Cristina Biondi: 44 Nuovo dizionario delle parole italiane. Da “Senza pensieri” a “Ricorderemo”

| 16 Settembre 2021 | Comments (0)

 

                                                Mr Natural di Crumb

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SENZA PENSIERI

La pubblicità testimonia dell’esistenza di un mondo parallelo al nostro, felice, senza preoccupazioni. Per essere senza preoccupazioni bisogna essere senza pensieri e quando si è senza pensieri ci si ritrova anche senza parole. Se fossi giovane il mio corpo vibrerebbe di mille gioie istantanee e leggere, ma alla mia età non ho nessuna intenzione di abbandonare il timone della nave per avviarmi a vele spiegate verso quel gorgo chiamato demenza senile. Da qualche tempo ho sviluppato un’ipotesi inquietante: alla nostra generazione succederà qualcosa di diverso e inedito, noi svilupperemo una sindrome tutta nostra: il disturbo narcisistico-amnesico di personalità senile. Dopo aver accompagnato nonni, genitori, prozii e zii nel loro lento declino, avremo avuto trent’anni per esercitarci nel dissimulare i deficit mnesici. Se l’asciugamano è umido, vuol dire che ci siamo già lavati, salutiamo con calore e senza traccia di perplessità chiunque ci saluti, riempiamo con molta lentezza la borsa al supermercato, se non abbiamo ancora ricevuto il resto, la cassiera ce lo porgerà senza doverci richiamare indietro. Seduti al tavolino del bar, lasciamo sempre la mancia al cameriere, se c’è mezzo euro nel piattino, appoggiato sullo scontrino fiscale, vuol dire che abbiamo già pagato e non dobbiamo più saldare il conto. I nostri calzini sono tutti dell’identico colore, nel sospetto di non esserci cambiati annusiamo con attenzione la nostra biancheria intima, facciamo la spremuta d’arancia tutte le mattine, se il bicchiere è ancora pieno vuol dire che non abbiamo ancora preso le medicine. Dopo aver detestato per decenni la pubblicità dei materassi presto diserteremo il letto, luogo privilegiato dei trapassi notturni; saremo insonni e diffidenti, non sapremo se temere o sperare che giunga qualche tragedia mondiale a por fine ai nostri giorni, dopo di noi sarà il diluvio, perché l’aspetto narcisistico, grandioso della nostra patologia si manifesterà dalla convinzione di essere stati, nei nostri anni migliori, gli ultimi esseri pensanti del pianeta.

 

ALGORITMO

Quando iniziamo a temere che le piccole distrazioni quotidiane siano solo la punta di un iceberg, tentiamo di mantenere la nostra rotta in acque glaciali, per non dissolverci del tutto. Invece di canticchiare o guardare il cielo dalla finestra della cucina, cerchiamo di imboccare la strada dell’algoritmo, che promette di far funzionare tutto al meglio. I nostri pensieri non vagano più, si concentrano sul nostro operato.

1. si fa bollire l’acqua, cioè:

A: si accende l’interruttore della ciabatta dove sono inserite le spine del tostapane, del fornetto per le brioche, e del bollitore;

B: si preme il tasto sul manico del bollitore. Dovrebbe accendersi una lucetta blu, in caso contrario si deve verificare che la spina del bollitore sia inserita correttamente sulla ciabatta;

C: si ascolta con attenzione il borbottio dell’acqua che comincia a bollire, come la lucetta si spegne, l’acqua è pronta;

2. si versa l’acqua nella tazza e si mette il filtro del tè;

3. quando il tè ha assunto il colore giusto, si toglie il filtro del tè;

4. si aggiunge un cucchiaio di zucchero;

5. si aggiunge un goccio di latte.

A questo punto non abbiamo più voglia del tè e ci sorprendiamo a pensare: la ciabatta è sotto il letto, non c’è spina senza rose, tazza, razza, pazza! Bene, siamo incavolati, odiamo gli algoritmi e i foglietti illustrativi: accendiamo il gas; la fiamma sul fornello è bella, azzurrina, trasmette, allegria, energia e calore. “Fatti non fummo a viver come computer, ma per seguir virtute e canoscenza”. Quindi, se tutto è perduto: “Bruci Sansone con tutti i Filistei”.

 

LA VECCHIAIA E LO ZEN

L’ideale è coniugare l’algoritmo con la pratica zen. Accettiamo di percorrere tutte le tappe dell’algoritmo tre volte (va bene anche quattro) poi ci convinciamo che le mani l’abbiano imparato. Tutto può tornare come prima. Prepariamo il tè venti volte di seguito, pensando a tutt’altro, i gesti si sciolgono in una danza, abbiamo l’abilità di un mimo, anche perché dopo il primo tè continuiamo a usare la stessa bustina e facciamo solo il gesto di aggiungere lo zucchero e il latte. La mattina successiva ci svegliamo di buon umore, la cucina è in pieno sole, sarà una gioia prepararci il tè senza l’aiuto di nessuno, come quando eravamo giovani. Scopriamo che sarebbe stato bello, se avessimo compreso nel nostro fottutissimo algoritmo i seguenti step:

1. riponi la scatolina del tè nella credenza;

2. riponi la zuccheriera accanto alla scatolina del tè;

3. rimetti il latte in frigorifero.

Dopo i dieci minuti impiegati a cercare le bustine del tè e la zuccheriera e dopo aver realizzato che il latte non è più commestibile dopo una notte passata fuori del frigo, riscopriamo la nostra vocazione di piromani. Poi torniamo a più miti consigli pensando ai bambini che vivono nell’appartamento sopra al nostro e apprezzando come bevanda per la colazione la cioccolata in tetra pak che teniamo in casa per il nostro nipotino. Non dobbiamo nemmeno cercare una cannuccia: è incollata sul lato della confezione.

 

VANTAGGI

È bello vivere in città, abito al quarto piano, per scendere c’è l’ascensore. Il bar sotto casa ha un piccolo plateatico, il caffè è così così, e siamo d’accordo che ogni mattina le bustine per il tè me le porto da su, vengono dalla miglior drogheria del centro. Il giovane cameriere sorride sempre, non è che capisca tutto, ma fa il possibile per accontentarmi, ha un viso aperto, molto espressivo, quando zoppico sposta la mia sedia, me la offre con premura, vorrebbe aiutarmi. Chissà qual è il legame che spinge le signore del tavolo accanto a fare colazione tutte le mattine al bar, parlano molto, con soddisfazione. Io sono solo, loro mi sorridono, le prime volte abbassavano la voce, poi hanno intuito che mi piace seguire la loro conversazione e sono molto loquaci. I loro discorsi non portano da nessuna parte, questo succede a tutti coloro che non lavorano più o non hanno mai lavorato. La più elegante sembra più giovane delle altre, è una questione di trucco; ha un cagnolino, nemmeno lui ha l’ambizione di andarsene in giro e si gode i suoi croccantini. I tre ragazzi rumeni sono sempre accompagnati da un amico che evidentemente non parla la loro lingua, scherzano e discutono in un italiano molto scorretto, ma colorito. Quando non c’è scuola la figlia del cameriere disegna accanto a me, all’inizio l’ho dovuto rassicurare: la piccola non mi disturba, anzi. Sono io che le fornisco gli album da colorare, mi sono un po’ pentito di averle regalato così tanti pennarelli, li getta sul tavolo come per giocare a Shanghai, metà finiscono per terra. I suoi genitori vengono dallo Shandong, ma lei è nata qui e si chiama Anna. Argomenta sorprendentemente bene per la sua età e non sta zitta un minuto. Mi racconta, mi fa domande, è veloce, intelligente. Io le rispondo con calma, sorseggiando il mio tè.

Ieri ho bruciato il risotto, per colpa del telegiornale, debbo pranzare prima. O dopo. Al bar offrono una scelta di primi e secondi piatti, il retrobottega è minuscolo, anche le brioches sono surgelate, ma quando cuociono nel forno l’aria si riempie di un buon profumo. Chissà com’è il risotto, chissà chi si siede a questi tavoli all’ora di pranzo, scommetto che vengono sempre le stesse persone e mi dispiace pensare che non siano le stesse che incontro a colazione. Potrei scendere prima del telegiornale e rientrare presto, perché no. Bisogna che tutto cambi perché nulla cambi.

 

COSA SUCCEDE E COSA NON SUCCEDE

Non succede niente se ci laviamo la faccia due volte di seguito, se beviamo un tè alle otto e uno alle otto e un quarto, se ci dimentichiamo di comprare il giornale. Succede molto poco se la pasta è scotta e senza sale, se rovesciamo mezzo cucchiaio di caffè nell’acquaio, se compriamo lo stesso giornale due o tre volte. Può succedere qualcosa se ci dimentichiamo le pillole del mattino, se il fornello resta acceso una volta scolata la pasta, se lasciamo la porta di casa spalancata. Il problema è chi se ne accorge: noi, e allora tutto va abbastanza bene, qualcuno che si fa i fatti suoi e tutto continua ad andar bene, o qualcuno di sollecito, perspicace, responsabile e allora rischiamo grossi guai. Il medico ci misura la pressione e vuole sapere se abbiamo preso la terapia, poi consulta il computer: ultima prescrizione del farmaco ipertensivo quattro mesi fa: ci ha sgamato. La vicina di casa avverte i parenti che la porta era spalancata e noi non eravamo nemmeno in casa. La donna di servizio si spaventa per le bruciature da sigaretta sulle lenzuola, i figli ci incontrano per strada e, non ritenendo adeguato il nostro abbigliamento, pensano che sia il momento di fare qualcosa. Non si preoccupano più di tanto per la morte della barriera corallina, per i roghi che bruciano miglia di ettari di bosco, per lo scioglimento dei ghiacciai, per l’assertività della Cina e il militarismo paranoico degli americani e, se credono di avere la situazione sotto controllo mettendo noi in una casa di riposo, eludono totalmente il compito affidato alla loro generazione.

 

ABITUDINE

Successe un mese prima della mia nascita, in piena estate. Mia madre restò molto impressionata, ma non ebbe un parto prematuro: mio padre era in aeronautica, ma non aveva mai volato, era meteorologo. Il più esperto dei paracadutisti che si gettavano nel cielo per atterrare sulla stretta lingua di terra del Lido tra mare e laguna, venne giù come un sasso. Il paracadute era perfettamente funzionante, il morto aveva una tasca strappata, là dove aveva cercato il dispositivo di apertura, per anni e anni l’aveva trovato in quella posizione, ma nel nuovo modello era altrove. Se io ero stata concepita, se non ero orfana molto dipendeva dal fatto che mio padre faceva parte del personale di terra. Ciò non toglie che sono nata con la testa sulle nuvole: mai presente del tutto alla situazione, mai capace di padroneggiare le procedure più semplici della quotidianità. Perché adesso quando sbaglio, quando non trovo, quando rovescio o dimentico mi sento così vicina al panico? D’accordo ho scollinato, ho superato i fatidici 65 anni, ma perché sono portata a immaginare che il versante sconosciuto scenda giù a precipizio? Solo leggendo “La morte” di Jankelevitch ho avuto la sensazione di un vuoto immenso davanti a me, perché devo ritrovare la stessa sensazione quando mi cade a terra un cucchiaio?

 

NON HO TEMPO PER I DEBOLI

Sino a vent’anni fa l’avevo, il mio era un bellissimo lavoro. Adesso non ho nessuno di cui occuparmi e non mi piace prendermi cura di me stessa. Non ho motivo di cercare qualcuno che si occupi di me, non avrei nemmeno più la necessità di avere un aiuto in casa, sono in grado di stirare, passare l’aspirapolvere e dare la cera. Lungi da me l’idea di licenziare la colf, è magra come un giunco e forte come un toro. Se però perdesse il lavoro, potrebbe scivolare in una situazione di fragilità. Anche l’antiquario potrebbe trovarsi in difficoltà senza i suoi clienti più affezionati, oggi

nessuno compra più i suoi argenti o le porcellane di Sèvres. Il negozio di dolci rischia di passarsela male a causa della concorrenza dei supermercati. Certo, alla panettiera non farebbe né caldo né freddo se non comprassi più il pane da lei, ma con chi potrebbe fare due chiacchiere? Mai quando c’è la fila, mai se non è dell’umore giusto, cerco di essere empatica e sollecita. La mia figlioccia mi ha dato un’ottima idea: sua nonna quando combinava qualche pasticcio al supermercato, tipo rovesciare un barattolo o far ruzzolare a terra un paio di arance, ringraziava le commesse per l’aiuto ricevuto distribuendo loro caramelle e cioccolatini. Non mi è ancora capitato, ma sento aumentare la mia debolezza, sono sempre più sventata e con tutti i miei coetanei in giro tra gli scaffali queste povere ragazze rischiano di perdere veramente la pazienza.

 

AI TEMPI DI MIA NONNA

Ai tempi di mia nonna le donne s’insediavano meglio nella vecchiaia. Rinunciavano molto presto alla giovinezza, nel sospetto di non vivere abbastanza a lungo per ritrovarsi con i capelli bianchi, raccolti in una crocchia sulla nuca. Se raccontavano, non raccontavano tutto, molto andava taciuto, ma loro sapevano. Cosa? Qualcosa che è andato perduto. Da quando esiste la psicologia i fatti della vita sono narrati in un certo modo: vengono studiati, interpretati e classificati. C’è chi guarda e chi è guardato, chi analizza e chi è analizzato. Non c’è mai nulla di definitivo, verrà presto qualcuno a portare un’idea nuova, un modo nuovo di pensare: gli stessi elementi cambiano configurazione come in un caleidoscopio. Alle nostre nonne era stato insegnato che non era prudente cedere, né concedere, che una sola donna aveva potuto dire “sì” senza esitazioni, l’unica che non aveva dovuto affrontare il calcolo, l’inganno, la prevaricazione e la menzogna. Le vecchie sapevano di essere vicine al momento nel quale il cedimento sarebbe stato lecito e doveroso, nulla più le attraeva o le tentava. Gli esperti non hanno modo di spiegarci come mai alcune di loro restavano dritte come fusi, in mezzo a tante creature fragili e ripiegate su sé stesse.

 

RICORDEREMO

Certo, ricorderemo la mamma, il giorno della laurea, del matrimonio e ricorderemo i materassi, tutti i materassi che per anni e anni hanno funestato gli stacchi dei nostri programmi televisivi. Sarà troppo tardi, quando angeli e diavoli si contenderanno la nostra anima, quando la consapevolezza e il pentimento avrebbero potuto darci accesso alla porta stretta, la nostra mente confusa vagherà senza pensieri in un limbo, riposando su materassi di lattice su doghe di legno, mai acquistati. Spero che in quel momento riusciremo a rinunciare agli alibi e alle divagazioni, riconoscendo le nostre colpe. Ciò che ha vinto le nostre deboli forze non ha a che fare né con i materassi, né con le pubblicità, ma con i cannoli prodotti artigianalmente dalla pasticceria all’angolo.

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