Cristina Biondi: 27 Nuovo dizionario delle parole italiane. Da “Gli eroi e la morte” a “Eroi non tutti”
GLI EROI E LA MORTE
Siamo un popolo di eroi, poeti, navigatori e santi. Beato quel popolo che non ha bisogno di eroi, e noi oggi ne abbiamo bisogno, in tempi di democrazia nobili non si nasce, si diventa e più di una cerimonia d’investitura serve una laurea in medicina o infermieristica, anche se non basta. Il personale sanitario non può delegare, farsi sostituire, rinunciare, né vuole farlo perché, anche se vive un momento sbagliato, è certo di essere al posto giusto, nonostante ritardi, errori sottovalutazioni che al momento deve accettare, perché non ha il tempo per guardare indietro, quando combatteva non meno tenacemente contro l’infarto, il cancro e anche la polmonite.
Il nome della nuova malattia è sulla bocca di tutti, si contano i decessi e si enfatizza il numero dei guariti, ma si evita di pensare che la Morte è diventata contagiosa e che questa è la vera sostanza di ogni pestilenza. C’è chi, cifre alla mano, va controcorrente, dimostrando che si moriva in gran numero anche prima, ma nega un fatto eclatante: prima era il malato a uscire dai luoghi della vita, si allontanava, il più delle volte per tempo, da fabbriche, scuole, spazi condominiali, mentre ora è la Morte che entra ovunque: nelle chiese come nei ristoranti, nelle geriatrie e nelle piazze, ci sta accanto. Riusciamo a personificarla solo vestendola di tonache medioevali, ci è difficile aggiornare il nostro immaginario facendole indossare una T-shirt, eppure Lei è tra noi, facciamo di tutto per non toccarla, ma sarà Lei a toccarci, a decidere la nostra sorte, come sempre.
SOGNI
Sognavamo di aprire un Bed & Breakfast, ora il sogno è svanito. La camera del figlio resterà vuota, il servizio di tazzine da dodici resterà inutilizzato e ci accorgiamo che dalla vita volevamo di più: non solo l’ospitalità di chi veniva da noi per una settimana, l’allegria della cena con i colleghi, la complicità delle amiche all’ora del tè. Volevamo di più: lavorare come professioniste e cucinare come le nonne, con la fantasia aprivamo ristoranti, pensioncine, organizzavamo pesche di beneficenza, diventavano arredatrici di case altrui, visto che la nostra era già invasa dai troppi soprammobili.
Dopo la rivoluzione avviata dal coronavirus che ha detronizzato i nostri sogni, lavoriamo meste a trine inconsistenti o a improbabili sciarpe per immigrati. Ora sogniamo la restaurazione: un’infilata di stanze eleganti, salotti e salottini, giardini pensili e parchi, labirinti di bosso. Sogniamo ventagli di piume, sete e broccati perché, senza confidarlo a nessuno, immaginiamo di essere Anastasia, la protagonista del cartone animato della Disney.
RESTO A CASA
Ieri c’era una macchia sulla tovaglia, oggi non c’è più. Ieri c’era un grumo di povere nell’angolo più nascosto del salotto. Oggi lì non c’è nulla. Costatando l’essere o il non essere delle cose più banali mi attivo e lavoro per riportare tutto allo stato di partenza, con sovrana indifferenza a ciò che succede fuori casa. Mi fa uno stano effetto questo momentaneo prosciugarsi delle emozioni, che appartiene da sempre alla dimensione femminile: come le Parche io vivo nel totale disinteresse per il destino degli uomini, rifiuto di vedere, parlare o udire come le tre scimmie sagge, mi distacco dalla politica e dal sapere. Dopo un mese d’isolamento sono la più casalinga delle casalinghe e capisco perché le donne abbiano sempre ignorato gli imperativi categorici e non abbiano mai preso decisioni irrevocabili. Mio marito è il solo a uscire, porta la maschera come un ladro di cavalli: vedo nei suoi occhi la determinazione virile, il coraggio di affrontare l’ignoto. Gli porgo la lista della spesa, lui aggiungerà o toglierà secondo la necessità. Avrei voglia di esortarlo: “ritorna vincitor!”, salutando con amore l’uomo assertivo e decisionista che è stato il mio amico di sempre.
DIPENDENZA
Non mi piace pensare che sono un soggetto a rischio, per età e per patologie, che sono almeno un paio e nemmeno imparentate tra loro. Ho sconfitto per anni le mie malattie, ritrovando salute e vigore, poi ho stabilito con loro una specie di tregua: sto un po’ bene e un po’ male, ci sono i giorni sì e i giorni no. Mi secca ammettere di aver issato la bandiera bianca, il fronte di lotta non è più nel mio orizzonte, non ho le forze per combattere una buona battaglia, più che sconfiggere il morbo potrei patteggiare una resa, ma il virus è ancora lontano dal concederci una tregua, è il momento degli eroi.
Credevo di essere impegnata in una rivoluzione, con tenacia sostenevo l’emancipazione delle donne, appartenere al mio sesso ed essere femminista erano dati inscindibili nel mio destino. Poi è arrivato il virus (sostantivo maschile), il re dei virus, tanto che abbiamo posto sul suo capo una corona, e tutto è cambiato.
Le vicissitudini della vita hanno voluto che mio marito sia sempre e ancora mio marito: oggi c’è un uomo nella mia casa. Certo: il nostro appartamento è intestato a entrambi; certo: ho lavorato e ora ho la mia pensione, per di più ho la mia cultura, le mie competenze e una lingua così lunga che se fossi un camaleonte potrei catturare una mosca posata a tre metri di distanza.
Eppure, eppure qualcosa di strano è successo. Lui esce, lui porta a casa il cibo, senza permettere che entri il nemico. Nonostante l’età è forte, ha persino un ginocchio in titanio, e io lo vedo bello, tornato giovane e pieno di determinazione. Il suo sguardo, mi minaccia: “Guai se sei querula, rompiscatole o contestatrice delle più irrilevanti decisioni”. È L’UOMO, che stabilisce le priorità, che si informa di tutto, che critica il governo e paventa disastri futuri. Se lui rimane al comando, nessun male ci sfiorerà, io debbo solo evitare di affermare alcunché, di creare problemi comportandomi da irresponsabile come una pecorella smarrita. In tempi di coronavirus ogni contestazione verrebbe ignorata, ogni proposta verrebbe respinta, perché le mie parole non volerebbero alto, ma colpirebbero basso, come tutte le rotture di coglioni.
LE MILLE E UNA NOTTE
Il mondo è molto vecchio, quindi le cose sono successe e risuccesse, mai uguali, mai troppo diverse e ora per le donne segregate può aprirsi un firmamento pieno di stelle. Anche se non conosciamo l’incanto del cielo d’Oriente, siamo anime nobili e la soluzione del problema più delicato non può venirci dalla psicologia moderna, ma da una principessa di grande prudenza: se viviamo con uomini inclini alla violenza, narriamo loro le favole per mille e una notte.
Oggi si litiga, si rivendica, si rinfaccia, si discute e si recrimina, se Shahrazad avesse seguito questa strategia sarebbe stata uccisa dopo la prima notte di nozze, lei non ha mai dimenticato che l’uomo è più forte della donna, più crudele. Se non giovano né le verità, né le bugie si può ricorrere alle fiabe, che contengono in parti uguali questa e quelle e aiutano a prender sonno, ad assopire ogni violenza.
PULIZIE
È giovane, bella, esile come un giunco e forte come una quercia. Oggi è il personaggio di una fiaba, la piccola Cenerentola, ieri era la mia collaboratrice domestica, regolarmente assunta e sindacata. Lei non criticava mai il mio disordine, io la consolavo per le sue disavventure sentimentali. Grazie al suo lavoro non ero afflitta dalla polvere che costantemente cadeva sui miei mobili, mentre lei non si stancava mai di incontrare uomini che avevano un’idea molto prosaica degli amori ancillari e io amavo l’azzurro di quegli occhi sempre carichi di speranza.
Se mi attendono cent’anni di solitudine la mia casa potrebbe presto assomigliare al castello del conte Dracula: noblesse oblige a tutto, ma non a fare le pulizie. Nel medioevo i personaggi di alto lignaggio non avevano una gran considerazione per la propria igiene, né si soffermavano a verificare cosa zampettasse nei corridoi dei palazzi, che erano lunghi come le strade del regno. Le gran dame avevano sempre freddo, nonostante gli imponenti camini, e non ragionavano diversamente dagli scugnizzi napoletani: fa freddo e non mi lavo. Le pulizie di casa fanno parte del decoro borghese, la maggior parte della gente che si arricchisce non pretende di vivere in immensi castelli, tra tappeti, arazzi, sete e damaschi impreziositi da perle e acari e si accontenta di un solo dipendente. Oggi le signore maneggiano aspirapolveri senza fili e hanno la dispensa piena di prodotti disinfettanti, chiedendosi quando potranno riavere la loro unica e insostituibile collaboratrice domestica. Io manterrò la mia a oltranza, non vorrei che la necessità la costringesse a tornare in Transilvania, dove ben presto cadrebbe vittima del conte Dracula.
PECORE E LEONI
Chi pecora si fa, lupo la mangia. Però il femminile di lupo è lupa e, prendendo in considerazione animali più vicini a noi, il femminile di cane è cagna, e già qui mi ribolle il sangue dall’indignazione. I maschi in genere difendono il territorio, dal quale non escludono le loro compagne, spesso conquistate con esibizione di forza e piumaggi al limite del ridicolo. Non esistono separati in casa a quattro zampe, avvocati divorzisti col pelo e, cominciando dalle mantidi, le femmine accampano immutabili diritti, sempre a vantaggio della prole. Noi viviamo in un mondo nel quale la crudeltà si eclissa o migra in altri luoghi e molti si affrettano a dichiararla estinta, mentre la cattiveria continua a regalarci piccole e grandi gioie nel quotidiano, nelle discussioni in famiglia, nei battibecchi tra vicini, nei giochi tra bambini: i lupi si travestono da pecore, i musetti timidi dei conigli celano incisivi che potrebbero tranciare il ferro. Ma ora dobbiamo confrontarci con la ferocia di un essere microscopico, con l’esplosione nucleare di un’aggressività così elementare, così naturale che attacca soprattutto i deboli, gli inermi. Alla crudeltà piace vincere facile, mentre la cattiveria è più abituata a superare ostacoli, a raggirare, a patteggiare, a raggiungere compromessi.
Se una coppia di tigri è costretta a vivere in gabbia, non meraviglia che l’esemplare maschio si ritrovi con le cicatrici di una zampata sul muso: in cattività le femmine, abituate in natura ad ammansire i loro compagni con gesti di sottomissione, potrebbero desiderare una stanza tutta per sé, o almeno il privilegio di dare sfogo senza limiti ai propri istinti più naturali.
BELLA CIAO
Il partigiano è pronto a morire per la libertà, oggi la vita ci richiede il sacrificio della libertà, per lo meno della libertà di circolazione. Il diritto al lavoro è minacciato dal diritto alla vita: più che un controsenso è un rebus. Una cosa è offrirsi in sacrificio per una nobile causa, altra cosa è combattere con un essere che semplicemente si replica, senza essere portatore di nessun idea, senza dare alla strage che compie nessuno scopo egemonico, elimina le sue vittime senza avere obbiettivi politici, eppure è in grado di mettere alla prova le nostre istituzioni, vanificare i nostri progetti, fermare i nostri ingranaggi e la corsa al denaro si rivela avvenire sempre in salita: si avanza più o meno rapidamente, spendendo enormi fatiche e non ci si può fermare perché ogni battuta d’arresto fa scivolare verso il basso, cadere nella povertà, nel disastro globale. A chi sosteneva la rotondità della terra veniva chiesto come mai le persone e le cose agli antipodi non cadessero nel vuoto, oggi ai paladini della globalizzazione verrebbe da chiedere perché quando ci si ferma non si resta semplicemente dove si è ma si cade nel baratro di una crisi spaventosa.
EROI: NON TUTTI
Un esercito di eroi sta combattendo contro il virus, ma hanno anche un altro avversario: il potere temporale dei medici, impersonato spesso da direttori sanitari miopi, che esercitano il loro nepotismo favorendo la sanità privata. La purezza della scienza li fronteggia e, almeno in Veneto, hanno trovato pane duro per i loro denti: un virologo più piccolo di Napoleone, sapendo il fatto suo, non ha capitolato, non ha ceduto alle intimidazioni. Fortunatamente, inascoltato da chi era preposto alla sanità, ha ricevuto appoggio dal Presidente della Regione. Il potere è il potere e le cose vanno molto meglio da quando i papi hanno ridimensionato il loro regno. Quanto alle intenzioni degli imperatori, staremo a vedere.
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