Fiorenzo Lafirenza e Maurizio Scarpari: La solitudine di chi perde la discendenza

| 6 Gennaio 2018 | Comments (0)

Diffondiamo come regalo di befana alle nostre lettrici e lettori  l’articolo di Lafirenza e Scarpari apparso il 3 dicembre 2017 su la Lettura del Corriere

 

La lingua cinese ha forse la più grande varietà al mondo di termini specifici per indicare i diversi gradi di parentela. Il proliferare di un così alto numero di parole specializzate è il riflesso della complessità della struttura della famiglia tradizionale di stampo confuciano, estesa e fortemente gerarchizzata su base patrilineare, incentrata sulla mutua assistenza tra generazioni e sull’osservanza del culto religioso degli antenati. Inoltre, la natura particolare della lingua e della scrittura cinesi consente la creazione di termini elaborati aggregando tra loro parole mono- e/o bi-trisillabiche. Così, esistono quattordici parole per designare i diversi tipi di cugini e ben ventidue per i nipoti: sei per i figli di fratelli e sorelle, sedici per quelli generati dai propri figli. Nipote figlio del figlio, ad esempio, si dice sunzi (due sillabe), mentre figlio della figlia waisun, laddove il prefisso wai “esterno” sta a specificarne la provenienza al di fuori della linea patrilineare; il bisnipote figlio della figlia del figlio si chiama zengsun, ma la bisnipote nata dalla figlia del figlio zengsunnü, con nü “donna” in funzione di suffisso; allo stesso modo, il bisnipote figlio della figlia della figlia è waizengsun, mentre la bisnipote nata dal figlio della figlia waizengsunnü.

In anni recenti, a questi termini specifici si sono aggiunte, e hanno assunto un importante significato sociale e istituzionale, alcune parole atte a designare i genitori che abbiano perso il loro figlio unico (duzi se maschio, dunü se femmina): shidujiating, letteralmente “famiglia (jiating) che ha perso (shi) l’unico figlio o l’unica figlia (du)”, dove du è invariabile al genere, incorporando tanto il maschio che la femmina; shidufumu “genitori (fumu) che hanno perduto l’unico/a figlio/a”; shidufuqin “padre (fuqin) che ha perduto l’unico/a figlio/a”; shidumuqin “madre (muqin) che ha perduto l’unico/a figlio/a”.

Il perno di queste parole è du “solo, solitario”, oggi riferito al figlio che, suo malgrado, viene privato della compagnia di fratelli e sorelle e della possibilità di sviluppare in modo naturale quella capacità di relazione ritenuta essenziale nel sistema di valori confuciano, su cui la cultura cinese si fonda. Alla luce del fatto che 2400 anni fa il termine du fu adottato da uno dei maggiori filosofi confuciani, Mencio, non in riferimento ai figli “soli”, ma ai genitori “invecchiati senza aver avuto figli” (lao er wuzi), a suo dire “i più sfortunati sotto il Cielo”, siamo qui di fronte a un rovesciamento, anche linguistico, del concetto di solitudine, talvolta sofferta, nella quale si viene a trovare la persona cui si riferisce l’essere du.

L’attuale costante aumento di shidufumu è diretta conseguenza della “legge del figlio unico” del 1979, emendata solo lo scorso anno. Si tratta in larga misura di persone che hanno passato la cinquantina, e a cui, pertanto, sarà pressoché impossibile procreare. Le famiglie che ogni anno perdono il loro unico figlio sono circa ottantatamila, e il loro numero è in aumento, il che dà la misura della gravità del fenomeno: a tutt’oggi sono oltre un milione le coppie rimaste senza prole.

A fronte di una tale situazione, le risposte date dalle politiche governative si sono rivelate del tutto inadeguate, tanto dal punto di vista assistenziale che da quello economico. Infatti, nonostrante le numerose rivendicazioni condotte, ben poco è stato riconosciuto a mo’ di risarcimento a queste famiglie rimaste prive del sostegno che un figlio avrebbe potuto rappresentare. Persino il premio Nobel per la letteratura Mo Yan è intervenuto a favore della causa di questi genitori, che vivono un duplice disagio: psicologico, per il dolore causato dalla perdita subita, dalla solitudine e insicurezza per il futuro e dalla consapevolezza che la propria linea di discendenza sarà per sempre interrotta, e materiale, trovandosi spesso a non essere in grado di affrontare da soli le difficoltà che si presentano soprattutto agli anziani, in particolare nelle aree rurali, dove il sistema pensionistico e assistenziale lascia a desiderare.

Alla categoria degli shidufumu si affianca, inoltre, quella dei cosiddetti guangun, termine in genere tradotto con la suggestiva locuzione “rami secchi”, che indica coloro che non hanno figli o perché non intenzionati ad averne o perché sterili (i casi certificati sono in forte aumento) o perché non in grado di formare una coppia a causa di una sex ratio squilibrata, che in alcune regioni arriva a 130 maschi ogni 100 femmine. Si tratta di un fenomeno particolarmente accentuato in Cina, che conta attualmente almeno venti milioni di giovani maschi in esubero, con la previsione di superare i trenta entro il prossimo decennio.

 

 

Category: Editoriali, Osservatorio Cina

About Maurizio Scarpari: Maurizio Scarpari, professore ordinario di Lingua e letteratura cinese classica presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia, dove ha insegnato dal 1977 al 2011 e ricoperto numerose cariche acca-demiche, tra le quali quelle di Pro-Rettore Vicario e Direttore del Dipartimento di Studi sull’Asia Orientale. Sinologo esperto di lingua cinese classica, storia, archeologia, pensiero filosofico e la sua influenza sul pensiero attuale è autore e curatore di numerosi articoli e volumi, tra cui si se-gnala La Cina, oltre 4000 pagine in quattro volumi (Einaudi 2009-2013), alla cui realizzazione hanno contribuito esperti di 35 istituzioni universitarie e di ricerca tra le più prestigiose al mondo. Per ulteriori informazioni e la bibliografia completa dei suoi scritti si rinvia a www.maurizioscarpari.com.

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