Paolo Ceccarelli: Costruire una rete di città universitarie
Diffondiamo le riflessioni e suggerimenti di Paolo Ceccarelli (Cattedra UNESCO “Urban and Regional Planning for Local Sustainable Development”, Università di Ferrara) scritti in data 3 ottobre 2013
1. Costruire una rete di città universitarie. Riflessioni e suggerimenti
Il seminario della rete UniTown costituisce un’ utile occasione per esplorare un problema importante della società attuale: il rapporto tra città e università. Poiché lo scopo di UniTown è migliorarlo cercherò di fornire un piccolo contributo a questo progetto con alcune riflessioni primi suggerimenti.
Vari avvenimenti e processi in atto in tutto il mondo hanno riproposto con forza l’attenzione sui rapporti tra città e università. La società della conoscenza si è sempre più diffusa e affermata; la formazione superiore e la ricerca sono divenute ingredienti fondamentali dello sviluppo sociale ed economico; le università si sono trasformate in istituzioni complesse; le città stanno rielaborando il loro futuro grazie alle opportunità di natura economica rese possibili dalla scienza e la tecnologia; i giovani sono molto cambiati e la loro educazione implica approcci diversi.
Sono tutte questioni di notevole importanza che per essere affrontate con successo richiedono nuovi approcci.
In Europa la Strategia Lisbona-Göteborg (2000-2001) e successivamente Europa 2020 (2010) hanno in parte dato una risposta a questi problemi. Da esse sono poi nati una serie di programmi come Horizon 2020 per incentivare l’innovazione e URBACT I e II (con progetti come Eunivercities, REDIS, Creative Spin, ESIMEC, UNIC…) per promuovere e sostenere esperienze di iniziative congiunte città-università, finalizzate ad accrescere creatività e innovazione a livello locale e a promuovere lo sviluppo economico. Nel 2013, a loro integrazione, è stato lanciato il programma CREATIVE EUROPE ( che sostituisce i precedenti Media, Media World, ecc.) per stimolare la creatività nel campo dell’arte e della comunicazione.
L’insieme di questi processi e i loro possibili esiti postulano la necessità di un sostanziale mutamento dei rapporti città-università; di una loro nuova definizione in termini istituzionali; di nuove modalità di reciproco comportamento. Responsabilità meglio definite devono essere assunte in modo esplicito e chiaro da parte di entrambi i soggetti, con ben precisi standard di prestazione, strategie comuni e politiche condivise.
Il tradizionale rapporto “città-università” va di conseguenza attentamente rivisitato e deve diventare oggetto sia di scelte strategiche più generali che di specifiche politiche nazionali ed europee. L’istituzione di una rete europea di città universitarie sembra un veicolo adatto per affrontare questa materia ed elaborare proposte per il futuro.
Scopo di questa presentazione è identificare alcuni dei problemi da affrontare; poiché la materia è molto ampia e complessa vi prego di considerare il mio intervento come spunto per più ampi e approfonditi ragionamenti.
2. Città e università. Un rapporto variabile
Il rapporto tra università e città che le ospitano è sempre stato, ovunque nel mondo, materia di discussione. Confronti e scontri, collaborazione, sopportazione o indifferenza, benefici e svantaggi sono le parole chiave di questo rapporto.
E’ stato particolarmente importante in città che hanno atenei antichi e importanti, spesso diventati il simbolo stesso del luogo. Oggi il rapporto è nuovamente importante nelle città universitarie di recente formazione o laddove le università sono molto cresciute di dimensione e contano molto nella vita locale. Assume caratteristiche diverse a seconda che le università svolgano soprattutto un ruolo di ricerca più che di formazione e le attività universitarie siano ancora localizzate nel tessuto della città esistente o si concentrino piuttosto in campus esterni, in se vere e proprie nuove città.
Per molto tempo, e in molti casi ancor oggi, le città hanno svolto soprattutto un ruolo di contenitore delle attività didattiche e di ricerca delle università e dei loro studenti ricavando dalla loro presenza vantaggi non trascurabili ma puramente indotti: occupazione diretta o indiretta nell’università, reddito dall’alloggio e i consumi di studenti e docenti, servizi, ospedali, turismo legato a convegni, e così via. L’università ha d’altro canto passivamente tratto vantaggio dalle città per la disponibilità di spazi per le proprie costruzioni, edifici, infrastrutture, servizi vari, oltre ad alcune esternalità connesse alla qualità della vita urbana. Le università sono state interessate alle città dove erano localizzate anche in quanto erogatrici di servizi di vario tipo, a supporto dei propri interessi: ad esempio, luoghi in cui gli studenti potessero trovare elementi di svago e forme di integrazione culturale all’ attività di studio, ma anche valvole di sfogo dell’eventuale protesta giovanile.
In sostanza pur avendo molti interessi in comune le due istituzioni sono rimaste di fatto separate. Anche nel caso di buone relazioni, difficilmente le rispettive strategie si sono integrate in un disegno comune; nella migliore delle ipotesi hanno proceduto in parallelo.
Come ho già indicato, in anni recenti, con il crescere nelle società post-industriali del ruolo determinante della cultura, della scienza, della ricerca, dell’informazione il rapporto dell’università con il contesto locale ha cominciato a modificarsi. Ne è indicatore il progressivo affermarsi del principio della “3a Missione” dell’Università.
Quali sono gli elementi che caratterizzano questa trasformazione e arricchimento dei rapporti tra città e università? Se ne possono indicare i più rilevanti:
· L’importanza strategica che hanno ai fini dello sviluppo le specifiche identità di un luogo e di un’istituzione all’interno dei sistemi globali;
· Il peso assunto da conoscenza e cultura nei processi di sviluppo economico e il ruolo delle esternalità positive costituite dal contesto territoriale in cui tali processi si svolgono;
· La necessità di creare le condizioni per lo sviluppo sostenibile in tutte le sue componenti, con particolare attenzione per l’inclusione sociale e l’equità;
· La realizzazione di sistemi di governance più flessibili ed integrati per gestire società ed economie sempre più complesse e globali;
· La profonda trasformazione dei sistemi di valori, dei modelli culturali e dei comportamenti dei giovani. Il diverso ruolo che essi vogliono e devono avere nella società.
· Il processo di trasformazione dei processi formativi, dei modi di apprendere e delle stesse modalità della ricerca in una società influenzata e condizionata dalla tecnologia digitale.
Esaminiamoli in maggior dettaglio.
3. Rafforzare l’ identità del sistema città-università
Le specifiche identità ed immagine di una città sono una risorsa importante in un contesto globalizzato. Sono una risorsa strategica in un mondo che tende all’ omologazione. Il rapporto tra la città e la sua università (le sue università) è sempre stato determinante per la costruzione dell’identità di un luogo. L’università pur avendo per sua stessa natura una vocazione universalista è tuttavia inevitabilmente legata al luogo in cui è stata creata e d’altra parte la città ha nell’università un elemento che la collega a un contesto più ampio, spesso internazionale e in continua trasformazione. Numerose iniziative dell’UE volte a valorizzare l’identità di un luogo si fondano sull’interazione tra città e università E’ il caso delle Capitali Europee della Cultura (Turku nel 2011, Guimäraes nel 2012), o l’inclusione nella lista del Patrimonio Mondiale dell’UNESCO (Ferrara, Guimäraes, Kraków,Regensburg) o particolari politiche degli Stati nazionali.
Questo suggerisce l’opportunità che le città e le università comincino ad elaborare insieme una strategia comune che capitalizzi sulle loro specifiche caratteristiche. Le città potrebbero sostenere con decisione le aree di ricerca e formazione che sono più specifiche delle loro università mentre le università potrebbero aiutare a rinforzare le particolari caratteristiche delle città in cui hanno sede. Questo sforzo potrebbe aiutare a costruire un patrimonio culturale e scientifico con caratteristiche uniche e inimitabili, che a sua volta contribuirebbe a creare una rete che collega ed integra università e luoghi “unici” formando un sistema culturale ricco e complesso.
4. Una nuova collocazione delle università nei processi economici
In Europa si sta diffondendo la crescente consapevolezza che le università possono e devono svolgere un ruolo attivo nello sviluppo economico e che questo avviene attraverso l’elaborazione e l’attuazione di programmi per creare nuove imprese e nuovi posti di lavoro. Questo non significa ovviamente che le Università debbano divenire esse stesse imprese o debbano essere permeate dalla cultura di impresa (un rischio che purtroppo corrono spesso); devono però divenire attori positivi nella vita di una collettività.
L’Unione Europea ha lanciato molti programmi in tal senso. Purtroppo, come sappiamo, mentre alcuni di questi progetti hanno avuto successo altri invece non hanno corrisposto alle attese. In generale quasi dopo due decenni di sperimentazioni non si può dire che i rapporti tra le città e le loro università siano migliorati in modo sostanziale. Nelle città non si sono avviati processi di mutamento consistenti e duraturi e le università non hanno utilizzato il loro nuovo ruolo per introdurre al proprio interno trasformazioni sostanziali ed innovative.
In parte le ragioni di questo parziale fallimento sono da ricercare proprio in un approccio troppo economicista.
Questioni importanti come l’appoggio nei confronti dell’innovazione e della creatività, l’introduzione di nuove forme di partenariato, la realizzazione di nuovi servizi, l’inclusione degli studenti nella società locale e così via sono stati visti più come funzionali alla crescita economica che come valori ed opportunità per elaborare nuove e più ampie strategie di sviluppo. Anche la mancanza di risorse finanziarie non è mai stata vista come uno stimolo per introdurre nuove forme di collaborazione di natura permanente con la società locale e nuove modalità strutturali di governo e gestione. Si è ritenuto sufficiente seguire il modello di università come azienda, interessata soprattutto a procurare risorse a se stessa; non ci si è sforzati di perseguire in concreto, aldilà delle dichiarazioni retoriche, l’ obiettivo di uno sviluppo sostenibile.
Se tanto da parte delle città che delle università non c’è un sostanziale sforzo di condivisione di obiettivi e di reale collaborazione nelle azioni da compiere c’è il rischio che l’attuale riscoperta del legame città-università duri l’”espace d’un matin”. Sarebbe un tragico fallimento proprio nel momento in cui l’ONU con l’integrazione degli “Obiettivi di Sviluppo del Millennio”, l’UNESCO con la “Dichiarazione di Hangzhou” e l’UE con Europa 2020 attribuiscono alla cultura un ruolo strategico nei processi economici futuri.
Per ottenere questi risultati è comunque indispensabile che le università siano parte attiva nella definizione delle strategie di sviluppo economico locale, che esso sia sostenibile e che ciò avvenga attraverso l’istituzionalizzazione di organismi congiunti con questa finalità.
Questo è quanto si propongono programmi dell’Unione Europea come la RUnUP Network ( Role of Universities for Economic Development in Urban Poles Network) relativa alle città di media dimensione. Negli USA ci sono molti casi di questo tipo, ad esempio la Philadelphia’s Knowledge Industry Partnership (KIP) a cui partecipano attivamente i leader civici, gli imprenditori, i responsabili politici locali, le istituzioni di governo, i rappresentanti delle università per elaborare ed attuare la strategia di sviluppo di una regione molto vasta e popolosa, o la UniverCity Partnership promossa nel Massachusetts dal Colleges of Worcester Consortium.
L’esperienza di consorzi con finalità di sviluppo dell’economia e della società locale dovrebbe quindi essere estesa e rafforzata proprio perché mette insieme e reciprocamente responsabilizza da un lato istituti e centri di ricerca universitari e dall’altro le istituzioni di governo e le società locali. Lo stesso vale per la creazione di centri di ricerca e think-tank finalizzate ad esplorare le possibilità di sviluppo di una città universitaria e del suo territorio. Si tratta di iniziative molto utili per la definizione delle strategie per il futuro.
5, Le politiche di inclusione sociale
L’inclusione sociale è un tema centrale per una rete di città universitarie. Due aspetti sono particolarmente importanti. Il primo riguarda l’inclusione sociale attiva degli studenti nella società locale il secondo il recupero e la valorizzazione del capitale umano messo ai margini dagli attuali processi economici.
Gli studenti e la vita della città
Le città universitarie sono caratterizzate dalla presenza di un consistente numero di giovani istruiti che vi risiedono per vari anni e studiano al fine di raggiungere un livello di educazione più alto in diversi campi della conoscenza umanistica e scientifica, della tecnologia, delle arti. Si tratta di un capitale umano importante con caratteristiche particolarmente interessanti per l’età dei soggetti coinvolti, la loro voglia di affermarsi, i diversi valori di riferimento e stili di vita.
Secondo il vecchio modello di rapporto tra città e università questa risorsa è qualcosa di totalmente estraneo alla città; serve a dare apparenza di vita vibrante, di freschezza e gioventù, ma di fatto non viene minimamente utilizzata a livello locale per le sue reali potenzialità culturali e creative; non è stimolata e aiutata a fornire qualcosa di utile per la comunità. Le università sono in competizione tra loro per attrarre gli studenti più promettenti, ma le città (nonostante abbiano spesso un ruolo determinante nell’attrarre gli studenti, per l’ambiente stimolante e sicuro che offrono) non si muovono nella stessa direzione. Bisogna invece che le università e le città, di concerto con tutte le istituzioni finanziarie, economiche, culturali avviino politiche di stimolo e appoggio delle capacità inventive e creative dei giovani, favorendo al massimo lo scambio e la circolazione di idee (in questo sono determinanti anche la presenza di studenti stranieri e lo scambio di docenti e ricercatori). Una parte di questa azione dovrà consistere in politiche volte al “radicamento” di giovani talenti nelle città universitarie attraverso programmi di appoggio alla creazione di start-up, politiche mirate dell’abitazione e dei servizi, fornitura di adeguate infrastrutture di comunicazione.
Questa strategia è espressa in modo efficace dallo slogan: “iscrivere, impegnare, dare un lavoro” che un gruppo di università americane si è dato per sintetizzare il proprio impegno nei confronti degli studenti.
Per garantire che la presenza di giovani divenga una risorsa strategica è cruciale l’inclusione attiva del corpo studentesco nella vita della città. Essi non possono più essere visti come ospiti temporanei, “uccelli di passo”, ma devono essere considerati, in quanto studenti, come attori a pieno diritto nella vita economica, sociale e quindi anche politica della città. Questo significa che i rapporti con la città, le sue istituzioni il suo governo si rafforzeranno, che la comunità dei giovani sarà più coesa, che la vita politica locale si arricchirà di esperienze e attori nuovi e diversi. La partecipazione diretta alla gestione della città è uno di questi strumenti. I “diritti di cittadinanza” devono essere ridefiniti alla luce di questa nuova realtà.
A questo fine alcune città universitarie di vari paesi oltre ad ammettere una rappresentanza degli studenti nei loro organi consiliari, stanno sviluppando programmi di volontariato studentesco in settori importanti della vita cittadina: assistenza nelle scuole, nei servizi culturali, nelle funzioni sanitarie, nell’assistenza ai gruppi marginali, nella gestione degli spazi pubblici, del verde, dell’ambiente. Si tratta da un lato di un modo per integrare gli studenti nella comunità urbana, per farne apprezzare qualità, competenze e dall’altro per rendere coscienti i futuri componenti della classe dirigente delle difficoltà finanziarie, amministrative, gestionali di una città e responsabilizzarli a risolverli.
Garantire la piena valorizzazione del capitale umano
Il problema dell’inclusione non riguarda però solo gli studenti. Il problema si pone anche per le minoranze etniche, gli immigrati da altre regioni, le donne, gli anziani. Di recente si pone anche per quella notevole quota di forza lavoro che per effetto dell’ attuale crisi e della profonda riorganizzazione delle imprese ha perso il lavoro (in tutti i settori e a tutti i livelli di qualifica). A causa dell’età e delle loro competenze molte di queste persone hanno scarse possibilità di reinserirsi nel mercato del lavoro. Si tratta di una situazione sociale che pesa in modo negativo sulla vita di una città e di un patrimonio di conoscenze che viene totalmente disperso. Il tentativo di re-includere questa forza lavoro nella vita attiva e produttiva diventa quindi un obiettivo centrale per le amministrazioni locali. A questo fenomeno relativamente recente se ne aggiunge un altro strutturale, proprio delle società avanzate: l’uscita programmata dal mercato del lavoro e dalla vita economica attiva delle persone al disopra di una certa età. Le regole di funzionamento delle imprese o delle istituzioni e il diritto al riposo dopo una vita di lavoro, uniti all’allungamento dell’età e alle migliori condizioni medie di salute, creano una sacca di risorse umane e di competenze che non viene utilizzata in positivo nella vita della comunità. Sono persone ancora attive che potrebbero essere utilizzate per funzioni particolari, innanzitutto di interesse pubblico, a vantaggio della città.
L’obiettivo è valorizzare l’insieme dei saperi di una collettività e di includere nella sua vita attiva il patrimonio di conoscenze, competenze, capacità di produrre cultura che essa possiede. Tutto questo corrisponde ad un’esigenza di fondo della società contemporanea: rendere flessibile e rinnovabile la presenza attiva nel mercato del lavoro, consentire il continuo aggiornamento delle conoscenze e adeguamento delle competenze, garantire la possibilità di apprendere nel corso di tutta la vita. L’università non può ignorare questa necessità; deve anzi dare ad essa una risposta significativa, includendo trai suoi compiti anche quello di garantire il “life-long learning” dei componenti della società.
In un mondo così diverso da quello che esisteva solo qualche decennio fa (quando ci furono profonde rielaborazioni del ruolo delle università come risposta alle esigenze dell’ istruzione di massa) l’università deve certamente considerare che il suo compito non consiste solo nella formazione di un segmento delle nuove generazioni, ma nell’educare ai livelli più alti il maggior numero di persone, offrendo una varietà di forme di aggiornamento e riqualificazione, indirizzando verso nuove attività, favorendo nuove forme di imprenditorialità connesse ad esigenze pubbliche , ecc.
6. I nuovi modi di comunicare e di educare
Questo è reso oggi fattibile anche grazie alle sostanziali innovazioni proprie dell’era digitale. Di fatto nonostante il grande impatto che la tecnologia della comunicazione ha già avuto in questi ultimi anni su un vastissimo numero di attività siamo ancora agli inizi delle trasformazioni che le modalità di insegnamento ed apprendimento subiranno. Questo porterà probabilmente a semplificare l’insegnamento di molte nozioni di dettaglio a vantaggio di una maggiore attenzione per le questioni fondamentali, i principi di valore generale. Ci sarà una maggiore diffusione delle conoscenze di base ed aumenteranno l’interazione tra soggetti diversi, il confronto tra molteplici esperienze, la verifica collettiva di quanto si insegna ed apprende. Probabilmente l’ università perderà alcune posizioni di privilegio, non sarà più il luogo unico della cultura di alto livello, ma in compenso potrà ritrovare il suo ruolo di educazione alla critica, di elaborazione di idee originali, di punto di confronto intellettuale. E di questo ovviamente non beneficerà solo la comunità accademica.
7. Una governance più articolata
Così come la diffusione della tecnologia digitale grazie alla facilità di accesso alle informazioni favorisce la trasparenza dei processi decisionali di governo e amplia la partecipazione dei cittadini ad essi, la sua crescente applicazione nell’ università aiuterà a diffondere la formazione, renderà più facile accedere ai risultati della ricerca, permetterà di valutare il governo stesso dell’ università. Non è una questione marginale, perché l’università non è certamente una delle istituzioni più aperte e democratiche che esistano. E’ una grossa sfida di governance che vale la pena di raccogliere.
La necessità di una revisione delle modalità di governare sistemi complessi riguarda anche altro.
Le città che hanno avviato strategie di rilancio attraverso lo sviluppo di attività creative (uno dei pacchetti caratteristici delle strategie delle smart cities): programmi di riqualificazione urbana; iniziative per attrarre “creativi”: artisti, designer, giovani ricercatori, ecc., la realizzazione di festival e spettacoli, hanno quasi sempre operato autonomamente rispetto alle università locali. Lo stesso vale per le politiche di innovazione dei servizi, amministrative e gestionali, oppure per la conservazione e valorizzazione del Patrimonio. Mentre è frequente il rapporto tra ricerca universitaria ( centri e istituti di ricerca, singoli ricercatori) e imprese sono molto meno frequenti i programmi in cui collaborano istituti universitari di ricerca, imprese e città. Le università sono ancora viste più come luoghi di apprendimento astratto e di elaborazione scientifica di base che come luoghi di creatività, di invenzione, capaci di entrare in sintonia con gli interessi dell’intera comunità.
Un altro aspetto che dovrebbe essere preso in più attenta considerazione riguarda la collaborazione (con forme di integrazione) tra Università e istituti di formazione professionale ( si pensi alle Fachhochschulen tedesche, ai Politecnici nel Regno Unito, agli ITIS e agli Istituti d’Arte italiani) , superando l’ingiustificata diffidenza nei confronti di istituzioni formative di tipo specialistico, che svolgono invece a loro volta un ruolo culturale estremamente importante. Questa collaborazione servirebbe di stimolo alle capacità degli studenti delle scuole superiori, darebbe supporto all’attività dei loro docenti, permetterebbe agli studenti universitari di conoscere meglio i sistemi di competenze in cui in futuro opereranno e integrerebbe maggiormente l’università nella vita locale.
Valorizzare la ricchezza di esperienze e idee di tutti i settori formativi non può che produrre benefici.
Infine, e certamente cosa non marginale, l’Università può svolgere un ruolo significativo nel promuovere ed assistere la partecipazione dei cittadini alla vita pubblica, nell’aiutarli a risolvere problemi di tipo legale, nell’indirizzarli in scelte relative alla salute, all’istruzione, al lavoro e così via. Ad esempio i “consultori” legali, in cui gli studenti di giurisprudenza prestano servizio, facendo al tempo stesso pratica, sono offerti da numerose università in vari paesi. Si tratta di un ruolo di integrazione di conoscenze e di diffusione di informazioni che certamente è importante in una società sviluppata.
Una governance dei processi di educazione produzione culturale con queste caratteristiche è elemento costitutivo della sostenibilità.
8. Territorio e ambiente
Si sono esaminate, relativamente alla costruzione di un processo di sviluppo sostenibile, alcune fondamentali aree di collaborazione tra città e università in campo economico, sociale, politico; non va ovviamente dimenticata anche quella dell’ambiente, con la ricerca congiunta di soluzioni per la riduzione delle diverse forme di inquinamento, l’autosufficienza energetica, l’attuazione di una corretta gestione ambientale, l’introduzione di appropriati sistemi di trasporto, oltre all’attenta pianificazione urbanistica e al ruolo che l’università può avere nel mercato immobiliare, ecc.
In questo campo le principali forme di collaborazione sono due: una è la ricerca da parte dell’Università di soluzioni tecniche per migliorare la situazione ambientale, l’altra è l’applicazione nei progetti e nelle realizzazioni dell’università dei principi di sostenibilità, diventando in tal modo modello di riferimento per altri soggetti. In questo senso sono interessanti sia gli sforzi di costruire reti di università con l’obiettivo di attuare buone pratiche di sostenibilità nell’organizzazione e gestione delle loro attività didattiche e di ricerca e nel funzionamento dei loro campus sia i contributi concreti di singole università alla realizzazione di un ambiente sostenibile. Le esperienze in questo campo da parte di università in accordo con le città sono numerose e dovrebbero essere conosciute meglio. Ne cito due diverse.
La prima è l’International Sustainable Campus Network (ISCN) che offre “un forum globale per aiutare le università nello scambio di informazioni, idee e buone pratiche al fine di realizzare il funzionamento sostenibile dei campus e di integrare la sostenibilità nella ricerca e nell’insegnamento”. La rete ISCN è stata promossa ed è diretta da due università svizzere: l’ École Polytechnique Fédérale de Lausanne (EPFL) e dall’ Eidgenössische Technische Hochschule Zürich ((ETH Zurich); comprende 47 università di tutto il mondo: 17 nord e sud americane, 17 europee, 1 africana, 10 asiatiche e 2 australiane. Le università della rete si impegnano ad operare in tre direzioni: elaborare annualmente l’ impronta ecologica del loro patrimonio edilizio e dei campus; introdurre nella didattica e nella ricerca in tutti i campi disciplinari consapevolezza dei principi di sostenibilità; promuovere iniziative rispetto alle città ed i territori in cui operano.
La seconda, altrettanto interessante, è UniverCity, un esempio canadese di “comunità completa “ sostenibile, con una varietà di alloggi, negozi, servizi e attrezzature per il tempo libero abitata da studenti, docenti e personale dell’università, realizzata dalla Simon Fraser University di Vancouver . Ha la duplice finalità di dimostrare che è concretamente possibile realizzare e gestire un insediamento completamente sostenibile e al tempo stesso di educare gli studenti a viverci e a farlo funzionare.
Negli USA e in alcuni paesi asiatici l’università svolge spesso un significativo ruolo di operatore immobiliare che pesa non poco nello sviluppo urbanistico della città. In Europa, per motivi storici ed istituzionali, questo ruolo è minore, ma non è trascurabile ed in certi casi è certamente rilevante. Le Università europee forse non sono “developer” significativi come quelle nord americane (si vedano ad esempio gli studi promossi dal Lincoln Institute for Land Policy, Cambridge, Mass.) ma certamente i loro interessi immobiliari, l’impatto che hanno sull’offerta abitativa, il loro fabbisogno di servizi incidono in misura rilevante sulla politica urbanistica della città. Anche in questo caso la collaborazione tra città e università è più che mai necessaria.
Infine l’Università, con le sue competenze specialistiche, può dare appoggio tecnico e scientifico al governo della città per risolvere situazioni urbanistiche ed ambientali particolarmente complesse.
9. Città e università in Italia
A questo punto, visto che ci troviamo in un’ università italiana che ha sede in una città Patrimonio Mondiale, permettetemi di porre la domanda: “quali sono i punti di forza e le debolezze del rapporto città-università in Italia?”
Un punto di notevole debolezza è ancora la scarsa capacità complessiva delle nostre università di attrarre studenti e ricercatori stranieri nonostante la crescente e domanda di formazione pre- e post-laurea a livello internazionale. Le principali carenze sono note: mancanza di diffusa offerta didattica in inglese, organizzazione poco flessibile dell’insegnamento, scarsità di attrezzature, ecc.. A queste debolezze del sistema universitario si uniscono carenze proprie delle città ospitanti, che non si curano di sviluppare specifici programmi di accoglienza e supporto, in collaborazione con le università. Le informazioni sull’alloggio, i trasporti, i servizi per la salute, le attività relative alla vita quotidiana sono inesistenti o estremamente scarse. Le misure per controllare il costo e la qualità degli alloggi, facilitare l’erogazione di servizi, favorire l’inclusione nella vita cittadina, controllare forme di intolleranza, garantire sicurezza sono limitatissime se non inesistenti. Di fatto c’è maggiore attenzione per il turista di passaggio che per lo studente che vive da “ospite” per vari mesi o anni nella città universitaria.
Questo è un limite molto forte soprattutto pensando al valore aggiunto che nell’ offerta formativa è costituito dalla qualità della vita, dal patrimonio culturale, ecc. della città, per cui essa risulta essere un luogo “unico”, particolarmente attraente.
L’elemento negativo che pesa di più è in realtà la mancanza di esplicita consapevolezza che un rapporto stretto e fortemente integrato tra città e università è fondamentale, pur mantenendo nettamente distinti i rispettivi ruoli e le proprie autonomie decisionali.
Il fatto che università e città non si presentino ancora come un sistema integrato porta ad utilizzare in modo non razionale le risorse disponibili; crea incertezza tra gli imprenditori che vorrebbero sviluppare nuove attività economiche e culturali; rende debole l’ immagine della città universitaria nel suo insieme e riduce la sua capacità di attrazione.
Questi limiti sono ancor più evidenti in una fase di forte contrazione della spesa pubblica come l’attuale, quando la ricerca di risposte congiunte è più che mai necessaria.
Da questo punto di vista un’eccezione è rappresentata da Torino, dove il programma della nuova amministrazione locale dichiara che: “Il rapporto tra università e città deve cambiare strategicamente, a cominciare dal punto di vista amministrativo, economico e produttivo. Il luogo che produce conoscenza e i luoghi che mettono in pratica la conoscenza devono essere strettamente connessi, così come l’università deve diventare punto di attrazione e ricerca.” Questo comporta compiere scelte logistiche intelligenti, pensate rispetto alle esigenze dei poli di insegnamento; predisporre il territorio con le infrastrutture necessarie e fare vivere alla città un tempo “universitario” e non più quello rigido dell’organizzazione industriale, creare forti sinergie con le strutture e i settori che ruotano attorno alla vita accademica, ad esempio con il mondo dello sport.” E’ un esempio che dovrebbe essere seguito.
10. Come procedere?
Questo rapido excursus dei rapporti tra città e università in Europa suggerisce i possibili passi sa compiere per costruire una rete di città universitarie europee. Essi sono:
1. Condurre un esame sistematico delle iniziative in corso nelle varie città universitarie appartenenti a UniTown e delle loro buone pratiche. E’ l’informazione di base utile per comprendere la situazione generale.
2. Condurre un’analoga analisi dei programmi dell’UE, nazionali e sub-nazionali relativi a città, università e rapporti città-università . E’ necessaria per conoscere e valutare la possibilità di progetti congiunti
3. Elaborare un quadro preliminare delle relazioni e dei reciproci comportamenti città-università su cui basare possibili politiche congiunte. Il documento deve esaminare le esperienze già compiute e in sviluppo, la struttura legale e operativa di riferimento e le principali esigenze in un campione di città universitarie con tipologie diverse.
4. Sperimentare per un certo periodo di tempo le azioni così identificate e la loro fattibilità ed efficacia
5. Su questa base elaborare congiuntamente e sottoscrivere un protocollo delle relazioni tra città e università e delle rispettive responsabilità. Utilizzare questo protocollo per una ridefinizione delle politiche UE, nazionali e subnazionali che metta in risalto il ruolo strategico delle città universitarie nell’attuale società.
Vi ho proposto un programma ambizioso e impegnativo; sono però convinto che solo I programmi ambiziosi e aperti al futuro siano in grado di farci uscire dalle attuali difficoltà.
Category: Ricerca e Innovazione, Scuola e Università