Ilaria Venturi: L’università sulle spalle dei docenti a contratto pagati 7 euro lordi all’ora
Diffondiamo da Repubblica 27 settembre 2018
Tengono corsi fondamentali nelle università, sono professori a tutti gli effetti agli occhi dei loro studenti che seguono anche negli esami e nelle tesi di laurea, che incontrano al bar perché il più delle volte non hanno uno studio dove appoggiarsi, sempre con gli orari dei treni in mano per dividersi su più sedi, appassionati per la didattica. Eppure frustrati nelle aspettative di carriera accademica, invisibili. Precari e malpagati: guadagnano quanto, se non meno, di una colf o di una baby- sitter pur avendo curriculum pieni zeppi di titoli, dalle doppie lauree al dottorato. A conti fatti, considerando il lavoro effettivo svolto per salire in cattedra, rimangono nelle loro tasche sette euro all’ora lordi. Spiccioli. « Ora basta, vogliamo essere riconosciuti e pagati per quello che ci spetta», il loro grido.
È l’esercito dei docenti a contratto nelle università italiane: 26.869 professori, li conta il Miur nel 2017, in crescita rispetto al 2016 dell’ 11,7%, quasi tremila in più. Una fotografia impietosa scattata dalla Rete dei precari della ricerca e della didattica con la Flc-Cgil per far emergere un fenomeno che il mondo accademico ben conosce, «ma che finge di ignorare» , incalzano gli autori dell’indagine Barbara Grüning e Gianluca De Angelis, ricercatori precari. « Ora non hanno più scuse. Queste sono figure strutturali che tengono in piedi la didattica negli atenei: vanno riconosciute e retribuite adeguatamente».
I numeri raccolti dai due sociologi e l’indagine svolta intervistando 5.542 docenti a contratto, da Torino a Palermo, mostrano intanto uno squilibrio fortissimo tra chi insegna e fa ricerca in università con un posto di ruolo rispetto al popolo dei precari: 50.020 docenti associati e ordinari, più i ricercatori di tipo “b” che hanno la strada avviata per la docenza, contro 63.244 ricercatori a tempo determinato, borsisti post-laurea e assegnisti di ricerca. In questa voce i docenti a contratto, figura istituita nel 1980 per arricchire la didattica con professionisti, sono i più numerosi. E col tempo si sono trasformati in professori che fanno quello per mestiere, chiamati con contratti sui singoli corsi, in un sistema universitario dal reclutamento bloccato o che procede al ritmo di un bradipo: appena il 2% lo scorso anno è entrato.
Più di uno su due, tra gli intervistati, ha dai 41 ai 60 anni, il 70% intende provare, o ha già conseguito, l’abilitazione. Solo il 5,5% non ha svolto attività scientifiche negli ultimi cinque anni. Il punto dolente è la paga che da bando varia da 25 a 100 euro lordi all’ora a seconda degli atenei. «Ma la maggioranza paga sui 30 euro. E poi il problema è che vengono retribuite solo le ore del corso — spiegano gli autori dell’indagine — calcolando il tempo in più che ci vuole per prepararlo e per seguire gli studenti la paga scende a 7 euro lordi all’ora. Con contratti senza tutele e diritti » . Per arrivare a fine mese c’è chi accumula corsi, come Giuliana Scotto, romana, 51 anni. Insegna lingua tedesca e diritto del commercio internazionale a Venezia, nella sede di Rovigo dell’ateneo di Padova, e alla Sapienza. Quanto guadagna? In tutto circa seimila euro. «Non ci vivi. Mi aiuta mio padre e alla mia età è sconfortante. A parità di lavoro prestato spetta parità di retribuzione: un diritto costituzionale che l’università disattende». Quasi uno su due non guadagna più di 15mila euro per un anno di docenza. «Un mancato riconoscimento economico e sociale — osserva Gianluca De Angelis — che produce una disuguaglianza strutturale da sanare».
Category: Ricerca e Innovazione, Scuola e Università