Sulla fortuna delle parole. Lettera aperta ai ministri dell’Economia e dell’Università

| 6 Dicembre 2011 | Comments (0)

La conferenza stampa di domenica 4 dicembre, trasmessa da La7, immagino avrà avuto uno share notevole, visto che le TV ufficiali apparivano in altro affaccendate.

Prima considerazione. C’è in effetti un palpabile cambio di stile, che è poi la ragione sulla quale si fonda il momentaneo diffuso consenso psicologico. Unico attimo di suspance, quando, alla prima domanda, è stato chiesto a Monti che cosa ne pensava di Sarkozy e della Merkel. Monti ha esordito dicendo: «la signora Merkel è una…» e qui tutta Italia ha temuto che dicesse «culona», ed ecco, si sarebbe aperto il baratro,  eravamo falliti; invece il discorso ha proseguito con un candido «persona che conosco da tempo, e che ama l’Europa». Scampato pericolo. È che eravamo abituati diversamente…

Seconda considerazione. Di Profumo neanche l’odore (battutona!). La dice lunga su quanto si scommetta, per il rilancio, su Università e scuola. Diverse cose sono state dette invece per il rilancio degli investimenti in ricerca e sviluppo da parte delle aziende. Bene: i nostri imprenditori sono agli ultimi posti, in Europa e non solo, per questo tipo di investimenti, stimoliamoli pure. Poiché pare che il  bocconiano Monti speri in un forte rilancio della ricerca italiana grazie ai soldi della Fiat e della Pirelli, non possiamo che fargli gli auguri: io li faccio sempre a mio zio quando compra una schedina da un euro del superenalotto.

Terza considerazione. Qui mi si consenta di indulgere all’aneddotica personale. Quando ero sorpreso a compiere una birichinata, effettivamente a volte piangevo; ma prima dei sei anni. Dopo ho imparato a vergognarmi, e tutt’al più divento rosso. Evidentemente la Fornero non ha letto Piaget. In altri tempi piangevano le madonne: era quasi meglio…

Quarta considerazione. Passera ha avuto un forte alterco con la lingua italiana. In questi casi, si sa, vince lì per lì il presente, e le ragioni della grammatica vengono posposte in un futuro indefinito. Siccome alla fin fine quello che Passera voleva dire si è capito, abbiamo assistito alla ennesima controprova di quella prevalenza della semantica sulla sintassi che già Chomsky aveva teorizzato ne Le strutture della sintassi fin dal 1955; quando un extracomunitario ti dice “tu indicare me; io stazione” tu più o meno capisci. L’analizzatore sintattico fallisce, ma la comprensione se la cava. A conforto, rispetto alle tristi analogie con la Gelmini, consoliamoci pensando che almeno questo non l’hanno fatto ministro della cultura; speriamo che sappia far di conto e non progetti tunnel per neutrini.

Quae dicuntur, trifaria dicuntur, scriveva Pietro Mengoli. Ecco, questo è il primo modo di dirle, quello faceto. Secondo modo di dirle, più greve: ultimi per il CENSIS e per l’OCSE per gli investimenti nella ricerca, l’istruzione e la scuola, non vogliamo spendere una parola in merito perché qualcuno non debba temere un’inversione di tendenza. Questa è vera politica per i giovani: scuola depauperata e a rotoli, Università allo sbando impantanata entro le sabbie mobili di una riforma anidemocratica, cervellotica e persino inapplicabile, ancorché epocale. Si ha l’impressione che il prof. Monti la dia per applicata e a regime; sarà bene che qualcuno lo informi, e gli faccia il punto sull’attuale paralisi, con una decina di decreti approvati sui cinquanta necessari, e dense e scure nubi di montagne di contenzioso che si addensano su tutti i TAR d’Italia. Forse il collega prof. Profumo, che si è visto lo Statuto del politecnico di Torino bocciato dal MIUR, e che ora dovrà decidere se fare ricorso come Rettore contro se stesso come Ministro, potrebbe fornirgliene un’idea.

Il terzo modo di dirle riguarda la fortuna delle parole. Anche le parole sono soggette alla dea bendata. Qualche inviato speciale ha scoperto, ad esempio, che in una qualche lingua orientale “maremoto” si diceva “Tsunami”: è stato un boom, anche dal barbiere si parlava di tsunami. Il governo precedente ne aveva divinizzata una di parole: “meritocrazia”. Una concessione all’etimo: da meritum, mercede, premio, ricompensa; guiderdone; con stretta affinità con meretrice, da merere, guadagnare. Parole apparentate, magari dal caso. O no? La “meritocrazia” concepita dalla nostra normativa è abbastanza singolare: si tolgono gli avanzamenti di carriera, poi, se uno è meritevole, glieli si ridanno, anche se solo in parte. Insomma, il premio consiste nel minimizzare la fregatura. Ottimo stimolo per favorire la ricerca.

Ora il nuovo corso, nella continuità, propone al suo posto una nuova parola magica e fascinosa: “equità”. Altra concessione all’etimo: da aequum, uguale (attenzione al dittongo, lasciamo perdere i cavalli, potrebbero finire al Senato, non sarebbe la prima volta). Si noti bene il significato: uguale. Ma è equo ciò che è uguale? Il suum cuique tribuere si sostanzia nel dare (o togliere) uguale a tutti, vedi i celebri “tagli lineari”, o dare a ciascuno secondo il giusto? (lasciamo riposare il merito,  almeno per un po’, per non riattivare la traccia mnestica della recente mignottocrazia).

Forse l’attico dei filosofi può venire in aiuto. Dalla epoineia, l’equità, qualità del giudice, si vorrebbe passare alla dike, alla formalizzazione di regole certe di comportamento sociale, al giusto, to dikaion, e, infine, alla più alta delle virtù, la dykaiosyne, come giustizia, esteriore ed interiore: di lettera e di spirito . Il primo libro della Repubblica di Platone lo spiega magistralmente. Ma non ce la siamo sentita di proporre una lettura così corposa, ai nostri indaffarati politici. Molto più corta, e di livello infinitamente più basso, e tuttavia non priva di conseguenze, se ben compresa, in specie per i nostri giovani, ci siamo permessi di proporre questa.

 

Category: Scuola e Università

About Maurizio Matteuzzi: Maurizio Matteuzzi (1947) insegna Filosofia del linguaggio (Teoria e sistemi dell'Intelligenza Artificiale) e Filosofia della Scienza presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Bologna. Studioso poliedrico, ha rivolto la propria attenzione alla corrente logicista rappresentata da Leibniz e dagli esponenti della tradizione leibniziana, maturando un profondo interesse per gli autori della scuola di logica polacca (in particolare Lukasiewicz, Lesniewski e Tarski). Lo studio delle categorie semantiche e delle grammatiche categoriali rappresenta uno dei temi centrali della sua attività di ricerca. Tra le sue ultime pubblicazioni: L'occhio della mosca e il ponte di Brooklyn – Quali regole per gli oggetti del second'ordine? (in «La regola linguistica», Palermo, 2000), Why Artificial Intelligence is not a science (in Stefano Franchi and Güven Güzeldere, eds., Mechanical Bodies, Computational Minds. Artificial Intelligence from Automata to Cyborgs, M.I.T. Press, 2005). Ha svolto il ruolo di coordinatore di numerosi programmi di ricerca di importanza nazionale con le Università di Pisa, Salerno e Palermo. Fra il 1983 e il 1985 ha collaborato con la IBM e, a partire dal 1997, ha diretto diversi progetti di ricerca per conto della società FST (Fabbrica Servizi Telematici, un polo di ricerca avanzata controllato da BNL e Gruppo Moratti) riguardo alle tecniche di sicurezza in informatica, alla firma digitale e alla tecniche di crittografia. È tra i promotori del gruppo «Docenti Preoccupati» e della raccolta firme per abrogare la riforma Gelmini.

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