Luciano Gallino: Cina nuova crisi finanziaria. Dopo quella del 2008 non è stato fatto niente

| 25 Agosto 2015 | Comments (0)

 

 

Diffondiamo l’intervista di Luca Aterini pubblicata su Green Report  del 25 agosto 2015

D. In un mese la Borsa di Shanghai ha perso il 40%, nonostante i 200 miliardi immessi dal governo della Cina a sostegno delle Borse, e quelle mondiali hanno visto ridurre la capitalizzazione di circa 5mila miliardi di dollari. Vede il rischio che possa ripetersi la crisi del 2007/2008?

«Non si è fatto nulla di significativo per rimediare alle debolezze e alle magagne del sistema bancario dopo la crisi del 2007/2008, e a forza di non far nulla i problemi si ripropongono, stavolta a partire dalla Cina. Con la differenza che oggi in Cina le bolle sono oggi addirittura tre, non una: quella immobiliare, quella legata alla sopravvalutazione – slegata dai fondamentali economici – dei titoli azionari e obbligazionari, e quella relativa agli eccessivi investimenti portati avanti senza criteri oggettivi. Investimenti miliardari per aprire intere fabbriche, senza sapere poi bene cosa produrre e per chi. Queste tre bolle si sono oggi incrociate, e i loro effetti si stanno ripercuotendo ovunque sul mondo globalizzato. Paghiamo dazio per gli errori che abbiamo commesso».

 

D. Alla radice della crisi nel 2007/2008 lei affermò che c’era un valore nominale dei derivati pari a 750 trilioni di dollari, 12 volte il Pil mondiale. Da allora è cambiato qualcosa nella finanza globale?

«No, non è cambiato proprio niente. Specie se si parla di derivati scambiati al banco, ossia al di fuori di registrazioni e controlli che normalmente avvengono in Borsa; è un meccanismo ancora oggi perfettamente lecito, ma che rende molto opaco il commercio dei derivati. Il risultato è un mercato immenso, in tutto e per tutto assimilabile a una lotteria. In origine un derivato era un contratto che obbligava a vendere o comprare una determinata quantità di merce a una certa data, ma dopo gli anni ’80 si sono affermati i “derivati vuoti”, e oggi il 96-97% dei derivati non ha in realtà nessun sottostante che non sia soltanto di facciata. Sono soltanto una scommessa sul fatto che il prezzo di una certa quantità di merce – barili di petrolio, quintali di grano, qualunque cosa – aumenterà o cadrà in un determinato lasso di tempo. È pura follia, ma non è stato fatto niente per limitarla, nonostante le molte e autorevoli raccomandazioni in tal senso».


D. Oggi quali sono le radici di questa nuova crisi finanziaria, e le possibilità di contagio per l’Italia?

«Sono molto forti, come l’interconnessione che oggi esiste tra le banche di tutto il mondo. Giorno per giorno queste si prestano l’un l’altra ingenti forme di denaro, e ulteriore forma di connessione è rappresentata dal cosiddetto sistema finanziario ombra – che vale all’incirca, anche in Cina, l’insieme delle banche che lavorano alla luce del sole. Si aggiunga che molte banche – e le europee più delle statunitensi – sono fortemente sottocapitalizzate (ossia hanno preso a prestito anche il 95% del capitale poi impiegato per investimenti), e hanno bisogno di un flusso incessante di prestiti. Un sistema fortemente fragile, ma lo sapevano tutti; data la situazione attuale, le possibilità di contagio rimangono dunque molto elevate».

 

D. In un solo anno i listini cinesi sono saliti anche del 100%, un trend insostenibile che adesso si sta sgonfiando. Anche la crescita del Pil cinese rallenta, in un mondo dalle risorse naturali finite. Sono notizie positive per la sostenibilità ambientale, eppure scatenano il panico: come si spiega il paradosso?

«La creazione continua di debito – perché a ogni credito dopotutto corrisponde un debito – forza alla crescita illimitata, perché chi si indebita si assume l’obbligo di restituire i fondi che ha preso in prestito, e di farlo a un tasso d’interesse abbastanza elevato, e al contempo continuare a guadagnare per sé stesso. Tutto ciò ha spinto verso una crescita senza limiti, che è ormai una vera follia».

 

D.Vede una via d’uscita?

«Non ci si può stupire se a un certo punto il tetto comincia a scricchiolare sopra le nostre teste: qualcosa prima o poi bisognerà fare per regolare il sistema bancario e ridurne le dimensioni, in modo che diventi più controllabile e visibile agli occhi degli enti regolatori. I difetti del sistema finanziario sono macroscopici, denunciati infinite volte: tutte le regole che hanno permesso il loro svilupparsi, come nel caso del dilagare dei derivati o l’eccesso di credito derivato dal nulla, provengono dall’attività di parlamenti. Leggi introdotte rimuovendone altre. Non ci sarebbe niente di strano, dunque, di reintrodurre almeno vecchie norme, come quelle che prevedevano la separazione tra banche d’investimento e banche commerciali. Limiti rimossi che hanno permesso alla finanza di impazzire».

 

Category: Economia, Luciano Gallino e la rivista "Inchiesta", Osservatorio Cina

About Luciano Gallino: Luciano Gallino (1927) nel 1956 viene chiamato dall'ingegnere Adriano Olivetti a collaborare all’Ufficio Studi Relazioni Sociali costituito presso la Olivetti - struttura di ricerca aziendale inedita in quel periodo in Italia - e successivamente, dal 1960 al 1971, ricopre la carica di direttore del Servizio di Ricerche Sociologiche e di Studi sull’organizzazione (SRSSO). Dopo aver ottenuto una Libera Docenza in Sociologia nel 1964, è diventato Fellow Research Scientist del Center for Advanced Study in the Behavioral Sciences di Stanford in California. Dal novembre 1965 al 1971 è stato professore incaricato presso la Facoltà di Magistero e la Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Torino. Successivamente, dal 1971 al 2002, è stato professore ordinario di Sociologia nella Facoltà di Scienze della Formazione della stessa Università, nella quale attualmente è professore emerito. Tra il 1968 e il 1978 è stato direttore dell'Istituto di Sociologia di Torino, una delle prime strutture di ricerca in questo ambito disciplinare costituite nell'università italiana. Dal 1999 a fine 2002 è stato Direttore del Dipartimento di Scienze dell'Educazione e della Formazione. In tale ruolo ha promosso lo sviluppo di un Centro specializzato nello studio e nella realizzazione di corsi orientati alla "Formazione aperta/assistita in rete". Parallelamente alla sua attività di ricerca e d'insegnamento, ha ricoperto diverse e prestigiose cariche istituzionali. Dal 1979 al 1988 è stato presidente del Consiglio Italiano delle Scienze Sociali. Dal 1987 al 1992 ha rivestito la stessa carica nell'Associazione Italiana di Sociologia. È socio dell'Accademia delle Scienze di Torino, dell'Accademia Europea e dell'Accademia Nazionale dei Lincei. Dirige dal 1968 la rivista scientifica Quaderni di Sociologia. Ha collaborato inoltre con autorevoli quotidiani nazionali, in particolare tra il 1970 e il 1975 ha scritto su «Il Giorno», dal 1983 al 2001 ha collaborato con «La Stampa» e dal 2001 collabora con «La Repubblica». Fa parte del comitato scientifico della manifestazione "Biennale Democrazia". Dal 2007, è il responsabile scientifico del Centro on line «Storia e Cultura dell'Industria», progetto che promuove la conoscenza della storia industriale e del lavoro del Nord Ovest italiano dal 1850 a oggi, con finalità didattiche. Dal 2011 è Presidente Onorario e Presidente del Consiglio dei Saggi dell'AIS - Associazione Italiana di Sociologia. Tra i suoi ultimi libri: Globalizzazione e disuguaglianze (Laterza, 2000); Il costo umano della flessibilità (Laterza, 2001); L’impresa responsabile. Un'intervista su Adriano Olivetti (Comunità, 2001); La scomparsa dell'Italia industriale (Einaudi, 2003); Dizionario di Sociologia (UTET, 2005); L’impresa irresponsabile (Einaudi, 2005); Italia in frantumi, (Laterza, 2006); Tecnologia e democrazia. Conoscenze tecniche e scientifiche come beni pubblici (Einaudi, 2007); Il lavoro non è una merce. Contro la flessibilità, (Laterza, 2007); Con i soldi degli altri. Il capitalismo per procura contro l'economia (Einaudi, 2009); Finanzcapitalismo. La civiltà del denaro in crisi, (Einaudi, 2011).

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