Dimitris Argiropoulos: Alain e la sua idea di inclusione

| 15 Maggio 2016 | Comments (0)


Pubblichiamo la relazione tenuta  da Dimitris Argiropoulos nel seminario tenuto il 10 maggio a Bologna con la presenza di Philippe Meirieu autore di numerosi testi pedagogici tradotti in italia (Pedagogia il dovere di resistere; Fare la Scuola, fare scuola;  I compiti a casa; Infanzia educazione e nuovi media). Alain Goussot morto recentemente è stato ricordato su questa rivista da Dimitris Argiropoulos ed aveva presentato il 16 ottobre 2015 al Buck Festival il libro di Meirieu Pedagogia il dovere di resistere. Le foto in alto sono di Alain Goussot e di Philippe Meirieu

 

Gentile Pubblico, Gentile Prof. Philippe Meirieu, Cari Marcello ed Enrico

A mio modo e in sintonia con Alain parto da questo intento sul termine Inclusione.

L’inclusione come idea e prassi, si concretizza nell’incontro e nell’organizzazione degli incontri. Inclusione è organizzare l’incontro, curandone le coordinate, gli interessi, la comunicazione, la partecipazione, i poteri e le potenzialità. Organizzare e offrire l’incontro, proporlo ad un pubblico più ampio. Incontrare l’incontro, che è conoscenza, è conoscersi, è divenire ricerca nonché prospettiva di senso, proprio e per molti. L’inclusione è la riuscita della messa insieme gestendo, l’eguaglianza e le differenze, è la possibilità della pozzanghera che riesce al mare.

Se siamo qui, se stiamo conversando, lo dobbiamo ad Alain.

Professor Philippe Meirieu, il fatto che Lei sia con noi e che il Suo libro sia letto e studiato da noi è merito di Alain Goussot. È stato voluto in questo contesto con particolare forza e desiderio, perché le Sue idee e orientamenti pedagogici hanno rappresentato per Alain e per molti di noi, piste di lavoro e prospettive di pensiero, pedagogico e sociale, inclusivo. Lei è con noi e questo incarna una prima idea di inclusione per Alain, che non si chiude nel locale ma si apre ai mondi e alle persone di altre geografie, cercando somiglianze e differenze nella prassi pedagogica, nel pensiero, e nei pensieri, che la permettono. Per Alain, l’apertura al mondo, ai mondi, è una costante idea di orientamento pedagogico inclusivo. La ringrazio per essere venuto qui e La ringrazio della conversazione.

A suo modo e in sintonia, spesso in divergente accordo, per Alain, l’inclusione è proposta, enunciata nonché agita, attraversando la storia. Non è inventata da noi ed ha radici lontane che vanno indagate: l’inclusione è storia che deve essere conosciuta. La ricerca del nostro collega è quasi sempre storica e le sue diramazioni arrivano a personaggi poco presenti nella storiografia, personaggi “secondari” e “silenziati”, di una certa, però, importanza e influenza. Sono ricercati e sono evocati da Alain nella sua insistenza e considerazione dell’inclusione come eguaglianza.

Parole come eguaglianza, giustizia e solidarietà vengono bollate come vecchie e inutili, non adatte ai tempi nuovi che viviamo. Invece la parola libertà, sganciata da quelle di eguaglianza e fratellanza, diventa l’essenza del pensiero neoliberista e individualistico. Visto che non esiste eguaglianza nei diritti (nei fatti) c’è qualcuno che è sempre più libero di qualcun altro: per cui c’è libertà di sfruttare l’uomo, la donna, i poveri di questo mondo; c’è libertà d’imporre i propri modelli utilizzando la guerra e la violenza in nome, appunto, della democrazia che rende liberi soltanto alcuni a scapito di tanti altri.

Alain cerca e riscopre Gracchus, François-Noël Babeuf. Personaggio che rappresenta un riferimento minore nelle sue citazioni, ma non per questo meno importante. E il suo ritorno alla “congiura degli Eguali”, direi che è una costante. Il rimando è alla “Comunione, ovvero, al costruire una comunità solidale, accogliente, inclusiva di liberi e eguali. Quel comunismo che significa il comunicare insieme e distribuire la ricchezza in parti simili rispettando la dignità,  il primo diritto dell’uomo cioè quello di esistere e vivere come soggetto portatore di umanità nella relazione con i propri fratelli e le proprie sorelle al di là dei nostri stessi confini. Comunismo come comunità degli eguali creata nel 1796 da Gracchus Babeuf che insieme al italiano Filippo Buonarroti pensano ad una grande federazione repubblicana europea di uomini e donne liberi e eguali; mettere in comune la nostra stessa umanità per produrre giustizia e, finalmente, felicità.”

L’impostazione di questo comunismo si incardina “al movimento cooperativo della prima ora, risale alle esperienze comunitarie di tipo socialista in diversi momenti della storia umana”

L’inclusione è l’incontro delle nostre debolezze e dalle nostre debolezze nascono relazioni e ribellioni.

Scrive Alain “È proprio in nome di quella falsa diversità venduta in modo uniformizzante nei media e nello spettacolo della politica diventata teatrino delle ombre cinesi che si costruisce le basi delle nuove servitù. La fragilità in quel mondo di ombre non ha diritto di cittadinanza: tutti i partecipanti si sentono vincitori e in prima fila, gli altri, gli scarti vengono resi invisibili e le loro sofferenze recitate come una delle tante scene dello spettacolo del mondo e quindi una semplice oggetto da consumare. L’importante è non sentire, non entrare in simpatia, non ragionare.

Eppure la fragilità dei tanti che soffrono per causa della malattia, dell’esclusione, della violenza e dell’oppressione è la base più autentica dell’umanità, è quel fondo comune di cui parlavano Lev Vygotskij, Frantz Fanon, Ernesto De Martino e Georges Devereux: la dimensione storico-culturale, dinamica della debolezza umana che si fa e diventa forza per cambiare le cose, la presa di coscienza della propria condizione che trasforma il servo in uomo libero, la riappropriazione della capacità di raccontarsi come soggetto storico riattivando la propria presenza nel mondo e il capire che siamo tutti quanti insieme simili e diversi allo stesso tempo, quindi solo partendo dalle similitudini si possono riconoscere autenticamente le differenze”.

Abbiamo bisogno di comprendere quanto le nostre fragilità siano la vera risorsa dell’umanità, quella che ci lega tutti e tutte ogni giorno e ci fa davvero accedere all’umanità nostra, di tutti.

L’inclusione è comprensione, è conoscenza – coscienza della nostre fragilità, è legame, valore, è dinamizzare l’esistenza, l’uscita, l’esodo per sortire tutti insieme.

L’inclusione trova le sue ragioni e le sue espressioni nella cooperazione.

Scrive Alain “Cooperare. Trarre significato nel cooperare, nel sortire insieme, è questo diventa paradigma storico nell’avvicinare la pratica educativa a tutto quello che è già stato e che ha prodotto risultati, che è stato sperimentato e che è divenuto approccio possibile e per questo, forse, ripetibile, condivisibile, degno di essere studiato.

L’inclusione è lotta alla disuguaglianza ed è cooperazione di umani oppressi. E’ resistenza, che orienta il nostro essere educatori. Educatori educati.

A suo modo e in sintonia, per Alain l’inclusione è la continua passione ma anche fatica di creare spazi di discussione, luoghi di parola, diretta e scritta in centinaia di testi – messaggi, è l’uso intelligente degli spazi virtuali, è la creazione delle piazze della parola.

Inclusione e/è creazioni multiple di spazi di dialogo. Troviamo i suoi scritti in riviste, nei blog, in libri…. negli incontri, seminari, lezioni nei territori  nel quotidiano delle scuole e degli interventi educativi del sociale.  Alain, da pedagogo, domanda, chiede se si sa, chiede cosa significa… e introduce un argomento, ma chiede anche cosa si sa del sapere. Chiede pubblicamente e i suoi discorsi diventano agorà. Talvolta professa, compete in parola, si chiude in monologhi e rischia l’antipatia. Talvolta si percepisce sgradevole, sgodevole in bolognese, ansioso per ritrovare il dialogo e lo spazio comune dello scambio dei saperi.

Inclusione è chiedere, domandare i saperi, è erotesis, e eros educativo, nell’intimo e soprattutto nel pubblico. Inclusione è mettere in comune domande e saperi.

A suo modo e in sintonia, inclusione è sapienza di gestione del tempo e dei tempi. La gestione del Xronos e del Kairos “Viviamo nel mondo della velocità, del fare tutto subito, del consumare tutto subito, del dimenticare il passato per vivere solo il presente, del non sedimentare nulla e del non curare le relazioni….” “senza riflettere più di tanto, senza fermarsi sul bordo della strada per respirare quello che Célestin Freinet chiama “le fonti chiare della vita”.

Non c’è più il senso della durata e quindi del tempo vissuto, come affermava Henri Bergson, tempo umano dove il corpo e la psiche sono un tutt’uno nell’esprimere quello che gli antichi greci definivano come il soffio dell’anima. Pneuma lo dico anch’io che non sono un greco antico, penso… Scrive l’educatore Gianfranco Zavalloni, nella sua “Pedagogia della lumaca”:

“Oggi la maniera per essere rivoluzionari è oziare e rallentare, far da sé e produrre localmente, perder tempo”.

L’inclusione è rivoluzionaria, capovolge e meta-forma (trasforma) l’ordine delle cose. Inclusione è sapere convivere con sé stessi  per potere saper convivere con gli altri.

Alain cita il suo amato J.J. Rousseau “Già il grande Jean-Jacques Rousseau nell’Emile e nelle sue “Fantasticherie di un passeggiatore solitario” affermava che la più grande virtù umana di un educatore è quella di sapere perdere tempo, sapere ascoltare se stesso e l’altro, sapere dare il tempo alla natura umana di fare vibrare la propria anima in armonia con il mondo vivente.

Inclusione è il senso profondo dell’umanità, è espressione del vivente che cerca di armonizzarsi col mondo. Inclusione è operare per la sintesi e per la scoperta di verità condivise.

L’inclusione è mediterranea, è la lentezza del passo di chi passeggia, è un passo non solitario ma conviviale che coinvolge l’altro e compone i tempi dei legami umani e dell’amicizia. L’inclusione è sineddoche etero cronica del convivere, è la nostra umanizzazione.

Alain, scava, scomoda e cita un altro personaggio Paul Lafargue

“È Paul Lafargue, il genero di Marx, forse per le sue origini in parte caraibiche, che parla del “diritto all’ozio” spiega che il proletariato si è lasciato fagocitare mentalmente dalla cultura capitalistica facendo del lavoro e della produttività (del lavoro veloce e alienante) un dogma; con ironia paradossale afferma che è un errore lottare per il diritto al lavoro, un lavoro che esaurisce, disumanizza, ma che bisogna lottare per il diritto alla lentezza, all’ozio, a quell’ozio che è cura dello spirito e della propria umanità in una ottica comunitaria, comunistica di equa distribuzione delle ricchezze e dei tempi di lavoro. Nel capitolo 1 del suo libricino intitolato “Un dogma disastroso” Lafargue, tra l’altro, scrive:

“Una strana follia possiede le classi lavoratrici della civiltà capitalistica. Questa follia trascina con sé miserie individuali e sociali che, da più di due secoli, torturano la triste umanità. Questa follia è l’amore per il lavoro, la passione mortifera del lavoro, spinta fino all’esaurimento delle forze vitali dell’individuo e della sua prole”.

“Nella società capitalistica, il lavoro, è alla base di tutte le degenerazioni intellettuali e di tutte le patologie organiche”.

Inclusione è ricostruzione dei legami umani di solidarietà dove ognuno contribuisce alla vita della comunità a secondo i propri bisogni e le proprie capacità. Inclusione è umanità che ci mette insieme Inclusione e mettere insieme le nostre differenze, è esistenza che vibra e anima le nostre vite.

L’inclusione richiede mediazione. Dispositivi che creano la Koiné, Umanità che si mettono in comune, per affrontare impossibilità e passaggi difficili ed estremi. L’inclusione è  mediazione.

Alain si rivolge a Franz Fanon per trovare idee, criteri, metodi nell’avvicinare il crimine più grande, mondiale, perpetuo e impunito, commesso dagli europei verso le popolazioni del resto del mondo: il colonialismo. Cita e annuncia, presenta i testi fondamentali di F. Fanon, Pelle nera e maschere bianche, I Dannati della terra.

“La reazione dei movimenti di liberazione dei neri per combattere il potere dei bianchi con il movimento della negritudine (vedi afro-americani e Aimé Césaire) è specualre nella sua logica a quello dei razzisti bianchi. Si parla di bellezza e superiorità nera. Fanon sottolinea quanto l’identità sia qualcosa di complesso e molteplice (basta pensare l’importanza del linguaggio); la chiusura su se stessi in modo unidimensionale è speculare a quella del razzista che deforma e impoverisce la realtà.

Fanon crede nell’unità dell’umanità come condizione umana: solo nel riconoscere nell’altro un altro sé pure se diverso; apparteniamo tutti ad una stessa umanità che si manifesta attraverso  diverse storie e diversi linguaggi

L’approccio di Fanon è quello di partire dalla storia delle persone e di proporre un percorso di socialità: la relazione e la socialità sono gli elementi fondamentali del suo approccio terapeutico (socioterapia); non separare, non escludere ma creare spazi e luoghi d’incontro e di sperimentazione della propria libertà e dignità nel rapporto con l’altro”

Inclusione è destrutturare l’interiorizzazione dell’inferiorità del colonizzato e del migrante. È stare nella profuganza, leggerla, accettarla e accoglierla. Inclusione è Lesbo, è restituzione di umanità, e preservare il creato, la vita.

L’inclusione è protezione, salvaguardia è proposta. L’Inclusione è indipendenza, e interdipendenza, e inter (in) dipendenza. È cosmolpolitismo, è cosmos che significa gioiello, è gioia di abitare e vivere la nostra terra e le nostre relazioni fra l’estremo della guerra e dell’indifferenza.

Come affermava, dice Alain, Lev Vygotskij, è proprio giocando sulle apparenti contraddizioni (libertà-responsabilità, educabilità-libertà, direttività-autogestione, individualità-socialità, principio di piacere- principio di realtà) e la dialettica storica tra gli elementi del contesto (anche della scuola) che si formano le soggettività autonome consapevoli delle loro responsabilità sociali.

L’inclusione è mediazione che qualifica, abbellisse la nostra espressione, è cercare la bellezza nella comunicAzione. L’inclusione è de-inglesezzizare i modin e i mondi delle colonie e soprattutto evitare l’inglese nell’educazione e nelle scienze umane e in tutte le scienze. L’inclusione è episteme politropon, è varietà e non diversità. È affermare i valori delle differenze.

Alain cita Rosa Luxemburg “dare il nome giusto alle cose è un gesto rivoluzionario”

L’inclusione è transculura, è attraversamento di volti e di modi nell’essere e nel fare. È l’articolazione dei sensi e delle ope, delle cavità che ne portiamo per articolare la nostra esistenza al mondo, è paideia, mathesis, formazione, al volto e ai volti, alla persona. È cambiamento nella mescolanza, vivendo le tradizioni che ne abitiamo. È convertirsi, è metanoia (meta-mente)

Alain cita: “Come affermava il grande pedagogista italiano Raffaele Laporta occorre rispecchiare pedagogicamente la pluralità dei mondi presenti nella società, la laicità è additiva e non sottrattiva, pluralista e non monoculturale, aperta a tutti e non chiusa a tutti in nome di una norma laica decisa da non si sa chi. Importante è il vissuto comune dei bambini, le loro percezioni e quella delle loro famiglie.” E continua con George Devereux che “precisa l’individualismo egocentrico del «capitalismo pulsionale» e l’ideologia della diversità (come essenza assoluta e statica) combinato ad una concezione medicalizzante delle differenze, che spinge l’insieme delle risposte da dare alle difficoltà che esistono in qualsiasi processo di apprendimento e di crescita, nella direzione del controllo terapeutico e dell’adattamento funzionale a quello che viene considerata come norma e salute”.

Alain, a suo modo e in sintonia, continua con Freinet: “La conoscenza nasce con l’esperienza. Insegniamo molte più cose nel nostro fare che col nostro dire. Il processo di apprendimento si basa su una pedagogia della vita nella vita che permette a ognuno di diventare se stesso in una prospettiva solidale e dove lo stare insieme passa tramite il fare insieme, dove l’eguaglianza è riconoscimento reale delle differenze in quanto ciascuno è attore-autore della costruzione collettiva con i propri tempi, le proprie caratteristiche, i propri bisogni e le proprie modalità. Questa pedagogia della vita e dell’incontro ha anche una dimensione etica e politica: rappresenta nell’esperienza concreta di un nuovo modo di stare insieme – fraterno e non competitivo – una critica radicale al modello capitalista, della concorrenza sfrenata e dell’individualismo egocentrico lesivo della dignità umana e del principio di giustizia”.

“Célestin Freinet non ama il didatticismo e il tecnicismo pedagogico che trasforma l’altro in oggetto anche se usava molte tecniche (come per esempio la tipografia in Classe) e considera l’esperienza umana come la base vitale di ogni apprendimento. L’apprendimento è per lui un processo di ricerca permanente, un farsi relazione e un divenire relazione, una riflessione che diventa anche riflessione e sapere pratico. L’apprendimento è un tatonnement expérimental cioé un sperimentare la vita, le relazioni tramite un percorso esplorativo capace di produrre nuove conoscenze e quindi nuovi interrogativi”.

L’inclusione è esplorazione, è imparare ad imparare la scoperta, è imparare l’esplorazione

Alain, a suo modo e in sintonia, attanagliato dall’esistente della scuola italiana ed europea scrive

“Non c’è dubbio che la scuola come istituzione e organismo sociale è attraversata dalle stesse contraddizioni che vive la società nel suo complesso: individualismo competitivo sfrenato, egocentrismo consumistico, concezione svalorizzante della cultura umanistica considerata come inutile di fronte alle scienze utilitaristiche più efficienti sul piano del rendimento economico immediato, uso inappropriato delle nuove tecnologie, trasformazione delle differenze in diseguaglianze e produzione di nuovi capri espiatori, aumento delle tecniche di controllo sociale sui gruppi e i soggetti considerati come inadatti o pericolosi, intolleranza verso le minoranze, espansione delle risposte mediche e cliniche-terapeutiche a problematiche di ordine sociale”.

E ancora “la formazione generale dell’alunno, la sua preparazione umana conta meno dell’acquisizione di competenze tecniche utili immediatamente alle logiche dell’impresa competitiva e dell’economia finanziaria che richiede flessibilità, precarietà e assenza di coscienza critica”.

Continua con Meirieu.

Non si può ridurre l’apprendimento a ciò che è misurabile, alla sua efficacia. Per Philippe Meirieu vi sono dei grossi rischi di semplificazione e di riduzionismo: viene liquidato l’orizzonte assiologico e l’insegnamento si riduce alla esclusiva ricerca dell’efficienza. Conta la performance e non il processo formativo. In questa prospettiva rischia di scomparire la persona nella misura in cui l’alunno è ridotto ad una unità di misura identificabile con il suo comportamento come individuo competente sul piano tecnico e adattato in modo funzionale al contesto.

L’inclusione è approcciarsi alla complessità, imparare a snodare e riannodare le cose, le questioni complesse. L’inclusione nella prospettiva di una pedagogia delle situazioni difficili, l’inclusione è sapere cogliere il momento pedagogico.

“Che ci sia un rischio di volere catalogare, etichettare la popolazione scolastica è di fronte agli occhi di tutti, scrive Alain, e la tentazione diagnostica è purtroppo un dato di fatto in molte scuole. In due testi recenti, il già citato Pédagogie: des lieux communs aux concepts clés e Le plaisir d’apprendre, Philippe Meirieu affronta la questione pedagogica in questa fase di transizione e di crisi che viviamo. Afferma che l’atto pedagogico non può essere ridotto ad una tecnologia oppure ad una «razionalità puramente strumentale» e nota che l’egemonia culturale del comportamentismo e del cognitivismo nel campo della ricerca educativa ha portato alla tentazione dell’onnipotenza della didattica, intesa come procedura tecnica. Si assiste anche ad una sindrome da screening sistematico (testare, valutare, verificare, orientare, sanzionare, adattare e curare). Scrive Meirieu, a questo proposito:

Nessun «dis» [disfunzionale] deve sfuggire alla sorveglianza dei grandi organizzatori dell’apprendimento telecomandato. E quando il «dis» è individuato, permette di aggirare la pedagogia, di deresponsabilizzare gli insegnanti e di affidare del tutto un bambino ridotto ad un sintomo a l’’esercito del personale paramedico. (Meirieu 2013, 43).

A suo modo e in sintonia, inclusione è esercitare il pensiero, fare una costante riflessione rispetto a quello che ci accade intorno. Inclusione è avere passione, interessarsi, aprirsi alla cultura, alla conoscenza, all’inter-cultura.

A suo modo e in sintonia, inclusione è essere aperti alla conoscenza, avere una Buona Apertura, riscoprire il significato di Europa e della reciproca conoscenza.

A suo modo e in sintonia, inclusione è affermare nella pratica e nel pensiero pedagogico “che tutti possono” e aggiungo io, tutti possono a loro modo.

Salut e Fraternitè.

 

 

 

 

 

Category: Culture e Religioni, Editoriali, Psicologia, psicoanalisi, terapie, Welfare e Salute

About Dimitris Argiropoulos: Dimitris Argiropoulos è docente di Pedagogia all’Università di Bologna, città dove vive e lavora a partire dagli anni ’80. Educatore, si occupa di pedagogia della marginalità e delle emergenze e di pedagogia speciale. È particolarmente interessato ai contesti della marginalità estrema relativamente alle migrazioni, alla profuganza e alle minoranze etniche. Ha condotto ricerche riguardanti le condizioni di vita e la riduzione della partecipazione e delle attività dei rom in situazione residenziali di campi “nomadi” e ha indagato il rapporto tra immigrazione e disabilità. Attivista e membro della Fondazione Romanì, ne coordina il Comitato Scientifico, ed è coinvolto in attività di cooperazione educativa internazionale. Si occupa di schiavizzazione e traffico di esseri umani e si interessa della formazione degli Educatori di Strada.

Leave a Reply




If you want a picture to show with your comment, go get a Gravatar.