Carlo Beraldo, Vittorio Borraccetti: Mafia a Nord-Est, il caso Veneto

| 24 Gennaio 2023 | Comments (0)

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Pubblichiamo l’introduzione di Carlo Beraldo e Vittorio Borraccetti al numero 4/2022 della rivista ESODO dedicato, con numerosi e cospicui contributi, al tema “Mafia a Nord-Est, il caso Veneto”, per gentile concessione della rivista e degli autori.

Carlo Beraldo, sociologo, ha svolto attività di ricerca sociale particolarmente in Veneto e in Friuli.

Vittorio Borraccetti è un magistrato in pensione, che nel corso della vita professionale si è occupato tra l’altro di terrorismo e mafia. Dal 3 giugno 2002  al 2 giugno 2010 è stato  Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Venezia.  Dal luglio 2010 a settembre 2014 e’ stato membro del Consiglio Superiore della Magistratura. 

Sono ambedue redattori di ESODO.

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INTRODUZIONE

1. Premessa
Perché Esodo si interessa alla mafia con attenzione alla presenza e infiltrazione delle organizzazioni criminali mafiose nel territorio veneto? Se una delle ragioni costitutive di Esodo è la riflessione sulle dimensioni etiche della vita sociale e sull’attualità del messaggio cristiano nella nostra società, nel mondo di oggi, se uno dei temi è quello del male nelle relazioni tra gli esseri umani, dalla guerra alla violenza nei rapporti sociali e personali, si capisce l’attenzione anche al fenomeno della criminalità organizzata, caratterizzato dall’uso del delitto non solo per conseguire profitto patrimoniale, ma per dominare la società o settori di essa. Rappresenta quindi una forma di male che contraddice la libertà e la dignità degli esseri umani, proclamate nel messaggio cristiano e che obbliga a chiedersi come opporsi a esso. Inoltre, l’attenzione posta anche recentemente sulla legalità, con i numeri della rivista dedicati ai diritti e al rapporto tra etica e politica, ci fa consapevoli che la mafia costituisce un grave pericolo per lo sviluppo di quella società che la Costituzione disegna nei suoi principi fondamentali, per le nostre libertà eper i nostri diritti. Essa è il contrario della legalità e dove essa è presente si indeboliscono fortemente i nostri diritti e le nostre libertà.
I fenomeni criminali vengono prevalentemente, se non esclusivamente,visti in chiave repressiva, chiamando in causa leggi penali adeguate e l’azione di polizia e magistratura. Questo approccio è di fondamentale importanza, ma non deve rimanere l’unico e nemmeno il prevalente; oltre l’aspetto repressivo dobbiamo chiederci perché quel fenomeno esista e come reagire a esso, quindi approfondirne la conoscenza.
Spesso, in passato, di quel fenomeno si è negata l’esistenza nelle stesse regioni in cui aveva origine ed era radicato in altre regioni, tra queste anche il Veneto, che ha rifiutato di riconoscerne la presenza. Invece quello che serve è proprio conoscere la realtà, anche non piacevole, così da individuare le modalità di una reazione civile e sociale, in altre parole, quali comportamenti tenere, non solo da parte delle istituzioni pubbliche, ma anche come singoli, comunità, aggregazioni sociali; reazione nel senso di attenzione a cogliere tempestivamente i primi sintomi della sua manifestazione e nel contrapporsi ad essa.
Ci si potrebbe chiedere se, in assenza di un’infiltrazione o del rischio di un’infiltrazione nella regione, il tema ci avrebbe comunque interessato.
Per la verità, per molti anni la mafia è stata considerata cosa delle regioni meridionali, e talvolta utilizzata per una denigrazione generalizzata deicittadini di quelle regioni. Un punto di vista egoista e miope, perché quanto di negativo succede in altre parti d’Italia condiziona inevitabilmente la qualità della vita civile, sociale e politica in tutto il Paese, e poi perché la logica imprenditoriale che, come vedremo, orienta le attività dei gruppi mafiosi, rendeva quasi certo che essi si sarebbero rivolti a “fare affari” in regioni diverse da quella di origine.


2. Caratteristiche del fenomeno mafioso

A questo punto sono necessarie alcune precisazioni sul significato delle parole che vengono usate quando si parla di mafia.
Con il termine mafia ci riferiamo a una forma specifica di organizzazione criminale, fondata su un forte vincolo di omertà interna, capace di generare un forte potere di intimidazione interno ed esterno, che genera a sua volta una condizione di assoggettamento. Questi elementi sono strumentali rispetto al programma criminoso, che riguarda diversi settori criminali: traffico di stupefacenti, estorsioni, tratta degli esseri umani, sfruttamento violento della prostituzione, gestione illecita dei rifiuti, gioco d’azzardo, corruzione nel settore degli appalti di beni e servizi pubblici e privati, con reimpiego dei profitti illeciti in attività finanziarie ed economiche. In sintesi, si tratta di una forma di potere criminale, che mira al dominio sulla società nelle sue molteplici articolazioni, anche politiche e istituzionali.
Parleremo, dunque, di presenza, avendo il Veneto come riferimento prioritario, di associazioni criminali di tipo mafioso così come descritte nel codice penale all’articolo 416 bis: “L’associazione è di tipo mafioso quando coloro che ne fanno parte si avvalgano della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere delitti, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici, o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri, ovvero al fine di impedire od ostacolare il libero esercizio del voto o di procurare voti a sé o ad altri in occasione di consultazioni elettorali”.
Questa definizione è stata introdotta nel Codice penale dalla legge n. 646 del 1982, nota come legge Rognoni La Torre, e integrata negli anni successivi in particolare dal riferimento al condizionamento elettorale e allo scambio politico mafioso, quest’ultimo oggetto di un’altra specifica norma, art. 416 ter codice penale, introdotta da una legge del 1992. Essa è stata elaborata sulla base delle molteplici conoscenze acquisite dalle indagini di polizia emagistratura, è quindi una definizione frutto dell’esperienza maturata nell’azione repressiva della mafia.
Dal punto di vista storico ci si riferisce, in primo luogo, ai gruppi criminali conosciuti come cosa nostra, ‘ndrangheta, camorra (quest’ultima, non a caso, esplicitamente citata nell’art 416 bis), con un’aggiunta che ne estende l’applicabilità ad altre associazioni, anche straniere che, valendosi della forza intimidatrice, perseguono scopi corrispondenti a quelli propri dell’associazione di tipo mafioso.

Non si usa quindi il termine mafia in termini generici con riferimento a fenomeni di malaffare o all’atteggiamento omertoso proprio di comunità chiuse e sensibili alla tutela di interessi dei propri componenti.

3. Struttura dell’associazione mafiosa

Già dalla lettura di questa definizione si comprende la complessità sociale del fenomeno, che si caratterizza per una pluralità di elementi tra loro fortemente intrecciati: organizzativi, culturali, relazionali, economico/finanziari e di consenso sociale.
Preminente appare, soprattutto oggi, la componente economico/finanziaria, attorno alla quale ruotano tutte le altre componenti. La particolarità dell’associazione mafiosa, in quanto impresa, sta nel fatto che opera, anche mediante accorte strategie di mimetizzazione, contemporaneamente su due mercati, quello legale e quello criminale, favorendo, tra questi due mercati,una costante circolazione dei flussi finanziari; ne consegue l’assenza, in talune situazioni, di confini chiari e definiti tra affari leciti e illeciti, tra finanza pulita e finanza sporca. 1
Forte è la tendenza allo sviluppo di processi di finanziarizzazione, per il bisogno di investire nell’economia lecita i capitali accumulati in modo illegale, nascondendoli nei mercati finanziari per renderli anonimi e quindi meno suscettibili di rischi di confisca. Sul mercato legale tende a privilegiare quei settori di attività che consentono un’elevata redditività di capitale, o consentono l’acquisizione o il drenaggio di denaro pubblico. È per questi motivi che l’associazione mafiosa sta assumendo sempre più una connotazione imprenditoriale, avendo a che fare con vere e proprie imprese caratterizzate dall’appartenenza, in via esclusiva o in forma societaria, a esponenti di organizzazioni mafiose, sfruttando la vulnerabilità economica originaria.
Tale appropriazione societaria ha interessato anche le regioni del nord-est e tra queste in particolare il Veneto stante la propensione, da parte di frange imprenditoriali, all’accoglienza e alla ricettività di risorse finanziarie illecite, conseguenti alla valutata convenienza offerta dalla grande disponibilità di liquidità, in periodi di difficoltà nell’accesso al credito; fenomeno, questo, coinvolgente in particolare piccole e medie imprese, che ha assunto una particolare dimensione a effetto della pandemia.
Riguarda specificamente l’ambito veneto il periodico approfondimento che il gruppo di ricerca dell’Università di Padova, coordinato dal prof. Antonio Parbonetti, svolge sulla penetrazione della criminalità organizzata nella vita economica regionale. È del marzo di quest’anno la presentazione pubblica 2 di alcuni dati elaborati da questo gruppo di ricercatori, dati che indicano nella percentuale del 6-7% di società di capitali (corrispondente a circa 8mila aziende, metà delle quali con sede nel nord Italia), legate in qualche modo a una persona coinvolta in un’inchiesta di mafia. Tale entità pare comunque sottostimata perché vi sono società che, nonostante l’obbligo, non presentano il bilancio, così pure non vi è riferimento alle ditte individuali che a codesto obbligo non sono tenute.
Le aziende che risultano maggiormente coinvolte dall’azione mafiosa, secondo il gruppo di ricerca, sono quelle operanti nell’edilizia (29,6%), nelle attività immobiliari (14,8%), nel commercio (14,3%), nelle attività manufatturiere (11,6%), nelle attività professionali (7,4%) e le società di servizi di acqua e rifiuti, le quali, pur rappresentando il 3,7% delle aziende “infiltrate”, concentrano ben il 26,7% di liquidità totale e, allo stesso tempo, risultano le aziende con più debiti (30,6%). Non è da meno l’edilizia, che rappresenta quasi tre aziende coinvolte su dieci, e che concentra il 22,1% del totale della liquidità, rappresentando anche il secondo settore per debiti in Veneto (30,4%).
In sintonia con quanto evidenziato dal rapporto della Banca d’Italia, di dicembre 2021, dal titolo: “La criminalità organizzata in Italia: un’analisi economica”, pure i ricercatori dell’Università patavina affermano che l’infiltrazione mafiosa inquina gravemente l’economia, inquina la regolare dinamica dei rapporti economico/produttivi, e alimenta l’evasione fiscale.
Tutto ciò fa intendere che i fenomeni criminali sembrano seguire lo sviluppo economico e sociale dell’attuale società, privilegiando i territori caratterizzati da un prodotto interno lordo pro capite più elevato, dando evidenza alla grande capacità delle organizzazioni criminali di adattarsi rapidamente ai diversi contesti socioeconomici entro i quali intendono agire, magari utilizzando la complicità di operatori bancari e finanziari per i rispettivi investimenti.
L’impresa mafiosa, dunque, oltre a essere uno dei principali canali del riciclaggio, è anche e soprattutto un’attività economica nel cui patrimonio aziendale rientrano, quali componenti anomale dell’avviamento o del consolidamento, la forza di intimidazione dell’associazione criminale, l’instaurazione di processi di clientelizzazione del consenso, la condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva, coinvolgente non solo i diretti interessati all’avvenimento criminoso, ma spesso i medesimi contesti sociali di prossimità.
Tutto questo dà evidenza alla considerazione che l’economia criminale, là dove agisce, diviene ostacolo al regolare sviluppo socioeconomico perché costituisce una fenditura nell’economia legale, alimentando un circuito alternativo, che tende a consolidare modalità non ottimali di funzionamento deimercati legali.


4. Fonti di conoscenza e informazione

Le fonti di conoscenza di questa realtà sono costituite dalle acquisizioni delle indagini di polizia giudiziaria e dei processi istruiti e definiti dai magistrati, dalle inchieste giornalistiche e dagli studi storici e sociologici. A questa diversa tipologia di fonti appartengono gli scritti di questo numero di Esodo.

Il colloquio con il magistrato Roberto Terzo trae origine dallo svolgimento, in questi mesi, davanti al Tribunale di Venezia, del troncone principale del processo per le infiltrazioni mafiose a Eraclea; un’altra parte del processo,conseguente alla scelta del giudizio abbreviato di alcuni imputati, si è già conclusa anche in appello, sentenza dello scorso 28 gennaio, con la condannaper associazione di tipo mafioso. Roberto Terzo, all’interno di un quadrocomplessivo della presenza criminale nel Veneto, descrive il modo con cui l’organizzazione mafiosa si propone agli imprenditori in difficoltà economica, e riesce alla fine a impossessarsi delle imprese con danni al corretto funzionamento della vita economica e dell’intera società.
Accanto alla subdola infiltrazione nel tessuto economico produttivo, le organizzazioni mafiose storiche – camorra, cosa nostra, ‘ndrangheta – gestiscono, anche in territori diversi da quelli di origine, attività palesemente criminose come quelle connesse al ciclo dei rifiuti 3 , alla filiera agro-alimentare, alle estorsioni, all’usura.
Altre associazioni malavitose di più recente costituzione, alcune di origine straniera (con gruppi strutturati di matrice etnica o multietnica), dedite al traffico di stupefacenti, al gioco d’azzardo clandestino, alla tratta di esseri umani sono presenti anche in diverse zone del Nord Est italiano. Esse sono state definite in alcuni processi come associazioni di tipo mafioso, operando esse secondo metodi sostanzialmente simili.


5. Il fenomeno mafioso in Veneto

Presenze e attività significative di organizzazioni mafiose nel Veneto erano state rilevate negli anni precedenti da altre indagini e da altri processi, tanto da poter affermare che, fin dagli anni ‘90, esponenti delle organizzazioni mafiose erano operativi. Richiamiamo di seguito alcune vicende significative.
Vi sono stati più casi di importanti capi mafiosi latitanti che erano ospitati e protetti nel territorio veneto. Come il camorrista Vincenzo Pernice, arrestato in Portogruaro il 15 gennaio 2005, considerato il cassiere del clan Licciardi, ospitato da un imprenditore, che era risultato essere in buoni rapporti con i familiari di Pietro Licciardi, capo dell’omonimo clan camorrista, detenuto presso il carcere di massima sicurezza di Tolmezzo.E come i fratelli Graviano, mafiosi di Corleone, indagati e condannati per le stragi del 1993, ospitati in Abano Terme da un imprenditore locale, condannato nel 2005 dal Tribunale di Padova per favoreggiamento.
Altri indagini e processi hanno portato alla luce le attività illecite dei gruppi mafiosi nel Veneto. Come il riciclaggio dei profitti illeciti del clan camorrista Licciardi, operato dai veronesi Cardo Ciro e Bossis Elvira, nei cui confronti il Tribunale di Verona, con un provvedimento del 2007, ha applicato la misura di prevenzione personale e patrimoniale con sequestro di beni del valore di oltre due milioni di euro. O le attività di recupero violento di crediti e usura, svolta dal c.d. Gruppo Crisci, facente capo al clan camorristico dei casalesi, operante nel Veneto, sotto la copertura della società di recupero crediti Aspide Srl con sede principale in Padova. Il Tribunale di Padova con sentenza del 6 marzo 2013, confermata dalla Corte d’Appello di Venezia il 22 febbraio 2014, ha condannato i componenti del gruppo per associazione di tipo mafioso, oltre che per estorsione e usura. Dalle sentenze risulta come i mafiosi, tramite l’usura, costringessero gli imprenditori vittime alla cessione delle attività economiche; 135 erano gli imprenditori vittime dell’usura, 100 le società estorte.
Frequente è risultato essere l’utilizzo delle società infiltrate o estorte per la produzione di fatture per operazioni inesistenti, strumento per occultare il riciclaggio oltre che per l’evasione fiscale. Un’indagine del 2017 ha svelato l’operatività, nelle provincie di Padova e Verona, di un gruppo criminale, facente capo alla cosca ‘ndranghetista Giglio di Strongoli, dedito all’emissione dì fatture per operazioni inesistenti, al riciclaggio, oltre che al traffico di stupefacenti, a dimostrazione del fatto che i gruppi ‘ndranghetisti non dimenticano la propria attività di base. Da una successiva indagine del 2019 è risultato che, ancora nella provincia di Verona, operava un gruppo che faceva riferimentoalla ‘ndrangheta cutrese ed era dedito a estorsioni, frodi e riciclaggio.

6. La c.d. mafia del Brenta
Nel Veneto è esistita e ha operato anche un’associazione criminale autoctona, non derivata dalle mafie di origine meridionale, la c.d. mafia del Brenta, guidata da Felice Maniero e attiva negli anni ‘80 e ‘90. Di questo gruppo criminale, definito mafioso secondo l’art. 416 bis codice penale da più sentenze definitive, traccia una descrizione Paola Mossa, Procuratrice Aggiunta presso il Tribunale di Venezia, che ha coordinato le indagini e sostenutol’accusa nei più recenti processi contro i componenti di questo sodalizio. È doveroso ricordare che il primo magistrato veneziano a occuparsi di Manieroe associati fu Francesco Saverio Pavone che, come Giudice Istruttore, istruì negli anni ‘90 il primo processo, contestando agli imputati l’associazione di tipo mafioso e rinviandoli a giudizio con tale accusa. E va ricordato anche che, a seguito del rinvio a giudizio, la prima sentenza di condanna inflitta ai componenti dell’associazione di Maniero per questo delitto, è stata pronunciata nel 1994 dal Tribunale di Venezia presieduto da Graziana Campanato.


7. La mafia in Emilia-Romagna
Una regione in cui la presenza mafiosa si è rivelata particolarmente pervasiva è l’Emilia Romagna. Nel suo scritto, Francesco Caruso, magistrato che ha presieduto il Tribunale di Reggio Emilia nel processo Aemilia, e redatto la sentenza di condanna, descrive lo svolgimento del processo e spiega le modalità con cui l’organizzazione mafiosa, nel caso specifico la ‘ndrangheta, abbia progressivamente assunto il dominio di settori economici della società emiliana. Il metodo di operare, come risulta dalla lettura, è sostanzialmente quello evidenziato da Roberto Terzo nella sua intervista sulla presenza mafiosa nel territorio veneto.

8. La cultura dell’organizzazione mafiosa
Come tutte le organizzazioni, anche quella mafiosa è sostenuta da unaparticolare “cultura”, comprendente il sistema dei significati qualificanti la “vita organizzativa” e il comportamento degli affiliati, e quindi i simboli – anche religiosi, il vocabolario, i rituali, l’immagine dell’organizzazione eventualmente da dare agli interlocutori esterni. Va da sé che l’insieme di questi elementi è caratterizzato dalla particolare “ideologia mafiosa” che, vincolando gli affiliati, sostiene il funzionamento organizzativo proiettato al raggiungimento degli obiettivi in precedenza individuati. Tuttavia, questa cultura sembra caratterizzare l’organizzazione soprattutto nei territori in cui la mafia ha avuto origine ed è radicata. Invece, c’è un ulteriore elemento di cui l’impresa mafiosa necessita per l’esercizio del suo potere, quando avvia la sua presenza in un determinato territorio, anche al di fuori di quello di origine. Si tratta del riconoscimento e del consenso di quella parte, più o meno ampia, di popolazione con cui, con varia modalità e intensità, entra in relazione. 4
È evidente che situazioni di scarso senso civico, di clientela politica, di limitata coscienza della legalità, di mancanza di azioni di contrasto da parte delle varie istituzioni, non possono che favorire l’insediamento e la diffusione di aggregazioni mafiose, le quali, dosando favori o minacce, favoriscono a più livelli il consolidarsi di una pratica dell’illegalità più o meno mascherata e, con questa, la diffusione di comportamenti omertosi; situazione questa che pare aggravata dalla crisi generata dall’emergenza COVID-19. 5
Non è quindi casuale quanto riportato nelle conclusioni del Rapporto della Direzione Investigativa Antimafia (DIA), relativo al primo semestre 2021, presentato al Parlamento, in cui si afferma come “Le più recenti attività info-investigative confermano, peraltro, come le organizzazioni criminali di tipo mafioso nel loro incessante processo di adattamento alla mutevolezza dei contesti, facciano ricorso sempre più residuale all’uso della violenza con linee d’azione di silente penetrazione nel mondo imprenditoriale e produttivo e quindi di mimetizzazione nel tessuto economico e sociale” e questo “anche grazie a forme di connivenza con professionisti estranei a contesti criminali. Si tratta di “relazioni” con imprenditori ovvero con professionisti e funzionari infedeli che, con il loro attivo supporto, possono agevolare l’ascesa delle consorterie nei mercati finanziari ed economici”, così come dichiarato dalla DIA nel Rapporto relativo al secondo semestre 2021.

Category: Dibattiti

About Redazione: Alla Redazione operativa e a quella allargata di Inchiesta partecipano: Mario Agostinelli, Bruno Amoroso, Laura Balbo, Luciano Berselli, Eloisa Betti, Roberto Bianco, Franca Bimbi, Loris Campetti, Saveria Capecchi, Simonetta Capecchi, Vittorio Capecchi, Carla Caprioli, Sergio Caserta, Tommaso Cerusici, Francesco Ciafaloni, Alberto Cini, Barbara Cologna, Laura Corradi, Chiara Cretella, Amina Crisma, Aulo Crisma, Roberto Dall'Olio, Vilmo Ferri, Barbara Floridia, Maria Fogliaro, Andrea Gallina, Massimiliano Geraci, Ivan Franceschini, Franco di Giangirolamo, Bruno Giorgini, Bruno Maggi, Maurizio Matteuzzi, Donata Meneghelli, Marina Montella, Giovanni Mottura, Oliva Novello, Riccardo Petrella, Gabriele Polo, Enrico Pugliese, Emilio Rebecchi, Enrico Rebeggiani, Tiziano Rinaldini, Nello Rubattu, Gino Rubini, Gianni Scaltriti, Maurizio Scarpari, Angiolo Tavanti, Marco Trotta, Gian Luca Valentini, Luigi Zanolio.

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