Davide De Martini: Per una critica nonviolenta all’educazione coercitiva

| 13 Dicembre 2022 | Comments (0)

*

Per una critica nonviolenta all’educazione coercitiva

Se al lettore capiterà di tenere per le mani un qualsiasi manuale di storia della pedagogia – quelli, per capirci, che cercano gli antecedenti della scuola moderna presso i Greci antichi: e non si capisce perché tutto debba sempre iniziare coll’antica Grecia – e di sfogliarlo distrattamente, invito a cercare il nome di Lev Tolstoj, il grande romanziere. È probabile che troverà citato il suo esperimento scolastico, la libera scuola di Jasnaja Poljana, definito frettolosamente come “il più radicale del suo secolo” e subito sbrigativamente liquidato. In effetti è facile constatare come Tolstoj abbia contribuito poco o nulla allo sviluppo delle scienze pedagogiche, quanto poco e male fu discusso, e come fu di fatto sostanzialmente ignorato (in Italia parte dei suoi scritti pedagogici sono stati editi soltanto a metà degli anni Settanta del Novecento, e non più ripubblicati se non di recente ma in edizione ancor più stringata: a cura di Goffredo Fofi, edizioni e/o, 2020, dal titolo Per una scuola viva, per una scuola vera). Ciò potrebbe stupire, se si constata al contrario come il tolstoismo sia stata una corrente filosofica, di cultura e di pensiero tanto possente da aver influenzato praticamente ogni cosa abbia toccato: basti pensare all’odierno pacifismo, che non prescinde da Tolstoj e quindi dal Mahatma Gandhi, che ne trasse ispirazione per delineare la teoria della nonviolenza. Il mistero di questa strana disattenzione si scioglie nel leggere direttamente le pagine di Tolstoj, perché quello che sarebbe stato il suo contributo alla nascente pedagogia consiste nel tentativo di minarne alle fondamenta le basi teoriche, con la penna e con la prassi, e di metterne in discussione lo statuto epistemologico. Con le sue parole:

“Non solo non riconosciamo alla nostra generazione il sapere, e nemmeno il diritto di sapere ciò che è necessario per il perfezionamento di un uomo, ma siamo convinti che qualora l’umanità possedesse questo sapere, non potrebbe arrogarsi il diritto di trasmetterlo o meno alla giovane generazione.”

E insiste, se la cosa non fosse chiara:

“L’educazione concepita come uno strumento per conformare gli uomini a modelli prestabiliti è sterile, illegittima e impraticabile. Qui mi limiterò ad affrontare un solo punto. Il diritto a educare non esiste. Io non lo riconosco, così come non lo riconosce e non lo riconoscerà mai ogni nuova generazione che avanza e che sempre e ovunque si ribella all’educazione coercitiva. Come potreste mai dimostrare la legittimità di questo diritto? […] Io chiedo ai miei futuri critici di non sfumare le mie conclusioni: o io sto dicendo delle cose sbagliate oppure si sbaglia tutta la pedagogia, non ci può essere una via di mezzo. E così, fintanto che non sarà dimostrato il diritto ad educare, negherò che questo diritto esista.”

Non stupisca che Tolstoj abbia fondato su queste premesse una scuola. Una scuola non coercitiva, la libera scuola per i figli dei contadini di Jasnaja Poljana, istituita nel 1859 presso un’ala della sua casa, a trecento chilometri da Mosca. Fu il primo esempio di scuola antiautoritaria, una scuola che “non deve interferire con l’educazione”, ovvero nella formazione delle credenze, delle opinioni e del carattere di chi viene istruito: al modo “della galleria, del teatro, della biblioteca, del museo, della conversazione”. All’ingresso della scuola era affisso un cartello: “entra ed esci liberamente”. Non esisteva disciplina, cattedra, lavagna; i ragazzi erano liberi di scegliere i propri maestri, di seguire o meno le lezioni, di studiare quello che volevano per il tempo che volevano, oppure tornarsene a casa propria. I risultati, a detta di Tolstoj, furono “stupefacenti”: alcuni bimbi imparano a scrivere talmente bene da far dubitare lo scrittore delle sue effettive capacità artistiche, gettandolo in nera prostrazione per qualche tempo. Tolstoj, a cavallo degli anni Sessanta dell’Ottocento, dedica tutto se stesso all’insegnamento e interrompe l’attività letteraria, litigando coi familiari che osteggiano la scelta. Viaggia in Europa per conoscere i sistemi scolastici coercitivi, ovvero quelli prussiano e francese a frequenza obbligatoria per il popolo: ne trae un pessimo giudizio, argomentando in modo incredibilmente simile a come farà il descolarizzatore Ivan Illich esattamente un secolo dopo. Tolstoj ha in mente un sistema scolastico non coercitivo da estendersi a tutta la Russia, opposto a quello che lui chiama “tedesco”, che è coercitivo (che ai giorni nostri è la “Scuola” per antonomasia). Insiste presso il Ministro dell’Istruzione; fonda un numero imprecisato di scuole su modello antiautoritario: impossibile contarle, molte di esse sono di carattere informale e privato. Il Comitato moscovita per l’alfabetizzazione procede ad un esperimento pubblico istituendo due classi con metodo tolstoiano: i risultati sono “soddisfacenti ma non probanti”. Nel giro di poco più di un anno l’intera nobiltà russa è a conoscenza delle balzane idee del conte Tolstoj sull’educazione popolare, e ne è tanto contrariata da sollecitare l’attenzione delle pubbliche autorità. La casa dello scrittore viene perquisita e messa sottosopra alla ricerca di materiali compromettenti (l’accusa è quella di “nichilismo”), così come la scuola. Tolstoj è avvilito; pensa addirittura di emigrare. A ottobre del 1862 annota nel suo diario: “Ho deciso di mettere fine alla rivista e anche alla scuola”, che di fatto viene chiusa dalla polizia. Torna all’attività artistica: pochi anni dopo avrà iniziato e concluso quel monumento della letteratura mondiale che porta il titolo di Guerra e Pace. Nel giro di pochi decenni, tra gli anni ’70 e i ’90 dell’Ottocento, la scuola “tedesca” – ovvero la scuola di Stato a frequenza obbligatoria, che è istruzione coatta per classe di età, propedeutica all’obbligo di leva e alla coscrizione militare di tipo prussiano – sarà istituita in Russia, Inghilterra, nel resto d’Europa e Stati Uniti; di lì al resto del mondo. Il destino della “scuola tedesca” sarà simile a quello di molte altre invenzioni, tecnologie ed istituzioni nate in ambito militare o in reazione a fermenti rivoluzionari: quello di circondarsi di un’aura pseudo-utopica di neutrale efficienza, di organizzazione e di progresso anche presso coloro contro i quali erano inizialmente rivolte. La “scuola tedesca” diverrà in breve l’odierno rituale globale della scolarizzazione di massa, trasformando (e uniformando) lingue, culture e coscienze. Arriverà ben presto pure in Italia, come sappiamo, o per meglio dire assieme all’Italia: le camicie rosse al seguito di Garibaldi e del Nino Bixio, giunti in terra siciliana, annunciavano: “Noi vi daremo le scuole”. “E la terra?”, rispondevano i cafoni siciliani. “Ce la darete, la terra? Quella dei baroni e dei preti?” “No, quella no”.

Dell’esperienza della scuola di Jasnaja Poljana ci rimane poco. Qualche foto sbiadita, qualche ricordo di vecchi allievi, e gli appunti stesi da Tolstoj stesso: raccolti nei pochi numeri della rivista omonima “Jasnaja Poljana”, ovvero il lavoro teorico che affiancava la prassi educativa. Eppure, queste poche cose bastano: sono sufficienti a formulare, alla distanza siderale di cento e sessant’anni, una manciata di domande cruciali. Ad esempio: è possibile trarre dal pensiero nonviolento una critica radicale alla scolarizzazione di massa? Soprattutto: non è che l’intera scienza pedagogica muove da dati falsati? Tratti da individui costretti con la forza, con le buone e con le cattive, alla lezione, al banco e all’insegnante? E quando dico con la forza intendo con l’inganno, col ricatto, con la falsificazione intellettuale, con la manipolazione psicologica. Tolstoj, che da un punto di vista etico nega rigorosamente il ricorso a qualsivoglia utilizzo della forza, della violenza e della coercizione nei confronti dell’individuo (e i bambini non sono così alieni o così diversi da giustificare l’eccezione), suggerisce che l’unica “scienza” pedagogica che si potrebbe edificare sarebbe un’“arte di governo” di tipo coloniale: la colonizzazione della classe sociale inferiore da parte di quella superiore. Che cosa sarebbe stata la Rivoluzione russa se quella tolstoiana non fosse stata una rivoluzione culturale soltanto sfiorata? Se Lenin non fosse stato convinto della “immaturità dell’atteggiamento utopico, della ineducazione politica e della scarsa consistenza rivoluzionaria” del conte Lev Tolstoj? Muovendo da queste domande, si potrebbe giungere a luoghi inaspettati. Anzitutto, al sospetto che l’intima struttura della scuola moderna, la sua impalcatura sottesa, la sua genealogia reazionaria e militarista, vanifichi ogni buona intenzione di “riformarla”, “democratizzarla”, “rinnovarla” e via dicendo. Poi, si potrebbe giungere a una rivoluzione paradigmatica della pedagogia: sciogliere il voto matrimoniale tra educazione e coercizione, che sancisce la nascita della pedagogia come scienza, disaccoppiando i due termini nel momento dell’osservazione del fatto pedagogico. (Ipotesi: la pedagogia come scienza non concerne l’educazione soltanto, ma il binomio educazione – coercizione laddove il secondo termine sia occultato. La scienza pedagogica è essa stessa il dispositivo ideologico di occultamento della coercizione imposta all’educazione. È quel dispositivo che permette a Dewey – che è pedagogista valente e progressista – di invitare gli insegnanti a considerare l’areazione dei locali scolastici come fattore che possa incidere sui risultati scolastici degli studenti. Ma in luogo di aprire le finestre, bastava suggerire di aprire le porte dell’aula e consentire agli studenti di andarsene liberamente altrove).

Tolstoj non obbligò mai i suoi giovani allievi alla frequenza né della scuola né delle lezioni. Ne conseguì che i bambini e i ragazzi si affollassero con entusiasmo presso gli insegnanti più bravi e le lezioni più appassionanti – la lettura di racconti riscuoteva il successo maggiore – e disertassero le meno interessanti. In particolare le lezioni di storia e geografia andavano sempre deserte. Dopo qualche anno, e dopo averle provate tutte, scrive: “Non solo non vedo la necessità, ma vedo il grave danno che provoca l’insegnamento della storia e della geografia prima dell’università. Oltre non so”. Osservazione che pare superficiale o frettolosa, ma che invece è ancorata ai fatti osservati in un contesto felicemente libero e privo di condizionamenti. Quanti errori gravi e grossolani potrebbe evitare un insegnante se i suoi studenti – col semplice gesto di andarsene – gli dessero la possibilità di accorgersene? Ecco il senso dell’auspicabile riscoperta del Tolstoj educatore, che invita a pacificare il rapporto tra le vecchie e le nuove generazioni: perché, per parafrasare Voltaire, la nostra scuola non è la migliore delle scuole possibili. E come ha detto bene Guido Morselli in Contro-passato prossimo, “troppo spesso ciò che colpisce, del non-accaduto, è la sua ovvietà, l’urgenza con cui la data situazione lo reclamava. Il paradosso sta dalla parte dell’accaduto”.

Forse soltanto tra cento anni la mia idea, che io esprimo ora in maniera poco chiara, goffa e non persuasiva, sarà condivisa da tutti; solo fra cento anni cadranno in disuso tutte le istituzioni fatte e finite: la scuola, il ginnasio, le università; e sorgeranno scuole spontanee, che avranno come base la libertà delle generazioni di studenti.

[Tutte le citazioni sono tratte da: Lev Tolstoj, Quale scuola? La nascita della pedagogia antiautoritaria nell’esperimento di Jasnaja Poljana, Emme Edizioni, Milano 1975]

Category: Scuola e Università

About Davide De Martini: Davide De Martini Davide De Martini è nato a Padova. Ha studiato all’Università degli Studi di Padova conseguendo nel 2015 la laurea in Filologia Moderna con una tesi dal titolo L'immaginazione sovversiva. Apocalissi, cataclismi e rivolte in Porta, Morselli, Bianciardi. Si occupa di pedagogia ed educazione. Ha insegnato presso la Scuola di Titù di Treviso, è educatore libertario e docente di materie letterarie nella scuola media. Attualmente collabora nell’organizzazione del movimento Fridays for Future Italia.

Leave a Reply




If you want a picture to show with your comment, go get a Gravatar.