Cristina Biondi: 26 Nuovo dizionario delle parole italianea Da “Happy End” a ” A perdere”

| 16 Aprile 2020 | Comments (0)

 

HAPPY END

L’happy end era una caratteristica dei film americani del dopoguerra, gli attori ridevano, ballavano, cantavano da americani e dopo l’ultima, ennesima manifestazione di giubilo compariva sullo schermo la scritta THE END. Non ricordo che ci fossero già i portoricani, i poliziotti corrotti, la mafia; i cattivi erano soprattutto gli indiani nativi di pessimo carattere, feroci ed esagitati e i messicani grassi e pigri, che sciamavano come insetti impazziti da case bianche dal tetto piatto. I film o erano per adulti, descrivendo amori appassionati e battaglieri, o per tutti, con bambini che indossavano la divisa da soldati nordisti, accompagnati da cani intelligenti e protettivi quanto la maggior parte dei genitori della classe media, onesta e lavoratrice. La famiglia era ancora la famiglia e anche nelle chiesette più abbandonate da Dio, la religione era ancora la religione, e il pastore era il pastore, qualsiasi confessione professasse.

Ci commuoveva molto la morte dell’eroe, che, ferito da un colpo di fucile o di pistola, aveva sempre il tempo di essere teneramente accolto tra le braccia dell’amata che gli sussurrava: “Va tutto bene”.

Le impressioni dell’infanzia lasciano tracce indelebili e io non riuscirei mai a convertire i “Va tutto bene” e gli “Andrà tutto bene” in messaggi di speranza, li associo ancora al volo circolare degli avvoltoi sulle praterie del Far West.

 

ANDRÀ TUTTO BENE

Al momento non riesco a formulare una teoria del tutto. Il contrario di tutto è niente, concetto più padroneggiabile. “Non andrà niente bene” è una frase nichilista e il nichilismo, per come lo conosco, è “una combinazione singolare di rassegnazione al necessario e di volontà puramente negativa, ovvero distruttrice” (Alain Badiou). Il “tutto bene” corrisponde all’atmosfera del Cantico delle creature: “Laudato sì, mì signore, per frate focu, per lo quale enallumini la nocte, et ello è bello et iocundo et robustoso e forte”, mentre al ”niente bene” possiamo associare: “Sì fosse foco arderei ‘l mondo”.

Purtroppo la mia tendenza al nichilismo mi porta ad associare l’epidemia in corso ai roghi dell’Australia piuttosto che al calore del focolare. Beninteso, sì fossi foco arderei sotto la pentola dei fagioli.

 

ATTENTO!

Sono stata conquistata da una bimbetta di circa tre anni che compare in un video per ammonire il padre: “attento…..attento!” Lei sa che il coronavirus ha i denti e ci mangia. E’ una versione dei fatti ad usum delphini, il delfino è adulto, grande e grosso: “attento….attento!”

I nostri cuccioli, da poco usciti dalla pancia della mamma, temono di finire nella pancia di qualcun altro, secondo un inesorabile legge di natura che stabilisce che i piccoli vengano divorati dai più grandi. Un predatore si ciba tanto di un capretto quanto di un vecchio caprone, si finisce tra i denti aguzzi del lupo per inesperienza, per stanchezza, per lentezza, ed è lento sia chi ha le gambette corte sia chi ha l’artrosi dell’anca.

La nostra piccolina sa che non si può uscire, declina il pericolo secondo la logica delle favole, anche se oggi è meno rischioso passare per il bosco che per una strada troppo frequentata.

Un giorno scoprirà la pericolosità dei ragni, delle creature piccole, delle insidie nascoste, non si torna nella pancia di nessuno, si viene avvelenati e consumati lentamente, assaliti da sciami di insetti velenosi, morsi da serpenti che si ritraggono dopo aver colpito e noi restiamo secchi anche se siamo troppo grandi per venir assimilati.

Veniamo attaccati dall’interno, siamo il luogo della riproduzione di batteri e virus, siamo la culla dei discendenti dei primi coloni di esseri minuscoli, diventiamo il loro Far West dove i saprofiti, rispettosi della nostra integrità, vengono sbaragliati dai nuovi arrivati.

Attento…Attento! Sono arrivati gli alieni, gli inaspettati che ci aspettiamo da sempre, la creazione ha ancora sorprese riservate ai tempi a venire e chi gioca a monopoli deve pescare il cartoncino che sul lato visibile reca solo la scritta: imprevisti. Peccato che nelle stanze del potere, accanto a generali in alta uniforme non siano ammesse bimbette in tutina rosa che con premura filiale ammoniscano: “attento…attento!”

 

ESSERCI O NON ESSERCI

Non c’è questo e non c’è quello, mancano le protezioni, il cibo ancora abbonda, si compra farina per fare il pane e si compra il pane per fare le gallette per il viaggio. Non si sa quanto durerà, qualcuno di vedetta un giorno griderà “terra, terra!” quando la costa sarà ancora un puntolino lontano. Sarà sbagliatissimo buttarsi in acqua in quel momento: “attento, attento!”. Il nostro capitano è coraggioso, mi piace come sta al timone, non nasconde il suo accento veneto, esorta i pelandroni della sua ciurma che gli ubbidiscono perché lui non abbandonerebbe mai la nave.

Il fantasma della Serenissima aleggia sul suo capo, non sta a Palazzo Ducale, ma a Marghera, lui è un uomo dei nostri tempi, più vicino al petrolchimico che al mare aperto. Venezia e il mare erano marito e moglie, ma in tempo di separazioni e di divorzi si scatenano le violenze, lui la possiede inondando le sue piazze e le sue calli.

Forse non dovremo più affrontare la polemica sulle grandi navi, che passando creavano un eccessivo moto ondoso, tutto ciò che è enorme è pericoloso o molto fragile, chi pensa in grande fallisce in grande, le crociere non sono cessate dopo l’affondamento del Titanic, ma potrebbero svanire col tramonto di tutti i nostri sogni. Le navi da crociera ci saranno ancora, destinate a diventare ospedali.

 

PASSARE PER IL BOSCO

Le favole hanno una logica ferrea, non si passa impunemente per il bosco e non esistono i lupi sulla strada. Nelle pandemie non è la mamma a guidarci, ma disposizioni ministeriali, esortazioni di sindaci, prefetti, presidenti di regione (il nostro mi piace, per lo meno conosce i boschi e le strade del Veneto e quando dice: “attenti”, sa quel che dice).

Alcune raccomandazioni vi danno una sicurezza unicamente burocratica: se avete un lasciapassare potete passare, se dovete fare la spesa potete uscire, se dovete portare furi il cane, andate, se ubbidite ANDRA’ TUTTO BENE.

Le mascherine sono l’anello di congiunzione tra la disposizione burocratica e la raccomandazione dell’ufficio igiene, molti modelli sono utili più o meno quanto lo è stata la foglia di fico a coprire i genitali dei nostri progenitori, chiamati a rispondere del peccato originale.

“ tenete la distanza di un metro” : ma l’aria non si misura col metro, non se ne sta lì irrigidita lungo l’asta tesa dalla vostra prudenza, come se i virus fossero trapezisti che camminano su una corda millimetrata. Se fossimo capitani coraggiosi o cacciatori nella savana sapremmo che non è la stessa cosa trovarsi controvento o sottovento, e se a a tre metri di distanza dal fumatore avvertiamo l’aroma della pipa possiamo dubitare che i virus rispettino il confine che è stato loro assegnato per la nostra sicurezza.

 

CONVIVENTI

Siamo tutti conviventi di fatto. Un fatto è un fatto e quando succede non dà molte alternative: bisogna accettarlo e andare avanti. Siamo stati incastrati pur senza essere diventati i responsabili di gravidanze indesiderate, noi virtuosi dell’autocontrollo, vagamente consapevoli che, dal momento che eravamo stati sorpresi dal fermo immagine dove eravamo, trovandoci lì e non altrove, avremmo dovuto accettarne tutte le conseguenze, vivendo un’anticipazione dei novissimi: morte, giudizio e destino eterno. Oggi non possiamo raggiungere la nostra seconda casa, stiamo con la prima donna perché non c’è stato il tempo di sistemaci con la seconda, stiamo con mamma perché la badante è rientrata in famiglia, stiamo con i figli che non vanno più a scuola. Ne usciremo, ma non ora, ciò che è provvisorio ci dà la misura di ciò che potrebbe essere definitivo e la salvezza passa per una condanna all’inferno o al purgatorio, nell’attesa di un’assoluzione che sciolga il nodo delle nostre contraddizioni.

 

CRISI

Abbiamo gridato: “al lupo, al lupo” e ora il lupo è arrivato, è arrivata la madre di tutte le crisi. Nel salotto inondato dal sole di primavera, dopo aver passato l’aspirapolvere, potrei pensare: “tutto qui?”, ma non avendo a disposizione una teoria del tutto, né del tutto bene, né del tutto male, sospendo ogni domanda per consegnarmi al mistero. Oggi non sappiamo, domani sapremo di più, ma non sapremo il tutto, ci saranno zone d’ombra, riprese e disastri, segreti, verità taciute e bugie pietose, scuse ed attenuanti, recriminazioni ed encomi, accuse e difese. Parleremo dei nostri politici, dei nostri eroi, dei nostri anziani, ma avremo sempre ben poche certezze sul virus, raffigurato come una sfera con uncini e manine alla ricerca delle nostre cellule, ma lui, per quanto ingrandito e fotografato sul confine tra il regno inorganico e il mondo vivente, rimarrà per sempre un enigma.

 

NON TUTTO BENE

Sono finalmente arrivati gli esperti, che hanno tutt’altro modo di presentarsi rispetto ai politici. Sono più prudenti, meno assertivi, spesso schivi. Parlano dopo pause di riflessione, s’impegnano a riformulare le loro idee nel linguaggio comune, sono prudenti nel fare previsioni, assertivi nel dichiarare che loro l’avevano già detto, che sarebbe stato meglio ascoltarli prima, quando nessuno era disposto a decidere alcunché in base ad evidenze scientifiche ancora troppo poco evidenti. Eppure The Lancet lo aveva già scritto, la maggior esperta mondiale di pipistrelli aveva già espresso la sua preoccupazione: Cassandra aveva parlato invano e Lacoonte era già finito nelle spire della polizia politica. Nemo profeta in patria e con la globalizzazione i profeti sono tanto inflazionati quanto inascoltati. Gli esperti, che dovrebbero dare risposte, dialogano con gli informati, che dovrebbero fare domande. Gli informati informano la popolazione, mentre i politici ascoltano gli esperti, gli informati, il capo dello stato, i colleghi di partito, gli oppositori, i sindacati, gli imprenditori e gli industriali, i rappresentanti di chiunque voglia essere rappresentato. Sondano l’elettorato, cercano di intuirne gli umori, la rabbia, le rivendicazioni, le aspettative, i bisogni. Poi parlano, s’incontrano e si scontrano, tentennano e decidono (sempre troppo tardi), dichiarano e smentiscono, accusano e si difendono, parlano e straparlano, raramente si scusano. L’elettore, soprattutto se chiuso solo a casa, è uno e vale uno, mentre un coronavirus da uno diventa subito due, poi quattro, poi sedici. Nessun scienziato ha mai ipotizzato che i virus discutano tra loro per decidere cosa fare, sintetizzano molecole invece di produrre tesi, antitesi e sintesi. La democrazia è stata ampiamente battuta dalla velocità della replicazione virale, i suoi esponenti sono stati sbaragliati dall’esuberanza della crescita esponenziale.

 

A PERDERE

Siamo in guerra con il coronavirus, è una situazione asimmetrica: lui vuole colonizzarci, mentre noi non vogliamo nulla da lui: che si tenga pure tutte le sue proteine, il suo RNA, i suoi spikes e analoghi, vogliamo solo che se vada, non dobbiamo vincere, l’importante è non perdere. Per questo bisognerebbe rinunciare ai materiali a perdere, cominciando dalle mascherine. Ognuno abbia la sua, di solida plastica sterilizzabile, con filtri sostituibili e se la tenga cara: l’assedio non si affronta aspettandosi rifornimenti quotidiani, miliardi di mascherine usa e getta oggi ci sono e domani no, torniamo a metterci armature solide, a combattere all’arma bianca, con camici di cotone impermeabilizzati (o con altri trattamenti antivirus) e grandi sterilizzatrici. La nostra case, le nostre pentole, le lenzuola sono riutilizzabili, i nostri conviventi non sono al momento sostituibili. Quindi è bene cambiare mentalità: a la guerre comme a la guerre e se la plastica è quasi eterna smettiamo di buttarla via.

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