Gustavo Zagrebelsky: Stefano Rodotà credeva in una società fondata sui beni comuni

| 26 Giugno 2017 | Comments (0)

 

 

 

Diffondiamo da www.repubblica.it del 24 giugno 2017 questa intervista fatta da Liana Milella. Nella fotto Zagrebelsky e Rodotà

 

“Per me è un grande dolore. Per il nostro Paese è un grande vuoto”. Il professor Gustavo Zagrebelsky parla di Stefano Rodotà, il giurista stimato e il compagno di tante battaglie a difesa della Costituzione. Nella sua voce c’è commozione e rammarico per un amico di meno.

D. Cos’era Rodotà per lei, prima ancora che come giurista?
“Sto cercando le parole… Un uomo di grande rigore e grande cultura. Di molta moderazione e di molta costanza nel perseguire i suoi ideali. A ciò aggiungerei uno stile asciutto, e, non sembri una contraddizione, molto dolce”.

D. A me suona ancora nelle orecchie la sua voce roca, sempre pacata anche quando il dibattito pubblico non risparmiava eccessi.
“Molti lettori di questo giornale ricorderanno le sue apparizioni in pubblico, anche in televisione, con questo modo di fare sempre chiaro, legato ai temi, slegato dalle persone con le quali poteva polemizzare”.

D. Ma lui invece è stato oggetto di pesanti aggressioni…
“Sì, ne voglio ricordare in particolare una. Quando fu proposto come possibile presidente della Repubblica fu oggetto di un’ignobile campagna di denigrazione”.

D. Qual è stato il suo contributo alla scienza del diritto?
“Io ho conosciuto Stefano Rodotà alla fine degli anni Sessanta (aveva esattamente dieci anni più di me), in riunioni di giovani e meno giovani giuristi, il cui frutto fu la creazione di una rivista che esiste tuttora, con Rodotà presidente del comitato scientifico, il cui titolo è Politica del diritto. Nel gruppo c’erano colleghi che hanno preso le vie più diverse come Cassese e Amato. La ragione fondativa della rivista era una visione del diritto come strumento di trasformazione sociale. Politico in quel senso, non nel senso della politica dei partiti. Nel senso di una visione politico-civile del diritto. In particolare per lui, per la sua strada successiva, il diritto a protezione ed emancipazione dei più deboli”.

D. Un filone che lo ha accompagnato a lungo…
“Sì, fino all’ultimo, fino al fondamentale volume del 2015 dal titolo Il diritto di avere diritti. Rodotà iniziò come un qualunque giurista prodotto dall’accademia italiana, occupandosi di temi classici del diritto civile e della loro, come si dice, dogmatica. I suoi primi studi sono stati dedicati alla responsabilità civile e al contratto: più classici di così! Il terzo era sulla proprietà, il titolo – Il terribile diritto – dice già molto. Sul diritto di proprietà si costruì la società borghese dell’800 con le sue tensioni, le ingiustizie, le divisioni in classi. La proprietà veniva estrapolata dai concetti giuridici per essere immersa nella grande storia dei rapporti sociali. Il punto finale degli studi storico- prospettici di Rodotà è stato il suo interesse per i beni comuni, sottratti alla partigianeria dei proprietari e attribuiti alla gestione degli utenti”.

D. Ma sul tema dei diritti Rodotà è andato molto più in là fino a guardarli anche nella società futura.
“Per l’appunto. Rodotà è stato un pioniere. Negli ultimi decenni si è occupato a fondo di temi come gli aspetti giuridici della bioetica, l’impatto delle nuove tecnologie sull’esistenza delle generazioni presenti e future, lo sviluppo della tecnica e i rischi di disumanizzazione della vita. E infine della disciplina giuridica e dei diritti della circolazione dei dati in rete”.

D. Rodotà garante della privacy, paladino di un uso responsabile delle intercettazioni, senza violare il diritto di cronaca. Giudica la sua una posizione equilibrata?
“Era quella di chi si rende conto che esistono, e oggi esistono sempre più numerosi, problemi difficili, e difficili in quanto presentano diversi lati. È evidente che esiste un lato dell’essenziale libertà dell’informazione e uno della difesa della dignità delle persone. Anzi, a questo proposito, mi viene in mente che negli ultimi anni, l’interesse di Rodotà si era allargato dai temi strettamente giuridici, a quelli più ampi di natura culturale e morale”.

D. A cosa allude?
“Ai suoi studi, piuttosto sorprendenti in un giurista che all’inizio professava un rigoroso positivismo – il diritto è nella legge, e fuori della legge non c’è diritto – a prospettive di natura cultural-morale. Mi riferisco ai suoi lavori sulla persona umana, sulla dignità, sulla solidarietà, in cui va oltre la prospettiva legata al diritto positivo”.

D. L’impegno politico ha mai viziato la sua autonomia di giurista?
“Questa domanda evoca in me un’altra grande figura di giurista, che senza tradire mai la sua radice intellettuale, si è dedicato alla politica, Leopoldo Elia. Rodotà, laico rigoroso; Elia, cattolico rigoroso. Nessuno dei due disposto a compromettere la propria libertà intellettuale ed entrambi legati da un rapporto di stima e di collaborazione feconda”.

D. Contro Berlusconi prima e contro Renzi poi, Rodotà ha difeso con la dottrina e in piazza la Costituzione. Battaglie forti le sue. Era in sintonia con lei, no?
“Sì, ma Rodotà ha attivamente partecipato a scritture e riscritture di testi costituzionali. Penso al suo impegno nell’elaborazione della Carta europea dei diritti e alla sua partecipazione ad alcune commissioni Bicamerali per l’ammodernamento della Costituzione”.

D. Quindi non era un fanatico della Carta immutabile?
“No, non lo era. Infatti era favorevole al superamento del bicameralismo. Questa sua posizione è stata strumentalizzata nel dibattito recente. Quello che voleva Rodotà era il potenziamento della democrazia parlamentare. Si parlava, in quegli anni, di centralità del Parlamento. Ovvio che in una riforma che si potrebbe definire della centralità del capo del governo, Rodotà fosse contrario al depotenziamento del Parlamento che ne sarebbe derivato”.

D. D’ora in avanti ci sarà un vuoto. Pensando a un “compagno di strada” nelle sue battaglie cosa le mancherà di Rodotà?
“Mi mancherà un collega mite, un maestro di quelli d’altri tempi, il cui sguardo era proiettato nell’avvenire. Ce ne fossero di giovani anagraficamente, ma giovani intellettualmente come Stefano Rodotà”.

 

 

Category: Editoriali, Politica

About Gustavo Zagrebelsky: Gustavo Zagrebelsky (San Germano Chisone, 1943) è Professore di Diritto Costituzionale presso l’Università di Torino. Nominato Giudice Costituzionale dal Presidente della Repubblica Italiana il 9 settembre 1995, giura il 13 settembre 1995. Nel 2002 è vicepresidente della Corte Costituzionale ed il 28 gennaio 2004 ne è eletto Presidente. Cessa la carica di Presidente il 13 settembre 2004. È membro dell’Accademia delle Scienze di Torino e dell’Accademia Nazionale dei Lincei. Tra le numerose pubblicazioni ricordiamo: Manuale di Diritto Costituzionale (UTET 1987); Il Diritto mite. Legge, Diritti, Giustizia (Einaudi, 1992); Il ‘Crucefige!” e la democrazia (Einaudi, 1995); (con C. M. Martini), La domanda di giustizia (Einaudi, 2003); (con altri), Norberto Bobbio tra diritto e politica (Laterza, 2005); Imparare la democrazia (Einaudi, 2007); La virtù del dubbio: Intervista su etica e diritto (Laterza, 2007); Contro l’etica della verità (Laterza, 2008).

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