Nel centenario della nascita di Etty Hillesum scrittrice ebrea olandese morta a Auschwitz

| 24 Marzo 2015 | Comments (0)

 

 

Il 26 marzo alle ore 21 a Bologna  l’Istituto Regionale Alcide De Gasperi organizza l’incontro al Cinema Castiglione (Piazza di porta Castiglione 3) dal titolo Etti Hillesum e la ricerca dell’altro” relatrice Suor Francesca Balocco delle Suore di S. Dorotea della Frassinetti con il “controcanto” di Gianni Ghiselli. Riportiamo due testi diffusi per preparare l’incontro.

 

1. Biografia di Etty Hillesum

(da www.biografieonline.it)

Esther Hillesum, meglio conosciuta col nome di Etty, nasce a Middleburg (Paesi Bassi) il 15 gennaio 1914. Il padre Levie (detto Louis), nato ad Amsterdam nel 1880, è un professore di lingue classiche timido e colto. Nel 1928 viene nominato preside del liceo di Deventer, incarico che ricopre fino al 1940, quando gli viene revocato in quanto ebreo. La madre di Etty, Rebecca (detta Riva) Bernstein è nata a Potcheb, in Russia, nel 1881. Per scampare ad un pogrom, nel 1907 fugge ad Amsterdam travestita da soldato. Qui sposa Louis Hillesum e continua a vivere, mentre i suoi genitori e il fratello minore Jacob, che nel frattempo l’hanno raggiunta, emigrano negli Stati Uniti nel 1913. Etty è la prima di tre figli: Jacob (nato nel 1916 è soprannominato Jaap), allievo modello, studia medicina e durante la guerra lavora, in qualità di medico, presso l’Ospedale israelitico di Amsterdam; Michaël (nato nel 1920 e detto Mischa), pianista di talento.

Nel 1926 Esther si iscrive al liceo classico di Deventer. Sei anni dopo si trasferisce ad Amsterdam, dove studia legge.Nel marzo 1937 Etty va ad abitare presso la casa di Hendrik Wegerif (detto Han), nella quale anche suo fratello Jaap aveva vissuto per un certo periodo. Sarà proprio qui, in via Gabriël Metsu 6, che inizierà a scrivere quel diario in cui annoterà, con precisione e passione, la sua trasformazione spirituale e le sue vicende umane prima del trasferimento a Westerbork. Etty si occupa della gestione della casa, lavoro per il quale riceve una paga da Hendrik, anziano vedovo cristiano padre di quattro figli. I rapporti tra Esther e quest’uomo presto si trasformano in una relazione sentimentale, nonostante i 21 anni di età di differenza. Dopo essersi laureata in legge nel 1939, Etty comincia a studiare le lingue slave, e impartisce lezioni di russo.

Nel 1939 viene creato il campo di Westerbork, dove il governo olandese, in accordo con la principale organizzazione ebraica presente in Olanda, decide di riunire i rifugiati ebrei, tedeschi o apolidi, che vivono nei Paesi Bassi, pensando ad una loro futura riemigrazione. Il 1 settembre 1939 Hitler invade la Polonia causando così lo scoppio del secondo conflitto mondiale. Il 10 maggio 1940 i tedeschi irrompono in Olanda: 5 giorni dopo la regina e il governo si rifugiano in Inghilterra: Rauter diventa capo supremo delle SS e della polizia.

Il 3 febbraio 1941 avviene l’incontro più importante della vita di Etty: quello con lo psicologo Julius Spier, allievo di C.G. e inventore della psico- chirologia, la scienza che studia la psicologia di una persona partendo dall’analisi delle mani. Ebreo tedesco fuggito da Berlino nel 1939, Spier tiene ad Amsterdam dei corsi serali durante i quali invita gli studenti a presentargli le persone che poi diventeranno oggetto del suo studio. Bernard Meylink, un giovane studente di biochimica che vive nella casa di Han, propone Etty, la quale viene accettata. L’incontro con Spier è per Esther folgorante: decide subito di prendere un appuntamento privato con lui per cominciare una terapia.

L’8 marzo 1941, probabilmente su invito di Spier, Etty inizia a scrivere il diario. Dopo alcuni mesi, Etty diventa prima segretaria e poi allieva dello psicologo tedesco: tra i due scoppia una attrazione reciproca, che li spinge l’uno verso l’altra nonostante la notevole differenza di età (Esther ha 27 anni e Spier 54) e il fatto che entrambi siano già impegnati in una relazione.

Tra i mesi di maggio e giugno 1942 nei Paesi Bassi viene portata a compimento l’attuazione delle leggi di Norimberga, che vietano agli ebrei, tra le altre cose, di usare trasporti pubblici, telefonare, sposarsi con persone non ebree.

Sono costituiti i Consigli Ebraici, organismi intermediari tra le autorità tedesche ed ebraiche formati prevalentemente da giudei, col compito di rappresentare la comunità israelitica del luogo, ma in realtà obbligati ad attuare le decisioni prese contro di loro dalle SS.

Attraverso la radio britannica giunge la notizia (riportata da Etty nel suo diario, in data 29 giugno) che in Polonia sono stati uccisi 700.000 ebrei. Etty prende subito coscienza del piano diabolico che i tedeschi stanno mettendo in opera: l’annientamento totale della popolazione ebraica.

Il 1 luglio 1942 il campo di Westerbork passa sotto il comando tedesco: diventa così “Campo di transito di pubblica sicurezza”, ossia luogo di raccolta e smistamento per gli ebrei prigionieri diretti ad Auschwitz. Il 16 luglio Etty viene assunta, grazie al fratello Jaap e all’interessamento di un membro del Consiglio, come dattilografa al Consiglio Ebraico di Amsterdam, sezione assistenza alle partenze. Non ama questo incarico che accetta con una certa riluttanza: vorrebbe stare più vicino ai drammi che la sua gente vive in questo difficile momento storico. Per tale ragione, venuta a conoscenza della decisione, da parte del Consiglio Ebraico di Amsterdam, di aprire una sezione nel campo di Westerbork, fa richiesta di venirvi trasferita. La sua domanda è accettata: il 30 luglio 1942 comincia a lavorare al dipartimento di aiuto sociale alle persone in transito. A Westerbork gode di una certa libertà, che le consente di mantenere contatti con l’esterno e quindi scrivere le lettere che sono giunte fino a noi. Si reca ogni tanto ad Amsterdam, soprattutto quando è malata. Proprio durante uno dei suoi soggiorni nella capitale olandese le viene trovato un calcolo biliare che non può essere operato ma la costringe a una lunga degenza presso l’Ospedale israelitico. Il 15 settembre 1942 Julius Spier muore per un tumore al polmone. Etty, che in quel momento si trova ad Amsterdam con lui, ha il permesso delle autorità tedesche di partecipare al funerale.

In seguito ad una retata, nel giugno 1943 giungono a Westerbork i genitori di Esther e il fratello Mischa. Nel frattempo, si fanno sempre più frequenti i convogli settimanali che partono da quella radura desolata della pianura olandese alla volta della Polonia, dove i prigionieri, a detta delle autorità tedesche, vanno “a lavorare”.

Il 5 giugno Etty torna al campo di Westerbork dopo un soggiorno ad Amsterdam: in quell’occasione rifiuta l’aiuto che molti suoi amici le offrono per nasconderla e sfuggire così alla persecuzione nazista. Vuole seguire fino in fondo la sorte della sua gente. Affida ad una amica, Maria Tuinzing, gli 11 quaderni del diario, chiedendole di darli allo scrittore Klaas Smelik per pubblicarli alla fine della guerra, qualora lei non dovesse tornare più.

Nel mese di luglio 1943 le autorità tedesche pongono fine allo statuto speciale dei membri del Consiglio Ebraico presenti nel campo di Westerbork. Decidono che metà di loro deve tornare ad Amsterdam, e gli altri rimanere nel campo, perdendo però ogni libertà di circolazione e comunicazione con l’esterno. Etty decide di rimanere a Westerbork. Durante l’autunno 1943 vengono pubblicate clandestinamente ad Amsterdam due lettere che Etty ha scritto dal campo in data dicembre 1942 e 24 agosto 1943.

Il 7 settembre 1943 la famiglia Hillesum sale su un convoglio diretto in Polonia. Dal treno, Etty riesce a gettare un biglietto che verrà ritrovato lungo la linea ferroviaria e spedito: è indirizzato ad un’amica ed è l’ultimo scritto di Esther.

Levie e Riva muoiono tre giorni dopo, lungo il tragitto o gasati al loro arrivo; secondo quanto riportato dalla Croce Rossa, Etty muore il 30 novembre 1943 e suo fratello Mischa il 31 marzo 1944, entrambi ad Auschwitz. Jaap Hillesum, deportato a Bergen Belsen nel febbraio 1944, muore il 27 gennaio 1945 sul treno che evacua i prigionieri del campo e che viene liberato da soldati russi.

Il “Diario” di Etty viene pubblicato per la prima volta in Olanda nel 1981 dall’editore Gaarlandt, dopo che Klaas Smelik e sua figlia Johanna l’avevano proposto ad altri editori ricevendo sempre parere negativo. E’ subito un grande successo. Nel 1982, col titolo “Il cuore pensante della baracca”, sono pubblicate le lettere che Esther aveva scritto a Westerbork.

 

 

 

2. Gabriele Semino S.l.: Un ritratto di Etty Hillesum a cent’anni dalla nascita

(La Civiltà Cattolica, 18 gennaio 2014)

 

Esther (meglio conosciuta come Etty) Hillesum, di cui ricorre il centenario della nascita (Middelburg, 15 gennaio 1914), ha progressivamente ottenuto considerazione nello spazio pubblico a motivo della sua vicenda personale. ll ricordo di questa donna ebrea olandese, morta probabilmente il 30 novembre 1943 nel campo di concentramento di Auschwitz, viene tramandato da lei stessa, attraverso il racconto degli ultimi due anni della sua vita, contenuto in un Diario, composto da 11 quaderni (di cui uno smarrito), 79 Lettere, sinora ritrovate, da lei inviate a persone di sua conoscenza e altre 6 a lei indirizzate da familiari e amici1. Si tratta di quasi mille pagine di testi. Desideriamo ripercorrere, attraverso alcune suggestioni, data la mole degli scritti, la vicenda umana e spirituale della Hillesum, ritenendo che meriti di essere raccontata e riportata al contesto che l`ha generata, per poterne accogliere ancora oggi la ricchezza.

 

1.“A sbattere contro problemi irrisolti”: le radici difficili di una storia

I 29 anni della vita di Etty Hillesum furono contrassegnati da una parte dalla quotidianità, che non assume rilievo agli occhi del mondo, dall’altra parte dal percorso e dall’epilogo drammatico nella morte subita ad Auschwitz.

Gli inizi della sua vicenda umana non furono contraddistinti da nessuna attenzione particolare. Se Marguerite Yourcenar, a cui Etty può essere accostata per la comune sensibilità nel guardare la realtà con occhio limpido e profondo, auspicava che ogni nascita dovesse essere «quella di un bambino atteso con amore e rispetto, che porta in sé la speranza del mondo»2, quella della Hillesum fu un’origine segnata da un contesto familiare oggettivamente compromesso e faticoso. «In questa famiglia è come se qualcosa rosicchiasse senza sosta la mia vitalità, e a lungo andare qui io diventerei una zia acida, dimenticando completamente di essere in realtà una creatura tanto gioiosa e comunicativa» (D 146). Anche se, a prima vista, Etty visse serenamente la sua fanciullezza a Deventer (cfr D 119 s), il debito di cura che patì a motivo dell’inadeguatezza dei genitori emerse in seguito con prepotenza.

Il padre Levie (Louis), professore di lingue classiche e poi preside di ginnasio, era un ebreo non praticante, fortemente integrato nel contesto olandese. Ebbe molti problemi di relazione con gli studenti, e anche nello svolgere il suo ruolo paterno all’interno della famiglia. La moglie di Louis Hillesum, Rebecca (Riva) Bernstein, era nata in Russia ed emigrata ad Amsterdam a motivo del pogrom del 18 febbraio 1907, assieme alla famiglia di origine. Riva morì col marito ad Auschwitz nel 1943, poco prima della figlia.

Dalla madre, Erty ereditò con decisa consapevolezza il sentimento di essere radicata nel popolo e nella cultura russi. Riva era una donna molto estroversa, impegnata, caotica nell’organizzazione della vita familiare, dominava la scena domestica. Della madre, Etty scrive: «Non è una donna qualunque». E prosegue: «Il tragico è questo: qui giace un capitale di talento e valore umano, sia nella mamma che in papà, ma inutilizzato, o perlomeno non investito al meglio; qui si va sempre a sbattere contro problemi irrisolti e repentini cambiamenti di umore; è una situazione caotica e triste che si rispecchia nell’andamento disordinato della casa›› (D 136). Con il padre, e soprattutto con la madre, Etty ebbe un rapporto conflittuale, che trovò pacificazione più per il cambiamento interiore della figlia durante gli ultimi due anni di vita che per quello dei genitori. Anche i fratelli maggiori di Etty,]acob (Iaap) e Michael (Mischa), non contribuirono a rasserenare il contesto familiare. Jaap (morto nel 1945 al ritorno dalla deportazione) studiò Medicina con grande intelligenza (scoprì a diciassette anni un nuovo tipo di vitamina, il che gli permise di frequentare i laboratori medici anzitempo), si dilettò di poesia, ma era psichicamente labile e fu ricoverato diverse volte in istituti psichiatrici.

Mischa (morto ad Auschwitz nel 1944) sin dalla fanciullezza diede prova di uno straordinario talento musicale, come pianista. Accanto a questa dote patì duramente per la sofferenza psichiatrica che lo accompagnò sempre (nel 1939 fu ricoverato ad Amsterdam e sottoposto a una terapia per scbizofrenici). Etty più volte nel Diario e nelle Lettere descrive la sofferenza di questo fratello: «Mischa si sente totalmente “divorato” dalla sua malattia e ritiene che le numerose iniezioni abbiano contribuito in modo decisivo a distruggere in lui ogni energia vitale» (L 21).

Nadia Neri sintetizza così il quadro familiare degli Hillesum: «La depressione attraveisa e accomuna, come fosse un soffio familiare e ambientale, tre distinte individualità. Le pagine del diario mostrano la dolorosa presa di coscienza delle difficoltà da parte di ciascun figlio nel rapporto con i genitori»3.

 

2. “La vita è buona e bella, anche se fredda”:una vicenda appassionante

Il contesto familiare compromesso, in cui e contro cui Etty si trovò a crescere, fu lo sfondo su cui si stagliò una vicenda personale appassionante, che la portò a diventare «una ragazza straordinaria››4, con una storia gustosa e affascinante 5.

«Continuiamo a crescere, viviamo di nuovo di tutte le sorgenti e non solo di quelle della passione e la vita è buona e bella, anche se fredda» (D 405).

Gli scritti della Hillesum percorsero un cammino travagliato, rimanendo nascosti al pubblico per 38 anni perché ritenuti eccessivamente filosofici. Solo nel 1986 apparve, nell’originale olandese, la raccolta integrale dei suoi testi, sino ad oggi tradotti (in tutto o in ampia parte) in 18 lingue diverse. Dopo la nascita, avvenuta il 15 gennaio 1914, che cosa accadde nella vita di Etty? Nel 1924 la famiglia Hillesurn si stabilì a Deventer (Olanda orientale), dove Louis divenne preside del ginnasio cittadino. Qui Etty crebbe assieme ai due fratelli. Nel 1932 si trasferì all’università di Amsterdam, iscrivendosi ai corsi di Giurisprudenza. Coltivò contemporaneamente la passione per le lingue slave, e per il russo in particolare, di cui impartiva lezioni private. Accanto all’aspetto dello studio, la Hillesum si impegnò in alcuni circoli studenteschi della sinistra antifascista, mostrando interesse per la riflessione e il cambiamento della società in cui viveva.

Nel marzo 1937 entrò ad Amsterdam nella casa di Han Wegerif, un contabile sessantenne, vedovo, che dapprima le afìttò una stanza e in seguito la assunse come governante. Nacque tra loro due una relazione sentimentale. Fu quella la casa dove Etty visse sino al suo arrivo a Westerbork, prima come funzionaria e poi come internata nel transito verso Auschwitz, avvenuto il 7 settembre 1943. In quella casa Etty sperimentò una piccola comunità di persone, con cui condivideva, oltre all’alloggio, i propri sentimenti, gli amori. le riflessioni.

Ad Amsterdam incontrò Julius Spier, l’uomo che cambiò radicalmente la sua vita. Egli aveva lavorato a Zurigo con Jung, sviluppando la pratica della psicanalisi attraverso la lettura della mano (chirologia).

Spier (che Etty abbrevia S. nei suoi scritti) raccolse attorno a sé un gruppo di pazienti, al quale si aggiunse anche la Hillesum. Era lunedi 3 febbraio 1941: Etty definisce quel giorno la sua «venuta al mondo grazie a un uomo dall’aspetto spaventoso, con pantaloni alla zuava e un’antenna in testa» (L 18).

Spier, seguendo un metodo molto lontano dalla deontologia professionale, sottopose la Hillesum a terapia. Con lui nacque un rapporto profondo, a tratti ambiguo: Etty ne divenne la segretaria e anche una travagliata amante. Fu comunque grazie all’aiuto di Spier che la giovane trovò nuove coordinate per interpretare se stessa e gli avvenimenti storici che si prospettavano. La condivisione del cammino terapeutico, la relazione di amicizia e amorosa, le letture spirituali
proposte dallo psicologo signicarono per Etty una nuova vita. Cominciò a scrivere il Diario l’8 marzo successivo al loro primo incontro, probabilmente consigliata da Spier stesso. Verso l’«ostetrico della sua anima» (D 772) Etty manifestò un debito di riconoscenza che non è possibile documentare adeguatamente in queste pagine.

Accanto al racconto della vicenda personale di Etty emerge molto presto la situazione drammatica dell`Olanda, che a partire dal maggio del 1940 vedeva avvicinarsi il tempo peggiore della persecuzione nazista nei confronti degli ebrei locali.

Il 14 luglio 1942 ottenne di lavorare come segretaria presso il Consiglio Ebraico, organo che gestiva le questioni concernenti gli ebrei e che questi ultimi ritenevano potesse essere un’àncora di salvezza. Successivamente chiese di essere trasferita al servizio degli internati nel campo di transito di Westerbork, nella parte orientale dei Paesi Bassi. Era il luogo di smistamento da cui i nazisti inviavano, verso i vari campi di sterminio dell’Europa orientale, gli ebrei, che in seguito vi morirono.

Nelle Lettere. in particolare, Erty raccontò minuziosamente la vita quotidiana e faticosa di Westerbork. In quel contesto di morte e sofferenza Etty spese le sue energie migliori per il conforto del corpo e dello spirito di chi incontrava, oltre che per la propria crescita personale, sostenuta dalla certezza della bontà della vita. Si tratta di una certezza conseguita a caro prezzo, oscillando tra l’assurdità di ciò che accadeva e il conforto di una forza superiore a quella che un essere umano riesce a trovare da se stesso.

Così Etty divenne una sorgente di vita per gli altri, oltre che per se stessa: «Ho spezzato il mio corpo come se fosse pane e l’ho distribuito agli uomini» (D 797). Da Westerbork, Louis, Riva, Mischa ed Etty Hillesum il giorno 7 settembre 1943 vennero deportati definitivamente ad Auschwitz. Etty lasciò cadere dal treno una cartolina, recuperata il giorno successivo, che riporta i suoi ultimi pensieri a noi noti: «Abbiamo lasciato il campo cantando» (L 175). Il convoglio arrivò ad Auschwitz, dove la Hillesum morì il 30 novembre, secondo la ricostruzione effettuata dalla Croce Rossa.

 

3. «Sui merli del palazzo della storia»: la Shoah che si avvicina

“Non ho neppure paura, non so, mi sento così tranquilla, talvolta mi sembra di trovarmi in alto sui merli del palazzo della storia e di far correre lo sguardo su territori lontani. Mi sento in grado di sopportare il pezzo di storia che stiamo vivendo, senza soccombere» (D 717).

La dimensione della Shoah risulta decisiva per comprendere correttamente la vicenda umana e spirituale di Etty Hillesum6. Questa considerazione appare evidente a una lettura integrale dei suoi testi: «Ci si addentra così in una scrittura concepita dal punto prospettico della soggettività che, però, ha come partitura la sinfonia della storia tragica del suo tempo››7.

Il motivo principale per cui va attribuita tale importanza al contesto della Shoah sta nella concezione precisa che la Hillesum ha del senso della tragedia che si prospetta: «Dobbiamo fare spazio a una nuova certezza: vogliono la nostra fine e il nostro annientamento, non possiamo più farci nessuna illusione al riguardo, dobbiamo accettare la realtà per continuare a vivere» (D 674).

A fronte di questa certezza Etty manifestò e sviluppò un pensiero assai originale. Isabella Adinolfi, analizzando la visione della Hillesum in parallelo a quella di Hannah Arendt, nota come il male estremo (che il nazismo rappresentò in tutta la sua virulenza) venne da loro considerato «come qualcosa non di mostruoso e inumano, bensì di intimamente connaturato all’umano, fino ad apparire loro persino un`esperienza comune e banale››8.

La Hillesum percorse una via di interpretazione originale: la risposta al problema del male va cercata in se stessi, e non negli altri, in un cammino personale di cura di se stessi e degli altri, pur non cedendo mai all’accondiscendenza o alla deresponsabilizzazione verso il riconoscimento di vittime e carnefici. “Il marciume che c’è negli altri c’è anche in noi, continuavo a predicare; e non vedo nessun’altra soluzione, veramente non ne vedo nessun’altra, che quella di raccoglierci
in noi stessi e di strappar via il nostro marciume. Non credo più che si possa migliorare qualcosa nel mondo esterno senza aver prima fatto la nostra parte dentro di noi. È l’unica lezione di questa guerra: dobbiamo cercare in noi stessi, non altrove» (D 366).

Questa interpretazione venne criticata in modo netto da alcuni lettori di Etty. Riteniamo che la visione originale della Hillesum vada prima di tutto riletta pensando che venne elaborata nel combattimento interiore da parte di una persona che di tutto quanto scrive è stata testimone, sino alla fine. Ciò che ha scritto è limpidamente ciò che ha vissuto, che ha deciso di vivere, non nel chiuso di una stanza asettica, ma nel vivo del campo di battaglia interiore ed esteriore.

La dimensione drammatica della Shoah appare dunque come il sentiero non accantonabile per entrare autenticamente nella stanza del pensiero e della riflessione che Etty Hillesum ha offerto: «Quando dal mondo saranno spariti i li spinati, verrai a vedere la mia camera, è così bella e tranquilla» (L 33). Anche se qui Etty sta riferendosi alla camera dove legge, scrive, vive. Questa immagine dell’intimità domestica, accostata a quella della drammaticità storica, appare evocativa dell’intero suo percorso esistenziale.

 

4. «Sei diventata una vera donna››: Etty e il valore della femminilità

Una seconda dimensione che ci appare imprescindibile è quella della sua femminilità. La lettura integrale dei testi di Etty restituisce con grande rilevanza questo aspetto, a tal punto che poté dire di se stessa: «Sei diventata una vera donna» (D 412).

Probabilmente anche la peculiarità femminile della scrittura di Etty contribuì al suo successo. Come nota Isabella Adinolfi, oggi c’è bisogno di questa peculiarità, a lungo sacrificata: «Oltre che da un’esigenza di concretezza, di realtà, l’apertura sempre più intensa al femminile nel contemporaneo è poi, a mio avviso, determinata dal bisogno sempre più urgente nel nostro tempo di una filosofia capace di dialogare con emozioni, sentimenti, passioni, di un pensiero che sia più attento alle differenze››9.

La Hillesum costruì il suo immaginario femminile in forte contrapposizione, come notato, con la figura materna, di cui ebbe esperienza diretta. «Credo di avere perennemente paura di diventare come mia madre: in alcuni momenti traboccante di entusiasmo e vita e interesse per le cose, ma per il resto impegnata a divorarsi dentro, distrutta dalla fatica e incapace di venirne fuori» (D 221). Etty desiderò edificarsi interiormente, e lo stile divorante della madre andava allontanato con ogni forza.

Nadia Neri nota come, nel suo scrivere, Etty manifestasse «una grossa capacità introspettiva e una ricerca acuta, piena di alti e bassi, con intuizioni profonde e ingenuità, con rabbie, delusioni, angosce e scoppi di ottimismo, stati d’animo questi e sentimenti propri di ogni individuo sensibile alla ricerca d’identità, e io voglio sottolineare questi aspetti perché sono l’essenza vera e profonda della personalità della Hillesum come donna››.10

Tale essenza si precisa secondo alcuni elementi portanti. Ne ricordiamo due. Prima di tutto, la cura per gli altri 11. È l’attenzione profonda ai valori della vita, quella quotidiana e domestica cosi come nella sua idealità più alta, a caratterizzare lo «stile» femminile rispetto alla cura dei valori tipici dell’ordinamento sociale maschile (lavoro, affermazione, potere, produzione, redditività …). Tale attenzione si esprime nella cura per le persone. Questa è la prospettiva con cui Etty decise di entrare al servizio del Consiglio Ebraico di Amsterdam e, in seguito, nel campo di Westerbork. Nella stessa scia si pose anche la sua scrittura: era necessario narrare gli orrori del tempo per favorire la crescita di un nuovo umanesimo in chi sarebbe rimasto.

La Hillesum sviluppò tale cura a partire dalla pratica di una vicinanza assidua e quotidiana a se stessa e alle persone amiche, oltre che agli sconosciuti, che lentamente divenivano il panorama del suo servizio. Un’assiduità che aveva come scopo di restituire il senso della vita concreta, cosi radicalmente messa in discussione. [Kierkegaard sembra fotografare bene la sensibilità di Etty: «La donna ha soprattutto un altro talento innato, una dote originaria: un assoluto virtuosismo per dar senso al nito. […] Ma siccome la donna così spiega la nitezza, essa è la vita più profonda dell’uomo, una vita che deve essere nascosta e segreta, come è sempre la vita delle radici››12.

In secondo luogo, sottolineiamo in Etty la presenza dell’amore nella sua particolarità femminile. Ella si chiese quanto fosse bene per lei come donna amare un solo uomo, piuttosto che cercare l’amore per l’umanità intera. «Anch’io mi porto dentro questo grande amore per tutta l’umanità, eppure mi domando se non continuerò a cercare il mio unico uomo. E mi domando fino a che punto questo sia un limite della donna: fino a che punto cioè si tratti di una tradizione di secoli, da cui la donna si debba affrancare, oppure di una qualità talmente essenziale che una donna farebbe violenza a se stessa se desse il proprio amore a tutta l’umanità invece che a un unico uomo» (D 121).

Questa ricerca inesausta della collocazione di se stessa nel mondo come donna capace di amare, e di amare nel modo migliore, appare uno dei tratti tipicamente femminili che la Hillesum percorse all’interno di tutti i suoi scritti.

 

5.«Fu uno strano giorno…››: l’incontro di Etty con i religiosi internati

La dimensione religiosa e spirituale nella vicenda della Hillesum occupò uno spazio di prim’ordine. Si tratta di un ambito che può essere affrontato secondo diverse prospettive. Il Diario, in particolare, nel procedere della sua scrittura raccoglie riferimenti spirituali impliciti ed espliciti che diventano sempre più consistenti, fino a occupare la parte principale giungendo alla conclusione del testo.

E’ una dimensione molto interessante, oltre che per l’ampiezza dei riferimenti, anche per la vicenda biografica della Hillesum. Etty, ebrea non praticante, si confrontò in modo appassionato con i testi della Bibbia (in particolare con il Nuovo Testamento e il Vangelo di Matteo), con altri testi della tradizione cristiana (sant’Agostino e le sue Confessioni, Meister Eckhart, Tommaso da Kempis. . .), con opere di indubbio valore culturale e anche spirituale (Jung, Mann, Dostoevskij, Rilke, Kafka, Michelangelo, Leonardo…). Questa compagnia di letture fu per lei importante: «Frequento un’ottima società» (D 564).

Nonostante queste frequentazioni, la Hillesum non chiese mai il battesimo e neppure si riappropriò dell’aspetto di fede della sua appartenenza ebraica. Etty «non si lascia inserire né nell’ebraismo, né nel cristianesimo, né in alcun gruppo politico. […]. L’ identità personale di Etty Hillesum – quella che possiamo osservare leggendo i diari – non le permise di inserirsi in una identità di gruppo preesistente››13. Fu una credente senza appartenenza ecclesiale, e a motivo di questa sua peculiarità risulta molto interessante conoscere come ella avvicinò e incontrò la pratica religiosa.

In una lettera del dicembre 1942 Etty riferì per la prima volta l’esperienza del campo di Westerbork, nel quale prestava servizio, non essendoci ancora internata. Raccontò anche dell’arrivo, tra i numerosi nuovi internati, di un gruppo di preti e suore cattolici ebrei. Il brano merita di essere riportato in modo ampio.

«Fu uno strano giorno quando arrivarono degli ebrei cattolici – o se si preferisce dei cattolici ebrei -, suore e preti con la stella gialla sui loro abiti religiosi. Ricordo due giovani gemelli dagli identici, bei visi scuri del ghetto e dagli occhi calmi e fanciulleschi sotto i loro zucchetti, che raccontavano con garbo e stupore di essere stati portati via dalla messa alle quattro e mezzo di mattina, e di aver mangiato cavolo rosso ad Amersfoort. Cera un monaco ancora piuttosto giovane, che per quindici anni non era uscito dal proprio convento e ora si ritrovava per la prima volta nel “mondo”. Mi ero fermata un poco accanto a lui e avevo seguito il suo sguardo, che vagava tranquillo per la grande baracca dove si accoglievano i nuovi arrivi.[…] Io fisso il monaco che dopo quindici anni si ritrova nel “mondo” e gli chiedo: “E allora, che cosa gliene pare del mondo? ”. Ma il suo sguardo rimane tranquillo e amichevole sopra la tonaca marrone, come se tutto ciò che lo circonda gli fosse noto e familiare già da molto tempo. Più tardi qualcuno mi raccontò che quello stesso giorno aveva visto alcuni monaci camminare in fila tra due baracche scure nel crepuscolo. mentre dicevano il rosario con la stessa imperturbabilità con cui avrebbero recitato le preghiere nei corridoi del loro convento. E non è forse vero che si può pregare dappertutto, in una baracca di legno come in un convento di pietra – come pure in ogni luogo di questa terra su cui Dio, in tempi agitati, decide di scaraventare le creature fatte a sua immagine e somiglianza?» (L 55 s).

Pare plausibile che la Hillesum in quei preti e in quelle suore abbia individuato il suo stesso desiderio di una dimensione vivibile e rasserenante per gli altri, che lei avrebbe voluto poter incarnare. Di fatto il suo cammino a Westerbork, prima come funzionaria del campo e poi come internata, ripercorse la traccia di stile che apprese da quei monaci.

Nel Diario, inoltre, il giorno 20 settembre 1942, Etty dipinse un altro quadro di religiosi reclusi: «Sorella Mendes da Costa del convento carmelitano con quattro nonni portoghesi. E il Padre dagli occhi non offuscati e dalle mani rozze che ha previsto la rivoluzione comunista. Non aveva lasciato il suo monastero per quindici anni. E le due suore provenienti da quella famiglia ricca, fervidamente ortodossa e altamente dotata di Breslau, con stelle sulle tonache. Tornavano con la mente ai ricordi dell’infanzia›› (D 763).

Il particolare delle due sorelle di Breslau (Breslavia), di famiglia ebrea ortodossa benestante, con tutta probabilità porta a riferirsi alle sorelle Stein (cfr D 891 s): Edith (che divenne monaca carmelitana con il nome di Teresa Benedetta della Croce, canonizzata come martire) e Rosa (terziaria carmelitana, senza mai divenire monaca). Almeno gli sguardi di queste due grandi protagoniste del ‘900, Edith Stein ed Etty Hillesum, in quell’occasione, poco prima della deportazione verso lo sterminio, si incrociarono“14.

 

6. «Un piccolo pezzo di Te in noi stessi, mio Dio››

Sintetizzare la peculiarità del rapporto della Hillesum con colui che lei chiama «Dio» è impresa tutt’altro che agevole. Il nome «Dio›› trova casa nel Diario e nelle Lettere con una frequenza che non lascia indifferente il lettore, assumendo uno spazio di primo piano, quanto più ci si avvicina all’epilogo.

Etty visse il suo rapporto con Dio nel tormento dell’epoca storica che si volgeva sempre più cupa: «Non è quasi empio continuare a credere così tanto in Dio di questi tempi?» (D 672). La questione di Dio in Etty è molto complessa e ricca, e non è fuori luogo chiedersi a quale volto di Dio ella faccia riferimento15. Di questo rapporto tormentato e vivificante sottolineiamo tre aspetti: il Dio che Etty ritrovò in se stessa, il Dio che ritrovò fuori di sé nella preghiera, la dimensione dell’aiuto da offrire a Dio.

In una prima accezione, il termine «Dio» fu inteso da Etty come la propria stessa interiorità. «Ho ritrovato il contatto con me stessa, con la parte migliore e più profonda del mio essere, quella che io chiamo Dio›› (D 141 s). Sembra quasi che ella abbia introdotto Dio come una «figura letteraria». utile per lei al fine di esprimere il cammino della propria interiorità. Questa accezione del termine «Dio» si rispecchia bene in uno dei maestri principali di Etty, Rainer Maria Rilke, che nel Libro d’ore si rivolse a Dio come al proprio doppio. a uno specchio. A conferma di queste considerazioni, scrisse ancora la Hillesum: «A volte trovo la parola “Dio” così primitiva: è solo una metafora dopo tutto, un avvicinamento alla nostra più grande e continua avventura interiore; sono sicura di non aver neppure bisogno della parola “Dio”, che a volte si presenta come un suono primitivo, primordiale. Una costruzione di sostegno.

E se, la sera, a volte sento il bisogno di parlare con Dio e dico molto infantilmente: Dio, con me non può andare avanti cosi – e talvolta le mie preghiere possono essere molto incerte e imploranti -, allora è proprio come se io mi rivolgessi a qualcosa dentro di me, o come se cercassi di implorare una parte di me stessa» (D 645).

In una seconda accezione (in feconda tensione con la prima), «Dio» divenne il nome dell’interlocutore a cui Etty si rivolse con sempre maggiore frequenza. Non può essere delineato come il Dio della tradizione ebraica o cristiana, ma come un Dio personale, che è Altro da lei. Tra le numerosissime citazioni, solo come esempio, nel momento del1’angoscia per la possibile partenza per il campo, Etty pregò: «Mio Dio, che progetti hai in serbo per me? Quell’ordine di partenza non mi era veramente entrato dentro che già dopo un paio d’ore, non c’era più. Non ho
affatto chiuso con noi due, mio Dio, né con questo mondo. Voglio vivere ancora a lungo e voglio condividere il destino riservato a tutti noi. Questi ultimi giorni, mio Dio, questi ultimi giorni!›› (D 724).

Infine, riportiamo un brano in cui la Hillesum intuì la necessità di aiutare e salvare Dio. L’11 luglio 1942 Etty scrisse nel Diario: «E se Dio non mi aiuterà più, allora sarò io ad aiutare Dio›› (D 707). Il giorno successivo, domenica 12 luglio, Etty lasciò forse la preghiera più struggente di tutto il Diario, di cui riportiamo un breve passaggio: «Cercherò di aiutarTi affinché Tu non venga distrutto dentro di me, ma a priori non posso promettere nulla. Una cosa, però, diventa sempre più evidente per me, e cioè che Tu non puoi aiutare noi, ma che siamo noi a dover aiutare Te, e in questo modo aiutiamo noi stessi. L`unica cosa che possiamo salvare di questi tempi, e anche l’unica che veramente conti, è un piccolo pezzo di Te in noi stessi, mio Dio. E forse possiamo anche contribuire a disseppellirTi dai cuori devastati di altri uomini. Si, mio Dio, sembra che Tu non possa far molto per modificare le circostanze attuali, ma anch`esse fanno parte di questa vita. lo non chiamo in causa la Tua responsabilità, più tardi sarai Tu a dichiarare responsabili noi. E quasi a ogni battito del mio cuore, cresce la mia certezza: Tu non puoi aiutarci, ma tocca a noi aiutare Te, difendere fino all’ultimo la Tua casa in noi» (D 713).

Questa preghiera manifesta tutta l’originalità della Hillesum e meriterebbe un’analisi molto approfondita. Pur esulando da ogni riferimento di rigore teologico, contiene una verità di fondo: «Dio ci ha chiamato ad aiutarci, e Dio è là dove noi ci stiamo aiutando. […] . Egli desidera un reale interessarsi degli uni per gli altri, un aversi a cuore, a immagine della cura di lui per ognuno di noi››16.

 

7. L’interesse della Chiesa per Etty Hillesum

Ci limitiamo a ricordare e riportare alcuni interventi da parte di esponenti della gerarchia ecclesiastica che hanno attinto al patrimonio della Hillesum. In ambito italiano, il cardinale Carlo Maria Martini fu tra i primi vescovi a interessarsi di lei. Accanto ad alcuni articoli di riflessione che ne riprendono i testi, risultano di significativa importanza due paragrafi dei libri in cui egli, riferendosi ad Etty, approfondì il valore delle esperienze mistiche non cristiane che si rifanno alla Bibbia e al Vangelo di Gesù Cristo, oltre a contestualizzare il desiderio di aiutare Dio che nacque nel cuore della giovane ebrea olandese”. Inoltre, l’interesse del Cardinale, come racconta Nadia Neri, si espresse quando quest’ultima pubblicò la prima biografia italiana della Hillesum, nel 199918. Ella ricevette una lettera da Martini, che si congratulava per il lavoro di divulgazione della conoscenza di Etty, esprimendo anche una curiosità affettuosa: “Vedrò come lei si è misurata con questa grande donna”.

Nella Quaresima dell’anno 2009, nel contesto delle catechesi tenutesi nella cattedrale parigina di Notre-Dame, il cardinale André Vingt-Trois cosi tratteggiò il profilo mistico di Etty: «Le conversioni di Saulo di Tarso, di Alphonse Ratisbonne, di Paul Claudel, di Etty I-Iillesum, di André Frossard sono esperienze mistiche peculiari che confermano il valore di ricchezza straordinaria dell’esperienza ordinaria della vita e del reale, che facciamo tutti prima o poi. La grazia mistica è una visita di Dio››l9.

Mercoledì 13 febbraio 2012 (era il Mercoledì delle Ceneri) Papa Benedetto XVI, nell’udienza pubblica del mattino, citò un passo molto significativo di Etty nel contesto delle esperienze di conversione: «Penso anche alla figura di Etty Hillesum, una giovane olandese di origine ebraica che morirà ad Auschwitz. Inizialmente lontana da Dio, lo scopre guardando in profondità dentro se stessa e scrive: “Un pozzo molto profondo è dentro di me. E Dio c’è in quel pozzo. Talvolta mi riesce di raggiungerlo, più spesso pietra e sabbia lo coprono: allora Dio è sepolto. Bisogna di nuovo che lo dissotterri” (Diario, 97) 29.

La domenica successiva, il 17 febbraio, il cardinale Gianfranco Ravasi, introducendo la prima meditazione in occasione degli Esercizi Spirituali al Santo Padre Benedetto XVI e alla Curia pontificia, riprese la stessa citazione utilizzata il mercoledì precedente dal Papa”21.

 

8. Commiato
Venerdì 4 luglio 1941 Etty annotò per la prima volta la sua preoccupazione per le sorti della propria esistenza personale: «Non so come andrà a finire con questo mio “scrivere”›› (D 119). A cent”anni dalla nascita della protagonista di quella storia che lei stessa ci ha consegnato, constatiamo che quel suo «scrivere» è stato già raccolto da molti, a molti altri potrà accadere in futuro, perché non si interrompa l’interesse per la vita dell’umanità nelle sue pieghe più drammatiche, come in quelle più quotidiane e semplici: “Tutto, tutto è in me come un unico, potente insieme, e come tale lo accetto e comincio a capirlo sempre meglio cosi, per me stessa, senza riuscire ancora a spiegarlo agli altri. Mi piacerebbe vivere abbastanza a lungo per poterlo fare, e se questo non mi sarà concesso, bene, allora qualcun altro lo farà al mio posto, continuerà la mia vita dov’essa è rimasta interrotta›› (D 675 s).

 

NOTE

 

1 In lingua italiana è molto recente la prima pubblicazione integrale degli scritti della Hillesum: E. HILLESUM, Diario 1941-1943. Edizione integrale, a cura di J. G. GAARLANDT, Adelphi, 2012 (d’ora in poi citato come D); ID., Lettere. Edizione integrale, a cura di R. CAZZOLA – C. DI PALERMO, Milano, Adelphi, 2013 (d’ora in poi citato come L). Cfr P. LEBEAU, Il diario di Etty Hillesum, in Civ. Catt. 2000 Ill 235-248.

2 M. YOURCENAR, «Glossa di Natale», in ID., Opere. Saggi e memorie, Milano, Bompiani, 2001, 407 s.
3 N. NERI, Un’estrema compassione. Etty Hillesum testimone e vittima del Lager, Roma, Borla, 2011, 15 s.
4 C. M. MARTINI, Qualcosa di così personale. Meditazioni sulla preghiera, Milano, Mondadori, 2009, 144.
5 Cfr ID., Nel cuore della Chiesa e del mondo, Genova, Marietti, 1991, 53.
6 Un’ottima inquadratura della storia della Hillesum in rapporto alla Shoah è offerta da G. GAETA, «Prefazione», in I. ADINOLFI, Etty Hillesum. La fortezza inespugnabile, Genova, il melangolo, 2011, 7-15.
7 C. DOBNER, Il volto principio di interiorità. Edith Stein, Etty Hillesum, Genova – Milano, Marietti, 2012, 47.
8 I. ADINOLFI, Etty Hillesum. . ., cit., 79.
9 I. ADINOLFI, «Simone Weil e Etty Hillesum: l’attesa di Dio››, in DEP, Deportate, Esuli e Profughe 10 (2013), n. 21, 56.
10 N. NERI, «Etty Hillesum: identità femminile e sacrificio», in G. VAN OORD (ed.), L’esperienza dell’Altro. Studi su Etty Hillesum, Sant’Oreste (Roma), Apeiron, 1990, 146.
11 Per inquadrare la cura come caratteristica tipicizzante l’identità femminile, cfr V. IORI, «Costruire un futuro er donne e uomini», in Prospettiva persona 9 (2000), n. 33/34, XXX-XXXII; E. ROSANNA, «Per una cultura a due voci. Mettere a disposizione il dono della femminilità», in N. WOLF – E. ROSANNA, L’arte di dirigere le persone, Bologna, Edb, 2010, 109-115.
12 S. KIERKEGAARD, AutAut, Milano, Mondadori, 2002, 192. Sull’attenzione per il nito in Etty e la sua femminilità, cfr anche G. BERETTA, «Etty Hillesum: la forza disarmata dell’autorità››, in AlfaZeta 60 (1996) 48-53.
13 G. VAN OORD, «L’esperienza dell’Altro››, in ID. (ed.), L’esperienza dell’A1tro…, cit., 15.
14 A partire dal particolare di questo incontro di sguardi, C. DOBNER ha scritto un saggio sul valore del volto come principio di interiorità, Il volto. Principio di interiorità: Edith Stein, Etty Hillesum, Genova – Milano, Marietti 1820, 2012.
15 Cfr le considerazioni sintetiche e precise di K. A. D. SMELIK, «L’immagine di Dio in Etty Hillesum», in G. VAN OORD (ed.), L’esperienza dell’Altro…, cìt., 161-168.
16 C. M. MARTINI, Qualcosa di così personale.. ., cit., 145.
17 IVI, 144-146; ID., Nel cuore della Chiesa e del mondo… cit., 52-55.
18 N. NERI, Un’estrema compassione…, cit.
19 A. VINGT-TROIS, «La connaissance mystique de Dieu chez le juif Paul››. Conférence de Carême, Notre-Dame de Paris, 5 aprile 2009.
20 BENEDETTO XVI , Udienza generale, 13 febbraio 2013.

 

 

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