Nello Rubattu: Buon otto marzo
La foto ha come titolo: “Romania nel Paese dei bimbi soli” perché si calcola che almeno 80.000 bambini (si fanno cifre di 400.000) siano i bambini lasciati in Romania da genitori che vanno fuori a lavorare. Una parte di loro è in orfanotrofi privati a pagamento come è raccontato nel libro “Orfani bianchi” di Antonio Manzini.
Dovevo prendere il treno delle ferrovie Nord che da Milano mi avrebbe portato a Varese. Erano quasi le sette del pomeriggio e a Milano d’inverno è già buio. Le ferrovie Nord, sono quelle che trasportano i pendolari: sporche, affollate e dimesse. In Italia è la norma. Il treno lo avevano appena annunciato con il solito ritardo di un quarto d’ora. L’unica cosa era sedersi e aspettare. Sicuramente il quarto d’ora, se tutto andava bene, sarebbe diventato “venti minuti”. Pazienza. Sempre meglio che raggiungere Varese in macchina sull’autostrada dei laghi. Un vero mortificio a certe ore. L’unica cosa che mi rimaneva da fare era leggere qualcosa. Poco male. Nel lungo sedile in cemento che poggiava sul muro, ero da solo. A quell’ora la gente non era molta. Quelli che prendevano i treni delle cinque e delle sei erano già partiti e quelli che invece andavano via verso le otto dovevano ancora arrivare. In quella mezz’ora le fermate della ferrovie Nord non sono mai affollate.
Non me n’ero accorto ma vicino a me si era seduta una ragazza: “Vuoi che ti faccia qualcosa?” mi sentii dire.
Mi sono girato a guardarla e ho capito che si trattava di una ragazzina. Ad occhio e croce forse arrivava ai diciotto anni: era magra come un chiodo e la pelle del suo viso aveva quell’opacità che solo la poca cura produce. Aveva una specie di minigonna sul viola o lilla e un paio di calze a rete che forse per lei avrebbero dovuto segnalare agli altri qualcosa di sexi. Quando l’ho guardata mi fece un mezzo sorriso che gli scoprì i denti: avevano uno strano colore che virava verso il giallo.
Che lo volessi o no la sua figura di certo non mi attraeva e la mia testa, guardandola, mi comunicava immagini di miseria, di rancido e disperazione.
Avrei potuto allontanarla bruscamente, ma proprio non me la sono sentita e mi limitai a rispondergli con il solito “no grazie”. Stava per andarsene ma non so neanche io perché la bloccai “aspetta, dieci euro te li posso dare”
“Ma io non prendo soldi se non lavoro. Con dieci euro possiamo andare nei bagni”
“Ma se io te li do che necessità ne hai?”
“Tu paghi”
Il discorso nella sua testa non faceva una piega. Nella mia metteva non pochi dubbi: lei non voleva l’elemosina, sapeva come poterseli guadagnare quei soldi e quindi voleva essere rispettata per quello che sapeva fare.
Non era italiana e il suo accento tradiva la provenienza. Forse slava o rumena.
“Da dove vieni?”
“Romania, Bucureşti”, mi rispose.
“E non sei riuscita a trovare lavoro a Milano?”
“No, non posso lavorare. No document. Non ne ho mai avuto”
“Sei clandestina?”
“No document”
“Sei una Rom?”
“No, sono rumena”
“E allora perché non hai documenti?”
“io non esisto. Quelli delle fogne di Bucureşti non esistono per nessuno”
Me la guardai meravigliato e sinceramente non capivo nulla di quello che mi stava dicendo. Lei mi spiegò che nei rifugi sotto la “Gara de Nord” di Bucarest vivevano in cinquemila. Erano tutti ragazzi giovani, giovanissimi e ragazzini. Figli delle disgrazie che la morte di Ceausescu e il nuovo regime democratico si era portato insieme alla “libertà”. Pochi di loro avevano documenti perché pochi di loro avevano un passato da ricordare. I maschi rubavano e le donne nella maggior parte dei casi si prostituivano. E lei era una ragazza.
“Sono scappata con altri due. Ma sono troppo piccoli ed è meglio che stiano attenti. La polizia se li trova li porta chissà dove”
“E quindi?”
“Io sono l’unica che lavoro e devo pensare anche a loro”
“Perché lo fai?”
Mi guardò strano e mi rispose leggermente meravigliata: “Perché gli voglio bene”.
Il treno intanto stava arrivando. Alzandomi gli rifilai di botto dieci euro: “Il lavoro semmai me lo fai la prossima volta”, gli dissi sorridendo e la smollai entrando velocemente nel vagone per evitare di vedermi ritornare i soldi.
Non penso di averla mai dimenticata. Non lo so se si trova ancora in qualche stazione delle ferrovie Nord di Milano. Non so neanche se è viva e che fine hanno fatto quei due che stavano con lei.
So soltanto che solo le donne riescono ad essere così generose e non lamentarsi se si devono sacrificare per quelli che amano. Certo, esistono anche altri tipi di donne: semmai vanesie o leggerine che passano il tempo a chiederti “Come sto?”. Ma nella maggior parte non la fanno tanto lunga se devono affrontare le disgrazie che la vita ci regala.
Cos’altro dire?… Buon otto marzo.
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