Marcello Buttazzo, Roberta Barbieri: Monet cieco. Poesie di Roberto Dall’Olio

| 28 Ottobre 2021 | Comments (0)
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Marcello Buttazzo: Prefazione
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Poesia che danza con passi soavi, can-ta la vita e tratteggia arabeschi di sole. Poesia d’amore, in senso lato, allargato. Di quell’amore che scuote le membra, percuote il tamburo, batte il tempo. Amore che pervade e carezza le parole, entra nel connettivo delle ossa. E non ti lascia. Amore indefinito e marcatamente caratterizzato, che come un’onda leggera si muove. E traversa il giorno, la sera, la notte. Amore per la vita. La vita che diventa infinita, pur nella sua limitata accezione terrena. La vita che scor-re, fluisce, e porta in dono l’ebbrezza del canto.
Questa raccolta di versi di Roberto Dall’Olio, Monet cieco, procede con un passo musicale accentuato, sostenuto. Il lirismo è la cifra inerente, costitutiva e portante, di questo apprezzato poeta bolognese, che impiega la sua lira come un medium conoscitivo. La musica nel-le parole, negli abbracci fra i versi. La musica nel pensiero, che è lineare, pri-vo di qualsiasi ampolloso barocchismo e senza orpelli ridondanti. I suoi versi si succedono come il canto delle centomila sirene, limpidi e caldi come un mare adamantino del Sud.
I suoi versi sono d’una purezza assoluta. Hanno l’essenzialità e la bontà fotografica delle poesie di Penna. Dall’Olio ripercorre anni e anni di tradizione moderna, fa sua la lezione dei grandi poeti lirici del Novecento. Come Alfonso Gatto, Dall’Olio s’abbandona consapevolmente ad un’esaltazio-ne di lirismo cromatico, laddove i colori diventano una tavolozza d’anima e di sentimento. Di Sandro Penna, il Nostro ha assimilato l’essenzialità del verso e la precisione fotografica. Di Bertolucci, Dall’Olio ama l’inclinazione ad indugiare nella descrizione paesaggistica. Il respiro emiliano, che tanto lo accora. Di Giorgio Caproni, Dall’Olio riconosce la precisione certosina nell’incedere. E anche le donne del Nostro sanno aprire riviere. Monet cieco è una raccolta davvero originale, laddove l’esplosione di colori è un lampo diffuso, vivo e vivido. Il grande pittore Monet, verosimilmente, ad un certo punto della sua esistenza, fu colpito da una parziale cecità. Ma Dall’Olio fa vibrare sul suo caleidoscopio d’anima un tripudio di colori, che rallegrano il canto. In certi punti, la terra emiliana furoreggia fra i faggi rosseggianti.
In altri passaggi, s’avverte la musicalità costante e dirompente: “novembre / Rubino / Rosso / Rubizzo / Un guizzo / Di Primavera / Dei suoi morti / Colori / In breve risorti”. Il lirismo di Dall’Olio è delicato ed è l’aspetto più rilevante: “Più che viola / È il vio-letto / Che compare /In un trafiletto / Del cielo del mattino”.
La protagonista predominante di Monet cieco è una musa vestita di nero, fascinosa. Se Monet è cieco, perché non vede il nero e non lo ama, c’è da dire che Dall’Olio invoglia il maestro pittore, cercatore di luce, a non aver pregiudizi sul nero. La musa di nero vestita sa parlare di sogni, d’amore, sa catturare le stelle con i suoi occhi. Lei è rosa nera e rosa gialla nei giardini del poeta. Così rara, che sa pungere la follia dei destini. È adornata di nero, la musa prediletta, ma è anche arancio, rosso, blu, azzurro, una nevicata di sorrisi. Lei sa aprire valichi, sa preconizzare il futuro. La musa è stupore, meraviglia, è rosso che ribrilla. È rosa bianca, sposa del cielo. Monet cieco è un canto di bellezza, che sa alleviare la malinconia del tempo. È una silloge da leggere, per addentrarci nelle pieghe d’un’anima innamorata. È una raccolta da meditare, perché la poesia è condivisione.
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Roberta Barbieri: Postfazione
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Monet Cieco è un’opera meravigliosa, un’opera tra artisti: da una parte il pittore con lo spessore del suo talento e dello sguardo, dall’altra il poeta che lo stuzzica, lo rimescola, lo gira come un calzino.Nei testi ci sono i grandi temi della vita e dell’arte, ci sono colori e odori, e liquori.
Leggo due brevi frammenti tratti da due pagine tra loro lontane:
“Monet è cieco / Ha le persiane abbassate / Cosa sia il blu / Purtroppo / Non lo sa più” e “L’orto dei mandarini / Con le zagare / Dei tuoi maglioni / Ha il colore dell’utopia”. Penso alla profondità del gioco che il poeta conduce con le parole.
Ha invitato a giocare con lui il pittore con i suoi colori ormai ciechi e in sua presenza legge il mondo per lui e per sé e intanto attinge alla tavolozza: colore dopo colore lo incalza sui temi della natura, della storia e dell’amore, sul ruolo dell’artista (“Io sono / Resto / E voglio rimanere / Un marginale /Quanta vita / Nei margini / Delle pa-gine / del mondo”). A tratti ci spiega il suo Monet, ne legge le opere e il dietro le quinte, a tratti rivela il pittore a se stesso, come se Monet potesse attinge-re da lui in questo tempo tasselli di sé di cui non ha maturato la consapevolez-za nel tempo che ha vissuto.
In questo itinerario a schema libero si passa dal paesaggio emiliano a scampoli di territorio europeo e poi di nuovo italiano, con lo sguardo attento al mondo di fuori e al mondo interiore di entrambi. Ogni tinta è una stazione del viaggio, ha una sua concretezza e fa bella figura di sé col suo significato letterale, ha il suo posto nella natura. Poi però prende slancio, acquista un valore simbolico, diventa fenomenologia della componente speculativa della pittura e di ogni arte. Il viola. Il bianco. Il nero. Il marrone “inimitabile” e tutti gli altri. Sono lenti indossate che colorano i sensi riposti del mondo, ora portati allo scoperto, ora forgiati con sguardo creativo e con parole che sono “esplosi lapilli”.
Il viola, ad esempio, colore di luce e colore della notte: “Il viola / Esce dalle fauci della notte / In un vicoletto / Poco illuminato / Bussa alla tua porta”; “Più che il viola / È il violetto / Che compare / In un trafiletto / Del cielo del mattino / Innerva le nuvole / Spargendo guance di rosa / Sui colori appena nati”.Ancora, è il colore della sciarpa-amuleto che la Donna-ninfea indossa e che la avvince a un prugno fiorito. Forse, come a Liuba, la sciarpa che scende dal “collo slanciato” fino alla “parole bian-che” della pianta porterà la salvezza op-pure un avvio di riscatto.
Forse, come a Ermione, permetterà di fondersi nella natura come accadde in un tempo fuori dal tempo a Dafne.“Pensa che il viola / Chiama la rabbia / La sfortuna / Le chiese addobbate ai morti / Ancora più brutto / Del nero / Dei gatti neri / Delle streghe / Della magia malvagia / Per noi è poesia / La bellezza che mai annoia”.
Cosa aggiungere a tanta forza, a tanta libertà di sguardo? Forse le parole di un altro artista: un pittore, fotografo e poeta ferrarese, Marco Tessaro, che nel 1991 ha scattato immagini bellissime e le ha esposte in una mostra successiva di cui ho tra le mani il catalogo. Si chiama “Fotografando la mia tavolozza”. Lo sfoglio e trovo riprodotto un universo di colori ora sgargianti ora tenui tenuti in simbiosi dalla tavolozza dell’artista.
Prima e dopo la rassegna delle immagini leggo due citazioni. Mi esplodono anche queste come “lapilli” davanti agli occhi. La prima: ”L’artista è un adulto che sa giocare”. Quella finale: ”Ho deciso di fotografare la mia tavolozza perché le composizioni astratte che un po’ alla volta si formano su di essa, per metà casualmente e per metà controllate, possiate vedere anche voi”.

Ora Monet non è più cieco.

Category: Arte e Poesia, Culture e Religioni, Libri e librerie, Osservatorio Europa, Osservatorio internazionale

About Vittorio Capecchi: Vittorio Capecchi (1938) è professore emerito dell’Università di Bologna. Laureatosi in Economia nel 1961 all’Università Bocconi di Milano con una tesi sperimentale dedicata a “I processi stocastici markoviani per studiare la mobilità sociale”, fu segnalato e ammesso al seminario coordinato da Lazarsfeld (sociologo ebreo viennese, direttore del Bureau of Applied Social Research all'interno del Dipartimento di Sociologia della Columbia University di New York) tenuto a Gosing dal 3 al 27 luglio 1962. Nel 1975 è diventato professore ordinario di Sociologia nella Facoltà di Scienze della Formazione dell'Università di Bologna. Negli ultimi anni ha diretto il Master “Tecnologie per la qualità della vita” dell’Università di Bologna, facendo ricerche comparate in Cina e Vietnam. Gli anni '60 a New York hanno significato per Capecchi non solo i rapporti con Lazarsfeld e la sociologia matematica, ma anche i rapporti con la radical sociology e la Montly Review, che si concretizzarono, nel 1970, in una presa di posizione radicale sulla metodologia sociologica [si veda a questo proposito Il ruolo del sociologo (a cura di P. Rossi), Il Mulino, 1972], e con la decisione di diventare direttore responsabile dell'Ufficio studi della Federazione Lavoratori Metalmeccanici (FLM), carica che manterrà fino allo scioglimento della FLM. La sua lunga e poliedrica storia intellettuale è comunque segnata da due costanti e fondamentali interessi, quello per le discipline economiche e sociali e quello per la matematica, passioni queste che si sono tradotte nella fondazione e direzione di due riviste tuttora attive: «Quality and Quantity» (rivista di modelli matematici fondata nel 1966) e «Inchiesta» (fondata nel 1971, alla quale si è aggiunta più di recente la sua versione online). Tra i suoi ultimi libri: La responsabilità sociale dell'impresa (Carocci, 2005), Valori e competizione (curato insieme a D. Bellotti, Il Mulino, 2007), Applications of Mathematics in Models, Artificial Neural Networks and Arts (con M. Buscema, P.Contucci, B. D'Amore, Springer, 2010).

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