Roberto Alvisi: Il robottino iCub che aiuta le persone anziane e che piace allo Spi-Cgil
Segnalo alle lettrici e lettori di Inchiestaonline.it (rubrica ” Ricerca e innovazione”) la comparsa di un piccolo Robot alto poco più di un metro, iCub che è stato ideato e progettato una decina di anni fa da un team di ricercatori dell’Istituto di Tecnologia di Genova con a capo l’ingegnere Giorgio Metta e il collega Giulio Sandini, responsabile del settore robotico . Il piccolo Robot ha convinto lo Spi-Cgil, l’organizzazione dei pensionati della Cgil che ha organizzato a Roma un convegno sul tema “Robot e vecchiaia” insieme agli studiosi dell’Istituto italiano di tecnologia di Genova. Tema del convegno: cosa si può fare per utilizzare le più recenti scoperte della scienza e della tecnologia per venire incontro agli anziani non autosufficienti.
Al centro dell’attenzione c’era il robottino iCub, che aveva destato l’attenzione dei dirigenti dello Spi-Cgil quando si erano recati a Genova a visitare l’Iit. Spiega il segretario generale Ivan Pedretti: «La tecnologia può avere davvero uno sviluppo “sociale” e può migliorare fattivamente la vita delle persone. L’esperienza del robot umanoide iCub ce lo sta già dimostrando, così come i tanti avanzamenti nel campo della stampa 3D applicata alla chirurgia o ai continui sviluppi nella domotica». In concreto iCub può supportare gli anziani in tutta una serie di operazioni semplici ma fondamentali per il loro benessere: ricordare orari e quantità delle terapie farmacologiche, assicurare le comunicazioni con i parenti, scaldare i pasti o anche solo preparare il caffè. In questo modo secondo lo Spi-Cgil il pensionato può rimanere a vivere nel suo habitat naturale e non è costretto a trasferirsi in un’ospizio o in una (costosa) casa di cura. Aggiunge infatti Pedretti: «Quello che auspichiamo non è soltanto una rivoluzione tecnologica ma un modo diverso di concepire l’assistenza e la sanità, rapportandole ai nuovi bisogni. Vuol dire investire sui presidi sanitari ma anche sulla robotica».
1. Nome e caratteristiche di iCub
Riporto da Focus.it le caratteristiche di iCub e i paragrafi successivi trascrivendone i brani più significativi. Il punto fondamentale è sintetizzato dalla rivista Focus: : “Se fa bene qualcosa, sorride. Se non capisce, storce il naso. Se gli viene chiesto di prendere un pupazzo, l’afferra… e, se sbaglia, al tentativo successivo si corregge fin quando ci riesce, perché è progettato per imparare.
Il suo nome, iCub, ha due fonti di ispirazione. La “i” viene da I, robot (“Io, robot”), la raccolta di racconti di fantascienza scritta da Isaac Asimov ormai più di 50 anni fa; “cub” deriva invece dal cucciolo (mancub) descritto da Rudyard Kipling nel suo Libro della Giungla.
Oggi iCub è già in grado di fare molte cose che fa un bambino.
Il cervello di iCub è costituito da 6 potenti computer a 4 e a 8 processori che, con un cavo, sono collegati alla testa del robot (all’interno della quale si trovano solo i chip necessari al controllo della macchina). Il cavo di collegamento fornisce anche l’alimentazione, ma limita le prestazioni del robot-bambino, perché per esempio gli impedisce di correre – un compito, tra l’altro, al momento al di sopra delle sue possibilità. Gli ingegneri stanno già considerando la possibilità di un sistema di alimentazione a batterie e un collegamento Wi-Fi per lo scambio di dati con l’esterno.
Nel mondo esistono robot più performanti di iCub su compiti specifici. Alcuni, per esempio, sanno correre o superare ostacoli impegnativi, altri possono afferrare gli oggetti con maggior precisione. iCub, però è il più completo di tutti e il più adatto a diventare un modello per lo studio della mente umana. Fino a poco tempo fa, gli occhi del robot erano costituiti da “semplici” telecamere. Oggi, invece, sono allo studio sensori ottici più avanzati, detti “neuromorfi” perché ispirati all’occhio umano. Un’altra particolarità di iCub è il fatto di essere un progetto open source, come il sistema operativo Linux. Ogni gruppo di ricerca che partecipa all’iniziativa può modificare iCub secondo le proprie esigenze, purché ne condivida i risultati con gli altri. Il piccolo androide, di cui a Genova esistono 3 esemplari, infatti, ha 25 di fratellini sparsi nel mondo. E il vantaggio, per i gruppi di ricerca che li usano, è evidente: il fatto di basare i differenti studi sullo stesso corpo meccanico permette di condividere più facilmente i risultati e quindi di progredire più velocemente nella ricerca.
Alcune ricadute tecnologiche e scientifiche: (a) In campo medico gli studi sul movimento degli arti del robot si possono applicare alla riabilitazione di persone che, per esempio a causa di un ictus, sono rimaste paralizzate: in un certo senso, si può dire che il robot impara i movimenti dall’uomo, per tornare a insegnarli all’uomo. Sono attive in tal senso alcune collaborazioni tra l’IIT e alcune strutture ospedaliere; (b) Gli scienziati di Genova sono convinti che un giorno i loro umanoidi potranno entrare nelle case delle persone, contando anche sul fatto che il prezzo di produzione può diminuire sensibilmente grazie alla produzione di massa. Si sta studiando la possibilità, per esempio, che i robot siano utilizzati per l’assistenza agli anziani: potrebbero controllare lo stato di salute, l’assunzione di medicine e fornire assistenza; (c) Non bisogna infine dimenticare il progetto originale, cioè il fatto che iCub sia usato come modello per le neuroscienze.
Ecco la sfida della società italiana iCub Facility dell’Istituto Italiano di Tecnologia (Iit) di Genova. Giorgio Metta, Direttore dell’azienda è stato intervistato dall’Ansa, ed ha dichiarato :” Abbiamo appena iniziato il progetto che tende a sviluppare tecnologie a basso costo, in teoria traducibile per fare dei robot prodotti da fabbricare in serie e in grado di entrare nelle nostre case. Oggi un robot costa circa 250.000 euro ed è naturalmente fuori da ogni mercato. Robot di questo tipo possono essere usati solo nei laboratori. Vorremmo arrivare ad un prodotto che non costi più di un’utilitaria, ossia sotto i 10.000 euro e se possibile anche meno». Per questo si stanno studiando nuovi materiali plastici da sostituire al metallo e si progettano componenti che sarà possibile produrre su larga scala”
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