Intervista impossibile a Federico Caffè

| 13 Aprile 2013 | Comments (0)

 

 

 

Il 15  aprile 1987 Federico Caffè fa perdere ogni sua traccia. A ventisei anni dalla sua scomparsa gli alunni della Prima C dell’indirizzo Economico dell’Istituto d’Istruzione Superiore FEDERICO CAFFE’ di Roma hanno realizzato questa intervista impossibile in cui sono stati aiutati da Massimo Tegolini, ex docente e attualmente referente della biblioteca della biblioteca dell’Istituto. Questa intervista immaginaria è stata pubblicata  il 13 aprile 2013 da Rosaria di Girolamo nel sito http://strateghiardigi.worldpress.com. ricordarlo pubblichiamo anche un intervento di Gian Carlo Zanon pubblicato il 29 gennaio 2013 in www.igiornielenotti.it in relazione alla ristampa del libro di Bruno Amoroso, Federico Caffè. Le riflessioni della stanza rossa (Castelvecchi editore)

 

1, Intervista impossibile a Federico Caffé


D. Buongiorno professor Caffé, posso farle qualche domanda?

R.Si, certo

 

D. Per cominciare ci vuole parlare delle sue origini?

R. Sono nato a Pescara il 6 gennaio del 1914. Provengo da una famiglia umile di contadini abruzzesi. Mia madre ha sempre lavorato duramente per mantenermi agli studi, pensate che è arrivata addirittura a vendere un pezzetto di terra per poter sostenere le spese per l’Università a Roma. Le sarò sempre grato per questa scelta coraggiosa e per aver sempre creduto in me.

 

D.In che cosa si è laureato e quali sono state le sue prime esperienze professionali?

R.Mi sono laureato nel 1936 in Scienze economiche e commerciali all’Università di Roma. In quella stessa Università ho svolto il ruolo di assistente e, successivamente, ho lavorato per la Banca d’Italia e ho collaborato con diverse case editrici.

 

D.Lei ha dedicato la sua vita all’insegnamento, che cosa ricorda del suo rapporto con gli studenti?

R.Alcuni dei miei allievi, come Mario Draghi, Ignazio Visco e Giuseppe Ciccarone, hanno raggiunto posizioni di rilievo. Penso di essere stato un maestro severo, esigente, ma sempre attento a non forzare le inclinazioni dei singoli e sempre pronto ad incuriosirmi alle proproste dei miei allievi. Ho cercato di insegnare alle giovani generazioni che il compito dell’intellettuale quello di rimanere fedele al dubbio sistematico come appropriato antidoto alla riaffermazione intransigente di cui spesso si finisce di essere prigionieri.

 

D.Quale dovrebbe essere, a suo parere, la vera funzione dell’economia?

R.Un’economia che ignora l’idea stessa di solidarietà non costruisce nulla, o meglio, genera mostri. Ritengo che l’interesse per lo studio dell’economia consista nella speranza che la povertà e l’ignoranza possano essere gradualmente eliminate.

 

D.Dunque lei è per un’economia dal volto umano?

R. Si, l’economia ha il dovere di risolvere la vita dei più deboli favorendo l’assottigliamento delle disuguaglianze e promuovendo l’occupazione. Nessun male sociale può superare la frustrazione e la disgregazione che la disoccupazione arreca alle collettività umane.

 

D.Cosa pensa dell’attuale situazione di crisi dell’Italia e dell’Europa e come ritiene possa essere risolta?

R.Siamo in una situazione molto faticosa, se tutto andrà bene impiegheremo buona parte di questo decennio per creare delle basi solide di una nuova economia. Nell’immediato bisogna fare i conti con le situazioni di disagio sociale che non possono più essere ignorate e che richiedono interventi pubblici soprattutto nell’istruzione e nella sanità nonché incentivi all’occupazione.

 

D.Dunque lei è fortemente critico nei confronti del pensiero liberista imperante?

R.Il mercato è una creazione umana pertanto l’intervento pubblico ne è una componente necessaria e non un elemento di per sé distorsivo e vessatorio. Non si può non prendere atto di questo recente riflusso neo libertista ma è difficile individuarvi un approccio intellettuale innovatore.

 

D.Passiamo al privato. Come è diventata la sua vita dopo aver lasciato l’insegnamento?

R.Ero molto disorientato. Prima trascorrevo tutte le mie giornate all’Università con i miei allievi e poi mi sono improvvisamente ritrovato solo, senza sapere come impiegare il mio tempo. Non riuscivo più a scrivere, avevo amnesie sempre più frequenti. Lei deve sapere che io non sono un uomo, sono una testa, se quella arruginisce di me non resta più niente.

 

D.E’ per questa ragione che a deciso di fare perdere ogni traccia di sé? Che cosa è successo quel 15 aprile del 1987?

R.E’ stata una decisione molto sofferta, pochi giorni prima si era tolto la vita Primo Levi e la notizia mi aveva sconvolto. Avevo bisogno di solitudine, volevo riflettere, così all’alba di quel 15 aprile sono uscito dalla casa di Montemario nella quale vivevo con mio fratello lasciando sul comodino i documenti e gli occhiali che usavo per leggere …..

 

D.E poi cosa è successo?

R.Sono stanco e vecchio, sono sempre stato un uomo schivo e di poche parole. Ciò che bisognava dire è stato detto. Basta domande, la mia è stata un’esistenza non diversa da tante altre, ogni uomo custodisce in sé un mistero, quello che ha fatto di me un individuo speciale sono state le mie idee chiare e mai ambigue che spero rimangano sempre vive.

 

D.Che fa, se ne va? Ci lascia così nel dubbio…….

R. Basta domande, la mia è stata un’esistenza non diversa da tante altre, ogni uomo custodisce in sé un mistero, quello che ha fatto di me un individuo speciale sono state le mie idee chiare e mai ambigue che spero rimangano sempre vive.

 

D.Che fa, se ne va? Ci lascia così nel dubbio…….

 

 

 


2. Gian Carlo Zanon: Federico Caffé e l’ombra di Padre Sergij

«La sera si fa lunga senza coloro che amiamo»(Federico Caffé)


La vita intima degli esseri umani è un enigma. Spesso sappiamo di loro solo attraverso le loro azioni. In parte anche da ciò che dicono e scrivono … se non c’è scissione tra il loro pensiero verbale e le loro azioni. Bruno Amoroso in questo singolare libro sull’amico, e mentore, Federico Caffè, per giungere al nucleo della sua essenza umana, sfiora delicatamente i pensieri dell’economista sparito un giorno di primavera dell’87.

I depressi sanno quanto sono insidiose le primavere. E leggendo questo libro si sente aleggiare una sorta di mal de vivre  esistenziale che copre come un leggero manto l’uomo Caffè. «Dopo quell’incontro (con Giorgio Ruffolo N.d.R.) capii che nella mia vita si erano ormai prodotte rigidezze che ponevano limiti invalicabili alla comprensione e all’esperienza».

Attraverso questa frase, che sapientemente Amoroso pone alla fine del suo libro, Federico Caffè dice, malinconicamente, di qualcosa che ha perduto; e questo pensiero, che incontra nel proprio Io, descrive molto bene la depressione di un uomo che si rende conto di un “limite invalicabile” costruito inconsciamente negli anni per imbrigliare l’infinito divenire dell’Io. E questo fatale incontro con se stesso può essere annullato, e poi dimenticato da un’infinità di persone, ma non da Federico Caffè.

Il filosofo Pietro Barcellona nella sua prefazione al libro accenna all’amore che Caffè aveva per la letteratura russa. Senza dubbio l’economista conosceva tutta l’opera di Tolstòj; certamente conosceva il personaggio che lo scrittore russo descrive in  Padre Sergij: un aristocratico che per tutta la vita combatte contro il suo smisurato orgoglio – ma forse contro la propria irrequieta e vitale identità umana – il quale finisce in Siberia servo tra servi. La sua lotta contro l’essere è tragica e lo spinge continuamente alla sparizione e – rinunciando al proprio nome – all’annullamento della propria nascita. Anche Caffè lascia i documenti che attestano il suo nome sul comodino prima di scomparire.

Questa è naturalmente una interpretazione di chi scrive, suffragata da innumerevoli tracce sparse nel testo di Amoroso.

Il libro però non è stato scritto per svelare il “segreto di Federico Caffè sparito nel nulla”. L’autore vuole raccontare la realtà umana e professionale di Caffè attraverso le sue lezioni, attraverso il suo pensiero taciuto ai più, attraverso il suo girovagare per le periferie romane quasi fosse L’uomo della folla del racconto di E.A.Poe.

Il testo si snoda tra i cieli della Danimarca e le periferie romane; tra le lezioni che Caffè teneva nelle Università danesi  e le passeggiate spesso silenziose che Amoroso e Caffè facevano insieme; tra le lettere che Caffè scrisse all’amico confinato nel Nord del mondo e i loro ‘riti domestici’ che scaldano il cuore. Si perché quello che emerge da questo libro è soprattutto l’affetto che dava vita ad un rapporto molto profondo legando a doppi fili i due uomini che avevano scelto di vivere l’economia con passione pagandone il prezzo.

Scrive Barcellona nella prefazione : «In Federico Caffè  (Amoroso N.d.R.) fa rivivere l’intimità intellettuale e affettiva che lo legava al maestro e mostra gli aspetti più personali che lo rendono un intellettuale anomalo rispetto al tempo in cui è vissuto».

Amoroso e Caffè parlavano una loro “lingua segreta”, molto spesso silente, e cercavano ogni giorno di riunificare nel pensiero economico  “sentimenti e conoscenze” per dare al mestiere dell’economista un senso che solo l’investimento del proprio essere per l’altro da sé può dare.

La lotta di Caffè contro le teorie economiche neoliberiste del laisser-faire  e contro le baronie universitarie è entrata nella leggenda. Lui, insieme a quello degli altri “innominabili” del mondo accademico (Augusto Graziani e Paolo Sylos Labini) negli anni settanta fu tenuto al margine; i suoi articoli in Italia uscivano quasi esclusivamente su Il manifesto e  i suoi libri venivano pubblicati solo da piccole case editrici.

Per un ecomomista aristocratico come Caffè ciò era certamente una ferita che continuamente veniva riaperta. E per l’uomo Caffè un’economia che non tenesse conto dell’essere umano in quanto tale era intollerabile. Per lui , come ha scritto Amoroso, «L’essere umano è un imperativo che deve precedere, sempre, qualunque altro».

 

 

 

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Category: Economia, Guardare indietro per guardare avanti

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