugi. Commentando quanto queste ingerenze abbiamo creato difficoltà, sofferenze, da parte di chi si trovava dibattuto tra il controllo delle nascite e l’impossibilità ad adottare metodi contraccettivi, se non la castità. Sono anche queste chiusure, come la battaglia per abolire la legge sul divorzio e quella sull’aborto, i motivi per cui la Chiesa ha perso molta della sua influenza, fa capire Rauzi. Mettendo in evidenza come, anche una persona che non ha avuto i mezzi e l’occasione di studiare, come Gemma, è pur stata una persona che ha saputo emanciparsi dalle ingerenze della morale cattolica, vivendo appieno lo spirito cristiano di essere al servizio degli altri (i trent’anni di sacrestana nella parrocchia di via della Visitazione a Bolzano a fianco di don Beppino) e di mantenere sempre una vita sobria e dignitosa.


Category: Editoriali

About Vittorio Capecchi: Vittorio Capecchi (1938) è professore emerito dell’Università di Bologna. Laureatosi in Economia nel 1961 all’Università Bocconi di Milano con una tesi sperimentale dedicata a “I processi stocastici markoviani per studiare la mobilità sociale”, fu segnalato e ammesso al seminario coordinato da Lazarsfeld (sociologo ebreo viennese, direttore del Bureau of Applied Social Research all'interno del Dipartimento di Sociologia della Columbia University di New York) tenuto a Gosing dal 3 al 27 luglio 1962. Nel 1975 è diventato professore ordinario di Sociologia nella Facoltà di Scienze della Formazione dell'Università di Bologna. Negli ultimi anni ha diretto il Master “Tecnologie per la qualità della vita” dell’Università di Bologna, facendo ricerche comparate in Cina e Vietnam. Gli anni '60 a New York hanno significato per Capecchi non solo i rapporti con Lazarsfeld e la sociologia matematica, ma anche i rapporti con la radical sociology e la Montly Review, che si concretizzarono, nel 1970, in una presa di posizione radicale sulla metodologia sociologica [si veda a questo proposito Il ruolo del sociologo (a cura di P. Rossi), Il Mulino, 1972], e con la decisione di diventare direttore responsabile dell'Ufficio studi della Federazione Lavoratori Metalmeccanici (FLM), carica che manterrà fino allo scioglimento della FLM. La sua lunga e poliedrica storia intellettuale è comunque segnata da due costanti e fondamentali interessi, quello per le discipline economiche e sociali e quello per la matematica, passioni queste che si sono tradotte nella fondazione e direzione di due riviste tuttora attive: «Quality and Quantity» (rivista di modelli matematici fondata nel 1966) e «Inchiesta» (fondata nel 1971, alla quale si è aggiunta più di recente la sua versione online). Tra i suoi ultimi libri: La responsabilità sociale dell'impresa (Carocci, 2005), Valori e competizione (curato insieme a D. Bellotti, Il Mulino, 2007), Applications of Mathematics in Models, Artificial Neural Networks and Arts (con M. Buscema, P.Contucci, B. D'Amore, Springer, 2010).

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